lunedì 12 agosto 2013

La forza della coerenza cristiana




Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo 
con il quale il Signore Gesù ci ha redenti. 
Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all’estremo, 
addossandosi la nostra sofferenza. 
L’uomo non darà dunque nulla in propiziazione per la propria redenzione,
poiché è stato mondato dal peccato una volta per tutte 
mediante il sangue di Cristo. 
Non è tuttavia dispensato dall’impegnarsi per osservare i precetti della vita 
e per non sviare dai comandamenti del Signore. 
Finché vivrà, sarà nel travaglio e persevererà in esso per vivere in eterno, 
pur essendo già stato riscattato dalla morte. 

S. Ambrogio, Commento al Salmo 48
Dal Vangelo secondo Matteo 17,22-27

In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.
Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». 
Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». 
E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».



Il commento


Da che mondo è mondo le "tasse" sono fonte di "tristezza". Spesso sono ingiustificati balzelli esigiti dallo Stato per coprire i suoi debiti. Quando poi, dovendo usufruire dei servizi pubblici che esse sostengono, ne soffriamo l'inefficienza, le tasse divengono un sopruso insopportabile. 

Il sistema tributario segna il confine tra "i figli" e "gli estranei". La relazione che instauriamo con il mondo è misurato dal rapporto che abbiamo con le sue leggi, soprattutto con quelle che regolano la tassazione. Quando riceviamo la cartella esattoriale o ci accingiamo a compilare la dichiarazione dei redditi risuona per noi la domanda rivolta a Pietro da "quelli che riscuotevano la tassa per il tempio": le paghiamo o no le tasse? La Chiesa insegna che dobbiamo onestamente pagare sino all'ultimo spicciolo, ma sarà poi vero? 

Quanti di noi obbediscono al Magistero e alla Dottrina sociale della Chiesa che, ad esempio, al n. 2240 del Catechismo, afferma che "la sottomissione all'autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l'esigenza morale del versamento delle imposte"? Ma io sono un povero commerciante, i fornitori esigono e i clienti non pagano, che faccio, mi sveno per pagare le tasse e poi chiudo la baracca? Con questo stipendio da fame neanche arrivo alla fine del mese e che, mi metto pure a pagare tutte le tasse? Chi darà poi da mangiare ai miei figli? 

Viviamo in un momento nel quale tutti sono estremamente sensibili su questi temi. I dibattiti si moltiplicano, molti, proprio seguendo le ragioni della Dottrina Sociale della Chiesa, ritengono giusto non pagare alcune tasse ingiuste. E certo, l'invadenza statale e l'ideologia secondo la quale lo Stato deve provvedere a tutto non ha riscontri nel Magistero della Chiesa. 

Ma il Vangelo, come al solito, sposta il piano della controversia, e cerca ciascuno di noi, per illuminare il cuore. C'è qualcosa che giace più molto più in fondo dei problemi contingenti e delle soluzioni da offrire e scegliere. C'è di mezzo il nostro cuore. In ogni evento, infatti, è il Signore che ci visita, e ci chiede: "Che te ne pare?". In questa domanda, non a caso rivolta a Pietro, si legge in filigrana quella che Gesù gli ha posto poco prima: "Voi, chi dite che io sia?".

Ecco, anche davanti alla dichiarazione dei redditi, i cristiani si trovano di fronte a Cristo, in un dialogo d'amore che non si spegne mai. Non c'è aspetto della vita, sia essa quella privata, familiare o sociale e dello Stato, che non ci interpelli: in nulla Dio è irrilevante, perché in tutto è presente per illuminare e guidare i suoi "figli".

In questione era il contributo da offrire al mantenimento del Tempio, una tassa che, secondo quanto ci testimonia Filone, "i donatori portano allegramente e con gioia, in previsione che il pagamento porterà loro la liberazione dalla schiavitù o la guarigione dalle malattie e il godimento di una libertà garantita e una sicura protezione dai pericoli" (Leggi speciali, 1,77). Il Tempio era il cuore di Israele, e se esso avesse smesso di battere sarebbero morti tutti, senza più alcuna speranza. Il Tempio era la Presenza di Dio con il Popolo, nonostante il dominio di Roma. Per questo era anche la profezia più certa della libertà che tutti aspettavano. 

