sabato 29 giugno 2013

Margherita Hack: non si può che pregare per lei


(Pierluigi Di Piazza e Margherita Hack) in “Io credo. Dialogo tra un'atea e un prete” del novembre 2012. Nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno è morta a 91 anni Margherita Hack, uno dei più celebri astrofisici italiani. Ne proponiamo un breve ricordo tratto dal libro “Io credo. Dialogo tra un'atea e un prete” (...)

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Stanotte Margherita Hack è morta: non si può che pregare per lei, come per tutti coloro che lasciano questa vita terrena.
Però, dal momento che era un personaggio pubblico, si può tornare sul suo ruolo di portavoce di quelle istanze ateistiche di cui è stata paladina.
Inizio questa mio articolo un po’ polemico riguardo alle battaglie culturali di Margherita Hack con una precisazione. La Hack viene spesso presentata dai suoi fans come la “voce della scienza”. Detti fans cercano di proporre questa equazione: Margherita Hack è una scienziata, quindi, quando parla lei, parla la scienza. In altre parole: ciò che dice lei è sempre vero, esatto come una formula matematica o come la legge di gravità. L’equazione, falsa, funziona, presso il grande pubblico, per un semplicissimo fatto: che una laurea in astrofisica fa sempre la sua impressione, quantomeno perché è cosa rara. Eppure occorre dire subito tre cose. La prima: la Hack è spesso al centro dell’attenzione più che per i suoi meriti scientifici, per le sue posizioni in campo etico, essendo lei sostenitrice del testamento biologico, del matrimonio omosessuale e della liceità della ricerca sulle staminali embrionali. In campo etico, però, gli scienziati non godono di nessuno status privilegiato. La storia è piena di illustri ricercatori che hanno servito il “razzismo scientifico”, la costruzione di armi di distruzione di massa, gli esperimenti nazisti e comunisti financo sull’uomo…
La seconda precisazione: non basta una laurea in astrofisica per essere un grande astrofisico. Come non basta laurearsi in filosofia per poter sedere accanto a Socrate o a san Tommaso.
La terza: è stata la stessa Hack, in varie occasioni, ad aver sostenuto con umiltà di non essere quel mostro della scienza che qualcuno, strumentalmente, vuole far credere. Se per esempio confrontiamo il suo curriculum con quello dell’unico scienziato credente che accedeva, ogni tanto, alla tv pubblica, Antonino Zichichi, vediamo molto bene che non c’è partita. La stessa Hack, dicevo, lo ha dichiarato candidamente. Quando il noto giornalista ateo, del tutto estraneo al mondo scientifico, Paolo Flores d’Arcais, propose, con discreto seguito, la candidatura della Hack a palazzo Madama con nomina presidenziale, lei stessa dichiarò: “E’ un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla…”. Così è, in effetti. La Hack è una brava divulgatrice, sicuramente ha meriti scientifici di qualche genere, ma la sua fama è legata più che altro, come si è detto, alle sue dichiarazioni in campo etico, alla sua militanza comunista e alle sue frequenti apparizioni televisive (dovute al tradizionale predominio, nei media, di una certa sinistra radicale).
La attività politico-culturale di Margherita Hack è così sintetizzata su Wikipedia: “presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti; dal 2005 è iscritta all’Associazione Luca Coscioniper la libertà di ricerca scientifica. In passato è stata iscritta al Partito Radicale Transnazionale. Si è candidata alle elezioni regionali del 2005, in Lombardia, nella lista del Partito dei Comunisti Italianiottenendo 5.634 voti nella città di Milano. Si è schierata nuovamente nelle elezioni politiche del 2006 con ilPartito dei Comunisti Italiani… La Hack ritiene l’eutanasia un diritto, un modo per sollevare dalla pena un uomo che soffre. Nel 2011 sottoscrive il proprio testamento biologico..”.

