sabato 20 aprile 2013

Amour, Service & Humilitè



Amore, servizio e umiltà. Pubblichiamo in una nostra traduzione la prefazione scritta dal cardinale arcivescovo di Lione e primate delle Gallie per il libro appena uscito Amour, service & humilité. Exercises spirituels donnés à ses frères évêques à la manière de saint Ignace de Loyola (Paris, Magnificat, 2013, pagine 144, euro 14,50) che raccoglie gli esercizi predicati nel 2006 dal cardinale Jorge Mario Bergoglio per l’episcopato spagnolo.
(Philippe Barbarin) Che Papa Francesco sia innanzitutto un gesuita profondamente radicato nella tradizione ignaziana nessuno lo metterà più in dubbio dopo aver letto questo libro. Ai suoi fratelli, i vescovi della Spagna, nel 2006 predica un ritiro, improntato alla dinamica degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. L’accento è posto essenzialmente e in primo luogo sulla lotta spirituale. Io lo avevo già intuito nell’omelia pronunciata dal Papa il 14 marzo durante la messa celebrata con i cardinali elettori nella Cappella Sistina, all’indomani della sua elezione. In essa ha voluto mostrarci il movimento della Chiesa a partire da tre verbi tratti dalle letture che erano appena state proclamate: camminare alla presenza del Signore («Venite, camminiamo nella luce del Signore», Isaia, 2, 5), edificare la Chiesa (con “pietre vive”, unte dallo Spirito Santo) e confessare la fede in Cristo. Ci ha subito ammonito dicendo: «ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro». E in tono ancora più severo ha aggiunto: «Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo», il Principe di questo mondo.
Sentendolo parlare così, ho pensato alle due celebri meditazioni degli esercizi, quella della «Chiamata del Re temporale» che ci «aiuta a contemplare la vita del Re eterno», e quella «Delle due bandiere». Alla fine di queste meditazioni, l’esercitante è chiamato a fare la sua scelta, a offrire la sua persona, e chiede a Cristo la grazia di poterlo imitare e di essere accolto sotto la sua bandiera.
Non appena conosciuti i risultati del quinto scrutinio del conclave che abbiamo da poco vissuto, il cardinale Bergoglio ha dovuto rispondere alle due domande rituali che segnano la fine del conclave e la rimozione del segreto: «Accetti la tua elezione?» e «Come vuoi essere chiamato?». Alla prima ha risposto: «Sono peccatore, ne sono consapevole, ma ho grande fiducia nella misericordia di Dio. Perché voi mi avete eletto, o piuttosto, perché Dio mi ha scelto, accetto». Il tono e la linea spirituale di questa breve dichiarazione li ritroveremo nel corso dell’intero libro. E alla seconda domanda, «Come vuoi essere chiamato?», ha risposto: «Sarò chiamato Francesco, in memoria di san Francesco di Assisi».
Ho visto allora sovrapporsi nella mia mente le figure di san Francesco e di sant’Ignazio. Certo, tra il popolo cristiano non sono conosciuti e popolari allo stesso modo, ma da tempo penso che il fuoco interiore che ardeva in loro stranamente li avvicini. E nella persona del nostro Papa Francesco ciò è diventato per me evidente.
Quando san Francesco si spoglia dei suoi abiti in una piazza pubblica ad Assisi e decide di lasciare tutto per sposare «Madonna Povertà», non siamo lontani dalla conclusione (che Ignazio chiama «colloquio») della meditazione delle due Bandiere. L’esercitante si volge verso Nostra Signora per chiederle di ottenergli «dal suo Figlio e Signore la grazia di essere accolto sotto la sua bandiera, anzitutto in somma povertà spirituale e, se la divina Maestà così vorrà e intenderà scegliermi e accogliermi, anche nella povertà materiale». Le righe che seguono, dove ci si dichiara pronti a sopportare umiliazioni e insulti «per meglio imitare» il Signore, ci ricordano le famose parole di Francesco a frate Leone sulla «perfetta letizia».
