martedì 30 aprile 2013

Il cammino verso l'umanità




(Fiorenzo Facchini) «Via humanitatis» ovvero «Sul cammino verso l’umanità» è il tema del workshop internazionale che si è svolto dal 19 al 21 aprile alla Pontificia Accademia delle Scienze grazie a un comitato formato dal cardinale Roger Etchegaray, vice decano del Collegio cardinalizio, da Henry de Lumley (presidente dell’Institut de Paléontologie Humaine di Parigi) e il vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L'incontro ha visto riuniti specialisti di vari settori della paleoantropologia e della preistoria — i quali sono stati anche ricevuti dal Papa — ed ha affrontato il tema dell’emergenza dell’uomo, dei vari stadi evolutivi morfologici e dello sviluppo della cultura. Conoscere quando l’uomo è comparso sulla terra non è solo una curiosità. Esso fa riflettere sull’identità dell’uomo che non può ricercarsi solo sul piano morfologico, ma va vista nel suo comportamento, rivelatore di uno psichismo diverso da quello dell’animale. Le radici biologiche dell’uomo sono nel mondo animale; la parentela con forme preumane, diverse dalle scimmie che conosciamo, e oggi non più viventi, è fuori discussione. La comparsa dell’uomo è stata preceduta e preparata dalla separazione di una linea da quella delle antropomorfe, avvenuta intorno a sette milioni di anni fa in Africa. In questa linea riconosciamo le forme australopitecine che praticavano il bipedismo e anche l’arrampicamento e la sospensione agli alberi. Esso ha determinato un cambiamento sostanziale nel rapporto con l’ambiente ed è stato favorito da un ambiente aperto, creatosi per nuove condizioni climatiche nelle regioni orientali dell’Africa.
Passeranno ancora oltre quattro milioni di anni, che hanno visto nelle regioni dell’Africa numerosi rappresentanti di ominidi, tra cui l’Ardipiteco, l’Australopiteco afarense (Lucy) e l’Australopiteco anamense, per trovare le più antiche testimonianze del genere Homo, documentato da resti scheletrici e dalla cultura litica del ciottolo risalenti a 2-2,5 milioni di anni fa a Kada Gona e Fejei, in Etiopia, e Lokalalei (Kenya) (Henry e Antoinette de Lumley). Ciò mentre ancora sopravvivevano in alcune regioni ominidi non umani, come l’Australopiteco Sediba nel Sud Africa.
La prima uscita dall’Africa viene fatta risalire a Homo habilis, come attestano i reperti di Dmanissi in Georgia di 1,8 milioni di anni. Destano stupore per le piccole dimensioni. Questa località può essere vista come un crocevia per la diffusione dell’uomo in Europa e in Asia. A questa prima uscita ne seguirono altre in epoche diverse (Homo ergaster, erectus, antecessor). A esse vengono collegati i fossili umani di oltre un milione di anni ritrovati in varie località dell’Europa (Atapuerca) e dell’Asia (Israele, Siria, Cina). Per l’Europa i giacimenti di Atapuerca (Spagna) e Tautavel (Francia) documentano la presenza dell’uomo nell’arco di alcune centinaia di migliaia di anni.
Nel colloquio ha avuto una particolare attenzione la tecnologia impiegata dall’uomo, a partire dalle sue espressioni più antiche, quelle dell’industria preolduvana e olduvana, che si evolveranno nel bifacciale. Nei loro artefici va riconosciuta la capacità di progetto e di simbolizzazione, la quale non deve essere vista solo nel linguaggio, nell’arte e nella religiosità, ma anche nei prodotti della tecnologia (simbolismo funzionale). Il bifacciale (la nota scheggia amigdaloide, lavorata su entrambe le facce e sui margini), identificato nelle sue più antiche espressioni, in depositi di 1,6-1,7 milioni di anni fa con Homo ergaster, risulta anche più antico, essendo stato segnalato recentemente in Etiopia in un deposito di 1,8 milioni (Beyene). Nel bifacciale, al di là della funzione, viene riconosciuta una grande forza evocativa per l’armonia espressa nella simmetria della lavorazione che gli conferisce un valore estetico. È un’armonia che l’uomo coglie in tanti aspetti della natura ed esprime il gusto del bello.
Nella tecnologia strumentale rientra la domesticazione del fuoco, forse a partire già da oltre un milione di anni, certamente da oltre quattrocentomila anni. Essa ha avuto grande importanza nella ominizzazione per la protezione, la dieta e la vita sociale.
Negli studi della preistoria le manifestazioni di ordine spirituale (sepolture, arte) hanno sempre ricevuto particolare attenzione. Pratiche funerarie vengono segnalate nei resti di Atapuerca (Spagna) di trecentocinquantamila anni fa e nei neandertaliani. Sepolture con corredo sono state ritrovate con neandertaliani e le prime forme moderne in Israele e in Europa. Esse sono interpretabili in una società che dava spazio al trascendente.
Scoperte recenti hanno arricchito il quadro delle conoscenze sull’arte portando le prime manifestazioni dell’arte mobiliare indietro nel tempo, rispetto a qualche tempo fa. Incisioni su ossa di animali di quattrocentomila anni fa, statuette di duecentomila anni fa, decorazioni e collane di conchiglie centotrentamila anni fa, attestano interessi di ordine spirituale. Ma è negli ultimi trentamila anni che l’arte presenta quasi una esplosione nelle raffigurazioni delle grotte. Le conseguenze della sedentarizzazione tra diecimila e cinquemila anni fa in Europa e il fenomeno del megalitismo possono essere visti nel quadro di una crescente socializzazione caratteristica del Neolitico.
Nel colloquio dell’Accademia non poteva mancare la domanda sulla trascendenza dell’essere umano. L’emergere dell’autocoscienza va visto in una prospettiva di coevoluzione tra genoma e cultura. Si apre il vasto campo delle interazioni tra attività cognitive e reti neuronali. Con la comparsa dell’uomo c’è un trascendimento dell’evoluzione biologica, senza che siano messe da parte le leggi dell’evoluzione. In ogni caso quando si parla di origini dell’uomo deve essere tenuta presente la distinzione tra il principio fondativo dell’uomo, che è di ordine ontologico e lo fa immagine di Dio e capax Dei, e l’origine filogenetica che vede l’uomo in una certa continuità con gli altri viventi. Questi approcci si incontrano nel mondo simbolico e spirituale, ma si sviluppano su piani diversi, in un concorso speciale del Creatore agli inizi dell’umanità come per ogni essere umano, come ha sottolineato il vescovo Sánchez Sorondo.
La prospettiva del futuro dell’umanità e delle responsabilità dell’uomo per l’ambiente e nella globalizzazione è emersa negli interventi finali (Arber, Sabourin), mentre non è mancato un richiamo alla questione del transumanesimo, una minaccia alla dignità dell’uomo (Capelle-Dumont).
Nell’intervento conclusivo del cardinale Etchegaray è riecheggiato ottimisticamente il richiamo alla grande figura di Pierre Teilhard de Chardin che prospetta una visione incentrata sull’uomo, nella sua capacità di dare significato a tutta la creazione e di costruire il futuro alla luce di Cristo, Alfa e Omega. L'Osservatore Romano, 30 aprile 2013.