sabato 23 marzo 2013

Papa Francesco: il cristiano non può essere un idiota.



Di seguito il testo dell’omelia dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires e primate dell’Argentina, durante la Messa in onore del santo protettore delle donne in gravidanza, san Raimondo Nonnato (31 agosto 2005).
Quando si ascolta ciò che Gesù dice: Guarda, «Io mando voi, io vi mando come pecore tra i lupi», si vorrebbe chiedere: «Signore, stai scherzando, o non hai un posto migliore dove mandarci?». Perché ciò che Gesù dice fa un po’ paura: «Se annunzierete la mia parola, vi perseguiteranno, vi calunnieranno, vi tenderanno trappole per portarvi davanti ai tribunali e farvi uccidere». Ma voi dovete andare avanti.
Per questo motivo, fate attenzione, dice Gesù, siate astuti come i serpenti ma molto semplici come colombe, unendo i due aspetti. Il cristiano non può permettersi il lusso di essere un idiota, questo è chiaro. Noi non possiamo permetterci di essere sciocchi perché abbiamo un messaggio di vita molto bello e quindi non possiamo essere frivoli. Per questo motivo Gesù dice: «Siate astuti, state attenti». Qual è l’astuzia del cristiano? Il saper distinguere fra un lupo e una pecora. E quando, in questo celebrare la vita, un lupo si traveste da pecora, è saper riconoscere quale sia il suo odore. «Guarda, hai la pelle di una pecora, ma l’odore di un lupo». E questo, questo compito che Gesù ci dà è molto importante. È qualcosa di davvero grande. Gesù ci dice qualcosa che attira la nostra attenzione, quando qualcuno gli domanda: «Bene, come mai sei venuto nel mondo?». «Guarda, io sono venuto a portare la vita e perché l’abbiate in abbondanza, e io vi mando nel modo affinché accresciate la vita, in modo che sia abbondante».
Gesù non è venuto a portare la morte, piuttosto [a portare] la morte dell’odio, la morte delle guerre, la morte della calunnia, cioè a uccidere con la lingua. Gesù non è venuto a portare la morte, la morte che ha patito per difendere la vita. Gesù è venuto a portare la vita per dare la vita in abbondanza, e ci invia a portare la vita, ma ci dice anche: «Preditene cura!» Perché ci sono persone che vivono quello di cui sentiamo parlare oggi, che non sono coinvolte con il Vangelo: la cultura della morte. A loro la vita interessa nella misura in cui è utile, se no non gli interessa. In tutto il mondo, questa erba è stata piantata, quella della cultura della morte.
Stavo leggendo un libro un po’ di tempo fa, in cui ho trovato questa frase inquietante: «Nel mondo di oggi la cosa che vale meno è la vita, quello che vale meno è la vita», che è quindi la cosa più trascurata, la più superflua. Questo uomo anziano, questa donna anziana, sono inutili; scarichiamoli, cerchiamo di mandarli nelle case di cura, come si fa con l’impermeabile d’estate con tre naftaline in tasca, negli ospizi perché pensiamo che ora sono da scartare, perché sono inutili. Questo bambino che è in arrivo è un peso per la famiglia: «Oh no, a cosa serve? Non ho idea. Scartiamolo e rimandiamolo al mittente». Questo è ciò che la cultura della morte ci predica. Questo bambino che ho a casa? Beh, non ho il tempo di educarlo. Lasciamolo crescere come un’erbaccia nel campo, e questo altro bambino che non ha niente da mangiare, nemmeno le scarpette per andare a scuola, e bene, mi dispiace molto, ma non sono il redentore del mondo intero. Questo è ciò che la cultura della morte predica. Non è interessata alla vita. Che cosa interessa? L’egoismo. Uno è interessato a sopravvivere, ma non a dare la vita, ad avere cura della vita, ad offrire la vita.
