domenica 21 luglio 2013

Omofobia, vogliono negare le differenze sessuali

Identità di genere

di Eugenia Roccella*

Che cosa c’entra l’identità di genere, cioè l’idea che l’identità sessuale non sia più determinata dal sesso biologico della persona, con la proposta di introdurre un nuovo reato, quello dell’omofobia? 
E’ rispondendo a questa domanda che possiamo comprenderemeglio le implicazioni delle proposte di legge sull’omofobia in discussione in questi giorni in parlamento. 
Se la questione riguardasse solamente atteggiamenti di intolleranza e bullismo o episodi di violenza e di discriminazione nei confronti di persone omosessuali, allora il problema non si porrebbe. Sarebbe sufficiente porre un’aggravante generale per tutti i reati legati all’odio e alla discriminazione, in modo da essere certi di non dimenticare nessuno, e di includere, quindi, anche gli omosessuali. 
Gli odiosi episodi di sopraffazione, discriminazione e violenza,infatti, hanno come oggetto innanzitutto tutte le persone individuate come deboli o isolate, prima che appartenenti a una categoria precisa: pensiamo alle donne, che sono in assoluto le più colpite dalle aggressioni fisiche, dalla violenza sessuale all’omicidio. Pensiamo a quello che avviene nelle scuole, dove le vittime di bullismo sono prese di mira per i motivi più svariati, perché obesi, disabili, o magari “secchioni”, tanto per fare alcuni esempi.

Se per prevenire e punire questi comportamenti si sceglie la strada di individuare le categorie da proteggere, difficilmente si riesce a includerle tutte, anche perché certe tipologie di vittime non sono facilmente definibili (pensiamo per esempio alle persone particolarmente timide e introverse, che si possono facilmente isolare e trasformare in bersaglio). La proposta di un’aggravante per tutti i reati di questo genere sarebbe facilmente condivisa e approvata dall’intero Parlamento, e potrebbe essere un contributo concreto per prevenire e punire un genere di violenza che, nella situazione di emergenza educativa e di perdita di orientamento morale che viviamo, si sta diffondendo sempre più.
Ma in discussione c’è altro: si propone di introdurre un nuovo reato specifico, quello di omofobia, includendo nel testo di legge il concetto di identità di genere, un concetto che conduce alla negazione delle differenze sessuali; è questo infatti il vero punto di arrivo della rivoluzione antropologica in atto, per la quale leggi sull’omofobia e approvazione di unioni/matrimoni gay sono passaggi intermedi e obbligati. 
Definire le persone attraverso le abitudini e i comportamenti sessuali – omosessuali, eterosessuali, bisessuali, transessuali, e tutte le varianti che nel tempo si vanno aggiungendo – piuttosto che in base alla propria identità sessuata di maschio e femmina, iscritta nel corpo, significa modificare i tratti dell’umanità così come è da sempre, negando la sua caratteristica fondante, di essere cioè composta da uomini e donne la cui unione feconda consente la continuità della specie. Per raggiungere una completa indifferenziazione è fondamentale introdurre l’identità di genere anche nel quadro normativo, così come viene fatto nella proposta di legge in discussione, che implica molto di più che la condanna di atteggiamenti discriminatori e violenti contro gli omosessuali.
Dei problemi sulla libertà di espressione che l’approvazione di una legge come questa porrebbe si è già detto e scritto, e l’allarme è tutt’altro che infondato: chi ci assicura che iniziative pubbliche contro i matrimoni gay possano essere ancora lecite, dopo l’approvazione della legge sull’omofobia? Potremo ancora criticare la possibilità per le coppie dello stesso sesso di accedere alla fecondazione assistita o all’adozione? Potremo dire, come ancora fa la gran parte degli psicologi e degli psicoanalisti, che un bimbo, per crescere in modo equilibrato, ha bisogno del modello materno e di quello paterno? Il rischio di un bavaglio soffocante in questo senso è elevatissimo, considerando quel che già avviene nei paesi dove leggi di questo tipo sono già in vigore. 
Se la battaglia parlamentare in corso è su una legge contro l’omofobia, è bene tenere presente l’impostazione culturale a cui questa proposta appartiene e il disegno generale in cui si colloca. Includere il concetto di identità di genere nel testo legislativo è la spia di un progetto più ampio, di un percorso finalizzato a cancellare la differenza sessuale e l’antropologia naturale. L’intervista a Umberto Veronesi pubblicata sulCorriere della Sera del 19 luglio, pur con le sue ingenuità, è rivelatrice: “L'omologazione dei generi è un fenomeno positivo per l'umanità perché l'entrata in scena della donna con ruoli sempre più strategici non può che portare ad un mondo migliore, più giusto e più pacifico. Sta alla scienza il compito di contribuire alla risoluzione del problema dell'infertilità, come sta avvenendo grazie agli studi sulla fecondazione assistita, oggi sempre più necessità sociale.”.