Tutto ciò è mirabilmente riassunto nell’atteggiamento di disponibilità che sant’Ignazio invita gli esercitanti ad assumere fin dall’inizio, in «Principio e fondamento»: «renderci liberi rispetto a tutte le cose create (...) in modo che, da parte nostra, non vogliamo più salute che malattia, ricchezza che povertà, onore che disonore (...) solamente desiderando e scegliendo quello che più ci conduce al fine per cui siamo creati», ossia la lode a Dio e la salvezza della nostra anima.
La decisione personale, la scelta di un uomo che accetta quella di Dio per lui: ecco un primo elemento essenziale in Francesco come in Ignazio.
Un secondo punto di convergenza tra i due è quello della misericordia. Quando sant’Ignazio esorta l’esercitante a meditare sui peccati e sui loro terribili danni per la sua vita, si preoccupa di far avanzare colui che prega solo se accompagnato dalla misericordia. Altrimenti il cammino sarebbe troppo doloroso: «Terminare con un colloquio di misericordia, ragionando e ringraziando Dio nostro Signore, perché mi ha dato vita sino a ora, proponendo di emendarmi con la sua grazia».
L’unico modo per uscire dai propri peccati è di accettare di vederli e di avere il coraggio di confessarli, per esserne liberati. E per riuscire a vederli, è necessario lasciarsi invadere dalla misericordia. Questo è il cammino vissuto da sant’Ignazio dopo le ferite riportare nell’assedio di Pamplona e durante la sua lunga convalescenza. Ed è anche la descrizione che san Francesco fa del suo stesso iter spirituale: «Nel tempo in cui ero ancora nel peccato, la vista dei lebbrosi mi era insopportabile. Ma il Signore stesso mi condusse in mezzo a loro; io li curai con tutto il mio cuore; e in cambio, ciò che mi era sembrato così amaro, si era cambiato per me in dolcezza».
La misericordia e la scelta: sono proprio le due parole che si trovano nello stemma del vescovo Jorge Mario Bergoglio, che Papa Francesco ha deciso di mantenere: Miserando atque eligendo. La frase è presa da Beda il Venerabile nel suo commento alla vocazione di Matteo (Matteo, 9, 9). Nel momento stesso in cui il Signore mostra misericordia verso qualcuno, lo sceglie, l’inonda della sua grazia, e questo dono di Dio diviene la sua missione.
È la storia di Francesco che, sconvolto dalla misericordia di Dio nella sua prigione a Spoleto, si metterà in cammino come un pellegrino, un povero giullare, annunciando il Vangelo a tutto il creato. Ed è anche l’iter spirituale di Ignazio di Loyola. Questi sognava la gloria e i fatti d’arme ma, ferito nel corpo e poi sconvolto dalla lettura della vita dei santi, a Loyola, diviene un compagno di Gesù, ansioso di comunicare a tutti la gioia della misericordia. Entrambi hanno portato molti fratelli nella Compagnia di Gesù e nell’ordine dei frati minori.
Il cardinale Bergoglio ha spiegato che le parole del suo motto riassumono il suo iter spirituale. In gioventù, in un momento di difficile scelta e di conflitto interiore, si confessa. Ed è proprio ricevendo il perdono dai peccati in questo sacramento della misericordia che scopre la scelta di Dio per lui e si decide a cominciare il lungo cammino della sua vocazione. Questa lo ha messo al servizio dei più poveri in America Latina, lo ha condotto in Europa per i suoi studi, lo ha reso responsabile dei suoi fratelli gesuiti in Argentina, ha fatto di lui il pastore della diocesi di Buenos Aires e infine lo ha portato, la sera del 13 marzo, sul balcone di San Pietro a Roma. Ora comincia questo nuovo ministero, quello petrino, nel quale continuerà a servire Dio e i fratelli e le sorelle di tutto il mondo. E la nostra preghiera lo accompagna, perché lui ce lo chiede.
Miserando atque eligendo, tre parole che il lettore terrà presenti nel leggere queste pagine. Vedendo come il cardinale Bergoglio conduce i suoi fratelli, i vescovi spagnoli, al centro del Vangelo e della loro vocazione pastorale, il lettore non potrà non sentire dentro di sé la stessa chiamata alla conversione.
Tutti noi abbiamo bisogno di avvicinarci alla fonte del Vangelo per purificarci e dissetarci, prima di riprendere con gioia il cammino del nostro servizio, nella sequela del Servitore!
L'Osservatore Romano, 21 aprile 2013.

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