lunedì 18 marzo 2013

Per una cultura della misericordia nella Chiesa.


Durante l'Angelus di ieri, il primo del Pontificato, Papa Francesco ha citato un libro di Walter Kasper (*), "un teologo in gamba", lo ha definito. 



Il libro del cardinale presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani a cui si è riferito Papa Francesco  s’intitola Misericordia

Concetto fondamentale del vangelo. Chiave della vita cristiana (Brescia, Queriniana, 2013, pagine 336, euro 26) ed è uscito in Germania nel 2012. Di seguito parte del settimo capitolo «La chiesa sotto il metro della misericordia».
(Walter Kasper) Il comandamento della misericordia non vale solo per il singolo cristiano, ma vale anche per la chiesa nel suo complesso. Come per il singolo cristiano, così anche per la chiesa il comandamento della misericordia è fondato nell’essere della chiesa come corpo di Cristo.
La chiesa non è perciò una specie di agenzia sociale e caritativa; è, nella sua qualità di corpo di Cristo, sacramento della permanente presenza efficace di Cristo nel mondo, ed è, come tale, sacramento della misericordia. Essa lo è come il Christus totus, come il Cristo capo e membra. Perciò nei suoi membri e nelle persone bisognose di aiuto la chiesa incontra lo stesso Cristo. La chiesa deve rendere presente nella storia e nella vita del singolo cristiano il vangelo della misericordia, che Gesù Cristo personalmente è, mediante la parola, il sacramento e mediante tutta la propria vita. Ma anch’essa è oggetto della misericordia di Dio. La chiesa è, come corpo di Cristo, salvata da Gesù Cristo, però racchiude nel suo seno anche peccatori e deve perciò essere continuamente purificata per essere pura e santa (Ef 5, 23.26s.). La chiesa deve perciò domandarsi di continuo in modo autocritico se corrisponde anche effettivamente a ciò che è e deve essere. Viceversa noi dobbiamo comportarci, come fa anche Gesù Cristo, in modo misericordioso e non altezzoso con i suoi difetti e con i suoi errori. Dobbiamo avere le idee chiare al riguardo: una chiesa senza caritas e senza misericordia non sarebbe più la chiesa di Gesù Cristo.
La critica peggiore che si può muovere alla chiesa, e che spesso le viene anche giustamente mossa, è che non fa lei stessa quel che predica agli altri, anzi che è sperimentata da molte persone come una chiesa priva di misericordia e rigida.
Possiamo predicare in modo credibile questo messaggio del Dio della misericordia solo se anche il nostro modo di parlare è caratterizzato dalla misericordia. Dobbiamo discutere con gli avversari del vangelo, numerosi oggi come in passato, con fermezza per quanto riguarda la sostanza, ma non in termini polemici e aggressivi, e non dobbiamo ricambiare male con male. Il fatto di ripagare gli avversari con la stessa moneta non è, alla luce del discorso della montagna, un modo di comportarsi che possa essere giustificato nella chiesa. Anche nelle discussioni con avversari il nostro modo di parlare non deve essere caratterizzato dalla polemica, ma essere animato dal desiderio di dire la verità comportandoci con amore (Ef 4, 15). Dobbiamo combattere la battaglia per la verità energicamente, ma non senza amore, afferma Crisostomo. Perciò la chiesa non deve predicarla ai suoi uditori dall’alto del pulpito con saccenteria; considerare il mondo moderno soltanto negativamente, come decadenza, è ingiusto e come ingiusto viene percepito. La chiesa deve apprezzare le legittime esigenze dell’uomo moderno e i progressi in umanità che ci sono nella modernità, ma affrontarne i problemi e le ferite con misericordia.
Ovviamente non basta che la chiesa parli di misericordia, bisogna fare la verità (Gv 3, 21). Soprattutto oggi che la chiesa è giudicata più in base alle sue azioni che alle sue parole. Il suo messaggio deve perciò fare sentire i suoi effetti sulla prassi concreta e promuovere una cultura della misericordia in tutta la sua vita.
