mercoledì 3 luglio 2013

Il Papa nella Festa di San Tommaso: Dio si incontra baciando le piaghe di Gesù nei fratelli più deboli



Bisogna uscire da noi stessi e andare sulle strade dell’uomo per scoprire che le piaghe di Gesù sono visibili ancora oggi sul corpo di tutti quei fratelli che hanno fame, sete, che sono nudi, umiliati, schiavi, che si trovano in carcere e in ospedale. E proprio toccando queste piaghe, accarezzandole, è possibile «adorare il Dio vivo in mezzo a noi». 
La ricorrenza della festa di san Tommaso apostolo ha offerto a Papa Francesco l’occasione di tornare su un concetto che gli è particolarmente a cuore: mettere le mani nella carne di Gesù. Il gesto di Tommaso che mette il dito nelle piaghe di Gesù risorto è stato infatti il tema centrale dell’omelia tenuta durante la messa celebrata questa mattina, mercoledì 3 luglio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Con il Papa ha concelebrato tra gli altri il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che accompagnava un gruppo di dipendenti del dicastero. 
Dopo le letture (Efesini 2,19-22; Salmo 116; Giovanni 20,24-29) il Santo Padre si è innanzitutto soffermato sul diverso atteggiamento assunto dai discepoli «quando Gesù, dopo la risurrezione, si è fatto vedere»: alcuni erano felici e allegri, altri dubbiosi. 
Incredulo era anche Tommaso al quale il Signore si è mostrato solo otto giorni dopo quella prima apparizione. «Il Signore — ha detto il Papa spiegando questo ritardo — sa quando e perché fa le cose. A ciascuno dà il tempo che lui crede più opportuno». A Tommaso ha concesso otto giorni; e ha voluto che sul proprio corpo apparissero ancora le piaghe, nonostante fosse «pulito, bellissimo, pieno di luce», proprio perché l’apostolo, ha ricordato il Papa, aveva detto che se non avesse messo il dito nelle piaghe del Signore non avrebbe creduto. «Era un testardo! Ma il Signore — ha commentato il Pontefice — ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi, a mettere la mano nel fianco. Ma poi non ha detto: “È vero, il Signore è risorto”. No. È andato oltre, ha detto: “Mio Signore e mio Dio”. È il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo dopo la risurrezione. E l’ha adorato». 
Da questa confessione, ha spiegato il vescovo di Roma, si capisce quale era l’intenzione di Dio: sfruttando l’incredulità ha portato Tommaso non tanto ad affermare la risurrezione di Gesù, quanto piuttosto la sua divinità. «E Tommaso — ha detto il Papa — adora il Figlio di Dio. Ma per adorare, per trovare Dio, il Figlio di Dio ha dovuto mettere il dito nelle piaghe, mettere la mano al fianco. Questo è il cammino». Non ce n’è un altro.
Naturalmente «nella storia della Chiesa — ha proseguito nella sua spiegazione il Pontefice — ci sono stati alcuni sbagli nel cammino verso Dio. Alcuni hanno creduto che il Dio vivente, il Dio dei cristiani» si potesse trovare andando «più alto nella meditazione». Ma questo è «pericoloso; quanti si perdono in quel cammino e non arrivano?», ha detto il Papa. «Arrivano sì, forse, alla conoscenza di Dio, ma non di Gesù Cristo, Figlio di Dio, seconda Persona della Trinità — ha precisato —. A quello non ci arrivano. È il cammino degli gnostici: sono buoni, lavorano, ma quello non è il cammino giusto, è molto complicato» e non porta a buon fine. 
Altri, ha continuato il Santo Padre «hanno pensato che per arrivare a Dio dobbiamo essere buoni, mortificati, austeri e hanno scelto la strada della penitenza, soltanto la penitenza, il digiuno. Neppure questi sono arrivati al Dio vivo, a Gesù Cristo Dio vivo». Questi, ha aggiunto, «sono i pelagiani, che credono che con il loro sforzo possono arrivare. Ma Gesù ci dice questo: “Nel cammino abbiamo visto Tommaso”. Ma come posso trovare le piaghe di Gesù oggi? Io non le posso vedere come le ha viste Tommaso. Le piaghe di Gesù le trovi facendo opere di misericordia, dando al corpo, al corpo e anche all’anima, ma sottolineo al corpo del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede a lui tramite queste piaghe». 
Non è sufficiente, ha aggiunto ancora il Papa, costituire «una fondazione per aiutare tutti», né fare «tante cose buone per aiutarli». Tutto questo è importante, ma sarebbe solo un comportamento da filantropi. Invece, ha detto Papa Francesco, «dobbiamo toccare le piaghe di Gesù, dobbiamo accarezzare le piaghe di Gesù. Dobbiamo curare le piaghe di Gesù con tenerezza. Dobbiamo letteralmente baciare le piaghe di Gesù». La vita di san Francesco, ha ricordato, è cambiata quando ha abbracciato il lebbroso perché «ha toccato il Dio vivo e ha vissuto in adorazione». «Quello che Gesù ci chiede di fare con le nostre opere di misericordia — ha concluso il Pontefice — è quello che Tommaso aveva chiesto: entrare nelle piaghe».
L'Osservatore Romano