Fatte queste dovute premesse, esordisco da un articolo che la Hack scrisse su Social News del settembre 2009. In esso si faceva una durissima requisitoria contro la Chiesa cattolica, colpevole a suo dire, di aver sempre lottato con ottusa ferocia contro la scienza sperimentale. Leggendo queste righe, che non posso qui riportare per motivi di spazio, verrebbe da fare un’ultima premessa: aver studiato astrofisica non significa di per sé conoscere la storia e la filosofia. La Hack infatti fa delle affermazioni su Giordano Bruno che nessuno dei grandi studiosi laici del personaggio, dalla Yates a Firpo a Paolo Rossi, sottoscriverebbe mai. Poi si butta sul caso Galilei: la minestra buona per tutte le stagioni. Anche qui la sua conoscenza della cultura dell’epoca, e del dibattito in corso, è nulla. Ma pazienza. Infine arriva dove voleva arrivare. A sostenere che la Chiesa oggi, opponendosi alla ricerca, occisiva, sugli embrioni umani, ripeterebbe i mitici errori del passato.  “la ricerca sulle staminali embrionali è essenziale perché la Scienza ha dimostrato che può permettere la guarigione di malattie fino ad oggi inguaribili. Frenarla per questioni religiose e ideologiche è un delitto…”. Fermiamoci un attimo: la scienza, scrive la Hack, “ha dimostrato”: se le parole hanno un significato ciò vorrebbe dire che oggi sono possibili svariate cure attraverso l’uso delle staminali embrionali. Invece non è affatto vero. Non esiste una sola cura del genere. Di più: sono almeno vent’anni anni che la Hack e/o altri atei come lei, magari favorevoli anche alla clonazione, vanno predicando che l’uccisione di embrioni umani porterebbe a benefici inenarrabili per l’umanità. A suo tempo il candidato americano J.Kerry promise che se lo avessero eletto, egli avrebbe finanziato la ricerca sulle staminali embrionali, garantendo la cura, solo negli Usa, di 100 milioni di malati! Non ci credette nessuno. Continuiamo, noi rozzi ed ottusi credenti, difensori dell’embrione, a cercare uno scienziato, dagli Usa alla Cina, che abbia ottenuto qualcosa con le staminali embrionali. Invano. A maggior ragione per il fatto che molti di quelli che sino a pochi anni fa ci credevano e ci lavoravano, hanno ormai abbandonato il campo, riconoscendo che ci sono vie ben più promettenti, ed eticamente senza conseguenze. Ma la Hack continuava la sua requisitoria: “l’embrione è solo una cellula”, di cui evidentemente si può fare ciò che si vuole. Peccato che sia una cellula con 46 cromosomi, cioè appartenete alla specie umana, e che ognuno di noi, quindi, sia stato null’altro che un embrione: però lasciato vivere. La definizione dell’embrione umano data dalla Hack potrebbe essere adattata così: perché non sperimentare sull’uomo? “Non è altro che un ammasso di cellule”. Intuiamo però, senza grandi studi, dove una simile posizione porterebbe e dove ha già, in qualche luogo e qualche tempo, portato.
Dall’articolo in questione, passo ad una delle ultime fatiche della Hack, “Perché sono vegetariana”. In questo breve lavoretto la Hack riassume fatti e idee fondamentali della sua vita. Prima di analizzarli vorrei però riflettere su due vicende: la nascita della Hack a Firenze, in via Ximenes, e il conferimento alla Hack, nel 1994, del premio scientifico (uno dei pochissimi da lei ottenuto) denominato “Targa Piazzi”. Ximenes e Piazzi: chi erano costoro? Leonardo Ximenes fu un sacerdote gesuita della Toscana del Settecento. Astronomo, “geografo imperiale” di Francesco Stefano, “matematico reale” dell’arciduca Pietro Leopoldo di Toscana, tra le altre cose fondò l’osservatorio astronomico di Firenze che ancora oggi porta il suo nome e fu impegnato per un trentennio (1755-1785) nei principali lavori idraulici e stradali del Granducato e di altri stati italiani. Inoltre lavorò con grande successo alla bonifica delle paludi maremmane, lottando contro la malaria e il paludismo. I suoi successori all’Osservatorio astronomico ximeniano di Firenze furono a lungo sacerdoti, per lo più scolopi, con grandi meriti in campo scientifico sino alla I metà del Novecento. E Piazzi? Giuseppe Piazzi (1746-1826) fu un sacerdote teatino, fondatore e direttore dei prestigiosi osservatori astronomici di Palermo e Napoli (Capodimonte). Nel 1801 inoltre scoprì il primo degli asteroidi, cui dette il nome di Cerere, assurgendo così a fama internazionale. Casi isolati di cattolici e di sacerdoti, amici dell’astronomia, più unici che rari?