A motivo della mutata e mutevole situazione sociale oggi si pongono nuovi problemi e nuove sfide sociali. In questo contesto richiamiamo l’attenzione solo su un problema: il pericolo dell’imborghesimento della chiesa nel benestante mondo occidentale. In molte comunità si è formato un ambiente, in cui persone che non adottano uno stile di vita più o meno borghese, persone che sono finite sotto le ruote e negli ingranaggi della vita, trovano posto solo a fatica. Questa è una situazione che solo difficilmente si concilia con la prassi di Gesù. Durante la sua vita terrena nulla diede infatti tanto scandalo come il suo interessamento per i peccatori. «Come può mangiare con pubblicani e peccatori?», molti si domandarono infatti in tono di rimprovero. Gesù rispose: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2, 16s.). Tra i pubblicani e le prostitute egli trovò infatti anche più fede che non tra la gente perbene di allora. E degli uni e delle altre egli poté perciò dire che sarebbero stati loro a entrare nel regno dei cieli piuttosto che coloro che si ritenevano persone timorate di Dio (Mt 21, 31s.). Agli accusatori, che gli avevano trascinato davanti una donna sorpresa in flagrante adulterio, disse semplicemente: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei», mentre alla donna — dopo aver constatato che nessuno voleva più condannarla — disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 7.11).
La critica più grave che possa essere mossa alla chiesa è perciò che alle sue parole spesso seguono o sembrano seguire solo poche azioni, che essa parla della misericordia di Dio, ma che molte persone la percepiscono come rigorosa, dura e spietata. Tali accuse risuonano, tra l’altro, quando si parla del modo in cui essa si comporta con persone che nella loro vita hanno commesso dei gravi errori o che sono fallite, con i divorziati che si sono risposati civilmente, con coloro che (secondo il diritto civile) sono usciti dal suo seno spesso solo perché non volevano o non potevano pagare la tassa per il culto, quando ella critica o addirittura respinge persone che non si comportano in modo conforme all’ordinamento ecclesiale o che comunque non rispettano il sistema delle sue regole.
Se la chiesa non vuole solo predicare, ma anche vivere il messaggio gesuano del Padre perdonante e il suo modo di comportarsi con esistenze marginali di quel tempo, allora non deve creare uno steccato attorno a coloro che, allora come oggi, non passano per persone pie. Essa deve, senza per questo denunciare in blocco ricchi e benestanti, avere un cuore per la gente che conta poco, per i poveri, i malati, i disabili, i senza tetto, gli immigrati, gli emarginati, i discriminati, per i senza fissa dimora e anche per gli alcolizzati, i drogati, i malati di aids, i carcerati e le prostitute, che spesso, data la loro grande miseria, non vedono altra via che non sia quella di vendere il loro corpo e di dover non di rado subire per questo pesanti umiliazioni. Ovviamente la chiesa non può mai giustificare il peccato, però deve occuparsi con misericordia dei peccatori. Alla sequela di Gesù non deve mai essere percepita soprattutto come la chiesa dei ricchi, della classe dominante e delle persone socialmente rispettabili. Per essa vale l’opzione preferenziale, non esclusiva, in favore dei poveri nel senso più largo del termine.
Una cultura della misericordia non può limitarsi ad aiuti materiali per altri; necessario è anche un modo cordiale di comportamento. Già Paolo lamenta la formazione di partiti in seno alla comunità (1 Cor 1, 10-17) e critica aspramente il fatto che dei cristiani si mordano e divorino a vicenda, invece di lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio (Gal 5, 15). Tra i Padri della chiesa le lamentele a proposito della mancanza di amore fra i cristiani non passano sotto silenzio. Una delle prime testimonianze postbibliche, la prima lettera di Clemente, deve intervenire per appianare dei contrasti nella comunità di Corinto. Gregorio di Nazianzio si lamenta amaramente e con parole drastiche della mancanza di amore e delle controversie che dilaniano la chiesa, in particolare il clero. «I capi si sono coperti di vergogna». «Ci assaliamo e divoriamo a vicenda». Parole parimenti chiare troviamo anche in Crisostomo. Per lui la mancanza di amore fra cristiani è semplicemente vergognosa. Il lettore odierno trova perciò in questi Padri della chiesa anche qualcosa di cui consolarsi un po’: quel che oggi noi sperimentiamo spesso dolorosamente è tutt’altro che nuovo; in passato le cose non andavano evidentemente meglio.
