venerdì 14 giugno 2013

La guerra degli angeli ribelli



Uno dei fatti più misteriosi della storia sacra così come ci è rivelata dalla fede cristiana, un fatto poco studiato e difficile da descrivere e spiegare, è il contrasto radicale ed insanabile che all’inizio della creazione si è verificato tra gli angeli obbedienti e gli angeli ribelli nei confronti della santissima ed onnipotente volontà divina, per cui i primi sono stati premiati col paradiso,  mentre i secondi sono stati precipitati nell’inferno.
Si tratta di un conflitto che ha fondamentalmente due fasi: una prima, che percorre tutta la storia dell’uomo decaduto e redento sino alla Parusia. In questa fase Satana tenta di strappare l’uomo a Dio ed è contrastato dagli angeli fedeli; ed una seconda, destinata a durare per l’eternità, che inizia con la Parusia e la vittoria finale di Cristo su Satana, con la conferma della beatitudine per gli eletti e della pena eterna per i reprobi.
A questo fatto drammatico primordiale accenna l’Apocalisse laddove si parla della guerra di Michele con i suoi angeli contro il Dragone e i suoi angeli. Cosa strana è che il fatto sia narrato nell’ultimo libro della Bibbia, come se si trattasse di un evento futuro, quando lo scontro avvenne, con ogni probabilità, subito dopo la creazione degli angeli, probabilmente ancor prima della creazione di Adamo. Probabilmente l’Apocalisse intende parlare dello scontro finale, che riprende e conclude quello primordiale.
Come concepire questo scontro? Il modello che noi abbiamo è evidentemente quello del conflitto fra esseri umani, uno scontro tra buoni e cattivi, ovvero l’esempio di una guerra giusta: pensiamo alle battaglie del Popolo eletto narrate dalla Scrittura, alla liberazione del Santo Sepolcro da parte dei Crociati (per esempio l’Ordine dei Templari), alla battaglia di Roncisvalle contro i Saeacenni, alla guerra contro i càtari nel sec.XIII, alla battaglia di Lepanto, alla battaglia di Vienna del 1683 contro i Turchi, allo sbarco in Normandia durante la seconda guerra mondiale, o alla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista.
Si è trattato per lo più di uno scontro delle forze cristiane in difesa della cristianità contro gli infedeli aggressori o, nei tempi moderni,  della democrazia contro la tirannide. Pensiamo insomma e soprattutto alle guerre della cristianità contro i  nemici del cristianesimo, sempre benedette dalla Chiesa. Diverso è il caso delle guerre moderne, combattute per ideali di libertà, di democrazia e di  patriottismo. Siccome qui l’ideale cristiano non emergeva esplicitamente, e a volte le cose non erano chiare (pensiamo al fenomeno del fascismo), la Chiesa si è tenuta in disparte, pur senza disapprovare: pensiamo per esempio all’istituto dei cappellani militari.
Tuttavia, nel caso della storia umana, anche le guerre giuste di fatto sono spesso inquinate da deplorevoli deviazioni, episodi di violenza irrazionale, mentre la parte avversa non è priva delle sue ragioni e di gesti eroici. A differenza infatti di quanto è avvenuto nel mondo degli angeli, dove abbiamo allo stato puro lo scontro tra il bene e il male, negli esempi surriferiti, riguardanti le vicende umane, non troviamo mai nella loro purezza lo scontro tra buoni e cattivi, tra giusti e peccatori, tra il bene e il male, il diritto e il torto, il giusto e l’ingiusto, perché ogni essere umano per quanto giusto non è mai del tutto privo di colpa, così come il peggior malvagio non è privo di lati buoni. Questo avviene sia sul piano dei singoli che su quello degli scontri collettivi, che non fanno che riflettere la natura dei singoli.
