domenica 28 luglio 2013

Papa Francesco ai vescovi del CELAM.

<br>

Confermando le scelte di Aparecida il Santo Padre evidenzia nuove maniere odierne di ideologizzazione, in America latina e nei Caraibi, del messaggio evangelico

[Text: Italiano, Português, Français, Español]
Il segno (...) indica frasi aggiunte dal Santo Padre e pronunciate a braccio
"Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso".
1. Introduzione
Ringrazio il Signore per questa opportunità di poter parlare con voi, fratelli Vescovi, responsabili del CELAM nel quadriennio 2011-2015. Da 57 anni il CELAM serve le 22 Conferenze Episcopali dell’America Latina e dei Caraibi, collaborando in modo solidale e sussidiario per promuovere, stimolare e rendere dinamica la collegialità episcopale e la comunione tra le Chiese di questa Regione e i suoi Pastori.
Come voi, anch’io sono testimone del forte impulso dello Spirito nella Quinta Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi ad Aparecida nel maggio del 2007, che continua ad animare i lavori del CELAM per l’anelato rinnovamento delle Chiese particolari. Tale rinnovamento in buona parte di esse è già in processo. Desidererei centrare questa conversazione sul patrimonio ereditato da quell’incontro fraterno che tutti abbiamo battezzato come Missione Continentale.
2. Caratteristiche peculiari di Aparecida
Vi sono quattro caratteristiche che sono proprie della Quinta Conferenza. Sono come quattro colonne dello sviluppo di Aparecida e che le conferiscono la sua propria originalità.
1) Inizio senza documento
Medellín, Puebla e Santo Domingo cominciarono i propri lavori con un cammino di preparazione che culminò in una specie di Instrumentum laboris, con il quale si svilupparono la discussione, la riflessione e l’approvazione del documento finale. Invece Aparecida promosse la partecipazione delle Chiese particolari come cammino di preparazione che culminò in un documento di sintesi. Questo documento, sebbene fu di riferimento durante la Quinta Conferenza Generale, non fu assunto come documento di partenza. Il lavoro iniziale consistette nel porre in comune le preoccupazioni dei Pastori davanti al cambio di epoca e la necessità di recuperare la vita di discepolato e missionaria con la quale Cristo fondò la Chiesa. (...) 
2) Ambiente di preghiera con il Popolo di Dio
È importante ricordare l’ambiente di orazione generato dalla condivisione quotidiana dell’Eucaristia e degli altri momenti liturgici, dove fummo sempre accompagnati dal Popolo di Dio. D’altro canto, per il fatto che i lavori ebbero luogo nel sottosuolo del Santuario, la “musica funzionale” che li accompagnava furono i canti e le preghiere dei fedeli. (...) 
3) Documento che si prolunga in impegno, con la Missione Continentale
In questo contesto di preghiera e di vita di fede sorse il desiderio di una nuova Pentecoste per la Chiesa e l’impegno della Missione Continentale. Aparecida non termina con un Documento, ma si prolunga nella Missione Continentale.
4) La presenza di Nostra Signora, Madre dell’America
È la prima Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi che si realizza in un Santuario mariano. (...) 
3. Dimensioni della Missione Continentale
La Missione Continentale si proietta in due dimensioni: programmatica e paradigmatica. La missione programmatica, come indica il suo nome, consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari. Evidentemente, qui si dà, come conseguenza, tutta una dinamica di riforma delle strutture ecclesiali. Il “cambiamento delle strutture” (da caduche a nuove) non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico, da cui risulterebbe una riorganizzazione statica, bensì è conseguenza della dinamica della missione. (...) Ciò che fa cadere le strutture caduche, ciò che porta a cambiare i cuori dei cristiani, è precisamente la missionarietà. Da qui l’importanza della missione paradigmatica. (...) 
La Missione Continentale, sia programmatica sia paradigmatica, esige generare la coscienza di una Chiesa che si organizza per servire tutti i battezzati e gli uomini di buona volontà. Il discepolo di Cristo non è una persona isolata in una spiritualità intimista, ma una persona in comunità per darsi agli altri. Missione Continentale implica pertanto appartenenza ecclesiale. (...) 
Un’impostazione come questa, che comincia con il discepolato missionario e implica il comprendere l’identità del cristiano come appartenenza ecclesiale, richiede che ci esplicitiamo quali sono le sfide vigenti della missionarietà del discepolato. Ne evidenzierò solamente due: il rinnovamento interno della Chiesa e il dialogo con il mondo attuale. 
Rinnovamento interno della Chiesa
Aparecida ha proposto come necessaria la Conversione Pastorale. Questa conversione implica credere nella Buona Novella, credere in Gesù Cristo portatore del Regno di Dio, nella sua irruzione nel mondo, nella sua presenza vittoriosa sul male, credere nell’assistenza e guida dello Spirito Santo, credere nella Chiesa, Corpo di Cristo e prolungatrice del dinamismo dell’Incarnazione.
In questo senso, è necessario che, come Pastori, ci poniamo interrogativi che fanno riferimento alle Chiese che presidiamo.(...) Queste domande servono da guida per esaminare lo stato delle Diocesi nell’assunzione dello spirito di Aparecida e sono domande che conviene ci poniamo frequentemente come esame di coscienza. (...) 
1. Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri Presbiteri sia più pastorale che amministrativo? (...) Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il Popolo di Dio nella sua totalità?
2. Superiamo la tentazione di prestare attenzione in maniera reattiva ai complessi problemi che sorgono? Creiamo una consuetudine pro-attiva? Promuoviamo spazi e occasioni per manifestare la misericordia di Dio? (...) Siamo consapevoli della responsabilità di riconsiderare le attività pastorali e il funzionamento delle strutture ecclesiali, cercando il bene dei fedeli e della società?
3. Nella pratica, rendiamo partecipi della Missione i fedeli laici? Offriamo la Parola di Dio e i Sacramenti con la chiara coscienza e convinzione che lo Spirito si manifesta in essi? 
4. E’ un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei Consigli Diocesani? Tali Consigli, (...) e quelli parrocchiali di Pastorale e degli Affari Economici sono spazi reali per la partecipazione laicale nella consultazione, organizzazione e pianificazione pastorale? Il buon funzionamento dei Consigli è determinante. Credo che siamo molto in ritardo in questo. (...) 
5. Noi Pastori, Vescovi e Presbiteri, abbiamo consapevolezza e convinzione della missione dei fedeli e diamo loro la libertà perché vadano discernendo, conformemente al loro cammino di discepoli, la missione che il Signore affida loro? Li appoggiamo e accompagniamo, superando qualsiasi tentazione di manipolazione o indebita sottomissione? Siamo sempre aperti a lasciarci interpellare nella ricerca del bene della Chiesa e la sua Missione nel mondo?
6. Gli operatori pastorali e i fedeli in generale si sentono parte della Chiesa, si identificano con essa e la avvicinano ai battezzati distanti e lontani? (...) 
Come si può capire qui sono in gioco gli atteggiamenti. La Conversione pastorale concerne principalmente gli atteggiamenti e una riforma di vita. Un cambiamento di atteggiamenti necessariamente è dinamico: «entra in processo» e solo lo si può incanalare accompagnandolo e discernendo. E importante tener sempre presente che la bussola per non perdersi in questo cammino è quella della identità cattolica concepita come appartenenza ecclesiale. (...) 
Dialogo con il mondo attuale
E’ bene ricordare le parole del Concilio Vaticano II: le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e di quanti soffrono, sono a loro volta gioie e speranze, tristezze e angosce dei discepoli di Cristo (cfr Cost. Gaudium et spes, 1). Qui risiede il fondamento del dialogo col mondo attuale. 
La risposta alle domande esistenziali dell’uomo di oggi, specialmente delle nuove generazioni, prestando attenzione al loro linguaggio, comporta un cambiamento fecondo che bisogna percorrere con l’aiuto del Vangelo, del Magistero e della Dottrina Sociale della Chiesa. Gli scenari e aeropaghi sono i più svariati. Per esempio, in una stessa città, esistono vari immaginari collettivi che configurano “diverse città”. (...) Se noi rimaniamo solamente nei parametri de “la cultura di sempre”, in fondo una cultura di base rurale, il risultato finirà con l’annullare la forza dello Spirito Santo. Dio sta in tutte le parti: bisogna saperlo scoprire per poterlo annunciare nell’idioma di ogni cultura; e ogni realtà, ogni lingua, ha un ritmo diverso. (...)
4. Alcune tentazioni contro il discepolato missionario
L’opzione per la missionarietà del discepolo sarà sottoposta a tentazione. (...) E’ importante sapere capire la strategia dello spirito cattivo per aiutarci nel discernimento. Non si tratta di uscire a cacciare demoni, ma semplicemente di lucidità ed astuzia evangelica. Menziono solo alcune attitudini che configurano una Chiesa “tentata”. Si tratta di conoscere certe proposte attuali che possono mimetizzarsi nella dinamica del discepolato missionario e arrestare, fino a farlo fallire, il processo di conversione pastorale.
