sabato 27 luglio 2013

La notte della veglia

La notte di Copacabana

Nella notte della veglia il Papa paragona i giovani della Gmg, quasi tre milioni a Copacabana, ai campioni dello sport: “Siate giocatori protagonisti nel testimoniare il vangelo”. Il discorso inframmezzato da un dialogo con i ragazzi e dalla richiesta di silenzio e assenso

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L'attesa del Papa per la grande veglia, che si sarebbe dovuta svolgere a Guaratiba, al Campus Fidei, ma che il maltempo ha costretto gli organizzatori a spostare a Copacabana, e' lunghissima. Fin dal primo pomeriggio confluiscono da tutte la parti della citta' e dai sobborghi di Rio migliaia di giovani. Formano dei lunghi cortei pacifici, cantando e ballando. Arrivano sui  viali di Flamengo e Botafogo, poi scendono dai pulmann dalla metro. Con ogni mezzo raggiungono il lungomare di Copacabana, bloccato dal traffico da ore e blidatissimo, come lo sara' domani per la messa finale e la presenza di molti capit di Stato.

Il palco e' gremito di vescovi e allora i ragazzi che suonano, cantano e danzano per intrattenere i loro coetanei hanno coinvolti i vescovi e i cardinali presenti in alcune semplici coreografie, chiedendo loro di battere le mani seguendo il ritmo e poi anche girare su se stessi. Qualcuno dei presuli, alcune decine, hanno accolto la sfida e le immagini domani saranno sui giornali di tutto il mondo.

L'arcivescovo di Vienna Christopher Schoenborn e' salito sul palco della Gmg di Copacabana indossando una maglietta gialla sulla veste filettata da cardinale. Schoenborn e' il curatore di "Youcat" il catechismo per i ragazzi della Gmg che piace ai giovani per la sua semplicita' ed e' stato molto apprezzato anche da Benedetto XVI e la maglietta gialla e' proprio quella che pubblicizza il volumetto.


A bordo della jeep bianca Papa Francesco percorre la Avenida Atlantica a Copacabana. Arriva al palco e partecipa alla veglia insieme alla folla di ragazzi della Giornata mondiale della gioventu'.

Il ritmo costante con il quale i due milioni celebrano il Papa argentino e' un grido scandito come un ritornello continuo, una moderna litania: "Questa e' la gioventu' del Papa". La veglia molto lunga e ricca inizia n un ambiente di festa e raccoglimento insieme, uno spettacolo magistralmente organizzato e molto evocativo, con testimonianze che colpiscono sui dolori e le speranze dei giovani del mondo, Una sapiente regia che unisce musica, rappresentazioni e silenzi prolungati.

Poi finalmente le parole del Pontefice alla steminata folla. Il Papa parla e dialoga. Chiede l'assenso ai ragazzi con un cenno e un boato di si. San Francesco e' un riferimento bello di questo suo discorso come sempre semplice, immediato e commovente, che tutti seguono con trasporto e commozione.

Il tema e' la missionarieta' e accende i cuori dei giovani dicendo: "Ho pensato a tre immagini che ci possono aiutare a capire meglio che cosa significa essere  discepolo-missionario: la prima, il campo come luogo in cui si semina; la seconda, il campo come luogo di allenamento; e la terza, il campo come cantiere".
La metafora sportiva cattura l'attenzione e coinvolge il Papa attira i ragazzi ma li ammonisce e sprona per convicerli a scegliere il bene e l'amore, seguire la Parola di Dio, Gesu' compagno di strada, maestro e guida nella vita.
Una delle prime coreografie simboleggia la costruzione di una chiesa, fatta con travi di legno. E' la traduzione in movimenti delle parole di Gesu' al santo di Assisi: "Francesco, va' e ripara la mia casa".