Al contrario. Per rispetto della storia sarà bene ricordare che per un lungo periodo, circa sino al 1750, furono le cattedrali a fungere da embrionali osservatori astronomici e a fornire lo spazio per la costruzione di importanti meridiane, tra cui quella, celeberrima, di Bologna[1].
E proprio a Bologna, città dello Stato pontificio, nacque nel XVI secolo il primo osservatorio astronomico, “con il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede” e con il sostegno, protratto e rinnovato nel tempo, di altre autorità ecclesiastiche[2].
Tornando agli anni di Piazzi e Ximenes, fu l’abate Giuseppe Toaldo (1719-1797) l’autore del progetto di conversione della Torlonga di Padova nell’ Osservatorio Astronomico padovano, di cui dal 1806 sarà direttore l’abate Vincenzo Chiminello (l’Enciclopedia Treccani ricorda che quest’ultimo fu anche professore di astronomia e meteorologia nell’università della città e fu “tra i primi a eseguire e a registrare sistematiche osservazioni meteorologiche, riconobbe esservi due massimi e due minimi barometrici diurni”). Analogamente a Firenze, Padova, Palermo, Napoli, Roma (dotata di ben 3 osservatori) ecc. anche a Torino le origini delle locali ricerche astronomiche videro protagonista un sacerdote, che è stato anche il padre dell’elettricismo italiano ed un importante metereologo: il sacerdote scolopio Giovanni Battista Beccaria (1716-1781)…

Potrei continuare a lungo elencando per esempio i circa 40 gesuiti astronomi cui sono dedicati crateri lunari, oppure il fatto che gran parte della metereologia e della sismologia nacquero grazie a monaci e religiosi. Per brevità, però, basti ricordare alla Hack e ai suoi fans, troppo facilmente inclini allo sberleffo nei confronti dei credenti, che nella storia dell’astronomia i grandi nomi non sono quelli di atei (nessuno), ma quelli dell’ecclesiastico Niccolò Copernico; del cattolico Galilei; del fervente cristiano protestante Keplero; del fondatore della spettroscopia e pioniere dell’astrofisica moderna padre Angelo Secchi…per arrivare, in tempi più recenti, al sacerdote gesuita che per primo ipotizzò l’espansione delle galassie e il big bang, Georges Edouard Lemaître (1894-1966). Se invece vogliamo stare in Italia, in tempi più recenti, si possono ricordare il nome di don Giuseppe Tagliaferri, presidente della Società astronomica italiana e quello dei cattolici Livio Gratton, Piero Benvenuti, Marco Bersanelli…, nessuno dei quali inferiore, quanto a meriti, anzi!, alla più celebre Margherita. Livio Gratton, per esempio, fu astronomo triestino morto nel 1991, che diede contributi in vari campi, sino a divenire presidente della Società astronomica italiana e vicepresidente dell’Unione astronomica internazionale; Piero Benvenuti, vivente, è stato presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dal 2004 al 2007; nel giugno 2007 è stato nominato Consigliere di Amministrazione dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze; Bersanelli, infine, è un “ciellino” tra i responsabili del satellite Planck.
