sabato 31 agosto 2013

Quella speranza che resta sempre accesa



Il cardinale Carlo Maria Martini e la dimensione contemplativa dell’esistenza.

Oggi, 31 agosto, in occasione del primo anniversario della morte del cardinale Carlo Maria Martini, è stata celebrata nel pomeriggio, nel Duomo di Milano, una messa di suffragio. Di seguito l’omelia pronunciata dal cardinale arcivescovo di Milano.
(Cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano) «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Matteo, 4, 16). L’evangelista Matteo, per descrivere l’inizio del ministero pubblico di Gesù, utilizza le parole di una profezia di Isaia (cfr. Isaia, 8, 23 - 9, 1). Una descrizione efficace, che ben esprime l’iniziativa di Dio nei confronti della umana condizione. Non si può forse dire di ogni uomo che «abita in regione e ombra di morte»? Questa, come un sordo rumore di fondo, accompagna tutta la nostra vita. Non è proprio la morte, soprattutto quella delle persone a noi care e quella degli innocenti, ad aprire dolorosamente l’interrogativo circa il bene della vita? Se non c’è, infatti, risposta alla morte, se non esiste una luce in grado di dissipare l’ombra della morte, uno scetticismo dalle molte sfumature s’impadronisce di noi. Nessuno può sottrarsi a queste domande. Esse attraversano, senza distinzione, l’esistenza di credenti e di non credenti, incamminati sulla stessa strada. Nell’iniziativa che Gesù prende dopo la cattura di Giovanni, si apre a noi una strada per guardare in faccia la bruciante questione della morte: in prima persona nel territorio intorno a Cafarnao Gesù «incominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino”». E allora «il popolo vide una grande luce» (Matteo, 4, 16-17). «Cristo è morto per noi» (Romani, 5, 8): così Paolo esplicita il cuore abbagliante di questa grande luce.
Celebrare l’Eucaristia nel primo anniversario della dipartita dell’arcivescovo Carlo Maria è un’occasione privilegiata per rendere grazie a Dio del bene compiuto nel suo ministero episcopale. Il suo sguardo appassionato per tutti gli uomini continua ad accendere la speranza «che non delude» (Romani, 5, 5). Non delude perché proviene dall’amore stesso di Dio che gratuitamente si riversa nei nostri cuori. Non viene meno neppure quando siamo «deboli», «peccatori» e «nemici» (cfr. Romani, 5, 6-10). L’arcivescovo Carlo Maria fu indomito portatore di questa «speranza affidabile» (Spe salvi, 1 e 2) che deriva dalla fede incrollabile nella Risurrezione di Gesù. Fra le pagine che il cardinale ha dedicato alla morte e alla risurrezione ve n’è una assai penetrante che narra della straordinaria modalità con cui Gesù appare, risorto, ai suoi. Reincontrando la Maddalena, i discepoli di Emmaus, Pietro sul lago di Tiberiade, Gesù, che avrebbe potuto rimproverarli perché, presi dalla paura, l’avevano in vario modo abbandonato, invece «non giudica il comportamento che hanno avuto, non critica, non condanna, non rinfaccia i ricordi dolorosi della loro debolezza, ma conforta e consola» (Carlo Maria Martini, La trasformazione di Cristo e del cristiano alla luce del Tabor. Esercizi spirituali, Milano, Bur-Rizzoli, 2004, pag. 166). Consola perché non approfitta «dell’umiliazione altrui per schernire, schiacciare, mettere da parte, ma riabilita, ridà coraggio, ridà responsabilità» (ibidem, pag. 167). Con la luce della sua risurrezione li inoltra, in pienezza di verità, sulla strada di una responsabile novità.
«Nella conversione e nella calma sta la vostra forza» (cfr. Isaia, 30, 15). Il cardinal Martini diceva che per poter partecipare, da poveri uomini, a questa forza di «consolazione regale» propria di Gesù bisogna «avere in sé un grande tesoro, una grande gioia» (La trasformazione, 167). La memoria viva del cardinale si fa per noi questa sera invito ad accogliere, come ci ha detto san Paolo, anche in mezzo alle tribolazioni di varia natura, quella pace che fa fiorire «la pazienza, la virtù provata e la speranza» (Romani, 5, 3-4). Quella offerta a tutti gli uomini dal grande tesoro che è Gesù Cristo morto e risorto è, insiste Paolo, «la speranza della gloria di Dio» (ibidem, 5, 2). Una speranza in forza della quale passato, presente e futuro, inscindibilmente intrecciati dalla misericordia di Dio, formano l’ordito della nostra storia personale, della storia della Chiesa e del mondo. La luce della fede che ci ha portato Gesù (cfr. Lumen fidei, 1) illumina il cammino che la Provvidenza ha donato alla nostra Chiesa. Un’unità che si esprime e risplende nella pluriformità di accenti e di risposte personali alla grazia di Dio.
Significativamente l’arcivescovo Carlo Maria ha dedicato la sua prima lettera pastorale alla preghiera contemplativa. In essa egli definisce l’uomo in questi termini: «Aperto al mistero, paradossale promontorio sporgente sull’Assoluto, essere eccentrico e insoddisfatto» (La dimensione contemplativa della vita, I). Apertura, sporgenza, eccentricità, insoddisfazione: non sono tutte categorie appropriate per descrivere la tensione positiva alla vita e alla vita “per sempre” che inquieta il cuore in ogni uomo rendendolo consapevole di non essere lontano da nessun altro uomo? Non esistono domande autentiche di un uomo che non siano di tutti gli uomini; le “periferie esistenziali” — per usare l’espressione di Papa Francesco — sono innanzitutto i confini della stessa esperienza di ciascuno di noi. La dimensione contemplativa dell’esistenza restituisce l’uomo a se stesso, affermava l’allora arcivescovo di Milano in quella prima lettera pastorale. Questo insegnamento riletto ora, alla fine del suo pellegrinaggio terreno, esprime bene il centro della sua personalità, della sua testimonianza di vita, della sua azione pastorale, della sua passione civile, dell’indomito tentativo di indagare gli interrogativi brucianti dell’uomo di oggi. Per questo la ricca complessità della sua persona e del suo insegnamento continuano a interrogare uomini e donne di ogni condizione. La dimensione contemplativa della vita del cardinal Martini rappresenta l’antefatto, l’orizzonte, il precedente di tutta la sua riflessione e di tutta la sua azione. Ciò che è stato e che viene detto e scritto sulla sua figura, sul suo pensiero e sulla sua opera diventerebbe facilmente unilaterale se non venisse collocato in questa unificante prospettiva.
Al termine della santa messa ci recheremo a pregare sulla tomba del cardinale. Questo gesto che la liturgia chiama di suffragio — con cui onora la memoria dei defunti e offre il sacrificio eucaristico perché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1032) — chiede a ognuno di noi una risposta personale che ci spalanchi al campo che è il mondo intero. È una conversione che ha la forma di un «abbandono confidente» (Isaia, 30, 15). Invochiamo, per intercessione della santissima Vergine Maria, la grazia di un simile abbandono.
L'Osservatore Romano