1.  La ideologizzazione del messaggio evangelico. È una tentazione che si ebbe nella Chiesa fin dal principio: cercare un’ermeneutica di interpretazione evangelica al di fuori dello stesso messaggio del Vangelo e al di fuori della Chiesa. Un esempio: Aparecida, in un certo momento, soffrì questa tentazione sotto forma di “asepsi”. Si utilizzò, e va bene, il metodo di «vedere, giudicare, agire» (cfr n. 19). La tentazione risiedeva nell’optare per un “vedere” totalmente asettico, un “vedere” neutro, il che è irrealizzabile. Sempre il vedere è influenzato dallo sguardo. Non esiste un’ermeneutica asettica. La domanda era, allora: Con quale sguardo andiamo a vedere la realtà? Aparecida rispose: con sguardo di discepolo. Così si intendono i numeri dal 20 al 32. (...) Vi sono altre maniere di ideologizzazione del messaggio e, attualmente, appaiono nell’America Latina e nei Caraibi proposte di questa indole. Ne menziono solo alcune: 
a) Il riduzionismo socializzante. È la ideologizzazione più facile da scoprire. In alcuni momenti fu molto forte. Si tratta di una pretesa interpretativa in base a una ermeneutica secondo le scienze sociali. Comprende i campi più svariati: dal liberismo di mercato fino alle categorizzazioni marxiste. (...) 
b) L’ideologizzazione psicologica. Si tratta di un’ermeneutica elitaria che, in definitiva, riduce l’”incontro con Gesù Cristo” e il suo ulteriore sviluppo, a una dinamica di autoconoscenza. Si è soliti fornirla principalmente in corsi di spiritualità, ritiri spirituali, ecc. Finisce col risultare un atteggiamento immanente autoreferenziale. Non sa di trascendenza e, pertanto, di missionarietà. (...) 
c) La proposta gnostica. Abbastanza legata alla tentazione precedente. E’ solita verificarsi in gruppi di élites con una proposta di spiritualità superiore, abbastanza disincarnata, che finisce con l’approdare in atteggiamenti pastorali di “quaestiones disputatae”. Fu la prima deviazione della comunità primitiva e riappare, nel corso della storia della Chiesa, con edizioni rivedute e corrette. Volgarmente li si chiama “cattolici illuminati” (per essere attualmente eredi della cultura illuminista). (...) 
d) La proposta pelagiana. Appare fondamentalmente sotto forma di restaurazione. Davanti ai mali della Chiesa si cerca una soluzione solo disciplinare, nella restaurazione di condotte e forme superate che, neppure culturalmente, hanno capacità di essere significative. In America Latina, si verifica in piccoli gruppi, in alcune nuove Congregazioni Religiose, in tendenze esagerate alla “sicurezza” dottrinale o disciplinare. Fondamentalmente è statica, sebbene possa ripromettersi una dinamica ad intra, che involuziona. Cerca di “recuperare” il passato perduto. (...) 
2. Il funzionalismo. La sua azione nella Chiesa è paralizzante. Più che con la realtà del cammino, si entusiasma con “la tabella di marcia del cammino”. La concezione funzionalista non tollera il mistero, va alla efficacia. Riduce la realtà della Chiesa alla struttura di una ONG. Ciò che vale è il risultato constatabile e le statistiche. Da qui si va a tutte le modalità imprenditoriali di Chiesa. Costituisce una sorta di “teologia della prosperità” nell’aspetto organizzativo della Pastorale. (...) 
3. Il clericalismo è anche una tentazione molto attuale nell’America Latina. Curiosamente, nella maggioranza dei casi, si tratta di una complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi, perché in fondo gli risulta più comodo. Il fenomeno del clericalismo spiega, in gran parte, la mancanza di maturità e di libertà cristiana in buona parte del laicato latinoamericano. O non cresce (la maggioranza), o si rannicchia sotto coperture di ideologizzazioni come quelle già viste, o in appartenenze parziali e limitate. Esiste nelle nostre terre una forma di libertà laicale attraverso esperienze di popolo: il cattolico come popolo. Qui si vede una maggiore autonomia, in generale sana, che si esprime fondamentalmente nella pietà popolare. Il capitolo di Aparecida sulla pietà popolare descrive con profondità questa dimensione. La proposta dei gruppi biblici, delle comunità ecclesiali di base e dei Consigli pastorali vanno nella linea del superamento del clericalismo e di una crescita della responsabilità laicale. 
Potremmo proseguire descrivendo alcune altre tentazioni contro il discepolato missionario ma credo che queste siano le più importanti e con maggiore forza in questo momento in America Latina e nei Caraibi. (...) 
5. Alcuni criteri ecclesiologici
1. Il discepolato-missionario che Aparecida propose alle Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi è il cammino che Dio vuole per questo “oggi”. Tutta la proiezione utopica (verso il futuro) o restaurazionista (verso il passato) non è dello spirito buono. Dio è reale e si manifesta nell’“oggi”. Verso il passato, la sua presenza si dà a noi come “memoria” della grande opera della salvezza sia nel suo popolo sia in ognuno di noi; verso il futuro si dà a noi come “promessa” e speranza. Nel passato Dio è stato presente e lasciò la sua orma: la memoria ci aiuta ad incontrarlo. Nel futuro è solo promessa… e non è nei mille e uno “futuribili”. L’“oggi” è il più simile all’eternità; ancora di più: l’“oggi” è scintilla di eternità. Nell’“oggi” si gioca la vita eterna.
Il discepolato missionario è vocazione: chiamata e invito. Si dà in un “oggi” però “in tensione”. Non esiste il discepolato missionario statico. Il discepolo missionario non può possedere se stesso, la sua immanenza è in tensione verso la trascendenza del discepolato e verso la trascendenza della missione. Non ammette l’autoreferenzialità: o si riferisce a Gesù Cristo o si riferisce al popolo a cui si deve annunciare. Soggetto che si trascende. Soggetto proiettato verso l’incontro: l’incontro con il Maestro (che ci unge discepoli) e l’incontro con gli uomini che aspettano l’annuncio.
Per questo mi piace dire che la posizione del discepolo missionario non è una posizione di centro bensì di periferie: vive in tensione verso le periferie… incluse quelle dell’eternità nell’incontro con Gesù Cristo. Nell’annuncio evangelico, parlare di “periferie esistenziali” decentra e abitualmente abbiamo paura di uscire dal centro. Il discepolo missionario è un “decentrato”: il centro è Gesù Cristo, che convoca e invia. Il discepolo è inviato alle periferie esistenziali.
2. La Chiesa è istituzione, ma quando si erige in “centro” si funzionalizza e un poco alla volta si trasforma in una ONG. Allora la Chiesa pretende di avere luce propria e smette di essere quel “misterium lunae” del quale ci parlano i Santi Padri. Diventa ogni volta più autoreferenziale e si indebolisce la sua necessità di essere missionaria. Da “Istituzione” si trasforma in “Opera”. Smette di essere Sposa per finire con l’essere Amministratrice; da Serva si trasforma in “Controllore”. Aparecida vuole una Chiesa Sposa, Madre, Serva, facilitatrice della fede e non controllore della fede. 
3. Ad Aparecida si danno in maniera rilevante due categorie pastorali che sorgono dalla stessa originalità del Vangelo e possono anche servirci da criterio per valutare il modo in cui viviamo ecclesialmente il discepolato missionario: la vicinanza e l’incontro. Nessuno dei due è nuovo, ma costituiscono la modalità in cui Dio si è rivelato nella storia. È il "Dio vicino" al suo popolo, vicinanza che raggiunge il punto massimo nell’incarnazione. È il Dio che esce incontro al suo popolo. Esistono in America Latina e nei Caraibi pastorali “lontane”, pastorali disciplinari che privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi... ovviamente senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. Si ignora la “rivoluzione della tenerezza” che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli. Da questo tipo di pastorali ci si può attendere al massimo una dimensione di proselitismo, ma mai portano a raggiungere né l’inserimento ecclesiale, né l’appartenenza ecclesiale. La vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro. Una pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità d’incontro di una pastorale è l’omelia. (...) Come sono le nostre omelie? Ci avvicinano all’esempio di nostro Signore, che “parlava come chi ha autorità” o sono meramente precettive, lontane, astratte? (...) 
4. Colui che conduce la pastorale, la Missione Continentale (sia programmatica che paradigmatica), è il Vescovo. Il Vescovo deve condurre, che non è la stessa cosa che spadroneggiare. Oltre a sottolineare le grandi figure dell’episcopato latinoamericano che tutti conosciamo, desidero aggiungere qui alcune linee sul profilo del Vescovo che ho già detto ai Nunzi nella riunione che abbiamo avuto a Roma. (...) I Vescovi devono essere Pastori, vicini alla gente, padri e fratelli, con molta mansuetudine; pazienti e misericordiosi. Uomini che amano la povertà, tanto la povertà interiore come libertà davanti al Signore, quanto la povertà esteriore come semplicità e austerità di vita. Uomini che non abbiano “psicologia da príncipi”. Uomini che non siano ambiziosi e che siano sposi di una Chiesa senza stare in attesa di un’altra. (...)Uomini capaci di vegliare sul gregge che è stato loro affidato e di avere cura di tutto ciò che lo tiene unito: vigilare sul loro popolo con attenzione sugli eventuali pericoli che lo minacciano ma soprattutto per accrescere la speranza: che abbiano sole e luce nei cuori. Uomini capaci di sostenere con amore e pazienza i passi di Dio nel suo popolo. E il posto del Vescovo per stare col suo popolo è triplice: o davanti per indicare il cammino, o nel mezzo per mantenerlo unito e neutralizzare gli sbandamenti, o dietro per evitare che nessuno rimanga indietro, ma anche, e fondamentalmente, perché il gregge stesso ha il proprio fiuto per trovare nuove strade. (...) 
Non vorrei abbondare in ulteriori dettagli sulla persona del Vescovo, ma semplicemente aggiungere, includendomi in questa affermazione, che siamo un po’ in ritardo in quello che si riferisce alla Conversione Pastorale. E’ opportuno che ci aiutiamo un po’ di più a fare i passi che il Signore vuole per noi in questo “oggi” dell’America Latina e dei Caraibi. E sarebbe bene cominciare da qui.
Vi ringrazio per la pazienza di avermi ascoltato. Perdonate il disordine del discorso e, per favore, vi chiedo che prendiamo con serietà la nostra vocazione di servitori del santo Popolo fedele di Dio, perché proprio in questo si esercita e si mostra l’autorità:  nella capacità di servizio. Molte grazie.