"Gesù ci offre qualcosa di superiore della Coppa del Mondo! Ci offre la possibilità di una vita feconda e felice e ci offre anche un futuro con Lui che non avrà fine, la vita eterna. Ma ci chiede di allenarci per “essere in forma”, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita, testimoniando la nostra fede. Come? Attraverso il dialogo con Lui: la preghiera, che è il colloquio quotidiano con Dio che sempre ci ascolta"

Poi Francesco, il papa dei giovani conclude la sua riflessione con queste parole:
"Ho seguito attentamente le notizie riguardo ai tanti giovani che in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. Resta però la domanda: da dove cominciare? Quali i criteri per la costruzione di una società più giusta? Quando chiesero a Madre Teresa di Calcutta che cosa doveva cambiare nella Chiesa, rispose: tu ed io! Cari amici, non dimenticate: siete il campo della fede! Siete gli atleti di Cristo! Siete i costruttori di una Chiesa più bella e di un mondo migliore. Alziamo lo sguardo verso la Madonna. Essa aiuta a seguire Gesù, ci dà l'esempio con il suo “sì” a Dio".
L. Rolandi

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«In politica rispettare la dignità della persona»

Sabato 27 luglio Papa Francesco ha vissuto la prima di due giornate densissime alla GMG di Rio de Janeiro, iniziata idealmente con la Via Crucis di venerdì sera a Copacabana – un milione di giovani, forse la Via Crucis con più partecipanti della storia – e conclusa a tarda notte con la veglia di preghiera. Incontrando non solo i giovani, ma i vescovi e i politici il Pontefice ha insistito sul consueto invito a «uscire» per evangelizzare superando l’autoreferenzialità, ma ha parlato anche di temi politici, denunciando la separazione della politica dalla morale, rivendicando la libertà della Chiesa di annunciare la sua dottrina morale e affermando che riportare l’etica nella politica è oggi «una sfida storica senza precedenti».
Il Papa ha voluto mettere al centro della Via Crucis, «uno dei momenti forti della Giornata Mondiale della Gioventù», le parole del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) quando nel 1984 consegnò ai giovani la Croce dell’Anno Santo: «Portatela nel mondo come segno dell'amore di Gesù per l'umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione». In preparazione alla GMG la Croce ha percorso anche il Brasile per due anni, e il Pontefice – che è solito dividere molti suoi discorsi in tre parti – ha posto ai giovani tre domande: «Che cosa avete lasciato nella Croce voi […]? E che cosa ha lasciato la Croce di Gesù in ciascuno di voi? E, infine, che cosa insegna alla nostra vita questa Croce?».
Ricordando l’episodio del Quo vadis, in cui Pietro – tentato di fuggire da Roma per sottrarsi alla persecuzione – vede Gesù che cammina nella direzione opposta e gli dice che va a Roma per essere crocifisso di nuovo, Francesco ha risposto alla prima domanda affermando che Gesù ancora oggi ci incontra sulle nostre strade e carica sulla sua croce «le nostre paure, i nostri problemi, le nostre sofferenze, anche le più profonde». Condivide i nostri drammi, si unisce alle vittime della violenza, della persecuzione, della droga, della fame, «a tanti giovani che hanno perso la fiducia nelle istituzioni politiche perché vedono egoismo e corruzione o che hanno perso la fede nella Chiesa, e persino in Dio, per l’incoerenza di cristiani e di ministri del Vangelo». 
Secondo: in chi l’ha vista e toccata, la Croce «lascia un bene che nessuno può darci: la certezza dell’amore incrollabile di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci». Sull’esempio del Brasile, il cui primo nome fu «Terra de Santa Cruz» il Papa ha esortato a piantare la Croce «nella storia», a riconoscere con le parole del Beato Giovanni Paolo II che solo nella Croce c’è salvezza.
Terzo: la Croce è un insegnamento e un invito. Entriamo nel dramma della Passione e lasciamoci insegnare che purtroppo anche noi «possiamo essere come Pilato che non ha il coraggio di andare controcorrente per salvare la vita di Gesù e se ne lava le mani. Cari amici, la Croce di Cristo ci insegna ad essere come il Cireneo, che aiuta Gesù a portare quel legno pesante, come Maria e le altre donne, che non hanno paura di accompagnare Gesù fino alla fine, con amore, con tenerezza. E tu, come sei? Come Pilato, come il Cireneo, come Maria?».