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L’udienza ai Gesuiti italiani e le parole pronunciate nell’occasione da Papa Francesco avevano acceso fin da ieri l’attenzione sulla figura del cardinale Carlo Maria Martini, del quale si ricorda oggi un anno dalla sua scomprsa. Nel pomeriggio, alle 17.30, il cardinale arcivescovo Angelo Scola presiederà nel Duomo di Milano una solenne celebrazione eucaristica di suffragio. A ricordarne la caratura di vescovo e di studioso è anche il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio della Cultura, che a Milano è stato per lunghi anni prefetto della Biblioteca Ambrosiana. 
R. – A distanza di un anno, si può già incominciare a misurare che cosa abbia significato la presenza di questa figura nell’interno non soltanto dell’orizzonte ecclesiale, ma anche di quello culturale e civile in genere. E ci sono molti elementi che sono già stati messi in luce, che bisognerà comunque, sempre in qualche modo riattualizzare come sua testimonianza.

D. – C’è, in particolare, un elemento dell'eredità lasciata dal cardinale Martini che le sembra particolarmente attuale nella vita della Chiesa?

R. – A dire il vero, io ne ricorderei almeno quattro. Da una parte, la memoria nei confronti della Bibbia, il rimando costante alla Bibbia. Se noi guardiamo la sua bibliografia, sostanzialmente c’è questa specie di piccolo oceano testuale che è composto di commenti spirituali alla Bibbia. Il secondo tema sicuramente rilevante è quello del dialogo, del confronto con le diversità, con la complessità dell’umano: questa è una componente che è stata esaltata anche – dobbiamo dire – dallo stesso Papa Francesco, perché comunque fa parte della necessità che la Chiesa ha, oggi, nel suo confrontarsi con la cultura e con il mondo contemporaneo. Il terzo elemento è proprio quello del suo respiro universalistico. Papa Francesco parla delle periferie: ecco, io direi che il cristianesimo di sua natura è irradiazione che percorre non soltanto le grandi strade della civiltà e anche – se si vuole – della stessa Chiesa, ma percorre anche i bassifondi. C’è un sottobosco, anche, che attende forse delle scintille di luce. E da ultimo, sicuramente, il genere della misericordia, tanto per stare ancora in sintonia con Papa Francesco, che io però declinerei anche come inquietudine dello spirito nei confronti dell’umanità che domanda, che interroga, che spesso si trova desolata e isolata… E in questa luce, certamente, gli ultimi anni del cardinale Martini sono stati significativi, quando si vedeva chiaramente il suo tormento nei confronti del fatto che la Chiesa non sapesse rispondere a tante di queste domande e se rispondeva, non rispondeva con quella necessaria sintonia e, appunto, misericordia.

D. – Quindi, lei è d’accordo sul fatto che la Chiesa del dialogo e della misericordia, così centrale nel magistero di Papa Francesco, abbia delle affinità con l’idea di Chiesa che aveva il cardinal Martini?