*


Vatican Insider
(Andrea Tornielli) Nel discorso al Celam il Papa parla della tentazione del «clericalismo» e chiede ai pastori di essere poveri e misericordiosi. Il viaggio di Francesco in Brasile si conclude con un secondo ampio discorso programmatico che il Papa lascia al comitato (...)

*

Papa Francesco: «Nei vostri cuori fate germogliare la Parola di Dio»
Avvenire
Copacabana da semplice spiaggia a "campo della fede". Copacabana come microcosmo in cui tutto il mondo è rappresentato. Copacabana per una sera come il cuore giovane della Chiesa. Perché "è il cuore di ognuno di voi – ha detto sabato sera (notte fonda in Italia) il Papa ai (...)

*

PORTOGHESE
Introdução
Agradeço ao Senhor por esta oportunidade de poder falar com vocês, Irmãos Bispos responsáveis do CELAM no quadriênio 2011-2015. Há 57 anos que o CELAM serve as 22 Conferências Episcopais da América Latina e do Caribe, colaborando solidária e subsidiariamente para promover, incentivar e dinamizar a colegialidade episcopal e a comunhão entre as Igrejas da Região e seus Pastores.
Como vocês, também eu sou testemunha do forte impulso do Espírito na V Conferência Geral do Episcopado da América Latina e do Caribe, em Aparecida no mês de maio de 2007, que continua animando os trabalhos do CELAM para a anelada renovação das Igrejas particulares. Em boa parte delas, essa renovação já está em andamento. Gostaria de centrar esta conversação no patrimônio herdado daquele encontro fraterno e que todos batizamos como Missão Continental.
2. Características peculiares de Aparecida 
Existem quatro características típicas da referida V Conferência. Constituem como que quatro colunas do desenvolvimento de Aparecida que lhe dão a sua originalidade.
1) Início sem documento 
Medelín, Puebla e Santo Domingo começaram os seus trabalhos com um caminho preparatório que culminou em uma espécie de Instrumentum laboris, com base no qual se desenrolou a discussão, a reflexão e a aprovação do documento final. Em vez disso, Aparecida promoveu a participação das Igrejas particulares como caminho de preparação que culminou em um documento de síntese. Este documento, embora tenha sido ponto de referência durante a V Conferência Geral, não foi assumido como documento de partida. O trabalho inicial foi pôr em comum as preocupações dos Pastores perante a mudança de época e a necessidade de recuperar a vida de discípulo e missionário com que Cristo fundou a Igreja.
2) Ambiente de oração com o Povo de Deus
É importante lembrar o ambiente de oração gerado pela partilha diária da Eucaristia e de outros momentos litúrgicos, tendo sido sempre acompanhados pelo Povo de Deus. Além disso, realizando-se os trabalhos na cripta do Santuário, a “música de fundo” que os acompanhava era constituída pelos cânticos e as orações dos fiéis.
3) Documento que se prolonga em compromisso, com a Missão Continental 
Neste contexto de oração e vivência de fé, surgiu o desejo de um novo Pentecostes para a Igreja e o compromisso da Missão Continental. Aparecida não termina com um documento, mas prolonga-se na Missão Continental.
4) A presença de Nossa Senhora, Mãe da América
É a primeira Conferência do Episcopado da América Latina e do Caribe que se realiza em um Santuário mariano.
3. Dimensões da Missão Continental
A Missão Continental está projetada em duas dimensões: programática e paradigmática. A missão programática, como o próprio nome indica, consiste na realização de atos de índole missionária. A missão paradigmática, por sua vez, implica colocar em chave missionária a atividade habitual das Igrejas particulares. Em consequência disso, evidentemente, verifica-se toda uma dinâmica de reforma das estruturas eclesiais. A “mudança de estruturas” (de caducas a novas) não é fruto de um estudo de organização do organograma funcional eclesiástico, de que resultaria uma reorganização estática, mas é consequência da dinâmica da missão. O que derruba as estruturas caducas, o que leva a mudar os corações dos cristãos é justamente a missionariedade. Daqui a importância da missão paradigmática.
A Missão Continental, tanto programática como paradigmática, exige gerar a consciência de uma Igreja que se organiza para servir a todos os batizados e homens de boa vontade. O discípulo de Cristo não é uma pessoa isolada em uma espiritualidade intimista, mas uma pessoa em comunidade para se dar aos outros. Portanto, a Missão Continental implica pertença eclesial.
Uma posição como esta, que começa pelo discipulado missionário e implica entender a identidade do cristão como pertença eclesial, pede que explicitemos quais são os desafios vigentes da missionariedade discipular. Me limito a assinalar dois: a renovação interna da Igreja e o diálogo com o mundo atual.
Renovação interna da Igreja
Aparecida propôs como necessária a Conversão Pastoral. Esta conversão implica acreditar na Boa Nova, acreditar em Jesus Cristo portador do Reino de Deus, em sua irrupção no mundo, em sua presença vitoriosa sobre o mal; acreditar na assistência e guia do Espírito Santo; acreditar na Igreja, Corpo de Cristo e prolongamento do dinamismo da Encarnação.
Neste sentido, é necessário que nos interroguemos, como Pastores, sobre o andamento das Igrejas a que presidimos. Estas perguntas servem de guia para examinar o estado das dioceses quanto à adoção do espírito de Aparecida, e são perguntas que é conveniente pôr-nos, muitas vezes, como exame de consciência.
1. Procuramos que o nosso trabalho e o de nossos presbíteros seja mais pastoral que administrativo? Quem é o principal beneficiário do trabalho eclesial, a Igreja como organização ou o Povo de Deus na sua totalidade?
2. Superamos a tentação de tratar de forma reativa os problemas complexos que surgem? Criamos um hábito proativo? Promovemos espaços e ocasiões para manifestar a misericórdia de Deus? Estamos conscientes da responsabilidade de repensar as atitudes pastorais e o funcionamento das estruturas eclesiais, buscando o bem dos fiéis e da sociedade?
3. Na prática, fazemos os fiéis leigos participantes da Missão? Oferecemos a Palavra de Deus e os Sacramentos com consciência e convicção claras de que o Espírito se manifesta neles?
4. Temos como critério habitual o discernimento pastoral, servindo-nos dos Conselhos Diocesanos? Tanto estes como os Conselhos paroquiais de Pastoral e de Assuntos Econômicos são espaços reais para a participação laical na consulta, organização e planejamento pastoral? O bom funcionamento dos Conselhos é determinante. Acho que estamos muito atrasados nisso.
5. Nós, Pastores Bispos e Presbíteros, temos consciência e convicção da missão dos fiéis e lhes damos a liberdade para irem discernindo, de acordo com o seu processo de discípulos, a missão que o Senhor lhes confia? Apoiamo-los e acompanhamos, superando qualquer tentação de manipulação ou indevida submissão? Estamos sempre abertos para nos deixarmos interpelar pela busca do bem da Igreja e da sua Missão no mundo?
6. Os agentes de pastoral e os fiéis em geral sentem-se parte da Igreja, identificam-se com ela e aproximam-na dos batizados indiferentes e afastados?
Como se pode ver, aqui estão em jogo atitudes. A Conversão Pastoral diz respeito, principalmente, às atitudes e a uma reforma de vida. Uma mudança de atitudes é necessariamente dinâmica: “entra em processo” e só é possível moderá-lo acompanhando-o e discernindo-o. É importante ter sempre presente que a bússola, para não se perder nesse caminho, é a identidade católica concebida como pertença eclesial.
Diálogo com o mundo atual 
Faz-nos bem lembrar estas palavras do Concílio Vaticano II: As alegrias e as esperanças, as tristezas e as angústias dos homens do nosso tempo, sobretudo dos pobres e atribulados, são também alegrias e esperanças, tristezas e angústias dos discípulos de Cristo (cf. GS, 1). Aqui reside o fundamento do diálogo com o mundo atual.
A resposta às questões existenciais do homem de hoje, especialmente das novas gerações, atendendo à sua linguagem, entranha uma mudança fecunda que devemos realizar com a ajuda do Evangelho, do Magistério e da Doutrina Social da Igreja. Os cenários e areópagos são os mais variados. Por exemplo, em uma mesma cidade, existem vários imaginários coletivos que configuram “diferentes cidades”. Se continuarmos apenas com os parâmetros da “cultura de sempre”, fundamentalmente uma cultura de base rural, o resultado acabará anulando a força do Espírito Santo. Deus está em toda a parte: há que saber descobri-lo para poder anunciá-lo no idioma dessa cultura; e cada realidade, cada idioma tem um ritmo diferente.
4. Algumas tentações contra o discipulado missionário 
A opção pela missionariedade do discípulo sofrerá tentações. É importante saber por onde entra o espírito mau, para nos ajudar no discernimento. Não se trata de sair à caça de demônios, mas simplesmente de lucidez e prudência evangélicas. Limito-me a mencionar algumas atitudes que configuram uma Igreja “tentada”. Trata-se de conhecer determinadas propostas atuais que podem mimetizar-se em a dinâmica do discipulado missionário e deter, até fazê-lo fracassar, o processo de Conversão Pastoral. 