Questa condizione inevitabile della storia terrena, comprese le giuste guerre che Israele combatteva nel nome di Dio e volute da Dio, dette dalla Scrittura “guerre sante”, non deve però condurci a quella forma di scetticismo ed indifferentismo, oggi di moda, che scusa tutto o al contrario rifiuta tutto, che si crede superiore saggezza o immacolato pacifismo, magari “evangelico”, per i quali, rinunciando ad un attento, oggettivo, paziente e critico lavoro di discernimento e di valutazione delle parti e delle ragioni, si finisce sbrigativamente per riprovare tutto e tutti in una condanna senza appello di ogni guerra, mettendo tutti, vittime e assassini, oppressori e oppressi, liberatori e schiavisti, giusti e ingiusti sullo stesso piano ed ignorando che in realtà nelle guerre troviamo gli eroi e gli abbietti, i coraggiosi e i paurosi, i fedeli e i traditori, e sarebbe grave ingiustizia, in nome della giustizia e della pace, mettere tutti sullo stesso piano di una comune indiscriminata e facile condanna, che oggi trova il plauso di quei pacifisti a senso unico che, se interviene quella data potenza, allora va bene, se invece interviene quell’altra, allora va male. Se l’assassino è di un colore, allora è un assassino; se l’assassino è di un altro colore, allora è un liberatore o un eroe. L’idea che tutti i conflitti umani si risolvano col “dialogo” è una pura utopia che ignora le conseguenze del peccato originale e finisce per tollerare le più orribili ingiustizie.
Questo “pacifismo” non è un superiore equilibrio di giudizio, questo non è favorire la pace, questa mentalità è quella di chi non sa capire che esiste un uso giusto della forza e che questo vale quando si tratta di difendere “i giusti dalle mani degli empi” proprio in vista della costruzione della pace. Gli antichi Romani non avevano torto quando dicevano “si vis pacem, para bellum”. Con un leone che ti aggredisce, non si può dialogare, ma si può solo e si deve tirare un colpo di carabina.
L’opera di distinzione fra il buono e il cattivo, l’innocente e il colpevole, la buona e cattiva volontà, l’obbedienza o la disobbedienza alla legge, la virtù e il vizio, cose fondate in ultima istanza sulla distinzione metafisica tra vero e falso, essere e non essere, resta sempre una delle esigenze fondamentali della convivenza umana e della stessa possibilità della pace e della concordia, per quanto si tratti di un’opera di discernimento delicata e difficile, che raramente ci dà delle certezze e spesso ci lascia nel dubbio, nell’ignoranza o nella semplice ipotesi. Il tenere il piede su due staffe, l’abbinare il sì al no, magari ritenendosi imparziali, aperti e pacifici, è in realtà una ripugnante slealtà apertamente condannata dal Vangelo.
Solo una mentalità, come oggi purtroppo è frequente, improntata a molliccio e furbesco buonismo, sguazza con piacere nell’odioso e sleale  indifferentismo di cui sopra, il quale non solo non rispetta i diritti della pace, ma è proprio il sistema giusto per esasperare i conflitti ed aumentare le ingiustizie.
Ad ogni modo, la fede cristiana, sulla base di una sana coscienza morale, ci dice qui cose almeno in linea di principio certissime, anche se non toglie tutta l’oscurità del mistero relativo ai più profondi penetrali della vita dello spirito e non risparmia per conseguenza la fallibilità dei nostri giudizi.
Solo il giudizio di Dio, al quale in ultima analisi dobbiamo rimetterci, è infallibile. Ecco il senso cristiano del cosiddetto “giudizio particolare” al momento della morte e del “giudizio universale” alla fine dei tempi. Ecco l’importanza del potere giudiziario e di quelli che oggi sono i tribunali internazionali di giustizia.
Se vogliamo trovare allo stato puro lo scontro tra la buona e cattiva volontà, dobbiamo andare a studiare il trattato sugli angeli e cercar di capire che cosa può esser avvenuto all’inizio della creazione, per cui  è sorta la distinzione fra angeli santi e demòni. Chiarire qual è la dinamica e il senso di questo scontro ci aiuterà a far chiarezza anche sulla natura dei nostri conflitti umani ovviamente al fine di favorire la giustizia, la pace e la concordia sotto la santissima volontà di Dio.
Secondo alcuni Padri, la ribellione di alcuni angeli sarebbe stata dovuta al fatto che Dio, subito dopo averli creati, rivelò a tutti gli angeli la sua intenzione che il Verbo si incarnasse in una natura umana. Al che alcuni angeli, invaghiti della loro superiorità naturale sull’uomo, non avrebbero accettato questo piano che prevedeva in qualche modo una superiorità dell’uomo sull’angerlo in quanto immagine di Cristo.
Certo per i buonisti, per i quali tutti hanno buona volontà e retta intenzione, tutti sono in buona fede, tutti sono in grazia e tutti si salvano, mentre il diavolo non c’è, il problema che poniamo non ha senso; ma il fatto è che questa loro idea è semplicemente eretica e noi vogliamo stare nella verità della fede cattolica, la quale invece ci insegna non solo che esiste un’opposizione tra angeli e demòni, ma anche una distinzione tra uomini beati e dannati, che si prepara sin da quaggiù con lo scontro tra chi è orientato al paradiso e chi è sta scivolando nell’inferno.