Dopo questa digressione storica torniamo al librino in questione. In esso la Hack sostiene, in coerenza con la dottrina teosofica ricevuta in eredità dai genitori (nella foto la fondatrice della Teosofia), e in accordo con le religioni orientali, di origine indiana, di cui si dichiara ammiratrice, il vegetarianesimo e l’animalismo. Il testo è dunque una descrizione minuziosa delle sofferenze degli animali sottoposti a macellazione, sperimentazione, vivisezione e quant’altro, intessuta di strali verso religione cattolica (non potevano mancare) e di professioni di fede materialista. Interessa qui riflettere almeno su due fatti. Il primo: l’esaltazione delle filosofie induiste, proposta ad ogni piè sospinto in alternativa al cristianesimo, occulta il fatto che nella storia della scienza le religioni orientali non solo non hanno dato alcun contributo, ma anzi hanno funto e fungono tutt’oggi di ostacolo a qualsiasi progresso scientifico. Mentre il continente in cui sono sorte le università, la scienza e la medicina è proprio quell’Europa, profondamente segnata dalla religione cristiana, di cui la Hack non sembra apprezzare la storia, specie quella passata. Il secondo: la concezione della Hack porta coerentemente ad annullare la specificità dell’uomo, ridotto ad un aggregato di materia senza alcuno scopo ultimo. Così, per riallacciarmi a quanto si diceva all’inizio, allorché si ricordava l’assoluto disprezzo della Hack per l’embrione umano, rimane una forte perplessità: come può la celebre opinionista (che ha fatto anche, tra le altre cose, l’astronoma), stracciarsi le vesti con tanto, encomiabile, passione, per la salvezza degli animali, senza mai spendere una parola che sia una contro la vivisezione e la macellazione degli embrioni e dei feti umani con l’aborto, la sperimentazione in laboratorio, la clonazione…? Può, certamente, perché anche la Hack appartiene a quella grande famiglia degli animalisti – che va dai verdi nazisti sino a Peter Singer, passando per quella bioeticista italiana che ha riproposto recentemente la liceità pagana dell’infanticidio-, che negando l’esistenza di Dio e dell’anima umana, finiscono poi per abbassare l’uomo sotto al livello dell’animale. Così, ancora una volta, diventa chiaro che senza Dio, anche l’uomo è destinato a perdere il suo valore e significato. E la creazione diventa, come ebbe a dire proprio la Hack, la grande “scoreggia del Big bang”. Ma non è scienza questa, è solo materialismo marxista sotto mentite spoglie. (parte di questo articolo è comparso su Il Timone)


[1] http://www.disf.org/AltriTesti/Heilbron.asp.
[2] “Non c’è da stupirsi, quindi, se il primo osservatorio italiano nasce nel solco dell’antica tradizione astronomica bolognese. Ai primi del XVIII secolo, il conte Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730) aveva incaricato Eustachio Manfredi (1674-1739) di erigere a sue spese una specola astronomica nel suo palazzo, già sede di molteplici attività scientifiche, grazie alle collezioni di strumenti di cui Marsili era in possesso e che metteva a disposizione degli studiosi. La Specola di Palazzo Marsili fu in attività fino al 1709, anno in cui i familiari di Marsili si opposero alla cessione della parte del Palazzo dove erano ubicati i vari laboratori che egli intendeva donare alla città di Bologna.Marsili smantellò i vari laboratori, nell’intento di trasferire gli strumenti in altra città, intento da cui le autorità bolognesi lo fecero recedere, offrendo garanzie per la loro adeguata conservazione e il loro regolare utilizzo attraverso l’allocazione di appropriate risorse umane e finanziarie. Bologna tuttavia era una città dello Stato Pontificio e, come tale, occorreva il consenso ed il supporto finanziario della Santa Sede, che non mancò. Marsili seppe perorare la causa presso Clemente XI, facendogli dono delle otto splendide tavole dipinte da Donato Creti (1671-1749) raffiguranti le osservazioni astronomiche dei vari corpi celesti, in cui erano riprodotti gli strumenti originali della specola marsiliana. La nuova specola era parte di un più ampio progetto, che era la fondazione dell’Istituto delle Scienze di Bologna, in cui sarebbero confluiti i vari gabinetti scientifici marsiliani; per questo progetto, il Papa concedette un primo finanziamento di 2.400 scudi, cui seguirà nel 1720 un secondo contributo di 15.000 scudi per completare i lavori nella sede di Palazzo Poggi…” (http://www.disf.org/altriTesti/Chinnici.asp). I successori di Clemente XI non furono da meno nel supportare il progetto: Innocenzo XIII diede ordine che l’Osservatorio fosse ultimato in tempo per essere visitato dai pellegrini dell’Anno Santo del 1725; in effetti, esso iniziò a funzionare nel 1727, sotto la sempre vigile guida di Manfredi, che ne aveva curato il trasferimento e la costruzione. Clemente XI elargì un nuovo finanziamento per l’Istituto delle Scienze nel 1738, grazie al quale Manfredi riuscì a rinnovare la strumentazione. Non solo i Papi, ma anche diverse altre autorità religiose contribuirono con donazioni, in termini di denaro o di strumenti: tra questi, i cardinali Sebastiano Antonio Tanari e Giovanni Antonio Davia, che fecero dono, rispettivamente, di un pregevole cannocchiale dell’ottico Campani e di una serie di strumenti, tra cui un orologio astronomico, un quadrante, un cannocchiale ed un telescopio riflettore newtoniano. Bologna, pertanto, è un tipico caso in cui la Chiesa — nelle sue varie personalità e/o autorità — ha contribuito con dei mezzi finanziari allo sviluppo e all’impianto di un osservatorio astronomico vero e proprio, dove svolgere ricerche in modo istituzionale.
