venerdì 28 giugno 2013

Quelli che fecero la storia dell’Europa




Vite di uomini di fede nella Settimana della speranza organizzata dalla Comece. 

 «In questo momento della vita della comunità dei popoli europei siamo al servizio della speranza, si tratta di una missione a cui la Chiesa in Europa non può rinunciare e alla quale certamente non può sottrarsi anche se incontra delle difficoltà». Così l’arcivescovo monsignor Alain Paul Lebeaupin, nunzio apostolico presso l’Unione europea, nell’omelia della messa che ieri sera, giovedì 27, ha concluso a Bruxelles «Week for hope», la Settimana della speranza promossa dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) in occasione del decimo anniversario dell’esortazione post-sinodale Ecclesia in Europa di Giovanni Paolo II. Dalla lettura di questo testo, ha aggiunto il presule, «noi vediamo che l’Europa nella sua proiezione storica ha una vocazione ad aprire le coscienze e i cuori per rispondere a un umanesimo che affonda le sue radici nel messaggio evangelico» e «mette la persona umana al centro del mondo in divenire».
In questa prospettiva. padre Patrick H. Daly, segretario generale della Comece, ha lanciato un appello ai partecipanti al Consiglio europeo incentrato sulla politica economica e, in particolare, sulla promozione dell’occupazione giovanile. «Ai leader europei chiediamo di non dimenticare la dimensione sociale della politica economica. È una grande sfida per la speranza e per l’avvenire della comunità europea». Per questo, «i vescovi europei vogliono essere solidali con la gente e in questo momento lo sono soprattutto con i giovani che non lavorano o che lavorano in condizioni precarie». Di qui, il significato forte della Settimana della speranza che ha presentato una serie di personaggi, uomini e donne di fede, che nel passato recente della storia europea hanno posto con la loro vita le fondamenta sulle quali è nato il grande progetto europeo. Quasi un vero e proprio pellegrinaggio nel cuore dell’Europa alla ricerca dei segni di speranza seminati dalla presenza cristiana in questo continente.
Il primo appuntamento è stato incentrato sulla figura del beato Jerzy Popiełuszko. Una vita vissuta a fianco del movimento operaio polacco. Per il suo impegno per la libertà e la giustizia sociale, come è noto, fu rapito dalla polizia segreta e ucciso nel 1984. È stata la giornalista polacca Ewa Czaczkowska a ripercorrerne la vicenda umana e a tratteggiarne la statura spirituale. «Fu una luce di speranza in un tempo oscuro» per la Polonia e l’Europa. E il coraggio con cui padre Popiełuszko ha sempre difeso le sue idee dimostra anche oggi che «nessuna legge, nessun uomo può distruggere la verità. E colui che ne dà testimonianza è e sarà per sempre un uomo libero». Il coraggio di Popiełuszko è stato anche quello di credere sempre che «è possibile trarre il bene dal male».
Due sono invece le figure scelte dalla Comece per parlare di giovani ed educazione: il cardinale belga Josef Cardijn (1882-1967), fondatore della Gioventù operaia cristiana, e il beato John Henry Newman, fondatore dell’università cattolica di Dublino. «L’impegno della Chiesa in questo ambito — ha detto il salesiano don Gérard Durieux — rappresenta un patrimonio pedagogico e spirituale di una straordinaria ricchezza, spesso ignorata, disprezzata o addirittura rifiutata». È l’impegno che si traduce in azione quotidiana volta ad «accompagnare i giovani dando loro gli strumenti necessari per diventare persone di qualità, libere interiormente, responsabili e capaci di generare fraternità».
Un altro piccolo-grande seme di speranza è stato incarnato da padre Pino Puglisi, ucciso dalla mafia nel 1993 a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale e dichiarato beato il 25 maggio scorso. Il suo sogno — ha detto il cardinale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo — era quello di aiutare i giovani a uscire dalla morsa della criminalità organizzata, a vincere la tentazione di svendere l’uomo per pochi soldi, offrendo loro «un cammino degno e rispettoso della loro dignità, facendone uomini liberi». Padre Puglisi «era cosciente dei rischi che correva ma non voleva correre il pericolo di non rispondere alla sua vocazione». La sua vita è un messaggio chiaro per la Chiesa e i cristiani d’Europa, che «non devono farsi prendere dal panico o dallo scoraggiamento ma continuare ad attingere la speranza dalla Parola di Dio. La vita di padre Puglisi è un oceano di speranza. Un chicco di grano che con il passare del tempo cresce e genera vita nuova».
Anche l’amore per l’Algeria vissuto fino alla morte dei monaci di Tibhirine rappresenta «un segno dato al nostro tempo, alle società europee». Il loro esempio è un invito «a progredire con fiducia sull’esperienza dell’alterità tra i popoli europei, tra religioni differenti, tra credenti e umanisti, tra uomini e donne per costruire un’Europa che non sia solo un mercato economico ma soprattutto un’arte del vivere insieme». Con queste parole padre Christian Salenson, dell’Istituto cattolico del Mediterraneo di Marsiglia, ha presentato la figura di Christian de Chergé, priore dei monaci di Tibhirine rapiti e uccisi da un gruppo di terroristi islamici nel maggio del 1996. Christian de Chergé credeva nell’Algeria, anche se l’Algeria dubitava di se stessa. E questa fiducia vale anche per l’Europa di oggi. «I popoli europei dubitano di se stessi, si ripiegano su se stessi, si chiudono nelle loro particolarità, si dividono al loro interno. Questi popoli hanno allora bisogno di uomini e donne che segretamente nella preghiera e pubblicamente nell’amore disinteressato li conducano ad avere fiducia in se stessi e ad aprirsi agli altri».
L'Osservatore Romano