1. A ideologização da mensagem evangélica. É uma tentação que se verificou na Igreja desde o início: procurar uma hermenêutica de interpretação evangélica fora da própria mensagem do Evangelho e fora da Igreja. Um exemplo: a dado momento, Aparecida sofreu essa tentação sob a forma de assepsia. Foi usado, e está bem, o método de “ver, julgar, agir” (cf. n.º 19). A tentação se encontraria em optar por um "ver" totalmente asséptico, um “ver” neutro, o que não é viável. O ver está sempre condicionado pelo olhar. Não há uma hermenêutica asséptica. Então a pergunta era: Com que olhar vamos ver a realidade? Aparecida respondeu: Com o olhar de discípulo. Assim se entendem os números 20 a 32. Existem outras maneiras de ideologização da mensagem e, atualmente, aparecem na América Latina e no Caribe propostas desta índole. Menciono apenas algumas:
a) O reducionismo socializante. É a ideologização mais fácil de descobrir. Em alguns momentos, foi muito forte. Trata-se de uma pretensão interpretativa com base em uma hermenêutica de acordo com as ciências sociais. Engloba os campos mais variados, desde o liberalismo de mercado até à categorização marxista.
b) A ideologização psicológica. Trata-se de uma hermenêutica elitista que, em última análise, reduz o “encontro com Jesus Cristo” e seu sucessivo desenvolvimento a uma dinâmica de autoconhecimento. Costuma verificar-se principalmente em cursos de espiritualidade, retiros espirituais, etc. Acaba por resultar numa posição imanente auto-referencial. Não tem sabor de transcendência, nem portanto de missionariedade.
c) A proposta gnóstica. Muito ligada à tentação anterior. Costuma ocorrer em grupos de elites com uma proposta de espiritualidade superior, bastante desencarnada, que acaba por desembocar em posições pastorais de “quaestiones disputatae”. Foi o primeiro desvio da comunidade primitiva e reaparece, ao longo da história da Igreja, em edições corrigidas e renovadas. Vulgarmente são denominados “católicos iluminados” (por serem atualmente herdeiros do Iluminismo).
d) A proposta pelagiana. Aparece fundamentalmente sob a forma de restauracionismo. Perante os males da Igreja, busca-se uma solução apenas na disciplina, na restauração de condutas e formas superadas que, mesmo culturalmente, não possuem capacidade significativa. Na América Latina, costuma verificar-se em pequenos grupos, em algumas novas Congregações Religiosas, em tendências para a “segurança” doutrinal ou disciplinar. Fundamentalmente é estática, embora possa prometer uma dinâmica para dentro: regride. Procura “recuperar” o passado perdido.
2. O funcionalismo. A sua ação na Igreja é paralisante. Mais do que com a rota, se entusiasma com o “roteiro”. A concepção funcionalista não tolera o mistério, aposta na eficácia. Reduz a realidade da Igreja à estrutura de uma ONG. O que vale é o resultado palpável e as estatísticas. A partir disso, chega-se a todas as modalidades empresariais de Igreja. Constitui uma espécie de “teologia da prosperidade” no organograma da pastoral.
3. O clericalismo é também uma tentação muito atual na América Latina. Curiosamente, na maioria dos casos, trata-se de uma cumplicidade viciosa: o sacerdote clericaliza e o leigo lhe pede por favor que o clericalize, porque, no fundo, lhe resulta mais cômodo. O fenômeno do clericalismo explica, em grande parte, a falta de maturidade adulta e de liberdade cristã em boa parte do laicato da América Latina: ou não cresce (a maioria), ou se abriga sob coberturas de ideologizações como as indicadas, ou ainda em pertenças parciais e limitadas. Em nossas terras, existe uma forma de liberdade laical através de experiências de povo: o católico como povo. Aqui vê-se uma maior autonomia, geralmente sadia, que se expressa fundamentalmente na piedade popular. O capítulo de Aparecida sobre a piedade popular descreve, em profundidade, essa dimensão. A proposta dos grupos bíblicos, das comunidades eclesiais de base e dos Conselhos pastorais está na linha de superação do clericalismo e de um crescimento da responsabilidade laical.
Poderíamos continuar descrevendo outras tentações contra o discipulado missionário, mas acho que estas são as mais importantes e com maior força neste momento da América Latina e do Caribe.
5. Algumas orientações eclesiológicas
1. O discipulado-missionário que Aparecida propôs às Igrejas da América Latina e do Caribe é o caminho que Deus quer para “hoje”. Toda a projeção utópica (para o futuro) ou restauracionista (para o passado) não é do espírito bom. Deus é real e se manifesta no “hoje”. A sua presença, no passado, se nos oferece como “memória” da saga de salvação realizada quer em seu povo quer em cada um de nós; no futuro, se nos oferece como “promessa” e esperança. No passado, Deus esteve lá e deixou sua marca: a memória nos ajuda encontrá-lo; no futuro, é apenas promessa... e não está nos mil e um “futuríveis”. O “hoje” é o que mais se parece com a eternidade; mais ainda: o “hoje” é uma centelha de eternidade. No “hoje”, se joga a vida eterna.
O discipulado missionário é vocação: chamada e convite. Acontece em um “hoje”, mas “em tensão”. Não existe o discipulado missionário estático. O discípulo missionário não pode possuir-se a si mesmo; a sua imanência está em tensão para a transcendência do discipulado e para a transcendência da missão. Não admite a auto-referencialidade: ou refere-se a Jesus Cristo ou refere-se às pessoas a quem deve levar o anúncio dele. Sujeito que se transcende. Sujeito projetado para o encontro: o encontro com o Mestre (que nos unge discípulos) e o encontro com os homens que esperam o anúncio.
Por isso, gosto de dizer que a posição do discípulo missionário não é uma posição de centro, mas de periferias: vive em tensão para as periferias... incluindo as da eternidade no encontro com Jesus Cristo. No anúncio evangélico, falar de “periferias existenciais” descentraliza e, habitualmente, temos medo de sair do centro. O discípulo-missionário é um descentrado: o centro é Jesus Cristo, que convoca e envia. O discípulo é enviado para as periferias existenciais.
2. A Igreja é instituição, mas, quando se erige em “centro”, se funcionaliza e, pouco a pouco, se transforma em uma ONG. Então, a Igreja pretende ter luz própria e deixa de ser aquele “mysterium lunae” de que nos falavam os Santos Padres. Torna-se cada vez mais auto-referencial, e se enfraquece a sua necessidade de ser missionária. De “Instituição” se transforma em “Obra”. Deixa de ser Esposa, para acabar sendo Administradora; de Servidora se transforma em “Controladora”. Aparecida quer uma Igreja Esposa, Mãe, Servidora, facilitadora da fé e não controladora da fé.
3. Em Aparecida, verificam-se de forma relevante duas categorias pastorais, que surgem da própria originalidade do Evangelho e nos podem também servir de orientação para avaliar o modo como vivemos eclesialmente o discipulado missionário: a proximidade e o encontro. Nenhuma das duas é nova, antes configuram a maneira como Deus se revelou na história. É o “Deus próximo” do seu povo, proximidade que chega ao máximo quando Ele encarna. É o Deus que sai ao encontro do seu povo. Na América Latina e no Caribe, existem pastorais “distantes”, pastorais disciplinares que privilegiam os princípios, as condutas, os procedimentos organizacionais... obviamente sem proximidade, sem ternura, nem carinho. Ignora-se a "revolução da ternura", que provocou a encarnação do Verbo. Há pastorais posicionadas com tal dose de distância que são incapazes de conseguir o encontro: encontro com Jesus Cristo, encontro com os irmãos. Este tipo de pastoral pode, no máximo, prometer uma dimensão de proselitismo, mas nunca chegam a conseguir inserção nem pertença eclesial. A proximidade cria comunhão e pertença, dá lugar ao encontro. A proximidade toma forma de diálogo e cria uma cultura do encontro. Uma pedra de toque para aferir a proximidade e a capacidade de encontro de uma pastoral é a homilia. Como são as nossas homilias? Estão próximas do exemplo de Nosso Senhor, que “falava como quem tem autoridade”, ou são meramente prescritivas, distantes, abstratas?
4. Quem guia a pastoral, a Missão Continental (seja programática seja paradigmática), é o Bispo. Ele deve guiar, que não é o mesmo que comandar. Além de assinalar as grandes figuras do episcopado latino-americano que todos nós conhecemos, gostaria de acrescentar aqui algumas linhas sobre o perfil do Bispo, que já disse aos Núncios na reunião que tivemos em Roma. Os Bispos devem ser Pastores, próximos das pessoas, pais e irmãos, com grande mansidão: pacientes e misericordiosos. Homens que amem a pobreza, quer a pobreza interior como liberdade diante do Senhor, quer a pobreza exterior como simplicidade e austeridade de vida. Homens que não tenham “psicologia de príncipes”. Homens que não sejam ambiciosos e que sejam esposos de uma Igreja sem viver na expectativa de outra. Homens capazes de vigiar sobre o rebanho que lhes foi confiado e cuidando de tudo aquilo que o mantém unido: vigiar sobre o seu povo, atento a eventuais perigos que o ameacem, mas sobretudo para cuidar da esperança: que haja sol e luz nos corações. Homens capazes de sustentar com amor e paciência os passos de Deus em seu povo. E o lugar onde o Bispo pode estar com o seu povo é triplo: ou à frente para indicar o caminho, ou no meio para mantê-lo unido e neutralizar as debandadas, ou então atrás para evitar que alguém se desgarre mas também, e fundamentalmente, porque o próprio rebanho tem o seu olfato para encontrar novos caminhos.
Não quero juntar mais detalhes sobre a pessoa do Bispo, mas simplesmente acrescentar, incluindo-me a mim mesmo nesta afirmação, que estamos um pouco atrasados no que a Conversão Pastoral indica. Convém que nos ajudemos um pouco mais a dar os passos que o Senhor quer que cumpramos neste “hoje” da América Latina e do Caribe. E seria bom começar por aqui.
Agradeço-lhes a paciência de me ouvirem. Desculpem a desordem do discurso e lhes peço, por favor, para tomarmos a sério a nossa vocação de servidores do povo santo e fiel de Deus, porque é nisso que se exerce e mostra a autoridade: na capacidade de serviço. Muito obrigado!
FRANCESE
1.Introduction
Je remercie le Seigneur pour cette opportunité de pouvoir parler avec vous, frères Évêques, responsables du CELAM pour le quadriennat 2011-2015. Depuis 57 ans, le CELAM est au service des 22 Conférences épiscopales d’Amérique latine et des Caraïbes, collaborant de façon solidaire et subsidiaire pour promouvoir, stimuler et rendre dynamique la collégialité épiscopale et la communion entre les Églises de cette région et ses Pasteurs.