(F. Agnoli)

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Margherita Hack
Margherita Hack, un ateismo poco scientifico
di Tommaso Scandroglio
Alle prime ore dell’alba di ieri è morta a 91 anni l’astrofisica Margherita Hack. Di lei sono maggiormente note le sue posizioni atee e liberiste in campo etico più che la sua attività scientifica. Partiamo da questo secondo aspetto. Fu una grande scienziata? Quando proposero la sua candidatura a senatrice della Repubblica con nomina presidenziale per i suoi meriti scientifici, lei stessa ammise: «È un onore, ma non credo di meritarlo, non ho scoperto nulla». Certo: fu docente universitario, membro di diversi enti di ricerca e direttrice dell’Osservatorio Astronomico di Trieste, ma la Hack vantava un curriculum accademico dello spessore di tanti altri suoi colleghi. Anzi, più di una volta cadde in veri e propri strafalcioni.
L’astrofisico Piero Benvenuti, docente presso l’Università di Padova, staff member dell’Agenzia Spaziale Europea, sub-commissario dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Direttore dell’Osservatorio IUE, già responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble” e Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), un paio di anni fa – in un’intervista a Dire Donna - trovò non pochi errori nel libro divulgativo della Hack “Il mio infinito”: dal cosiddetto “paradosso di Olbers” al principio di indeterminazione. «Non è nuova nell’inventare spiegazioni “pseudoscientifiche” – commenta Benvenuti - in una trasmissione televisiva recente affermava che per deviare dal suo corso un asteroide sarebbe stato sufficiente farlo “attrarre” da una grossa astronave!». A dei bambini di una scuola l’astrofisica toscana disse che il Big Bang era stato come una “grande scorreggia dell’Universo“. Giorgio Israel, docente a La Sapienza di Roma, battezzò questa teoria come la “cosmopetologia di Margherita Hack”.
Come accennato, però la Hack era nota soprattutto per le sue posizioni atee. Iscritta al Partito Radicale Transanzionale, militante poi del Partito dei Comunisti italiani, nel 2011 prese la tessera del partito Democrazia Atea. E’ stata anche presidente onorario dell’Unione degli Atei e degli Agnositici Razionalisti e si iscrisse all’Associazione Luca Coscioni. Un pedigree laicista di tutto rispetto. Una volta, invitata a parlare dall’Istituto religioso Euromediterraneo, ebbe a dire: “L’idea di Dio nasce per spiegare ciò che la scienza non sa spiegare. La scienza dice cosa sono le stelle, come funzionano. Sappiamo ricostruire un album di famiglia dell’universo ma non sappiamo dire perché sia fatto così.  Ed ecco che è stato inventato Dio.  Dio è comodo, troppo comodo. Ma è un’idea infantile, come Babbo Natale. […] Perché mai gli uomini, vedendo che continuano a scoprire cose nuove, una dopo l’altra, dovrebbero inventarsi un Dio Creatore di tutto, piuttosto che attendere fiduciosi i prossimi successi della Scienza?”. 