Secondo il noto oncologo, dunque, l’infertilità maschile (che nel mondo occidentale è in forte aumento) è una sorta di inevitabile destino biologico dovuto alla profonda trasformazione antropologica e culturale che viviamo, e l’unico modo di tamponarne le conseguenze (cioè il crollo demografico) sono le tecniche di procreazione in vitro, a cui naturalmente dovranno accedere coppie di ogni tipo.

E’ questo il futuro che ci aspetta, ed è proprio impossibile scongiurarlo? Credo di no: ma dobbiamo sconfiggere il “politicamente corretto” che avanza, e che, per esempio, liquida come omofoba e pretestuosa ogni obiezione alle modalità individuate da questa legge per combattere le discriminazioni. Dobbiamo fare appello al senso comune, cioè all’esperienza viva delle persone, contro il luogo comune, cioè la diffusione di argomentazioni astratte e ideologiche ma proposte con grande dispiego di forze dalle élite europee e occidentali.  La battaglia parlamentare è solo la punta dell’iceberg: la grande battaglia si combatte sul piano culturale, e richiede tenacia, pazienza e coraggio.
* Deputato eletto nelle liste del PDL

Per qualcuno è l ideale


Ma dove sono tutte queste discriminazioni?
di Tommaso Scandroglio
Gli omosessuali sono realmente discriminati nel nostro Paese? E’ davvero così urgente varare la legge sull’omofobia? Un paio di giorni fa l’on. Mantovano si domandava: “Sono forse disponibili dati oggettivi relativi al numero delle violenze o degli atti di discriminazione realizzati col fine di danneggiare persone omosessuali?” E poco più avanti si dava la risposta: “Il dato certo è che non esistono dati certi”.

Il giudizio dell’on. Mantovano trova riscontro in due recenti documenti che, a motivo degli autori che li hanno redatti e a motivo dell’orientamento pro-omosessualità che li innerva, non possono essere di certo sospettati di partigianeria eterosessualista.

Nel recente report del Dipartimento delle Pari Opportunità dal titolo “Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” – report qui più volte messo sotto la lente di ingrandimento – si può leggere che nel 2012 il Contact Center dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha scovato solo 135 casi di discriminazione attinenti all’ “orientamento sessuale” (p. 5). E nella “maggior parte dei casi le istruttorie [sic] vengono aperte direttamente dall’Ufficio” (p. 6). Insomma il fenomeno è così allarmante che nessuno denuncia e se i discriminati non vengono alla scoperto li andiamo a scovare noi dell’UNAR.

Più avanti inoltre si legge a riprova che gli omosessuali non sono discriminati: “Non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, e nel lavoro pubblico o privato” e anche in ambito sanitario. Il dato deve aver creato un certo imbarazzo e allora come spiegarlo? Semplice: gli omosessuali hanno paura a denunciare. Quali prove a sostegno di questa tesi? Nessuna.

Poi si cita un’indagine ISTAT che riporta le percentuali di omosessuali i quali si sono sentiti discriminati nel trovare un alloggio, sul luogo di lavoro o nella ricerca di un’occupazione. Le percentuali variano dal 10 a quasi il 30%. Il dato è interessante – perché pare contraddittorio - se paragonato al fatto che ammontano a zero i “casi accertati di discriminazione”. Infatti per “accertati” dobbiamo intendere “qualificati come tali da un pubblico ufficiale o un giudice”. Il report quindi ci dice che esiste una bella differenza tra il giudizio soggettivo del presunto discriminato e il giudizio oggettivo – perché terzo – di un arbitro super partes. Essere discriminati è cosa diversa dal sentirsi discriminati. I due aspetti non per forza sempre coincidono.

