mercoledì 22 maggio 2013

Soffre, Papa Francesco, per...



...l’impossibilità di confessare. A Buenos Aires, quand’era cardinale, lo faceva sempre. Ogni settimana, una parrocchia dopo l’altra, fino alla periferia della diocesi, per ricordare ai fedeli che il confessionale “non è una tintoria” dove andare a ripulirsi dai propri peccati. Era un momento particolarmente atteso da Jorge Bergoglio: nel chiuso del confessionale, separato da una grata sottile, chiedeva al padre di famiglia quanto tempo al giorno dedicasse a giocare con i propri figli, mentre alle signore “cristiane da salotto, bene educate” domandava se oltre a fare l’elemosina guardassero negli occhi anche il povero cui facevano la carità. Avrebbe voluto farlo fin da subito anche a Roma: uscire liberamente dal recinto delle mura leonine e frequentare le tante chiese e chiesette della città di cui è vescovo, con la sua veste talare bianca e la stola viola propria del confessore. Ci ha provato, qualche giorno dopo l’elezione, andando a celebrare nella parrocchia di Sant’Anna, a pochi passi da San Pietro. Ancora vestito con i paramenti sacri, si era sporto verso le transenne dietro cui si assiepavano fedeli e curiosi: strette di mano, saluti, qualche veloce scambio di parole. Poi, più tardi, la sicurezza gli ha fatto presente che era pericoloso, che dopotutto lui è il Papa e non un semplice curato. Bisognava stare attenti, rispettare (almeno un po’) i protocolli. E Bergoglio “ha compreso subito le nostre esigenze”, ha detto qualche giorno fa il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani. Il Pontefice “ha immediatamente compreso quali fossero le nuove esigenze legate al servizio cui è stato chiamato”, ha aggiunto. 
Si è rassegnato, Francesco, e così non ha ancora potuto varcare il colonnato del Bernini per andare a confessare il suo popolo. Lo ha detto lui stesso, sabato scorso, durante la veglia di Pentecoste con i movimenti. Stava rispondendo a braccio (come spesso fa sia durante le celebrazioni eucaristiche sia in occasioni meno solenni) alle quattro domande che gli erano state poste da alcuni rappresentanti delle varie comunità ecclesiali, quando – mostrando tutto il suo dispiacere – ha detto: “Andando a confessare… qui ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema…”. Confessarsi, aveva detto il Papa in una delle prediche mattutine a Santa Marta lo scorso aprile, “non è una seduta di tortura, ma un incontro con Gesù, che ci aspetta come siamo”. Non serve fare molto: basta entrare in confessionale “con la nostra verità di peccatori, con fiducia, con gioia. L’importante è non truccarsi”. Fondamentale è “provare una benedetta vergogna, essere consapevoli di aver peccato”.  Non era la prima volta che Bergoglio toccava il tema della confessione. Lo aveva già fatto in passato, fin dalle prime omelie. Lui è un gesuita, e per i soldati di Ignazio – passati alla storia anche per essere stati i confessori di re e regine di mezza Europa – la confessione deve essere frequente, perché solo così si ricava consolazione e forza interiore necessarie per la vita. Francesco spera di poter tornare al più presto in confessionale, con il suo nuovo popolo. Anche se al posto della talare nera indossa ora quella bianca di vescovo di Roma.(Matzuzzi)
IlFoglio