Certamente chi ama il bene può restare perplesso per non dir sconcertato nell’imparare dalla rivelazione cristiana l’esistenza di creature irrimediabilmente fisse nella loro malvagità – i demòni – e che Dio bontà infinita ed onnipotente ha potuto permettere una cosa simile. Senonchè però non bisogna confondere il bene morale col bene metafisico o trascendentale, la bontà o appetibilità dell’ente come tale: sotto questo punto di vista ogni cosa è buona. E sarebbe bestemmia pensare che Dio voglia il male. I castighi che Egli infligge sono giustizia, non malvagità.
Il male, ci dice la Scrittura, nasce dal peccato dell’angelo. C’è in gioco una volontà finita. Si tratta del’oggetto della volontà – angelo o uomo – creata, la quale per sua natura è aperta al bene e al male; e diversamente non potrebbe essere, al contrario della volontà divina, che per la sua infinita bontà non può che volere il bene. Per questo, se esistono il peccato e la cattiva volontà, dobbiamo credere che è bene che ci siano, altrimenti Dio non li avrebbe permessi.
Come sappiamo dalla risposta della teologia classica, è bene che ci sia il male, in quanto il male consente l’esistenza di un bene maggiore. Ma qui non dobbiamo fermarci su questa questione. Quello che invece propongo qui al Lettore è il senso e significato del conflitto delle volontà, innanzitutto quelle angeliche e poi quelle umane.
La volontà creata è naturalmente orientata da Dio al bene, ma al bene in generale ed astratto. In tal senso la volontà di ogni persona, anche la più malvagia, è buona; ma si tratta di una bontà ontologica che a noi qui non interessa. A noi interessa la distinzione tra buona e cattiva volontà, che non riguarda la metafisica ma la morale e più precisamente il libero arbitrio, che comporta appunto la scelta tra il bene e il male, cioè tra ciò che conviene e ciò che non conviene al fine del soggetto agente, ovvero della sua volontà.
Noi uomini siamo abituati a concepire lo scontro delle volontà nei suoi riflessi materiali: l’Israelita uccide il cananeo, l’assassino uccide l’innocente, il carabiniere uccide il malvivente, il  soldato uccide il nemico, il crociato uccide il musulmano, il cattolico uccide l’eretico.
Oltre a ciò, noi uomini, fallibili come siamo, abbiamo la questione di un atto morale cattivo compiuto in buona o cattiva fede. in noi uomini la volontà è veramente e colpevolmente  cattiva solo nel secondo caso. Può darsi il caso di due volontà parimenti buone, ma mentre la prima evita il male sapendo che è male, la seconda non lo evita scambiandolo per il bene, ossia senza sapere che è male: può sorgere tuttavia il conflitto tra i due evidentemente di orientamento oggettivamente, anche se non soggettivamente, opposto o contrastante.
Qui non c’è colpevole e innocente, ma entrambi sono innocenti, anche se l’uno può sembrare colpevole agli occhi dell’altro. Eppure il conflitto resta. Entrambi sono convinti di aver ragione. Qui abbiamo drammi frequenti nella storia dell’umanità, negli scontri tra cattolici ed eretici, cristiani e musulmani, democratici e fascisti e così via.
Da queste esperienze dolorose, concernenti soprattutto i conflitti di religione, diffusi in Europa nel Medioevo fino al sec.XVIII, ma sotto altre forme anche oggi, è nata la teoria del diritto alla libertà religiosa, ma sono nate anche teorie relativiste o indifferentiste (“nessuno ha ragione e tutti hanno ragione”) che finiscono col fare più male che bene.
Indubbiamente la vera certezza esclude l’inganno o l’errore anche in buona fede. Chi si sbaglia in buona fede agisce sulla base di una convinzione soggettiva non veramente fondata, per quanto possa avere l’apparenza della certezza, ma si tratta più di uno stato psichico di autosuggestione che di un giudizio razionale.
In un conflitto di idee o di interessi io posso sapere di avere ragione, come sono certo che 2+2=4, per cui il mio avversario può essere colpevole o in buona  fede, ma una cosa comunque è certa, che egli non può essere certo della sua ragione, come a dire che se ho ragione io, non può aver ragione anche lui, altrimenti si andrebbe contro il principio di non-contraddizione: se il panteismo è sbagliato, non può nello stesso tempo essere vero; se l’aborto è un crimine, non può nello stesso tempo esser lecito; se l’omosessualità è un peccato, non può nel contempo essere espressione di libertà. O ha ragione l’uno o ha ragione l’altro. Tertium non datur.