Oggi, in questo santuario dedicato alla vita, in questo giorno del santo patrono della vita, Gesù dice anche a noi: «Prenditene cura! Io sono venuto a portare la vita, e la vita in abbondanza, ma tu curala! Stai per essere circondato dai lupi, tu sei quello che difende la vita, che se ne prende cura. Cura la vita! Che belle cose così si possono vedere – le conosco! – Che un nonno, una nonna, che forse non può più parlare, che è paralizzato, e il nipote o il figlio arriva e gli prende la mano, e in silenzio la accarezza, niente di più. Questa è la cura della vita. Quando si vedono persone che si preoccupano affinché un bambino possa andare a scuola, perché a un altro non manchi il cibo a sufficienza, questo è prendersi cura della vita. Apri il tuo cuore alla vita! Poiché l’egoismo della morte, la cultura egoistica della morte, è come l’erba nel campo, questa erbaccia, questa erba o erbaccia nera, o questa cicuta, è in crescita, sta invadendo e uccide gli alberi, uccide i frutti, uccide il fiori, uccide la vita. Le erbacce. Ricordate che una volta che Gesù parlò di questo. Egli ha detto: «Quando il seme è vita, cade in mezzo alle erbacce e le spine lo soffocano», le spine dell’egoismo, delle passioni, di volere tutto per se stessi. La vita è sempre dare, si dà, ed è costoso prendersi cura della vita. Oh quanto costa! Costa lacrime. Ma come è bella la cura per la vita, permettere che la vita cresca, dare la vita come Gesù, e dare in abbondanza, per non permettere che anche uno solo di questi più piccoli vada perso. Questo è ciò che Gesù ha chiesto al Padre: «Che nessuno di quelli che tu mi hai dato si perda, che tutta la vita che mi hai dato da curare possa essere curata, che non vada persa». E noi ci preoccupiamo della vita, perché Egli ha cura della nostra vita fin da quando era nel seno materno. È presente nel motto di quest’anno: «Fin dal grembo eri il nostro protettore». Egli si prende cura di noi e ci insegna lo stesso (…). Non possiamo annunciare altro che la vita, dal principio alla fine. Tutti noi dobbiamo curare la vita, amare la vita, con tenerezza, calore.
Ma è una strada piena di lupi e, forse per questo motivo, potranno condurci davanti ai tribunali, forse per questo motivo, per la cura della vita, ci potranno uccidere. Dovremmo pensare ai martiri cristiani. Li hanno uccisi perché predicavano questo Vangelo della vita, questo Vangelo che Gesù ha portato. Ma Gesù ci dà la forza. Andate avanti! Non siate sciocchi, ricordate, un cristiano non può permettersi il lusso di essere sciocco (…). Deve essere intelligente, deve essere astuto, per fare questo. Quando si parla di queste cose della cultura della vita, a cui siamo chiamati, si sente la tristezza per questi cuori in cui, anche fin dall’infanzia, la cultura della morte ha seminato. L’egoismo è stato seminato in loro: «Bene, e che mi importa di quello che succede agli altri», questo è stato seminato in loro. Chi sono io per prendermi cura degli altri? Questa affermazione, vi ricordate, chi l’ha fatta per primo? Caino. «Sono forse io colui che deve nutrire suo fratello?» Questa affermazione criminale, questa frase di morte è un peccato che viene dall’infanzia delle persone che crescono in questo modo di pensare egoistico inculcato in loro, sono uomini e donne educati in questo modo. L’ho detto e lo ripeto – potremmo usarli come soprannomi – io, me, mio, con me, per me, tutto per uno solo, nulla per gli altri, mentre dare la vita è aprire il cuore, e prendersi cura della vita è spendersi con tenerezza e calore per gli altri, portare nel mio cuore l’interesse per gli altri. (…) Non ci dovrebbe essere nessun bambino che non cresce, che non vive la sua adolescenza aperto alla vita. Non ci dovrebbe essere alcun adulto che non si preoccupa di ciò in cui gli altri sono carenti, di ciò di cui altri hanno bisogno per avere più vita e di garantire che non ci sia neanche una sola persona anziana messa da parte, da sola, scartata.
Prendersi cura della vita, dal suo principio fino alla fine. Che cosa semplice, che bella cosa. Padre, perché ci sono così tanti lupi che vogliono sbranarci? Perché, dimmi? Gesù ha forse ucciso qualcuno? Nessuno. Ha fatto cose buone. E che fine gli hanno fatto fare? Se andiamo in fondo alla strada della vita ci possono accadere cose brutte, ma non importa. Ne vale la pena. Lui per primo ci ha aperto la strada. Quindi, andate avanti e non scoraggiatevi. Prendetevi cura della la vita. Ne vale la pena! Così sia.
