lunedì 20 maggio 2013

La preghiera che fa miracoli



I miracoli esistono ancora oggi. Ma per consentire al Signore di compierli c’è bisogno di una preghiera coraggiosa, capace di superare quel «qualcosa di incredulità» che alberga nel cuore di ogni uomo, anche se uomo di fede. Una preghiera soprattutto per coloro che soffrono a causa delle guerre, delle persecuzioni e di ogni altro dramma che scuote la società di oggi. Ma la preghiera deve «mettere carne al fuoco», cioè coinvolgere la nostra persona e impegnare tutta la nostra vita, per superare l’incredulità. È questa la raccomandazione affidata da Papa Francesco a quanti hanno partecipato alla messa celebrata questa mattina, lunedì 20 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Nell’omelia il Pontefice ha svolto una riflessione sull’incredulità a partire dal racconto del vangelo di Marco (9, 14-29) su un giovane posseduto dallo spirito maligno e liberato da Cristo. «Non è la prima volta — ha detto il Santo Padre — che Gesù si lamenta dell’incredulità: O generazioni incredule! Tante volte l’ha detto»; e ha sofferto molto per questa incredulità verso le sue parole, il suo messaggio. «Gli volevano bene, la folla andava a salutarlo. Gli volevano bene ma fino a un certo punto. Non rischiavano troppo nella loro fede nei confronti di lui. Non rischiavano. E Gesù soffriva per questo, no? È forte quello che dice oggi: O generazione incredula, fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?».
Il Papa ha poi notato che Gesù è serio nel suo rimprovero. Anzi, si rivolge deciso ai discepoli e chiede di portare il giovane posseduto davanti a lui. «Prende le cose in mano» e quando «Gesù prende le cose in mano, vanno bene». Ma come si fa perché il Signore prenda le cose in mano? Certo non è facile, proprio perché entra in gioco l’incredulità. «Ma perché questa incredulità?» si è chiesto ancora il Papa. «Tutti vedevano che Gesù faceva dei miracoli, tante cose belle. Le parole di Gesù erano tanto belle e arrivavano al cuore». Ed è proprio una questione di cuore: «Credo — ha infatti detto il vescovo di Roma — che sia proprio il cuore che non si apre, il cuore chiuso, il cuore che vuol avere tutto sotto controllo». Abbiamo «paura di fallire». Il Pontefice ha ricordato in proposito quanto avvenuto la domenica della risurrezione, «quando Gesù viene tra i suoi discepoli nel cenacolo. Luca dice: Era tanta la gioia che non potevano credere. Avevano paura che questa gioia fosse un sogno, fosse una fantasia, che non fosse Gesù...».
Tornando all’episodio evangelico, il Santo Padre ha riproposto la domanda dei discepoli che non erano riusciti a scacciare lo spirito maligno dal giovane: «Ma perché noi non abbiamo potuto cacciarlo? Questa specie di demoni, spiega Gesù, non si può cacciare in alcun modo se non con la preghiera». E il padre del fanciullo «ha detto: Credo Signore, aiuta la mia incredulità». La sua è stata «una preghiera forte; e questa preghiera, umile e forte, fa sì che Gesù possa fare il miracolo. La preghiera per chiedere un’azione straordinaria — ha spiegato il Pontefice — deve essere una preghiera che ci coinvolge tutti, come se impegnassimo tutta la nostra vita in quel senso. Nella preghiera bisogna mettere la carne al fuoco».
Il Pontefice ha poi raccontato un episodio avvenuto in Argentina: «Mi ricordo una cosa che è successa tre anni fa nel santuario di Luján». Una bambina di sette anni si era ammalata, ma i medici non trovavano la soluzione. Andava peggiorando sempre, sino a quando, una sera, i medici dissero che non c’era più niente da fare e che le rimanevano poche ore di vita. «Il papà, che era un elettricista, un uomo di fede, è diventato come pazzo. E spinto da quella pazzia ha preso il bus ed è andato al santuario di Luján, due ore e mezzo di bus, a settanta chilometri di distanza. È arrivato alle nove di sera e ha trovato tutto chiuso. E lui ha cominciato a pregare con le mani aggrappate al cancello di ferro. Pregava e piangeva. Così è rimasto tutta la notte. Quest’uomo lottava con Dio. Lottava proprio con Dio per la guarigione della sua fanciulla. Poi alle sei di mattina è andato al terminal e ha preso il bus. È arrivato all’ospedale alle nove, più o meno. Ha trovato la moglie che piangeva e ha pensato al peggio: cosa è successo? Non capisco. Cosa è successo? Sono venuti i dottori, gli ha risposto la moglie, e mi hanno detto che la febbre è scomparsa, respira bene, non c’è niente... La terranno ancora solo due giorni. Ma non capiscono quello che è successo. E questo — ha commentato il Papa — succede ancora. I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega».
La preghiera fa miracoli, «ma — ha concluso Papa Francesco — dobbiamo crederlo. Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera, non una preghiera per cortesia, ma una preghiera con il cuore, e dirgli oggi per tutta la giornata: Credo Signore! Aiuta la mia incredulità. Tutti noi abbiamo nel cuore qualcosa di incredulità. Diciamo al Signore: Credo, credo! Tu puoi! Aiuta la mia incredulità. E quando ci chiedono di pregare per tanta gente che soffre nelle guerre, nelle loro condizioni di rifugiati, in tutti questi drammi preghiamo, ma con il cuore, e diciamo: Signore, fallo. Credo, Signore. Ma aiuta la mia incredulità».
Tra i presenti alla messa, un gruppo di dipendenti della Radio Vaticana, guidati dal direttore padre Federico Lombardi, e i dipendenti dell’Ufficio sistemi informatici del Governatorato. L'Osservatore Romano