Per questo, se siamo certi d’avere ragione soprattutto in cose importanti, nulla e nessuno deve smuoverci dalla nostra convinzione, quale che sia l’opposizione che riceviamo o la dignità della persona che ci si oppone o la forza con la quale si oppone. Non dobbiamo lasciarci impressionare dall’accanimento o dall’ostinazione o dalla cecità dell’avversario.
Non devono venirci dubbi. Chi rimane impressionato o spaventato dall’aggressività dell’avversario e dagli insulti o dai rimproveri che gli lancia, prescindendo dalla questione di chi ha ragione, è un essere meschino che dimentica la dignità razionale dell’essere umano e fa come il gatto che si spaventa quando vede il cane.
Occorre quindi esser  pronti a combattere e soffrire per le proprie idee, anche se ciò dovesse portarci ad un conflitto duro col nostro avversario. Nelle guerre combattute con estrema durezza da ambo le parti può essere che entrambi gli eserciti fossero fanatizzati a magari battagliassero entrambi in buona fede. Ma ricordiamoci che l’aggressività del fanatismo assomiglia all’eroismo del combattente per la giustizia. Solo da un esame attento della questione e non dalla superficiale considerazione del furore di entrambe le parti si può capire se uno aveva ragione e l’altro aveva torto.
Quanto allo scontro tra volontà angeliche, qui non ci sono aspetti materiali, non ci sono passioni, non esiste l’errore in buona fede, perché l’angelo è puro spirito, per cui nei suoi giudizi  non sbaglia e né si ritratta: se pecca, pecca volontariamente e se è giusto, agisce volontariamente, in entrambi i casi con piena consapevolezza e lucidità, oltre che fermezza irremovibile della volontà.
Mentre lo scontro tra gli angeli oppone santi e ribelli in assoluta chiarezza, nel caso dei conflitti umani entrambe le parti possono essere nel torto, benchè anche qui si dia il caso dell’innocente colpito dal colpevole o in lotta contro il malvagio, come vediamo nella vita dei santi.
Quanto alla città dei demòni, Cristo stesso dice che Satana non va contro Satana, benchè certamente in questa città nata dal peccato non regni l’ordine ma l’anarchia. Tuttavia i demòni si rendon conto che a loro conviene essere uniti nella lotta contro Dio e contro i buoni, si tratti di angeli o di uomini. Qualcosa del genere avviene anche tra gli uomini: capita che eretici di idee anche contrarie tra di loro, si accordino tuttavia per combattere contro la Chiesa.
Il conflitto tra angeli buoni ed angeli malvagi si potrebbe paragonare al contrasto tra la luce e le tenebre all’alba o al tramonto. Nel primo caso la luce avanza e le tenebre retrocedono; l’inverso accade al tramonto. Così il conflitto tra gli angeli va soggetto nella storia da alterne vicende. E qui c’è una somiglianza con i conflitti tra le nazioni, i popoli o le religioni: ora avanza una parte, ora avanza l’altra.
Pensiamo anche all’alternarsi delle stagioni: ora avanza il caldo, ora avanza il freddo. Ora gli angeli buoni diffondono il calore dell’amore; ora i demòni diffondono il freddo dell’odio. I primi promuovono il progresso, la virtù, la felicità e la vita; gli altri generano la decadenza, la corruzione, il disordine e la morte.
Come concepire la battaglia apocalittica tra angeli fedeli ed angeli ribelli? Che vuol dire che i ribelli furono cacciati dal cielo e precipitati nell’inferno? Si tratta forse di un episodio simile a quello per cui noi Italiani ricacciammo gli Austriaci fuori dal nostro territorio nel loro?
Certamente l’angelo in quanto puro spirito non è contenuto in un luogo; tuttavia sappiamo bene come la fede ci parla di paradiso e di inferno come luoghi distinti e separati[1]. Indubbiamente qui non è questione di distanze spaziali; sarebbe ridicolo il pensarlo, e tuttavia si tratta di differenti zone spirituali dell’essere, tali da ospitare la sostanza spirituale che indubbiamente, non essendo Dio, non ha l’attributo dell’ubiquità, ma se è in un’area dell’essere, non può essere in un’altra. Il mistero che ci sarà svelato in paradiso è come concepire tali aree o regioni del creato, che possiamo comunque immaginare quaggiù come analoghe a luoghi, così come si esprime la stessa Sacra Scrittura.