Comme vous, moi aussi je suis témoin de la forte impulsion de l’Esprit dans la Cinquième Conférence générale de l’Épiscopat latino-américain et des Caraïbes à Aparecida en mai 2007, qui continue à animer les travaux du CELAM pour le renouveau ardemment désiré des Églises particulières. Dans une bonne partie d’entre elles ce renouveau est déjà en cours. Je voudrais centrer cet entretien sur le patrimoine hérité de cette rencontre fraternelle que tous nous avons baptisée comme Mission continentale.
2.Caractéristiques propres d’Aparecida
Il y a quatre caractéristiques qui sont propres à la Cinquième Conférence. Elles sont comme quatre colonnes du développement d’Aparecida et qui lui confèrent son originalité.
1)Un commencement sans document
Medellín, Puebla et Saint-Domingue ont commencé leurs travaux avec un parcours de préparation qui a abouti à une espèce d’Instrumentum laboris, avec lequel se développèrent la discussion, la réflexion et l’approbation du document final. Au contraire Aparecida a promu la participation des Églises particulières comme parcours de préparation qui a abouti à un document de synthèse. Ce document, bien qu’il fût de référence durant la Cinquième Conférence générale, ne fut pas adopté comme document de départ. Le travail initial consista dans la mise en commun des préoccupations des Pasteurs devant le changement d’époque et la nécessité de récupérer la vie de disciple et de missionnaire par laquelle le Christ a fondé l’Église.
2)Atmosphère de prière avec le Peuple de Dieu
Il est important de rappeler l’atmosphère de prière suscitée par le partage quotidien de l’Eucharistie et des autres moments liturgiques, où nous fûmes toujours accompagnés du Peuple de Dieu. D’autre part, du fait que les travaux eurent lieu dans le sous-sol du Sanctuaire, la « musique fonctionnelle » qui les accompagnait fut les chants et les prières des fidèles.
3) Un document qui se prolonge en engagement, avec la Mission continentale
Dans ce contexte de prière et de vie de foi surgit le désir d’une nouvelle Pentecôte pour l’Église et l’engagement de la Mission continentale. Aparecida ne se termine pas par un Document, mais se prolonge dans la Mission continentale.
3)La présence de Notre-Dame, Mère de l’Amérique
C’est la première Conférence de l’Épiscopat latino-américain et des Caraïbes qui se réalisa dans un sanctuaire marial.
3.Dimensions de la Mission continentale
La Mission continentale est pensée en deux dimensions : programmatique et paradigmatique. La mission programmatique, comme l’indique son nom, consiste dans la réalisation d’actes de nature missionnaire. La mission paradigmatique, par contre, implique sous l’angle missionnaire les activités habituelles des Églises particulières. Évidemment, ici on a, comme conséquence, toute une dynamique de réforme des structures ecclésiales. Le « changement des structures » (de caduques à nouvelles) n’est pas le fruit d’une étude sur l’organisation de la structure ecclésiastique fonctionnelle, dont résulterait une réorganisation statique, mais il est une conséquence de la dynamique de la mission. Ce qui fait tomber les structures caduques, ce qui porte à changer les cœurs des chrétiens c’est précisément le fait d’être missionnaire. D’où l’importance de la mission paradigmatique.
La Mission continentale, aussi bien programmatique que paradigmatique exige de susciter la conscience d’une Église qui s’organise pour servir tous les baptisés et les hommes de bonne volonté. Le disciple du Christ n’est pas une personne isolée dans une spiritualité intimiste, mais une personne en communauté pour se donner aux autres. Mission continentale implique par conséquent appartenance ecclésiale.
Une organisation comme celle-ci, qui commence par le fait d’être disciple missionnaire et implique de comprendre l’identité du chrétien comme appartenance ecclésiale, demande que nous explicitions quels sont les défis en cours de la dimension missionnaire du fait d’être disciple. Je n’en souligne que deux : le renouveau interne de l’Église et le dialogue avec le monde actuel.
Renouveau interne de l’Église
Aparecida a proposé comme nécessaire la Conversion pastorale. Cette conversion implique de croire dans la Bonne Nouvelle, croire en Jésus Christ porteur du Royaume de Dieu, dans son irruption dans le monde, dans sa présence victorieuse sur le mal, croire dans l’assistance et la conduite de l’Esprit Saint, croire dans l’Église, Corps du Christ et celle qui prolonge le dynamisme de l’Incarnation.
 En ce sens, il est nécessaire, comme pasteurs, que nous soulevions les interrogations qui font référence aux Églises que nous présidons. Ces questions servent de guide pour examiner l’état des Diocèses dans l’acceptation de l’esprit d’Aparecida, et sont des questions qu’il convient que nous nous posions fréquemment comme examen de conscience.
1.Faisons-nous en sorte que notre travail et celui de nos prêtres soit plus pastoral qu’administratif ? Qui est le principal bénéficiaire du travail ecclésial, l’Église comme organisation ou le Peuple de Dieu dans sa totalité ? 
2.Dépassons-nous la tentation d’accorder une attention réactive aux problèmes complexes qui surgissent ? Créons-nous une habitude pro-active ? Promouvons-nous des lieux et des occasions pour manifester la miséricorde de Dieu ? Sommes-nous conscients de la responsabilité de reconsidérer les activités pastorales et le fonctionnement des structures ecclésiales, en cherchant le bien des fidèles et de la société ? 
3.Dans la pratique, rendons-nous participants de la Mission les fidèles laïcs ? Offrons-nous la Parole de Dieu et les sacrements avec la claire conscience et la conviction que l’Esprit se manifeste en eux ?
4.Le discernement pastoral est-il un critère habituel, en nous servant des Conseils diocésains ? Ces Conseils et les Conseils paroissiaux de Pastorale et des Affaires économiques sont-ils des lieux réels pour la participation des laïcs dans la consultation, l’organisation et la planification pastorales ? Le bon fonctionnement des Conseils est déterminant. Je crois que nous sommes très en retard en cela. 
5.Nous, Pasteurs, Évêques et Prêtres, avons-nous la conscience et la conviction de la mission des fidèles et leur donnons-nous la liberté pour qu’ils discernent, conformément à leur chemin de disciples, la mission que le Seigneur leur confie ? Les soutenons-nous et les accompagnons-nous, en dépassant toute tentation de manipulation ou de soumission indue ? Sommes-nous toujours ouverts à nous laisser interpeller dans la recherche du bien de l’Église et de sa Mission dans le monde ?
6.Les agents pastoraux et les fidèles en général se sentent-ils partie de l’Église, s’identifient-ils avec elle et la rendent-ils proche aux baptisés distants et éloignés ?
Comme on peut le comprendre, ici sont en jeu des attitudes. La conversion pastorale concerne principalement les attitudes et une réforme de vie. Un changement d’attitude est forcément dynamique : « on entre dans un processus » et on peut seulement le canaliser en l’accompagnant et en discernant. Il est important d’avoir toujours présent à l’esprit que la boussole pour ne pas se perdre sur ce chemin est celle de l’identité catholique comprise comme appartenance ecclésiale.
Dialogue avec le monde actuel
Il est bon de rappeler la parole du Concile Vatican II : Les joies et les espérances, les tristesses et les angoisses des hommes de notre temps, surtout des pauvres et de ceux qui souffrent, sont à leur tour, joies et espérances, tristesses et angoisses des disciples du Christ (cf. Const. Gaudium et spes, n. 1). C’est là que se trouve la base du dialogue avec le monde actuel. 
La réponse aux questions existentielles de l’homme d’aujourd’hui, spécialement des nouvelles générations, en prêtant attention à leur langage, comporte un changement fécond qu’il faut parcourir avec l’aide de l’Évangile, du Magistère et de la Doctrine sociale de l’Église. Les paysages et les aréopages sont les plus variés. Par exemple, dans une même ville, existent différents imaginaires collectifs qui configurent "différentes villes". Si nous restons seulement dans les paramètres de "la culture de toujours", au fond une culture de base rurale, le résultat sera finalement l’annulation de la force de l’Esprit Saint. Dieu est partie : il faut savoir le découvrir pour pouvoir l’annoncer dans les idiomes de chaque culture ; et chaque réalité, chaque langue, a un rythme différent.
4. Quelques tentations du disciple missionnaire
L’option missionnaire du disciple sera soumise à des tentations. Il est important de savoir comprendre la stratégie de l’esprit mauvais pour nous aider dans le discernement. Il ne s’agit pas de sortir pour chasser les démons, mais seulement de lucidité et de ruse évangélique. Je mentionne seulement quelques attitudes qui configurent une Église "tentée". Il s’agit de connaître certaines propositions actuelles qui peuvent se dissimuler dans la dynamique du disciple missionnaire et arrêter, jusqu’à le faire échouer, le processus de conversion pastorale. 