La cultura della misericordia fra cristiani deve diventare concreta soprattutto in occasione della celebrazione dell’eucaristia, in cui attualizziamo solennemente la misericordia di Dio. La lettera di Giacomo ci impartisce sotto questo aspetto una lezione chiara. «Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: “Tu siediti qui comodamente”, e al povero dite: “Tu mettiti là, in piedi”, oppure “Siediti qui ai piedi del mio sgabello”, non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del regno promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disonorato il povero» (Gc 2, 2-6). Giacomo sottolinea due volte il fatto che Gesù Cristo non fa dei favoritismi e che pertanto non devono farli neppure i cristiani (Gc 2, 1.9).
Quel che vale per la liturgia deve valere per la vita di tutta la chiesa e in modo particolare per lo stile di vita dei suoi rappresentanti. La chiesa predica Gesù Cristo, che per amor nostro si è spogliato della sua gloria divina, si è abbassato ed è diventato povero e come uno schiavo (Fil 2, 6-8; 2 Cor 8, 9). Perciò la chiesa non può testimoniare in modo credibile il Cristo divenuto povero per noi, se essa e in modo particolare il clero danno l’impressione di essere ricchi e altezzosi. Il concilio Vaticano II ha inserito nella costituzione sulla chiesa, Lumen gentium, un passo importante, purtroppo poco citato, sull’ideale di una chiesa povera. Mentre il passo, che si trova nello stesso capitolo, sulle strutture istituzionali della chiesa è spesso e volentieri citato, quell’altro viene sorprendentemente preso poco in considerazione. Chiesa per i poveri, la chiesa può essere alla sequela di Cristo solo se essa, e in modo particolare il clero, cercano di adottare uno stile di vita, se non povero, almeno semplice e poco appariscente. Oggi l’epoca feudale dovrebbe essere finita anche per la chiesa. Il concilio ha perciò rinunciato, in linea di principio, a privilegi mondani.
Naturalmente nessuna persona di buon senso contesterà il fatto che la chiesa ha in questo mondo bisogno di mezzi mondani e di strutture istituzionali per poter svolgere bene il proprio compito. Ma i mezzi devono rimanere mezzi e non devono diventare surrettiziamente fine a se stessi. Perciò i punti di vista istituzionali e burocratici non devono diventare così preponderanti e determinanti da soffocare e opprimere la vita spirituale, anziché favorirla. Il distacco dal potere mondano e dalla ricchezza terrena può perciò trasformarsi in una nuova libertà della chiesa per lo svolgimento della sua autentica missione.
L'Osservatore Romano, 19 marzo 2013.


(*): Sul cardinal Kasper vedi in questo blog i post seguenti:


1. Walter Kasper: Introduzione alla Fede (testo completo)

pubblicato sabato 8 settembre 2012

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2. Walter Kasper: "La Chiesa di Gesù Cristo"

pubblicato venerdi 14 dicembre 2012

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3. Walter Kasper: La sfida della Nuova Evangelizzazione

pubblicato sabato 22 settembre 2012

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Vedi anche:

19 Nov 2012
I lavori sono stati conclusi dall'intervento affidato al cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e intitolato «Ermeneutica e ricezione del concilio Vaticano II». ... Esso rispose a «un tempo nuovo con un ottimismo che nasceva dalla fede in Dio, rifiutando i profeti di calamità e cercando un “aggiornamento”, un ammodernamento della Chiesa». Di fatto ..... Elisabetta della Trinità - "Introduzione agli Scri.