Traduzione di Benedetta Frigerio dal testo originale pubblicato dall’agenzia di informazione cattolica dell’Argentina (Aica)

Fonte: www.tempi.it

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Il Papa che sarà. Francesco nelle parole del Cardinal Bergoglio
Evidenziazioni a cura dell’autore del blog.


Stiamo entrando in una nuova epoca nella storia dell’umanità. Questo cambiamento epocale è stato generato da enormi salti qualitativi, quantitativi, accelerati e cumulativi visibili nello sviluppo scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle sue applicazioni rapide e varie nei vari campi della natura e della vita. Siamo nell’èra della conoscenza e dell’informazione. Possedere e gestire questi due elementi significa custodire il potere. Questa nuova realtà dell’informazione tecnologica e dell’intercomunicazione cibernetica favorisce lo sviluppo globalizzato dell’universo finanziario, dell’economia, della produzione e dello sviluppo del mercato, soprattutto nel nuovo ordine economico mondiale, neoliberale, caratterizzato da un profilo di mercato libero e aperto. Questa globalizzazione, come ideologia economica e sociale, ha influenzato negativamente i nostri settori più poveri. Le ingiustizie e le disuguaglianze stanno diventando sempre maggiori e profonde. Tutto ciò cade all’interno del gioco della competitività e della legge del più forte, in cui il più forte mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, abbiamo grandi masse della popolazione escluse ed emarginateNon si tratta più del semplice fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma è qualcosa di nuovo: con l’esclusione è interessata alla radice l’appartenenza stessa alla società in cui viviamo,perché così l’escluso non è più sopra o sotto, in periferia o senza potere, ma è fuoriGli esclusi non sono “sfruttati” ma diventano “avanzi”.
Ha preso piede una cultura dualistica dove ciò che appare più moderno e progressista coesiste accanto al vecchio e miserabile. Questa cultura ha come orizzonte una visione individualista e un desiderio consumistico che è dominato da un forte interesse economico. Pertanto, stiamo assistendo a una profonda crisi dei valori e delle istituzioni tradizionali. La conseguenza di ciò è che in questi ultimi anni abbiamo osservato un rafforzamento di alcune espressioni di subculture minoritarie che, copiando modelli del “primo mondo”, chiedono pubblicamente il riconoscimento dei loro diritti.
Nella cultura predominante neoliberale, l’immediato, il visibile, l’ottenere tutto e subito, il superficiale occupano il primo posto e le cose reali cedono il posto all’apparenzaLa globalizzazione ha significato un rapido deterioramento delle radici culturali, con l’invasione di altre tendenze culturali. Per rendersene conto basta ascoltare la musica, o guardare alle aziende alimentari, ai centri commerciali, ai mezzi di comunicazione. Così, con dolore abbiamo ancora da chiederci se veramente c’è un’identità e solidarietà come persone che vanno di là di certe ideologie “occasionali, del momento”.
Il substrato della nostra cultura cattolica è una realtà viva. Troviamo in ampi settori della nostra gente, soprattutto tra i più bisognosi, una riserva morale che guarda ai valori dell’umanesimo autentico che si manifesta nella solidarietà, reciprocità, partecipazione, offrendo spazi reali per la vita comunitaria. Non possiamo tuttavia ignorare anche le debolezze che sono ben presenti: il machismo, l’alcolismo, l’eccessiva paura della punizione divina, la superstizione, il credere nella sfortuna e il fatalismo che fa ricorso anche alla stregoneriaCome arcivescovo di Buenos Aires, posso dire che la tradizione cattolica del nostro popolo affronta oggi la sfida del pluralismo religioso e la proliferazione di movimenti religiosi. La moltiplicazione di questi movimenti è, da un lato il risultato di una reazione del sentimento religioso contro la società materialistica, consumistica e individualista; e dall’altro lato i movimenti approfittano delle lacune nella popolazione che vive nelle periferie e nelle aree impoverite. Coloro che sono in mezzo al grande dolore umano cercano soluzioni immediate a queste esigenze. Questi movimenti religiosi sono caratterizzati dalla loro capacità di penetrazione sottile che permette di colmare, all’interno di un individualismo imperante, il vuoto lasciato dal razionalismo laicoQuesta “spiritualità” è incentrata sulla ricerca di benessere individuale, che nega la sofferenza come parte della vita, che si trasforma in autoaiuto o pseudo miracolo che consente di raggiungere i propri obiettivi, senza un ulteriore impegno per la società.