1. L’idéologisation du message évangélique. Il y a une tentation qui s’est rencontrée dans l’Église dès l’origine : chercher une herméneutique d’interprétation évangélique en dehors du message de l’Évangile lui-même et en dehors de l’Église. Un exemple : Aparecida, à un certain moment, a connu cette tentation sous forme d « asepsie ». On a utilisé, et c’est bien, la méthode du « voir, juger, agir » (Cf. n. 19). La tentation résidait dans le fait de choisir un « voir » totalement aseptique, un « voir » neutre, lequel est irréalisable. Le voir est toujours influencé par le regard. Il n’y a pas d’herméneutique aseptisée. La demande était alors : avec quel regard voyons-nous la réalité ? Aparecida a répondu : avec le regard du disciple. C’est ainsi que se comprennent les n. 20 à 32. Il y a d’autres manières d’idéologiser le message et, actuellement, apparaissent en Amérique Latine et dans les Caraïbes des propositions de cette nature. J’en mentionne seulement quelques unes : 
a) La réduction socialisante. C’est l’idéologisation la plus facile à découvrir. A certains moments elle a été très forte. Il s’agit d’une prétention interprétative sur la base d’une herméneutique selon les sciences sociales. Elle recouvre les champs les plus variés : du libéralisme de marché aux catégories marxistes. 
b) L’idéologisation psychologique. Il s’agit d’une herméneutique élitiste qui, en définitive, réduit la « rencontre avec Jésus-Christ », et son développement ultérieur, à une dynamique d’auto-connaissance. On la rencontre habituellement dans les cours de spiritualité, les retraites spirituelles, etc. Il finit par en résulter un comportement immanent autoréférentiel. On ne sent pas de transcendance, ni par conséquent, de comportement missionnaire.
c) La proposition gnostique. Assez liée à la tentation précédente. On la rencontre habituellement dans des groupes d’élites faisant la proposition d’une spiritualité supérieure, assez désincarnée, et qui conduit à faire de « questions disputées » des attitudes pastorales. Ce fut la première déviation de la communauté primitive, et elle est réapparue, au cours de l’histoire de l’Église, sous des versions revues et corrigées. On les appelle vulgairement « catholiques des Lumières » (parce qu’ils sont héritiers de la culture des Lumières).
d) La proposition pélagienne. Elle apparait fondamentalement sous la forme d’une restauration. Devant les maux de l’Église, on cherche une solution seulement disciplinaire, par la restauration de conduites et des formes dépassées qui n’ont pas même culturellement la capacité d’être significatives. En Amérique Latine, on la rencontre dans des petits groupes, dans quelques Congrégations religieuses nouvelles qui recherchent une « sécurité » doctrinale ou disciplinaire. Elle est fondamentalement statique, même si elle promet une dynamique ad intra, qui retourne en arrière. Elle cherche à « récupérer » le passé perdu. 
2. Le fonctionnalisme. Son action dans l’Église est paralysante. Il s’enthousiasme davantage pour la « feuille de route du chemin » que pour la réalité du chemin. La conception fonctionnaliste n’accepte pas le mystère, elle regard à l’efficacité. Elle réduit la réalité de l’Église à la structure d’une ONG. Ce qui importe c’est le résultat constatable et les statistiques. De là on va à toutes les manières d’entrepreneurs de l’Église. Elle constitue une sorte de « théologie de la prospérité » dans l’organisation de la Pastorale. 
3. Le cléricalisme est aussi une tentation très actuelle en Amérique Latine. Curieusement, dans la majorité des cas, il s’il agit d’une complicité pécheresse : le curé cléricalise, et le laïc lui demande à être cléricalisé, parce que c’est finalement plus facile pour lui. Le phénomène du cléricalisme explique, en grande partie, le manque de maturité et de liberté chrétienne dans une bonne part du laïcat latino-américain. Ou bien il ne grandit pas (la majorité), ou bien il se blottit sous les couvertures des idéologisations, dont nous avons parlé, ou dans des appartenances partielles et limitées. Il existe, dans nos régions une forme de liberté des laïcs à travers des expériences de peuple : le catholique comme peuple. Ici on voit une plus grande autonomie, saine en général, qui s’exprime fondamentalement dans la piété populaire. Le chapitre d’Aparecida sur la piété populaire décrit en profondeur cette dimension. La proposition des groupes bibliques, des communautés ecclésiales de base et des conseils pastoraux vont dans le sens d’un dépassement du cléricalisme et d’une croissance de la responsabilité des laïcs. 
Nous pourrions continuer en décrivant quelques autres tentations contre la condition de disciple missionnaire, mais je crois que celles-ci sont les plus importantes et ont la plus grande force en ce moment en Amérique Latine et dans las Caraïbes. 
5. Quelques critères ecclésiologiques
1. La condition de disciple missionnaire qu’Aparecida propose aux Églises d’Amérique Latine et des Caraïbes est le chemin que Dieu veut pour « aujourd’hui ». Toute projection utopique (vers le futur) comme toute restauration (vers le passé) ne sont pas de l’esprit bon. Dieu est réel et se manifeste dans l’ « aujourd’hui ». Vers le passé, sa présence se donne à nous comme « mémoire » de la grande œuvre du salut aussi bien dans son peuple, qu’en chacun de nous ; vers le futur elle se donne à nous comme « promesse » et espérance. Dans le passé Dieu a été présent et a laissé ses traces : la mémoire nous aide à le rencontrer. Dans le futur il est seulement promesse…et il n’est pas mille et un « futuribles ». L’ « aujourd’hui » est ce qui ressemble le plus à l’éternité ; mieux encore : l’ « aujourd’hui » est étincelle d’éternité. Dans l’« aujourd’hui » se joue la vie éternelle. 
 La condition de disciple missionnaire est vocation : appel et invitation. Elle a lieu dans un « aujourd’hui » mais « en tension ». Il n’existe pas de condition de disciple missionnaire statique. Le disciple missionnaire ne peut pas se posséder lui-même, son immanence est en tension vers la transcendance de la condition de disciple et vers la transcendance de la mission. Elle n’admet pas l’auto-référentialité : ou elle se réfère à Jésus-Christ, ou elle se réfère au peuple auquel elle doit annoncer. Sujet qui se dépasse. Sujet projeté vers la rencontre : la rencontre avec le Maître (qui nous fait disciples) et la rencontre avec les hommes qui attendent l’annonce.
C’est pourquoi j’aime dire que la position du disciple missionnaire n’est pas une position de centre mais de périphéries : il vit en tension vers les périphéries… y compris celles de l’éternité dans la rencontre avec Jésus Christ. Dans l’annonce évangélique, parler de « périphéries existentielles » décentre et nous avons habituellement peur de quitter le centre. Le disciple missionnaire est un « décentré » : le centre est Jésus Christ, qui convoque et envoie. Le disciple est envoyé aux périphéries existentielles.
2. L’Église est institution, mais quand elle s’érige en « centre », elle tombe dans le fonctionnalisme et, peu à peu, elle se transforme en une ONG. L’Église prétend alors avoir sa propre lumière et cesse d’être ce « misterium lunae » dont nous parlent les saints Pères (de l’Église). Elle devient de plus en plus autoréférentielle et sa nécessité d’être missionnaire s’affaiblit. D’« Institution » elle se transforme en « Œuvre ». Elle cesse d’être Épouse et finit par être Administratrice ; de Servante elle se transforme en « Contrôleuse ». Aparecida veut une Église Épouse, Mère, Servante, une Église qui facilite la foi et non pas une Église qui la contrôle.
3. A Aparecida, on a de manière importante deux catégories pastorales qui émergent de l’originalité même de l’Évangile et qui peuvent aussi nous servir de critère pour évaluer comment nous vivons de manière ecclésiale en disciples missionnaires : la proximité et la rencontre. Aucune des deux n’est nouvelle, mais elles constituent la modalité par laquelle Dieu s’est révélé dans l’histoire. Il est le « Dieu proche » de son peuple, une proximité qui atteint son sommet dans l’incarnation. Il est le Dieu qui sort à la rencontre de son peuple. En Amérique Latine et dans les Caraïbes il y a des pastorales « éloignées », des pastorales disciplinaires qui privilégient les principes, les conduites, les procédures organisatrices…. évidemment sans proximité, sans tendresse, sans caresse. On ignore la « révolution de la tendresse » qui provoqua l’incarnation du Verbe. Il y a des pastorales organisées avec une telle dose de distance qu’elles sont incapables d’arriver à la rencontre : rencontre avec Jésus Christ, rencontre avec les frères. De ce type de pastorales, on peut attendre au maximum une dimension de prosélytisme, mais elles ne conduisent jamais ni à l’insertion ecclésiale, ni à l’appartenance ecclésiale. La proximité crée communion et appartenance, rend possible la rencontre. La proximité acquiert des formes de dialogue et crée une culture de la rencontre. L’homélie est une pierre de touche pour calibrer la proximité et la capacité de rencontre d’une pastorale. Comment sont nos homélies ? Sont-elles proches de l’exemple de notre Seigneur, qui « parlait avec autorité » ou sont-elles simplement théoriques, éloignées, abstraites ?
4. Celui qui conduit la pastorale, la Mission continentale (aussi bien programmatique que paradigmatique), est l’Évêque. L’Évêque doit conduire, ce qui n’est pas la même chose que se comporter en maître. Outre à souligner les grandes figures de l’épiscopat latino-américain que nous connaissons tous, je désire ajouter ici certaines lignes sur le profil de l’évêque que j’ai déjà dites aux Nonces dans la réunion que nous avons eu à Rome. Les évêques doivent être pasteurs, proches des gens, pères et frères, avec beaucoup de mansuétude ; patients et miséricordieux. Hommes qui aiment la pauvreté, aussi bien la pauvreté intérieure comme liberté devant le Seigneur, que la pauvreté extérieure comme simplicité et austérité de vie. Hommes qui n’aient pas la « psychologie des princes ». Hommes qui ne soient pas ambitieux mais qui soient époux d’une Église locale sans être dans l’attente d’une autre. Hommes capables de veiller sur le troupeau qui leur a été confié et d’avoir soin de tout ce qui le tient uni : veiller sur leur peuple avec attention, sur les éventuels dangers qui le menacent, mais surtout pour faire grandir l’espérance : qu’ils aient du soleil et de la lumière dans leurs cœurs. Hommes capables de soutenir avec amour et patience les pas de Dieu au milieu de son peuple. Et la place de l’Évêque pour être avec son peuple est triple : ou devant pour indiquer le chemin, ou au milieu pour le maintenir uni et neutraliser les dispersions, ou en arrière pour éviter que personne ne reste derrière, mais aussi, et fondamentalement, parce que le troupeau même ait son propre flair pour trouver de nouvelles routes.
