martedì 30 aprile 2013

Pronto a cambiare casa


Mancano poche ore al ritorno di Benedetto XVI in Vaticano. Da quando il Papa emerito metterà piede nel suo nuovo alloggio, il monastero Mater Ecclesiae*, inizierà entro le mura leonine l’inedita “coabitazione” col suo successore Papa Francesco.
S’incontreranno i due? Bergoglio, quando ne sentirà il bisogno, lascerà la residenza di Santa Marta per andare dall’altra parte dei giardini vaticani a trovare il suo predecessore? Difficile rispondere. Di certo c’è che una certa collaborazione fra i due è già iniziata, almeno sul piano teologico.
Infatti, come Ratzinger scrisse la sua prima enciclica, la “Deus caritas est”, nel Natale del 2005, rimodellando un testo sul quale stava lavorando il suo predecessore Giovanni Paolo II, così Papa Francesco potrebbe dare presto alle stampe – si dice entro il prossimo autunno – la sua prima lettera enciclica intervenendo su una bozza dedicata la tema della fede che Benedetto XVI gli ha consegnato durante il loro ultimo incontro avvenuto a Castel Gandolfo il 23 marzo. Se la pubblicazione avverrà, potrebbe essere l’inizio di una collaborazione, seppur discreta, anche su altri temi. Ratzinger, infatti, entra al Mater Ecclesiae insieme alla maggior parte dei suoi libri – altri rimarranno nell’archivio segreto – per i quali è stato creato un ampio studio, e seppure non si dedicherà a scrivere, consigli anche teologici al suo successore sarà ben attrezzato per darne.
La “bozza Ratzinger” di questa nuova enciclica, un testo di circa 30-40 cartelle, ha avuto una genesi fulminea. Lo scorso ottobre Benedetto XVI, aprendo un anno dedicato alla fede, ha chiesto all’ufficio dottrinale dell’ex Sant’Uffizio di lavorare su una prima bozza che avesse al centro il tema della fede alla luce dei suoi interventi in merito, non soltanto i testi papali ma anche i libri, su tutti il volume del 1968 “Introduzione al cristianesimo”.
I teologi vaticani, dopo poche settimane, gli hanno inviato un testo che egli ha rimandato indietro chiedendo un ulteriore lavoro. La seconda bozza gli è stata consegnata circa un mese prima dell’annuncio della rinuncia al soglio di Pietro. Egli l’ha tenuta con sé, per poi consegnarla a Bergoglio – evidentemente soddisfatto del lavoro dei teologi vaticani – dicendogli di decidere lui cosa farne. Dicono oltre il Tevere: «Il testo è completo. Non è stato scritto di suo pugno da Ratzinger ma è ratzingeriano in tutto. Dottrinalmente è ineccepibile e ben fatto».
La fede è stato il tema principale del pontificato di Ratzinger. “Dove c’è Dio, là c’è futuro”, fu non a caso il titolo che egli volle dare alla sua terza visita in Germania, nel 2011. Il programma del pontificato aveva al centro il tentativo di riavvicinare gli uomini a Dio. Ma la sfida riguardava e riguarda anche la Chiesa, nella consapevolezza più volte esplicitata che la crisi profonda della Chiesa odierna «è una crisi di fede». È anzitutto la Chiesa ad aver perso la bussola, quasi a non conoscere più l’abc della fede. Di qui un anno dedicato al tema. Di qui un’enciclica ora nelle mani di Bergoglio che, dopo un suo intervento, potrebbe renderla pubblica. (P. Rodari)

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NC Register
(Benjamin Wiker) Perhaps it may seem a bit premature, but here goes: Benedict XVI should be declared a Doctor of the Church. There are, if I count correctly, 33 such esteemed Doctors, the most recent being St. Thérèse of Lisieux, who died in 1897, and the most (...)