Simili argomentazioni le troviamo anche nel libro di Stefano Sbalchiero “Scienza e spiritualità” dove la novantenne Hack rispose all’intervistatore che «quando non ci sono delle risposte le persone si rifugiano in Dio, trovando tutte le spiegazioni che fanno al caso loro. […] La religione, e il Dio delle grandi religioni, mi sembrano una scorciatoia per superare la fatica del pensare con la propria testa e con una libertà maggiore». La scienza è un «allenamento della mente, a capire, a porsi domande, a cercare risposte, invece di accettare verità assolute e dogmatiche».
Una posizione apodittica, quella della scienziata toscana, perché le prove razionali – “scientifiche” per dirla alla Hack – dell’esistenza di Dio esistono, come ha dimostrato tra gli altri Tommaso D’Aquino, invece le prove che qualcosa non esiste – in questo caso Dio – sono impossibile da produrre. Ed infatti lei stessa lo ammise una volta: «tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta a bisogni personali diversi».
Ed infatti Margherità Hack seguiva ciecamente il credo scientista che vede nel creato stesso la divinità. Commentando su Repubblica la scoperta del bosone di Higgs così infatti si espresse: «io come atea vedo nella “Particella di Dio” un fenomeno che mi ha creata. Io la particella di Dio la chiamerei addirittura Dio. Se la materia è tutto ciò che esiste e il bosone di Higgs è quello che spiega come le particelle acquistano massa…eh, allora allora vuol dire che il bosone di Higgs è Dio». Uno scientismo ovviamente nichilista incapace di trovare la causa prima di tutto l’esistente come ebbe a scrivere nel suo “Il perché non lo so. Autobiografia in parole e immagini”, uscito proprio quest’anno. Scrisse non solo di stelle ma anche di animali (era convinta vegetariana): “I gatti della mia vita”, “Nove vite come i gatti”, “Perché sono vegetariana” dove l’atea Hack, facendo un’eccezione, incensava la religione induista perché benevola verso gli animali. E poi discettò anche di religione: “Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete” e “Libera scienza in libero stato”.
In campo etico era a favore di aborto, eutanasia (redasse un testamento biologico), fecondazione artificiale, sperimentazione sugli embrioni umani (ma contraria alla sperimentazione animale) perché “l’embrione è solo una cellula” e omosessualità. In relazione a quest’ultimo tema nel 2010 fu premiata a Torre del Lago Puccini come “Personaggio gay dell’anno” e in quell’occasione dichiarò in merito al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali: “Noi siamo un paese arretrato, che non sa cos'è il rispetto della libertà. Il Vaticano è certamente un deterrente che influenza la classe politica, ma la politica non è libera e non ha il coraggio di reagire. E se non reagisce questo significa che è più bacchettona della Chiesa e non sa cos'è il rispetto della libertà altrui”. In una puntata di qualche mese fa di Porta a Porta dedicata alle cellule staminali, la Hack attaccò duramente i comitati etici degli ospedali e dei centri di ricerca affermando che in campo scientifico conta l’utile e non l’etica.
La vicenda mediatica della Hack è comunque paradigmatica di una certa strategia del fronte laicista e pro-choice. Si prende un esperto in un settore scientifico e lo si fa parlare di tutto, sicuri che la qualifica di “scienziato” lo accrediterà alle grandi masse come “persona infallibile”. Il camice bianco o la provetta in mano è prova certa dell’esattezza dell’affermazioni dello scienziato anche in campi a lui sconosciuti. Che si parli di stelle o di ovociti è la stessa cosa: la Hack non poteva sbagliare. E’ dunque un’operazione che vede l’estensione indebita di una competenza scientifica in ambiti dove non sussiste questa competenza. Al presentatore Fabio Volo in una chiacchierata televisiva di un annetto fa che era finita sul tema della morte disse: “La materia servirà a qualcos'altro, posso diventare un cane, un gatto, un sasso”. Il credente sa che ora la scienziata fiorentina ha dovuto rivedere perlomeno questa sua ultima teoria. Che a lei non manchino dunque le sue preghiere.