martedì 27 agosto 2013

Francesco e Agostino



(Nicola Gori) La passione evangelica, la predicazione avvincente, la carica umana, il desiderio di incontrare tutti, soprattutto i peccatori e i delusi, perché si sentano amati da Dio. C’è più di un tratto che accomuna lo stile pastorale dell’antico vescovo di Ippona Agostino e quello dell’attuale vescovo di Roma Francesco. Lo sottolinea l’agostiniano Bruno Silvestrini, parroco della Pontificia Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, in questa intervista  in occasione della memoria liturgica del santo dottore della Chiesa, domani 28 agosto.
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È ancora attuale il messaggio di sant’Agostino?
Rispondo a questa domanda attingendo all’esperienza di trentadue anni di sacerdozio, sette dei quali trascorsi alla guida della Pontificia Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano. Posso confermare che chi incontra Agostino si lega a lui con un vincolo di grande amicizia. Circa quattro anni fa è stata donata alla nostra chiesa una statua del santo. Quando l’abbiamo esposta diverse persone, anche giovani, mi hanno chiesto notizie sulla sua vita. Molti di quelli che mi ponevano le domande erano soprattutto i lontani, i delusi, i peccatori, gli infelici, quelli che si sentono giudicati da Dio per la loro condotta. Ho notato che queste persone sentono più che mai viva l’attualità del vescovo di Ippona.
Perché?
Perché è un innamorato dell’amore di Dio, e lo ha cantato, meditato e predicato in tutti i suoi scritti, ma soprattutto lo ha testimoniato nel suo ministero pastorale. È un uomo che già ai suoi tempi ha vissuto tutte le nostre problematiche. Chi legge i suoi discorsi vi trova molto della carica spirituale che oggi caratterizza lo stile di Papa Francesco. L’umanità contemporanea ha bisogno di questo messaggio essenziale, incarnato in Cristo Gesù: Dio è amore. Tutto deve partire da qui e tutto qui deve condurre: ogni azione, ogni pastorale, ogni trattazione teologica. Come dice san Paolo: «Se non avessi la carità nulla mi giova». A chi cerca la verità Agostino insegna a non disperare di trovarla. Lo insegna con l’esempio — dato che egli stesso la ritrovò dopo molti anni di faticose ricerche — e con la sua attività letteraria, della quale fissa il programma nella prima lettera scritta poco dopo la conversione: «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di ritrovare la verità». Insegna pertanto a cercarla con umiltà, disinteresse, e a superare lo scetticismo attraverso il ritorno in se stessi, dove abita la verità.
Ha lasciato un’eredità particolare per i cristiani del nostro tempo?
Sant’Agostino, come ha ricordato più volte il Papa, ci invita ad amare la sacra Scrittura e a leggerla con la Chiesa: «Io non crederei nel Vangelo se non mi ci introducesse l’autorità della Chiesa cattolica» scrive. Egli ricorda agli uomini di oggi di avere una profonda attenzione nei confronti di Dio e dell’uomo. «Che cosa vuoi conoscere?» chiede a se stesso. E risponde: «Dio e l’uomo. Nulla di più? Proprio nulla». Ai giovani, che sant’Agostino molto amò, rivolge l’invito a ricercare tre grandi principi: verità, amore, libertà. Tre beni supremi che sono vincolati tra loro. Li invita poi ad amare la bellezza, della quale fu un grande innamorato: non solo la bellezza dei corpi, che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, ma la bellezza interiore, la bellezza eterna di Dio, dalla quale le altre bellezze del corpo, dell’arte e della virtù discendono, perché Dio è «la bellezza di ogni bellezza», come ricorda nelle Confessioni. Una bellezza che Agostino, ricordando gli anni precedenti la sua conversione, si rammarica amaramente di aver amato tardi.
Cosa unisce Papa Francesco ad Agostino?