E’ necessario riconoscere che se parte del nostro popolo di battezzati non sperimenta la propria appartenenza alla chiesa si deve, in molti casi, a una evangelizzazione superficiale che caratterizza gran parte della popolazione, a un cattolicesimo tradizionale senza catechesi e senza vita sacramentale. Se questo accade è anche per l’atmosfera poco accogliente che si respira nelle parrocchie e comunità, e in alcuni luoghi anche per una liturgia altamente intellettuale e verbale e per un atteggiamento burocratico nell’affrontare i problemi complessi della vita delle persone nelle nostre città.
Il processo di secolarizzazione tende a ridurre la fede e la chiesa cattolica nella sfera intima e privataIl secolarismo, negando ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale, un aumento progressivo del relativismo morale che causa un disorientamento diffuso, soprattutto nella fase dell’adolescenza e della gioventù così vulnerabile ai cambiamenti.
La sfida radicale e avvolgente che abbiamo davanti è la profonda crisi di valori della cultura.
Indubbiamente si è avuta una crescente consapevolezza della identità e della missione dei laici nella chiesa. Ma la consapevolezza di questa responsabilità non si manifesta allo stesso modo in tutto il mondo. E questo perché non tutti i laici sono adeguatamente preparati ad assumersi la responsabilità, oppure non riescono a trovare spazio nelle loro chiese particolari per potersi esprimere e agire a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene ai margini delle decisioni e da una partecipazione più attiva.
La formazione dei laici e l’evangelizzazione dei gruppi professionali e intellettuali costituisce una vera priorità pastorale e una sfida urgente. 
La pastorale giovanile, proprio come ci eravamo abituati a portarla avanti, ha subito l’urto dei cambiamenti sociali, e i giovani spesso non trovano risposte alle loro preoccupazioni, ai loro bisogni, problemi e infortuni.
Le vocazioni sacerdotali sono diminuite e talvolta anche le poche che si registrano sono sintomo di una società mutevole e superficiale. Influenza anche la mancanza di spazio interno di tanti giovani a trovare la loro vocazione dalla necessità di trovare uscite immediate che li portano a risolvere premendo i problemi economici. In altri casi la mancanza di zelo apostolico nelle comunità rende difficile suscitare le vocazioni.
Tuttavia, nonostante la crisi vocazionale, c’è più chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Nelle nuove generazioni si registra una fragilità e una mancanza di coerenza che porta in poco tempo all’abbandono dell’abito.
E’ fondamentale valutare lo zelo per l’evangelizzazioneche deve essere sempre più caratterizzato da creatività pastoralespirito missionario e vicinanza a chi è più lontano. Deve crescere il senso di preoccupazione per i poveri.
Ma ci sono anche ombre, che si manifestano in quelle persone che attraverso la chiesa cercano di tagliare traguardi personali. Da più parti, molti fanno troppo poco, sono sedentari.
La parrocchia rimane il riferimento pastorale concreto e attuale. Nelle parrocchie c’è una ricerca per l’esperienza del senso di comunità della chiesa. L’organizzazione delle regioni pastorali, vicariati, decanati hanno contribuito a realizzare piani organici per la pastorale. Ma non si può non riconoscere che, in alcuni casi si continua a dare la predominanza all’aspetto amministrativo su quello pastorale, come allasacramentalizzazione senza evangelizzazione.
La famiglia attraversa una crisi profonda e la risposta della pastorale matrimoniale e prematrimoniale risulta insufficiente. Nella società, il matrimonio come sacramento ha perso molto valore. Una sfida per i sacerdoti è quella di aiutare le persone coinvolte in alcune situazioni matrimoniali che non consentono loro di accedere al sacramento dell’eucarestia a partecipare alla vita della chiesa. Altre volte, pur potendo ricevere l’eucarestia non sono state in grado di farlo. Bisogna incoraggiarli e dare loro il benvenuto nella parrocchia affinché possano accostarsi alla chiesa. La catechesi familiare è stata un contributo molto importante nel collegare le famiglie alla vita della chiesa, ma oggi è in crisi.