Je ne voudrais pas abonder en d’autres détails sur la personne de l’Évêque, mais simplement ajouter, en m’incluant dans cette affirmation, que nous sommes un peu en retard en ce qui concerne la Conversion pastorale. Il est opportun que nous nous aidions un peu plus à faire les pas que le Seigneur veut pour nous dans cet « aujourd’hui » de l’Amérique Latine et des Caraïbes. Et il serait bien de commencer par là.
Je vous remercie d’avoir été patients dans l’écoute. Pardonnez le désordre de mon discours et, s’il vous plaît, je vous demande : que nous prenions avec sérieux notre vocation de serviteurs du saint Peuple fidèle de Dieu, car c’est en ceci que s’exerce et se montre l’autorité : dans la capacité de service. Merci beaucoup !
SPAGNOLO
1.Introducción 
Agradezco al Señor esta oportunidad de poder hablar con ustedes, hermanos Obispos, responsables del CELAM en el cuatrienio 2011-2015. Hace 57 años que el CELAM sirve a las 22 Conferencias Episcopales de América Latina y El Caribe, colaborando solidaria y subsidiariamente para promover, impulsar y dinamizar la colegialidad episcopal y la comunión entre las Iglesias de esta Región y sus Pastores.
Como Ustedes, también yo soy testigo del fuerte impulso del Espíritu en la Quinta Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y El Caribe en Aparecida, en mayo de 2007, que sigue animando los trabajos del CELAM para la anhelada renovación de las iglesias particulares. Esta renovación, en buena parte de ellas, se encuentra ya en marcha. Quisiera centrar esta conversación en el patrimonio heredado de aquel encuentro fraterno y que todos hemos bautizado como Misión Continental.
2. Características peculiares de Aparecida 
Existen cuatro características que son propias de la V Conferencia. Son como cuatro columnas del desarrollo de Aparecida y que le dan su originalidad.
1)Inicio sin documento 
Medellín, Puebla y Santo Domingo comenzaron sus trabajos con un camino recorrido de preparación que culminó en una especie de Instrumentum laboris, con el cual se desarrolló la discusión, reflexión y aprobación del documento final. En cambio, Aparecida promovió la participación de las Iglesias particulares como camino de preparación que culminó en un documento de síntesis. Este documento, si bien fue referencia durante la Quinta Conferencia General, no se asumió como documento de partida. El trabajo inicial consistió en poner en común las preocupaciones de los Pastores ante el cambio de época y la necesidad de recuperar la vida discipular y misionera con la que Cristo fundó la Iglesia.
2)Ambiente de oración con el Pueblo de Dios
Es importante recordar el ambiente de oración generado por el diario compartir la Eucaristía y otros momentos litúrgicos, donde siempre fuimos acompañados por el Pueblo de Dios. Por otro lado, puesto que los trabajos tenían lugar en el subsuelo del Santuario, la “música funcional” que los acompañaba fueron los cánticos y oraciones de los fieles.
3)Documento que se prolonga en compromiso, con la Misión Continental 
En este contexto de oración y vivencia de fe surgió el deseo de un nuevo Pentecostés para la Iglesia y el compromiso de la Misión Continental. Aparecida no termina con un Documento sino que se prolonga en la Misión Continental.
4)La presencia de Nuestra Señora, Madre de América
Es la primera Conferencia del Episcopado Latinoamericano y El Caribe que se realiza en un Santuario mariano.
3. Dimensiones de la Misión Continental
La Misión Continental se proyecta en dos dimensiones: programática y paradigmática. La misión programática, como su nombre lo indica, consiste en la realización de actos de índole misionera. La misión paradigmática, en cambio, implica poner en clave misionera la actividad habitual de las Iglesias particulares. Evidentemente aquí se da, como consecuencia, toda una dinámica de reforma de las estructuras eclesiales. El “cambio de estructuras” (de caducas a nuevas) no es fruto de un estudio de organización de la planta funcional eclesiástica, de lo cual resultaría una reorganización estática, sino que es consecuencia de la dinámica de la misión. Lo que hace caer las estructuras caducas, lo que lleva a cambiar los corazones de los cristianos, es precisamente la misionariedad. De aquí la importancia de la misión paradigmática.
La Misión Continental, sea programática, sea paradigmática, exige generar la conciencia de una Iglesia que se organiza para servir a todos los bautizados y hombres de buena voluntad. El discípulo de Cristo no es una persona aislada en una espiritualidad intimista, sino una persona en comunidad, para darse a los demás. Misión Continental, por tanto, implica pertenencia eclesial. 
Un planteo como éste, que comienza por el discipulado misionero e implica comprender la identidad del cristiano como pertenencia eclesial, pide que nos explicitemos cuáles son los desafíos vigentes de la misionariedad discipular. Señalaré solamente dos: la renovación interna de la Iglesia y el diálogo con el mundo actual.
Renovación interna de la Iglesia
Aparecida ha propuesto como necesaria la Conversión Pastoral. Esta conversión implica creer en la Buena Nueva, creer en Jesucristo portador del Reino de Dios, en su irrupción en el mundo, en su presencia victoriosa sobre el mal; creer en la asistencia y conducción del Espíritu Santo; creer en la Iglesia, Cuerpo de Cristo y prolongadora del dinamismo de la Encarnación.
En este sentido, es necesario que, como Pastores, nos planteemos interrogantes que hacen a la marcha de las Iglesias que presidimos. Estas preguntas sirven de guía para examinar el estado de las diócesis en la asunción del espíritu de Aparecida y son preguntas que conviene nos hagamos frecuentemente como examen de conciencia.
1.¿Procuramos que nuestro trabajo y el de nuestros Presbíteros sea más pastoral que administrativo? ¿Quién es el principal beneficiario de la labor eclesial, la Iglesia como organización o el Pueblo de Dios en su totalidad?
2.¿Superamos la tentación de atender de manera reactiva los complejos problemas que surgen? ¿Creamos un hábito pro-activo? ¿Promovemos espacios y ocasiones para manifestar la misericordia de Dios? ¿Somos conscientes de la responsabilidad de replantear las actitudes pastorales y el funcionamiento de las estructuras eclesiales, buscando el bien de los fieles y de la sociedad?
3.En la práctica, ¿hacemos partícipes de la Misión a los fieles laicos? ¿Ofrecemos la Palabra de Dios y los Sacramentos con la clara conciencia y convicción de que el Espíritu se manifiesta en ellos?
4.¿Es un criterio habitual el discernimiento pastoral, sirviéndonos de los Consejos Diocesanos? Estos Consejos y los Parroquiales de Pastoral y de Asuntos Económicos ¿son espacios reales para la participación laical en la consulta, organización y planificación pastoral? El buen funcionamiento de los Consejos es determinante. Creo que estamos muy atrasados en esto.
5.Los Pastores, Obispos y Presbíteros, ¿tenemos conciencia y convicción de la misión de los fieles y les damos la libertad para que vayan discerniendo, conforme a su proceso de discípulos, la misión que el Señor les confía? ¿Los apoyamos y acompañamos, superando cualquier tentación de manipulación o sometimiento indebido? ¿Estamos siempre abiertos para dejarnos interpelar en la búsqueda del bien de la Iglesia y su Misión en el mundo?
6.Los agentes de pastoral y los fieles en general ¿se sienten parte de la Iglesia, se identifican con ella y la acercan a los bautizados distantes y alejados?
Como se puede apreciar aquí están en juego actitudes. La Conversión Pastoral atañe principalmente a las actitudes y a una reforma de vida. Un cambio de actitudes necesariamente es dinámico:  “entra en proceso” y sólo se lo puede contener acompañándolo y discerniendo. Es importante tener siempre presente que la brújula, para no perderse en este camino, es la de la identidad católica concebida como pertenencia eclesial.
Diálogo con el mundo actual 
Hace bien recordar las palabras del Concilio Vaticano II: Los gozos y las esperanzas, las tristezas y las angustias de los hombres de nuestro tiempo, sobre todo de los pobres y de cuantos sufren, son a la vez gozos y esperanzas, tristezas y angustias de los discípulos de Cristo (cf. GS, 1). Aquí reside el fundamento del diálogo con el mundo actual.
La respuesta a las preguntas existenciales del hombre de hoy, especialmente de las nuevas generaciones, atendiendo a su lenguaje, entraña un cambio fecundo que hay que recorrer con la ayuda del Evangelio, del Magisterio, y de la Doctrina Social de la Iglesia. Los escenarios y areópagos son de lo más variado. Por ejemplo, en una misma ciudad, existen varios imaginarios colectivos que conforman “diversas ciudades”. Si nos mantenemos solamente en los parámetros de “la cultura de siempre”, en el fondo una cultura de base rural, el resultado terminará anulando la fuerza del Espíritu Santo. Dios está en todas partes: hay que saber descubrirlo para poder anunciarlo en el idioma de esa cultura; y cada realidad, cada idioma, tiene un ritmo diverso.
4. Algunas tentaciones contra el discipulado misionero 
La opción por la misionariedad del discípulo será tentada. Es importante saber por dónde va el mal espíritu para ayudarnos en el discernimiento. No se trata de salir a cazar demonios, sino simplemente de lucidez y astucia evangélica. Menciono sólo algunas actitudes que configuran una Iglesia “tentada”. Se trata de conocer ciertas propuestas actuales que pueden mimetizarse en la dinámica del discipulado misionero y detener, hasta hacer fracasar, el proceso de Conversión Pastoral. 