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(*): Secondo quanto precisato dal portavoce vaticano, p. Federico Lombardi, Benedetto XVI, che risiede a Castel Gandolfo dal 28 febbraio, dovrebbe trasferirsi nei prossimi giorni alla sua residenza definitiva presso il monastero "Mater Ecclesiae" in Vaticano. Vi proponiamo una sintesi della storia di questa singolare realtà all'interno delle mura vaticana, sorta nel 1994, di Giulia Galeotti pubblicata sull'Osservatore Romano giorni fa.
Il monastero "Mater Ecclesiae"  fu pensato e voluto da Giovanni Paolo II alla fine degli anni Ottanta. In questi giorni di aprile un sole benevolo ha accompagnato gli ultimi interventi di ristrutturazione in un monastero unico nella cristianità per collocazione e carisma. Unico in quel che sarà, ma anche unico in ciò che è stato nella sua breve ma, insieme, antica storia.
Il monastero Mater Ecclesiae è qui, moderno e regolare, quasi al centro del minuscolo territorio vaticano. Dinnanzi, un raro esemplare di Erythrina crista-galli, il cosiddetto albero del corallo originario di Argentina, Uruguay, Brasile e Paraguay, con le sue inconfondibili infiorescenze rosso vivo.
«Scopo specifico di questa comunità è il ministero della preghiera, dell’adorazione, della lode e della riparazione. Per essere così preghiera orante nel silenzio e nella solitudine, a sostegno del Santo Padre nella Sua quotidiana sollecitudine per tutta la Chiesa». Così si legge negli statuti di fondazione del monastero, pensato e voluto oltre vent’anni fa da Giovanni Paolo II, a mezza costa del colle vaticano, nella parte che digrada verso la basilica, tra l’odierno viale dell’Osservatorio e le antiche mura leonine.
Era il 13 maggio 1994: quel giorno, nei giardini vaticani, la neonata comunità femminile di vita contemplativa assumeva su di sé un compito nuovo ma al contempo antico. In forma inedita, infatti, il Mater Ecclesiae si inseriva nella lunga tradizione di donne che — sin dal Calvario — hanno sostenuto, pregando, il cammino di Gesù, prima, e poi degli apostoli e dei successori di Pietro.
I primi studi per il progetto erano stati avviati nel 1989, mentre datano al 1992 i lavori veri e propri per convertire in monastero di clausura — e ampliare con un nuovo corpo di fabbrica — la palazzina prescelta. Costruita a inizio del Novecento e conosciuta come Casetta Giardini, il piccolo e semplice edificio era stato pensato per la gendarmeria. Poi, la destinazione è cambiata più volte, da residenza dei gesuiti direttori della Radio Vaticana a sede di uffici.
Tra cappella, coro, laboratorio, cucina, refettorio, celle, biblioteca, piccola foresteria, parlatorio, infermeria e altri locali di disimpegno, ciclicamente la comunità femminile ospitata sarebbe variata: si decise infatti che il convento avrebbe ospitato a rotazione ogni cinque anni (poi scesi a tre) una comunità religiosa di clausura e di dedizione alla vita contemplativa, scelta dal Papa su indicazione della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.
Parte importante della struttura, il piccolo orto adiacente, per diciotto anni dissodato, curato, coltivato e amato dalle religiose per rifornire la tavola del Pontefice e la loro. Verdura e frutta fatte crescere in modo naturale, ma anche marmellate e conserve. Nel segno della preghiera e del lavoro, le religiose si sono adoperate tra l’altro per il restauro di pergamene, la confezione di mitrie e casule per i vescovi e per il Papa, la cura delle sue vesti, il ricamo. Con un amore tutto particolare per la coltivazione dei fiori: tra i preferiti di Benedetto XVI, le profumatissime rose bianche dedicate al suo predecessore.