Anche nella cattedrale di Rio, parlando ai vescovi, sacerdoti e seminaristi, Francesco ha diviso la sua omelia in tre parti, «tre aspetti della nostra vocazione: chiamati da Dio; chiamati ad annunciare il Vangelo; chiamati a promuovere la cultura dell’incontro».
Sacerdoti e persone consacrate sono, anzitutto, chiamati da Dio: «è importante ravvivare in noi questa realtà, che spesso diamo per scontata in mezzo ai tanti impegni quotidiani: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”». «Non è la creatività pastorale, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, ma l’essere fedeli a Gesù», alla sua verità, all’incontro con lui nella preghiera. Ma chiamati da Dio a fare cosa? Ecco la seconda risposta: chiamati ad annunciare il Vangelo, a essere missionari. «Certo – ha confidato il Papa – molti di fronte a questo invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati, pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e gli amici. Ricordo il mio sogno da giovane: andare missionario nel lontano Giappone. Dio, però, mi ha mostrato che la mia terra di missione era molto più vicina: la mia patria». E questo vale per tutti: «essere discepoli missionari è una conseguenza dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani». E la missione propone una «cultura dell’incontro», perché «purtroppo, in molti ambienti, si è fatta strada una cultura dell’esclusione, una “cultura dello scarto”» che elimina l’anziano, «il figlio non voluto», chiunque non corrisponde alla logica dei «due “dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo». Ai vescovi anzitutto, il Pontefice chiede «il coraggio di andare controcorrente», di riproporre con umiltà ma con sicurezza le verità che il mondo non vuole sentire.
Francesco ne ha dato l’esempio incontrando le autorità politiche, imprenditoriali e culturali del Brasile al Teatro Municipale di Rio de Janeiro, cui ha chiesto il «pieno rispetto dei principi etici fondati sulla dignità trascendente della persona». Anche questo discorso è stato diviso in tre punti: «primo, l’originalità di una tradizione culturale; secondo, la responsabilità solidale per costruire il futuro; e terzo, il dialogo costruttivo, per affrontare il presente»
Che cos’è la tradizione di una nazione? È, ha risposto Francesco, «il comune sentire di un popolo, le basi del suo pensiero e della sua creatività, i principi fondamentali della sua vita, i criteri di giudizio». E la tradizione brasiliana è cattolica, «ha ricevuto molto dalla linfa del Vangelo». «Ma la ricchezza di questa linfa deve essere pienamente valorizzata», come insegnò Benedetto XVI nel suo viaggio in Brasile del 2007, che Francesco ha voluto esplicitamente richiamare. La tradizione cattolica «unisce trascendenza e incarnazione; rivitalizza sempre il pensiero e la vita, di fronte alla delusione e al disincanto che invadono i cuori e si diffondono nelle strade».
Dalla tradizione nazionale deriva una responsabilità sociale, che «richiede un certo tipo di paradigma culturale e, conseguentemente, di politica», che siano «ferme sui valori etici» e attente alle esigenze drammatiche dei più poveri. Una vera classe politica si fa guidare dalla «responsabilità e dall’interesse per il bene comune». Senza mai dimenticare che in politica «chi agisce responsabilmente colloca la propria azione davanti ai diritti degli altri e davanti al giudizio di Dio. Questo senso etico appare oggi come una sfida storica senza precedenti».
Infine, anche ai politici, Francesco propone il «dialogo costruttivo». «Tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo», da perseguire sempre «rimanendo aperti alla verità». Il dialogo esige un «forte contributo di energie morali»: la politica non può «rimanere chiusa nella pura logica di rappresentanza degli interessi costituiti». Ed è necessaria una «laicità dello Stato, che, senza assumere come propria nessuna posizione confessionale, rispetta e valorizza la presenza del fattore religioso nella società, favorendone le sue espressioni concrete». 
La stessa «scossa» che ha cercato di dare ai politici, Francesco l’ha proposta ai cardinali e vescovi del Brasile che ha incontrato nel palazzo arcivescovile di Rio. Il Papa è partito ancora una volta dall’evento mariano di Aparecida, cuore «perenne» del Brasile cattolico. Qui ci sono dei pescatori che «hanno una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti». Così, «nonostante gli sforzi, le reti sono vuote». Ma Dio fa irruzione «nel suo mistero». «Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso». I pescatori trovano una statuetta della Madonna. «Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità». I pescatori sono persone semplici ma «non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare»: ricompongono una statua che li conquista con la sua bellezza.