1. La ideologización del mensaje evangélico. Es una tentación que se dio en la Iglesia desde el principio: buscar una hermenéutica de interpretación evangélica fuera del mismo mensaje del Evangelio y fuera de la Iglesia. Un ejemplo: Aparecida, en un momento, sufrió esta tentación bajo la forma de asepsia. Se utilizó, y está bien, el método de “ver, juzgar, actuar” (cf. n. 19). La tentación estaría en optar por un “ver” totalmente aséptico, un “ver” neutro, lo cual es inviable. Siempre el ver está afectado por la mirada. No existe una hermenéutica aséptica. La pregunta era, entonces: ¿con qué mirada vamos a ver la realidad? Aparecida respondió: Con mirada de discípulo. Así se entienden los números 20 al 32. Hay otras maneras de ideologización del mensaje y, actualmente, aparecen en Latinoamérica y El Caribe propuestas de esta índole. Menciono sólo algunas:
a)El reduccionismo socializante. Es la ideologización más fácil de descubrir. En algunos momentos fue muy fuerte. Se trata de una pretensión interpretativa en base a una hermenéutica según las ciencias sociales. Abarca los campos más variados, desde el liberalismo de mercado hasta la categorización marxista.
b)La ideologización psicológica. Se trata de una hermenéutica elitista que, en definitiva, reduce el ”encuentro con Jesucristo” y su ulterior desarrollo a una dinámica de autoconocimiento. Suele darse principalmente en cursos de espiritualidad, retiros espirituales, etc. Termina por resultar una postura inmanente autorreferencial. No sabe de trascendencia y, por tanto, de misionariedad.
c)La propuesta gnóstica. Bastante ligada a la tentación anterior. Suele darse en grupos de élites con una propuesta de espiritualidad superior, bastante desencarnada, que termina por desembarcar en posturas pastorales de “quaestiones disputatae”. Fue la primera desviación de la comunidad primitiva y reaparece, a lo largo de la historia de la Iglesia, en ediciones corregidas y renovadas. Vulgarmente se los denomina “católicos ilustrados” (por ser actualmente herederos de la Ilustración).
d)La propuesta pelagiana. Aparece fundamentalmente bajo la forma de restauracionismo. Ante los males de la Iglesia se busca una solución sólo en la disciplina, en la restauración de conductas y formas superadas que, incluso culturalmente, no tienen capacidad significativa. En América Latina suele darse en pequeños grupos, en algunas nuevas Congregaciones Religiosas, en tendencias a la “seguridad” doctrinal o disciplinaria. Fundamentalmente es estática, si bien puede prometerse una dinámica hacia adentro: involuciona. Busca “recuperar” el pasado perdido.
2. El funcionalismo. Su acción en la Iglesia es paralizante. Más que con la ruta se entusiasma con la “hoja de ruta”. La concepción funcionalista no tolera el misterio, va a la eficacia. Reduce la realidad de la Iglesia a la estructura de una ONG. Lo que vale es el resultado constatable y las estadísticas. De aquí se va a todas las modalidades empresariales de Iglesia. Constituye una suerte de “teología de la prosperidad” en lo organizativo de la pastoral.
3. El clericalismo es también una tentación muy actual en Latinoamérica. Curiosamente, en la mayoría de los casos, se trata de una complicidad pecadora: el cura clericaliza y el laico le pide por favor que lo clericalice, porque en el fondo le resulta más cómodo. El fenómeno del clericalismo explica, en gran parte, la falta de adultez y de cristiana libertad en buena parte del laicado latinoamericano. O no crece (la mayoría), o se acurruca en cobertizos de ideologizaciones como las ya vistas, o en pertenencias parciales y limitadas. Existe en nuestras tierras una forma de libertad laical a través de experiencias de pueblo: el católico como pueblo. Aquí se ve una mayor autonomía, sana en general, y que se expresa fundamentalmente en la piedad popular. El capítulo de Aparecida sobre piedad popular describe con profundidad esta dimensión. La propuesta de los grupos bíblicos, de las comunidades eclesiales de base y de los Consejos pastorales va en la línea de superación del clericalismo y de un crecimiento de la responsabilidad laical.
Podríamos seguir describiendo algunas otras tentaciones contra el discipulado misionero, pero creo que éstas son las más importantes y de más fuerza en este momento de América Latina y El Caribe.
5. Algunas pautas eclesiológicas
1. El discipulado-misionero que Aparecida propuso a las Iglesias de América Latina y El Caribe es el camino que Dios quiere para este “hoy”. Toda proyección utópica (hacia el futuro) o restauracionista (hacia el pasado) no es del buen espíritu. Dios es real y se manifiesta en el ”hoy”. Hacia el pasado su presencia se nos da como “memoria” de la gesta de salvación sea en su pueblo sea en cada uno de nosotros; hacia el futuro se nos da como “promesa” y esperanza. En el pasado Dios estuvo y dejó su huella: la memoria nos ayuda a encontrarlo; en el futuro sólo es promesa… y no está en los mil y un “futuribles”. El “hoy” es lo más parecido a la eternidad; más aún: el ”hoy” es chispa de eternidad. En el “hoy” se juega la vida eterna.
El discipulado misionero es vocación: llamado e invitación. Se da en un “hoy” pero “en tensión”. No existe el discipulado misionero estático. El discípulo misionero no puede poseerse a sí mismo, su inmanencia está en tensión hacia la trascendencia del discipulado y hacia la trascendencia de la misión. No admite la autorreferencialidad: o se refiere a Jesucristo o se refiere al pueblo a quien se debe anunciar. Sujeto que se trasciende. Sujeto proyectado hacia el encuentro: el encuentro con el Maestro (que nos unge discípulos) y el encuentro con los hombres que esperan el anuncio.
Por eso, me gusta decir que la posición del discípulo misionero no es una posición de centro sino de periferias: vive tensionado hacia las periferias… incluso las de la eternidad en el encuentro con Jesucristo. En el anuncio evangélico, hablar de “periferias existenciales” des-centra, y habitualmente tenemos miedo a salir del centro. El discípulo-misionero es un des-centrado: el centro es Jesucristo, que convoca y envía. El discípulo es enviado a las periferias existenciales.
2. La Iglesia es institución pero cuando se erige en “centro” se funcionaliza y poco a poco se transforma en una ONG. Entonces, la Iglesia pretende tener luz propia y deja de ser ese “misterium lunae” del que nos hablaban los Santos Padres. Se vuelve cada vez más autorreferencial y se debilita su necesidad de ser misionera. De “Institución” se transforma en “Obra”. Deja de ser Esposa para terminar siendo Administradora; de Servidora se transforma en “Controladora”. Aparecida quiere una Iglesia Esposa, Madre, Servidora, facilitadora de la fe y no controladora de la fe.
3. En Aparecida se dan de manera relevante dos categorías pastorales que surgen de la misma originalidad del Evangelio y también pueden servirnos de pauta para evaluar el modo como vivimos eclesialmente el discipulado misionero: la cercanía y el encuentro. Ninguna de las dos es nueva, sino que conforman la manera cómo se reveló Dios en la historia. Es el “Dios cercano” a su pueblo, cercanía que llega al máximo al encarnarse. Es el Dios que sale al encuentro de su pueblo. Existen en América Latina y El Caribe pastorales “lejanas”, pastorales disciplinarias que privilegian los principios, las conductas, los procedimientos organizativos… por supuesto sin cercanía, sin ternura, sin caricia. Se ignora la “revolución de la ternura” que provocó la encarnación del Verbo. Hay pastorales planteadas con tal dosis de distancia que son incapaces de lograr el encuentro: encuentro con Jesucristo, encuentro con los hermanos. Este tipo de pastorales a lo más pueden prometer una dimensión de proselitismo pero nunca llegan a lograr ni inserción eclesial ni pertenencia eclesial. La cercanía crea comunión y pertenencia, da lugar al encuentro. La cercanía toma forma de diálogo y crea una cultura del encuentro. Una piedra de toque para calibrar la cercanía y la capacidad de encuentro de una pastoral es la homilía. ¿Qué tal son nuestras homilías? ¿Nos acercan al ejemplo de nuestro Señor, que “hablaba como quien tiene autoridad” o son meramente preceptivas, lejanas, abstractas?
4. Quien conduce la pastoral, la Misión Continental (sea programática como paradigmática), es el Obispo. El Obispo debe conducir, que no es lo mismo que mandonear. Además de señalar las grandes figuras del episcopado latinoamericano que todos conocemos quisiera añadir aquí algunas líneas sobre el perfil del Obispo que ya dije a los Nuncios en la reunión que tuvimos en Roma. Los Obispos han de ser Pastores, cercanos a la gente, padres y hermanos, con mucha mansedumbre; pacientes y misericordiosos. Hombres que amen la pobreza, sea la pobreza interior como libertad ante el Señor, sea la pobreza exterior como simplicidad y austeridad de vida. Hombres que no tengan “psicología de príncipes”. Hombres que no sean ambiciosos y que sean esposos de una Iglesia sin estar a la expectativa de otra. Hombres capaces de estar velando sobre el rebaño que les ha sido confiado y cuidando todo aquello que lo mantiene unido: vigilar sobre su pueblo con atención sobre los eventuales peligros que lo amenacen, pero sobre todo para cuidar la esperanza: que haya sol y luz en los corazones. Hombres capaces de sostener con amor y paciencia los pasos de Dios  en su pueblo.  Y el sitio del Obispo para estar con su pueblo es triple: o delante para indicar el camino, o en medio para mantenerlo unido y neutralizar los desbandes, o detrás para evitar que alguno se quede rezagado, pero también, y fundamentalmente, porque el rebaño mismo también tiene su olfato para encontrar nuevos caminos.
No quisiera abundar en más detalles sobre la persona del Obispo, sino simplemente añadir, incluyéndome en esta afirmación, que estamos un poquito retrasados en lo que a Conversión Pastoral se refiere. Conviene que nos ayudemos un poco más a dar los pasos que el Señor quiere para nosotros en este “hoy” de América Latina y El Caribe. Y sería bueno comenzar por aquí.
Les agradezco la paciencia de escucharme. Perdonen el desorden de la charla y, por favor, les pido que tomemos en serio nuestra vocación de servidores del santo pueblo fiel de Dios, porque en esto se ejercita y se muestra la autoridad: en la capacidad de servicio. Muchas gracias.