Passiamo ora ad un secondo documento: “Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (2007-2013)” a firma dell’Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford con il patrocinio del Fondo sociale europeo dell’Unione Europea, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del Dipartimento delle Pari Opportunità. Il documento parte da un’analisi dei giudizi degli italiani sull’omosessualità: emerge un giudizio sostanzialmente negativo sugli atti omosessuali, sul “matrimonio” gay e sull’adozione da parte di coppie omosessuali. Da qui la conclusione secondo gli estensori dello studio che in Italia sono molto diffusi intolleranza, omofobia e pregiudizi (p. 58). In buona sostanza è sufficiente non approvare l’omosessualità – ma non per questo discriminare gli omosessuali, si badi bene – che si è omofobi.

Un secondo aspetto: in 352 pagine di report – corredate da moltissimi rimandi bibliografici e studi sociologici, di costume, storici, etc. - nessun accenno statistico su violenza, minacce, insulti, calunnie a danno degli omosessuali. Nulla di nulla. Nemmeno le battutacce da caserma vengono prese in considerazione.

L’unico strumento che viene utilizzato è quello dell’intervista. Ecco qualche dato di rilievo. “Persone che si dichiarano vittima di discriminazione per via del proprio orientamento sessuale”: tra il 2 e il 6% a seconda delle regioni italiane (p. 63). Quindi pochissime. Eppure circa il 50% degli intervistati dice che non si fa abbastanza contro l’omofobia (p. 66).

Poi però il focus si sposta sui transessuali e la musica cambia. Solo il 14% di costoro dichiara di non aver mai subito discriminazioni negli ultimi due anni. “Gli episodi più frequenti di discriminazione – si legge nel documento - sembrano riguardare insulti, derisione e violazione della privacy. Ad ogni modo, appaiono gravemente frequenti anche episodi di violenza fisica (24%), molestie sessuali (18%) e violenze di tipo sessuale (8%)” (p. 85).

Ci sono però due particolari da tenere in considerazione per leggere con fedeltà al reale questi dati. Il primo: il 62% del campione si prostituisce. Nulla giustifica percosse ed insulti – nemmeno il lavoro più vecchio del mondo – però è certo che una tale attività espone inevitabilmente ad alcuni rischi. L’obiezione è dietro l’angolo: queste persone finiscono sulla strada perché costrette. Falso. Infatti lo stesso rapporto chiarisce che “la maggioranza […] esercita la prostituzione solo come mezzo necessario per procurarsi reddito e seguire le cure. Va però notato che una significativa minoranza (20 persone, il 40% di chi si prostituisce) dichiara di farlo come scelta libera e soddisfacente”.

 Secondo elemento da tenere in considerazione: chi è che maltratta i trans? “Parenti (34%), dipendenti pubblici (31%), forze dell’ordine (23%)”. Possiamo immaginare che tutte queste persone vengano bollate dal transessuale come vessatrici perché, nel caso dei parenti, questi non di rado non sono d’accordo con la sua scelta; nel caso dei dipendenti pubblici il cambiamento di sesso, già avvenuto o in fieri, crei oggettivi problemi anagrafici per ogni atto burocratico; nel caso delle forze dell’ordine, queste non vengano viste da buon occhio, per evidenti ragioni, da chi pratica la prostituzione.

In buona sostanza ciò che difetta in questa ricerca è il fatto che vengono registrate le percezioni soggettive degli atti discriminatori da parte dei trans e non vengono registrati oggettivamente quali atti discriminatori sono stati realmente compiuti. Una cosa è credere di essere stati oggetto di maltrattamenti, un’altra è esserlo stati veramente. La ricerca esamina solo il primo punto. Stesso limite si riscontra anche in altri passaggi del report.

Ed infatti la stessa ricerca è costretta ad ammettere: “Al di là del dato sulla percezione della discriminazione, che per quanto sostanzialmente coerente è comunque basato su opinioni e punti di vista soggettivi, esistono pochissimi dati quantitativi sulla diffusione e il radicamento della discriminazione ai danni delle persone LGBT […. ] Ad oggi sono state condotte pochissime ricerche scientifiche, specificamente mirate a valutare e misurare questo fenomeno” (p. 79). E dunque la legge sull’omofobia su quali riscontri concreti e oggettivi si fonda?