Certo il fenomeno della discordia avviene anche tra noi. Ma nel caso degli angeli che cosa è successo? Che succede? Come immaginare questo conflitto? E quali le conseguenze? E come interpretare la sua irresolubilità, al contrario dei conflitti umani che almeno nella vita presente possono esser risolti?
Nel caso degli angeli lo scontro è stato soltanto spirituale: opposizione di idee, opposizione di volontà, quindi scelte contrarie: obbedienza o disobbedienza a Dio, amore od odio per l’uomo. Possono esistere danni reciproci tra gli angeli, come avviene tra di noi? L’angelo non può evidentemente ricevere danni materiali: l’angelo buono può in qualche modo costringere o legare il malvagio[2].
In generale, è accaduta una separazione e una disarmonia dove prima c’era l’unione e la concordia nel servizio a Dio; col peccato dei demòni sorge invece tra angeli fedeli e angeli ribelli un contrastare reciprocamente la propria azione. L’angelo contrasta l’azione del demonio e viceversa e ciò in riferimento all’uomo e al rapporto con Dio. Naturalmente tutto avviene con la permissione divina e sotto il supremo controllo della Provvidenza, in modo tale che nell’universo, in fin dei conti, anche il male serve al bene e sorge una stupenda armonia di tutto con tutto.
La permanenza dell’angelo nella propria scelta di vita beata o dannata è spiegata da S.Tommaso con la forza e perfezione stessa dell’atto della volontà angelica, consapevole sin dall’inizio del valore del fine ultimo. Da qui la possibilità di una scelta irrevocabile o per Dio o contro Dio senza possibili pentimenti. L’angelo sa perfettamente prima di scegliere tutto quello che l’aspetta, per cui non gli capitano, come succede a noi, delle sorprese o dei fatti successivi che lo spingono a pentirsi o a cambiare idea.
I malvagi, siano uomini o siano demòni, normalmente fanno le vittime per confondere i buoni. Dicono a Cristo i demòni presenti in un ossesso: “Sei venuto a tormentarci?”. Al malvagio la volontà buona dell’avversario appare come cattiva. Questa è la caratteristica della volontà cattiva. Il buono sa distinguere il bene dal male. Al malvagio invece il bene appare come male e il male come bene. Questa è la dinamica fondamentale della volontà, dalla quale nascono i conflitti tra le volontà, negli angeli anzitutto, ma anche tra noi uomini.
Nel caso di noi uomini il problema è più complicato, perchè occorre distinguere nell’avversario se è o non è  in buona fede. In ogni caso, se egli vuole il male o vuole farci del male, dobbiamo opporci e contrastarlo, dica quel che vuol dire. Se è in buona fede, dobbiamo convincerlo dell’errore. Se è in mala fede dobbiamo difenderci o rimproverarlo.
Il conflitto fra gli angeli dura per tutta la storia e per l’eternità. Tuttavia alla fine del mondo, come prevede l’Apocalisse, Satana sarà chiuso per sempre nell’inferno, per cui cesserà la sua guerra contro tutti i buoni, siano essi angeli o uomini.
Il conflitto tra  gli uomini in questa vita è risolubile in forza del perdono e della conversione. Ma se i malvagi non si convertono entro i limiti della vita presente, seguiranno la sorte dei demòni nell’inferno in un’eterna volontaria ed impenitente opposizione a Dio e al bene.
E’ possibile essere certi, da segni opportuni, della propria buona volontà e della cattiva volontà del nostro nemico. Questo non ci autorizza ad odiarlo, ma anzi, secondo il comando di Cristo, va amato nei suoi lati buoni, non certo nella sua cattiva volontà, ma in quanto creatura chiamata alla salvezza e redenta dal sangue di Cristo. Facilmente egli per turbarci sosterrà di aver ragione e ci dirà che il torto lo abbiamo noi. Non turbiamoci, ma perseveriamo con fortezza e tenacia nel bene, pregando per lui perché si penta e si converta.
P.G.Cavalcoli

[1] Vedi la parabola del ricco epulone.
[2] Vedi per esempio nell’Apocalisse Satana chiuso dall’angelo nel pozzo dell’abisso. Il demonio può contrastare l’azione dell’angelo buono a favore dell’uomo.