Questa è una lezione fondamentale per la Chiesa brasiliana, e per la Chiesa di tutto il mondo. «Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano». Noi «forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore» attraverso la bellezza. «Solo la bellezza di Dio può attrarre». Quando l’abbiamo incontrato, Dio «risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro». La Chiesa assomiglia alla barca dei pescatori di Aparecida. «Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani». E tuttavia «il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore»: «la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti».
Qui Francesco ha offerto una chiave di lettura del suo pontificato: annunciare la fede con semplicità. «A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero».
Aparecida si situa a un incrocio delle grandi strade che solcano il Brasile, e «Dio appare negli incroci». C’entra con la storia, e Francesco ha ricordato come la Chiesa brasiliana – di cui ha ricordato anche la complessa esperienza in Amazzonia – abbia animato la storia della nazione nella fedeltà ai Pontefici. «La Chiesa in Brasile – ha detto – ha ricevuto e applicato con originalità il Concilio Vaticano II […] pur avendo dovuto superare certe malattie infantili»: un’allusione a quel «progressismo adolescente» di cui aveva parlato nella Messa del 12 giugno a Santa Marta. 
Oggi, ha detto il Papa citando il beato John Henry Newman (1801-1890), «il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia». Francesco non si fa illusioni: «a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti». Molti lasciano la Chiesa, per tante ragioni: la trovano «forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale». 
Lamentarsi, però, non serve. «Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione», il cui contesto oggi è quello della globalizzazione. «Tanti sono innamorati della potenzialità della globalizzazione e in essa c’è qualcosa di veramente positivo. Ma a tanti sfugge il lato oscuro: lo smarrimento del senso della vita» e «i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso, diventati ulteriori prigioni». E tanti hanno «cercato scorciatoie»: non la Chiesa Cattolica, il cui ideale considerano troppo elevato per loro, ma «almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che è troppo alto», spiritualità facili che di fronte al dolore sono solo capaci di «anestetizzarlo» per un momento.
Serve una Chiesa «in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto»; «una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle», «che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno». Tutto questo non dev’essere letto in modo sentimentale. La Chiesa deve proporre le sue fonti: «Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?».
Il Papa ha parlato anche del rapporto malato che oggi molti hanno con il tempo. «La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza?». Dio non è oscurato nella gente che corre disperata nel XXI secolo: ma «manca chi riscaldi loro il cuore». Il vero problema della Chiesa è la «formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi», «di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità». Per questo «bisogna avere il coraggio di una revisione profonda delle strutture di formazione e di preparazione del clero e del laicato». «Non è sufficiente una vaga priorità della formazione, né di documenti o di convegni» e «non è sufficiente la burocrazia centrale» di una Conferenza Episcopale. Serve una formazione alla verità, e insieme alla misericordia «per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore».
Invitando i vescovi a «rinforzare la famiglia, che rimane cellula essenziale per la società e per la Chiesa», Papa Francesco ha affermato che «c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele». Senza la verità sull’uomo che la Chiesa annuncia «la società si sfalda, le città sarebbero travolte dai propri muri, abissi, barriere. La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa la fiamma della libertà e dell’unità dell’uomo».
Introvigne