R. – Sì, sicuramente, io credo. Anche se ci sono diversità di percorso, perché evidentemente la formazione del cardinale Martini era tendenzialmente una formazione di tipo intellettuale, che però era stata ininterrottamente confrontata con le istanze pastorali. In questa luce, direi che esiste una sorta di sintonia tra i due, attorno a questi temi. Ma c’è anche, poi, nel cardinale Martini questa sua originalità che era affidata anche ad una matrice particolare.

Sul profilo pastorale e intelletuale del cardinale Martini, Fabio Colagrande ha sentito il gesuita padre Giacomo Costa, vicepresidente della Fondazione intitolata al porporato scomparso, presentata ieri a Papa Francesco:

R. – Penso che la figura di Carlo Maria Martini sia stata un dono per tutta la Chiesa e sia importante che questo dono continui a fruttare. Allora, la Fondazione è un po’ in questa prospettiva. Bisogna dire che il cardinale Martini aveva nominato la Provincia dei Gesuiti italiani sua erede e in particolare erede di tutti i suoi scritti, dei suoi diritti di autore. Questo ci ha fatto riflettere: per assumere questa bellissima e molto impegnativa eredità, abbiamo pensato che il metodo migliore fosse una Fondazione. L’idea è quella di raccogliere i suoi scritti, costituire un archivio con tutti i materiali che lo riguardano – un importantissimo patrimonio intellettuale e spirituale – e metterlo a disposizione perché possa essere letto, studiato e quindi fruttificare. Però, qualcosa che non soltanto si limiti a portare avanti il ricordo della persona, ma che continui anche a far vivere lo spirito che ha animato il cardinale: questa attenzione alla Sacra Scrittura, questa cura del dialogo con altri credenti, con persone non credenti… Quindi, la Fondazione porta avanti quello che è lo spirito di Chiesa che ha caratterizzato il cardinale Martini. 

D. – Voi avete annunciato la creazione di questa Fondazione intitolata al cardinale Martini, presentandola a Papa Francesco… 

R. – Certo. Ci sembra veramente importante, perché non si tratta soltanto dell’iniziativa di qualche gesuita e neanche soltanto della Provincia di Italia, ma è una Fondazione che si vuole proprio al servizio proprio di tutta la Chiesa, tanto locale quanto nazionale e universale. Per cui, l'andare da Papa Francesco ha voluto sottolineare questa dimensione di servizio e disponibilità di un qualcosa che non è autoreferenziale, ma che veramente vuole portare un messaggio e uno stile per il servizio di tutte le persone. Penso proprio che l’eredità di Martini possa ancora fare molto per portare avanti anche il progetto di Chiesa di Papa Francesco.
 Radio Vaticana 

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Bose, 31 agosto2013 
In memoria del card. Carlo M. Martini
In occasione del I anniversario dell’esodo pasquale del cardinale Carlo M. Martini riportiamo le parole con cui il priore Enzo Bianchi lo ricorda nell’“Introduzione” al nostro libro in uscita prossimamente: Rowan Williams, Carlo M. Martini, Essere cristiani credibili.
Mi tornavano alla mente le parole della prima lettera pastorale di Martini come arcivescovo di Milano, che egli aveva voluto dedicare a La dimensione contemplativa della vita. Allora qualche zelante collaboratore ambrosiano si era affrettato a minimizzarla, dicendo che il nuovo arcivescovo aveva scelto un tema spirituale buono per tutte le stagioni, per prendersi il tempo di conoscere meglio la diocesi e, solo successivamente, dare indicazioni pastorali più concrete e operative. Invece la storia avrebbe ben presto mostrato che uno dei massimi esperti mondiali di esegesi biblica era profondamente convinto che non solo la sua azione pastorale ma anche, e soprattutto, la vita di fede dei cristiani affidati al suo ministero dipendevano dalla capacità di “mettersi in ginocchio” di fronte al Signore e alla sua Parola, di ascoltarla e leggerla con il cuore, di metterla in pratica nel quotidiano dell’esistenza ... Da queste parole emerge una via maestra per ciascuno di noi: sottomettersi al primato della Parola, sforzarsi quotidianamente di leggere la propria e le altrui vite con lo sguardo di Dio e, da quello sguardo, da quel seguire i pensieri di Dio che non sono i nostri pensieri, sgorga allora l’azione secondo Dio, la bellezza della vita cristiana, la capacità di essere credibili, affidabili, uomini e donne su cui gli altri possono contare per cercare e trovare un senso nelle loro vite. Oggi più che mai vi è necessità di uno sguardo intelligente, capace di vedere oltre, di leggere dentro (intus-legere), c’è bisogno di “conoscenza di sé, di fissare lo sguardo su di sé” e, al contempo, di sostare dinanzi al “mistero della persona, mistero sempre singolare e singolarmente inedito, non sommabile, non raffrontabile”.
R. Williams, C. M. Martini, Essere cristiani credibili