Li unisce la passione, la carica d’impegno pastorale, il desiderio di incontrare tutti, soprattutto i peccatori e i delusi, perché si sentano amati dal Signore: «Dammi un innamorato e capirà quello che dico» assicura. Il vescovo di Ippona aveva soprattutto una preparazione retorica, Papa Francesco una carica umana e una semplicità per mettersi in rapporto con i fedeli che si sentono amati. Il 17 marzo scorso il Pontefice è venuto nella parrocchia di Sant’Anna. È stata una grande gioia per noi, anche perché è stata la sua prima visita non solo alla nostra parrocchia ma a una chiesa agostiniana. In quell’occasione, ci ha ribadito che il Signore non si stanca mai di perdonarci. All’uomo di oggi queste parole risuonano come il monito di un Dio che è Padre amoroso. Torna in mente la famosa espressione di sant’Agostino, che potrebbe risuonare sulla bocca di tanti fedeli che stanno facendo l’esperienza della riscoperta della fede tramite Papa Francesco: «Tardi ti amai bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io ero fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature». Ecco il bisogno dell’interiorità, per non lasciarci rubare da nessuno i valori più grandi che sono dentro di noi con una vita dispersa in mille attività senza trovare un attimo di pace interiore. «Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore — scrive il vescovo di Ippona — abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione». La disponibilità che deriva dall’incontro dell’uomo peccatore pentito, la voglia di recuperare il tempo perduto: questi sono i sentimenti che provano molti giovani e fedeli che ascoltano e seguono Papa Francesco. E qui vengono in mente ancora leConfessioni di Agostino: «Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericordia. Dammi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi».
Anche sul piano pastorale si possono rilevare delle analogie?
Ciò che avvicina Agostino e Papa Francesco è la dialettica dell’annuncio della Parola di Dio. Agostino, quando parlava ai fedeli di Ippona, era avvincente, infiammava i fedeli e accendeva in essi il desiderio di una nuova vita. Dai suoi numerosissimi discorsi sappiamo che gli ascoltatori applaudivano e sottolineavano gioiosamente ciò che il vescovo diceva. Era come una sorta di dialogo: ponevano domande e lui rispondeva. Faccio notare che si rivolgevano a lui in dialetto punico, la lingua di tutti i giorni, del popolo, mentre egli dalla cattedra parlava in latino. Questa immagine è immediata nel ricordare la figura di Papa Francesco che invita i fedeli, nei discorsi e nelle omelie, a riscoprire i grandi valori della fede.
Che ruolo ha avuto la madre di Agostino, santa Monica, nella conversione del figlio?
Chi entra nella nostra parrocchia nota subito la statua di Agostino. È anche attraverso questa immagine che, come parroco, cerco di far conoscere la figura del santo. A Pasqua del 2012 tutti i dipendenti vaticani hanno ricevuto in dono per la benedizione delle famiglie un fascicolo con alcune frasi tratte dal ricco insegnamento del dottore della Chiesa. È stato un sussidio per riscoprire la bellezza del dono della fede. Fede che il vescovo di Ippona aveva ricevuto appunto dalla mamma Monica fin dal seno materno. È stata un mamma forte che non ha mai abbandonato suo figlio, “partorendolo” di nuovo idealmente tutte le volte che lo vedeva lontano dalla fede e immerso nel peccato. Agostino infatti, come ricorda egli stesso, era uscito dal nido dell’amore di Dio. E il Signore, perché non fosse calpestato, lo ha riportato nel nido della pace interiore, del perdono, della fede nella Chiesa. Una conversione frutto anche delle preghiera di sua madre. Non a caso Paolo VI, con la riforma liturgica postconciliare, rinnovando il calendario dei santi ha voluto unire la memoria di santa Monica a quella del figlio spostando la prima al 27 agosto, vigilia della festa di sant’Agostino. Tante mamme vengono nella nostra parrocchia per pregare per i loro figli, chiedendo a santa Monica che li protegga e li aiuti a scegliere sempre la verità e a impegnarsi a rispettare i valori che rendono la vita un dono.
A quando risale la presenza degli agostiniani in Vaticano?
Gli agostiniani sono in Vaticano dal 1356, chiamati a prestare servizio nella Sagrestia Pontificia e, a quel tempo, anche come confessori del Papa. Nel 1929 la Pontificia Parrocchia di Sant’Anna venne affidata agli agostiniani, che fino ad allora avevano retto la parrocchia di san Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo. Molti dei nostri confratelli hanno servito la Chiesa e il Papa distinguendosi per lo zelo e l’amore: basti ricordare il cardinale Girolamo Seripando, che ebbe un ruolo di primo piano al concilio di Trento, e il venerabile Giuseppe Bartolomeo Monochio, sacrista pontificio e confessore di Pio VII, che visse nel tempestoso clima napoleonico e rimase vicino al Pontefice anche nei momenti più bui del suo viaggio forzato a Parigi.
  
L'Osservatore Romano