La tassa era dunque un atto d'amore e di fiducia, un segno che esprimeva e contribuiva a mantenere viva la speranza. Per comprendere le parole di Gesù occorre partire da qui. Egli non parla di tasse giuste o ingiuste, ma invita Pietro ad alzare lo sguardo diritto davanti a sé e a professare ancora la fede che né carne e né sangue gli hanno rivelato, ma il Padre che è nei Cieli: Gesù è il Figlio di Dio, il Messia che sta inaugurando un nuovo culto, in Spirito e Verità. Dio è presente in quel momento "a Cafarnao", la città natale di Pietro. Non è più il Tempio a delimitare il perimetro della Presenza di Dio: come già ai tempi dell'Esilio, Egli è libero, e scende ad abitare laddove vivono i suoi figli. 

Cafarnao è il nuovo Tempio: la casa di Pietro, la vita di ogni figlio della Chiesa, la sua famiglia, il suo lavoro, la sua scuola, il campo sportivo dove si sgranchisce le gambe, il letto d'ospedale dove lo inchioda la malattia. Gesù è con Pietro e la sua comunità ovunque si trovino, perché sempre e in ogni luogo, essi possano vivere nella "libertà" dei figli di Dio. Per questo, infatti, "sarà consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". 

E' Lui stesso la "tassa" pagata per il nuovo Tempio, per riscattare e far vivere eternamente il Nuovo Israele. Non a caso il gesto che Gesù chiede a Pietro per trovare la moneta con cui pagare la tassa è una profezia del suo Mistero Pasquale: come il "primo pesce pescato all'amo", attraverso la sua Croce, Gesù è stato pescato dal "mare" della morte come la primizia di ogni uomo. La sua "bocca" si è "aperta" la sera di Pasqua, consegnando agli apostoli impauriti rinchiusi nel cenacolo, la "moneta d'argento" della Pace, la caparra della Vita Eterna con la quale pagare ogni "tassa e tributo", il debito d'amore che abbiamo con chi ci è accanto e incontreremo. 

In Lui ci è dato tutto: a noi è chiesto solo di "cercare prima di ogni cosa il Regno dei Cieli". Per questo Pietro, a nome di tutti noi, è chiamato ogni giorno ad inoltrarsi nel "mare" e pescare, con il Primogenito, la Pace da annunciare al mondo: siamo la "bocca" di Cristo risorto, perché "la missione della Chiesa, come quella di Cristo, è essenzialmente parlare di Dio, fare memoria della sua sovranità, richiamare a tutti, specialmente ai cristiani che hanno smarrito la propria identità, il diritto di Dio su ciò che gli appartiene, cioè la nostra vita" (Benedetto XVI, 16 ottobre 2011). 

Siamo "figli nel Figlio", non più "estranei" alla famiglia di Gesù; proprio per questo la Chiesa, lontana dalla preoccupazione per tasse e denari, procede sicura nella precarietà, confidando nella Provvidenza di Dio. Gesù ha vinto la morte, ormai nulla può incutere timore né "tristezza". Essa è frutto della paura di fronte alla morte, che si nasconde spesso nel bilancio familiare...  

Se saremo uniti a Lui in ogni circostanza, "pagheremo per Lui e per noi" quanto gli uomini poveri e affamati ci chiedono, l'amore e la misericordia con le quali possano sentirsi accolti nel Tempio autentico per il quale sono stati creati. Con Cristo non "scandalizzeremo" chi ci è accanto, cercando fantasiose vie pseudo-religiose per risolvere o sfuggire i problemi. Più di ogni altro uomo, infatti, i cristiani vivono sino in fondo la loro umanità, senza scappare da nessuna difficoltà, tasse incluse. Possono pagarle anche se dovessero restare senza soldi, così come possono aprirsi alla vita o perdonare un'ingiustizia: in tutto, infatti, vedono Dio, perché sono già cittadini del Cielo; ne sperimentano la Presenza che non li abbandona mai, e così tutto diviene occasione per testimoniare la "libertà" dei "figli" alla quale sono chiamati anche gli "estranei".