venerdì 31 maggio 2013

Qui si misura il cammino dell’umanità




Violenza sulle donne e responsabilità di tutta la società. 

Anticipiamo le conclusioni che il già direttore della «Civiltà Cattolica» ha scritto per un articolo dedicato al tema delle violenze sulle donne in tutto il mondo che apparirà sul numero in uscita della rivista.
(Gianpaolo Salvini) Il cosiddetto “femminicidio” è soltanto il drammatico punto culminante di un comportamento perverso che considera la vittima, in questo caso una donna, come una proprietà personale, una bambola con cui si gioca sinché piace e che si può poi buttare via, o rompere, quando non serve più, o quando non corrisponde più nel modo atteso. Ma questo rivela una profonda distorsione dei comportamenti umani e del proprio relazionarsi con gli altri. A parte i casi chiaramente patologici, si tratta di delitti contro la persona che rivelano un mentalità distorta, che considera l’altro come un proprio possesso. Sono delitti che nascono spesso in un contesto affettivo profondo, talmente appassionato da far perdere il senso stesso dell’amore, che non è mai possesso, ma anzitutto desiderio di fare felice l’altra o l’altro.
Non manca tra gli assassini di donne qualcuno che dice: «L’ho uccisa perché l’amavo», frase che esprime una deformazione totale dell’amore autentico, che è anzitutto rispetto dell’altro e della sua libertà. L’amore è tanto più autentico quanto più è libero. La frase citata in realtà sottintende che l’altra è considerata un proprio possesso esclusivo, nel quale non conta ciò che l’altra liberamente sceglie. Il pensiero sottinteso, anche se non espresso, è in realtà: «Se non sei mia, non sarai di nessun altro». Ma l’amore non è mai sinonimo di possesso, né è accettabile che la morte sia la conseguenza di un amore deviato.
Le donne per secoli sono state culturalmente e socialmente considerate un bene dell’intera società, da proteggere e da difendere, cosa forse necessaria in altre civiltà e in altri contesti culturali, ma che spesso si è tradotta in un loro stato di inferiorità e di soggezione (dal punto di vista economico, di possibilità di studio e di lavoro, nelle scelte matrimoniali non libere e via dicendo), totalmente incompatibile con una civiltà come quella attuale, ma anche con una più profonda comprensione del valore della persona umana e della sua libertà. La soluzione non può evidentemente essere a una sola dimensione, tanto meno quella della vendetta o della ritorsione, quasi a voler infliggere agli autori di questi assassini le stesse sofferenze che hanno inflitto alle loro vittime. Un concetto questo ben lontano da quello di un moderno Stato di diritto, che tende a punire i reati, a far sì che vi sia la certezza della pena, ma che essa tenda anche al recupero del criminale.
Ovviamente il cristianesimo, nel suo insegnamento, si ritrova pienamente in questa concezione della pena, che dovrebbe avere un significato punitivo, ma anche redentivo.
La relatrice speciale dell’Onu contro la violenza sulle donne, la sudafricana Rashida Manjoo, ha parlato della necessità di ricorrere a un approccio globale, che cioè tenga presente allo stesso tempo le dimensioni politiche, operative, giudiziarie e amministrative, raccogliendo informazioni e dati, prevedendo mezzi adeguati per la tutela civile e penale, allestendo adeguati servizi sociali e case rifugio, adottando precise linee guida per le autorità giudiziarie, le forze dell’ordine e per i politici, spesso sinora “distratti” circa questo tipo di crimini. Ma riteniamo indispensabile soprattutto l’opera educativa, a ogni livello, che contribuisca a modificare modelli sociali e culturali di comportamento di uomini e donne e a eliminare i pregiudizi e le consuetudini che si fondano su idee di superiorità di un sesso sull’altro e su ruoli prefissati per gli uomini e per le donne, quasi sempre concepiti in modo favorevole ai primi.
Tutte le componenti della società sono evidentemente chiamate a fare la loro parte in questo compito, che non si esaurisce certo in poco tempo: famiglia, scuola, stampa, Chiesa, media e così via. I modelli culturali e gli usi sociali non si cambiano certo in breve tempo.
Dal punto di vista cattolico, a parte la condanna di ogni forma di violenza nei confronti di altre persone, basta menzionare la Lettera di Giovanni Paolo II alle donne (29 luglio 1995), in cui al n. 5 si afferma: «Come non ricordare la lunga e umiliante storia — per quanto spesso “sotterranea” — di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità? Alle soglie del terzo millennio non possiamo restare impassibili e rassegnati di fronte a questo fenomeno. È ora di condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che non di rado hanno per oggetto le donne». Crediamo sia uno dei punti sui quali si può misurare il cammino compiuto dall’umanità.
L'Osservatore Romano