Dal 1994 al 2012 si sono dunque succeduti nel monastero vaticano quattro tra i più noti ordini claustrali: clarisse, carmelitane scalze, benedettine e visitandine. E se ciascuno di loro ha portato il proprio spirito e tradizioni, lo ha fatto però osservando regole e costituzioni in diretta dipendenza dal Papa. E sotto l’egida di Maria, raffigurata al culmine della facciata esterna del monastero. Questo legame con la Vergine madre della Chiesa sarà poi ribadito solennemente in due occasioni: nell’anno del giubileo e nel 2006; nel venticinquesimo anniversario dell’attentato a Papa Wojtyla, infatti, il Mater Ecclesiae accolse l’immagine della Madonna di Fátima.
Nella tarda mattinata di venerdì 13 maggio 1994, giorno dell’anniversario delle apparizioni ai tre pastorelli e dell’attentato in piazza San Pietro, giunsero le clarisse. Manifestazione della internazionalità espressamente voluta da Giovanni Paolo II, le sette religiose arrivarono da Nicaragua, Italia, Croazia, Bosnia, Canada e Filippine. L’ottava, ruandese, fu temporaneamente bloccata dalla guerra che dilaniava il suo Paese. Cinque anni dopo, il 15 ottobre — giorno della memoria liturgica di santa Teresa di Gesù — fecero il loro ingresso nove monache carmelitane scalze; provenivano da Italia, Spagna, Polonia, Belgio e Israele.
Nel 2004 fu quindi la volta di otto monache benedettine, giunte da Filippine, Italia, Francia e Stati Uniti. Il loro ingresso avvenne il 7 ottobre, memoria liturgica della beata Maria Vergine del Rosario. Benedetto XVI celebrò due volte la messa da loro e con loro, alle 7.30 del mattino, ogni volta in un clima di grande gioia. La festa del 7 ottobre fu scelta anche cinque anni dopo, nel 2009, in occasione dell’ultimo passaggio di testimone, quando fecero il loro ingresso nel monastero le visitandine, a cui il Papa diede pubblicamente il benvenuto il successivo 24 novembre. Erano sette le religiose dell’ordine della Visitazione di Santa Maria (fondato da Francesco di Sales e da Jeanne-Françoise Fremyot de Chantal): sei spagnole e un’italiana. «La vostra preghiera, care sorelle, è molto preziosa per il mio ministero» disse loro il Papa quella domenica, dopo aver recitato la preghiera mariana dell’Angelus.
Nei suoi diciotto anni di vita, dal monastero Mater Ecclesiae è dunque brillata la ricchezza e la varietà della Chiesa. Nella vocazione e nella provenienza geografica, si è manifestata la sua autentica cattolicità. Visitate quotidianamente da cardinali, vescovi, religiosi e laici, negli anni le religiose hanno raccontato la profondità di un’esperienza ineguagliata di Chiesa, di vicinanza al Pontefice e di condivisione comunitaria. Preghiera, incontro, sguardo sul mondo e sulla cristianità con occhi differenti: nella riscoperta del proprio carisma e della dimensione universale della Chiesa.
Quando Papa Ratzinger «è venuto da noi per la prima volta — raccontò nel 2008 la priora benedettina madre Maria Sofia Cichetti al nostro collega Nicola Gori — ci ha chiesto con molta umiltà e con sofferenza paterna di pregare in particolare per lui, perché, disse, “la croce del Papato è talvolta pesante e quindi da solo non ce la faccio a portarla. Ho bisogno del sostegno e della preghiera di tutta la Chiesa, ma in particolare (…) di voi che avete questa missione specifica”».
Cinque anni dopo Benedetto XVI ha deciso di assumere direttamente sulle proprie spalle quella «missione specifica». E da quello stesso monastero dove tanto si è pregato per lui, sarà lui a pregare per il suo successore e per la Chiesa tutta.
A Pietro che secondo il vangelo di Matteo (19, 27-29) gli chiede cosa ne avremo, noi che «abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito», Gesù risponde: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà la vita eterna».
Giulia Galeotti