La pastorale della catechesi rimane un mezzo privilegiato per trasmettere e rinvigorire la fede della comunitàAl centro di tutto, il Vangelo. Il ministero pastorale biblico si sta aprendo spazi per un’approfondita formazione e la crescita spirituale del popolo di Dio.E’ necessario, però, che per una catechesi più biblica, impegnata ed esperenziale ci siauna preparazione migliore, sia a livello biblico sia a livello teologico.
Molti cristiani vivono ancora una separazione tra fede e vita che si manifesta soprattutto nella mancanza di una chiara testimonianza dei valori del Vangelo nella loro vita personale, familiare e sociale. Anche se nella stessa società e tra i fedeli della chiesa c’è un grande divario tra ricchi e poveri che tende ad aumentare, vale la pena notare la crescita di solidarietà e consapevolezza del dovere della carità. Questo si riflette in quanto – sebbene in molte zone sia aumentata povertà e miseria – si sono moltiplicate le iniziative a sostegno dei più bisognosi, soprattutto da parte di laici.
La pietà popolare è radicata nel cuore e nella vita delle persone, al punto che molte delle tradizioni religiose che sopravvivono danno identità al popolo in luoghi e situazioni. I santuari nel nostro paese, oltre a essere i luoghi dell’espressione di fede popolare, sono diventati luoghi privilegiati di evangelizzazione e di conversione. E’ anche vero che spesso l’accento è stato posto più sulle forme esteriori della tradizione e della devozione che sul contenuto della fede stessaScopriamo in questa pietà popolare un punto d’ancoraggio che abbiamo bisogno di capire, rispettare ed evangelizzareSe da un lato a volte sembra un cristianesimo fatto di devozione, con un’esperienza di fede individuale e sentimentale, dall’altro troviamo anche i valori che possono rappresentare la forza per costruire una società più giusta: la solidarietà con l’uomo sofferente, la sensibilità di bisogno sociale, di voler aiutare coloro che non hanno la forza della fede che si esprime soprattutto in tempi di crisi e di disperazione rivolgendosi a Dio per trovare conforto e speranza, accogliere lo straniero. E’ urgente una forte catechesi anche riguardo la pietà popolare.
Affermiamo la validità della pietà popolare cattolica come una forma di inculturazione e la comunicazione della fede, ma negli ultimi decenni abbiamo notato una certa disidentificazione con la tradizione cattolicala mancanza di trasmissione alle nuove generazioni e l’esodo verso altre comunità (i più poveri verso evangelismo pentecostale e alcune nuove sette) ed esperienze (nella classe media e alta verso esperienze spirituali alternative) che stridono con l’impegno sociale della chiesa. Ciò è dovuto in parte alla crisi del dialogo familiare, all’influenza dei media, al soggettivismo relativistico, al consumismo nel mercato, alla mancanza di accompagnamento pastorale per i più poveri.
In riferimento alla dimensione sociale, avvertiamo una disuguaglianza scandalosa che ferisce la dignità personale e la giustizia sociale. Guardiamo la situazione dell’America latina. Tra gli anni 2002 e 2006 il tasso di indigenza in Argentina è cresciuto dell’8,7 per cento. C’è il 26,9 per cento di poveri e noi facciamo parte della regione più ineguale al mondo. Persiste l’ingiusta distribuzione della proprietà, che configura una situazione di peccato sociale che grida al cielo.
Il testo pubblicato è il discorso tenuto nel maggio 2007 ad Aparecida (Brasile) dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, in qualità di presidente della Conferenza episcopale argentina, alla quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano
e del Caribe.
Fonte: Il Foglio

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Una sezione del sito web dell'arcivescovado di Buenos Aires offre tutte le omelie, discorsi e altri scritti, in lingua spagnola, di Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco. Si tratta di una corposa documentazione che può aiutare a capire ancora di più il magistero del Papa. Quasi sempre si tratta inoltre di trascrizioni di registrazioni poiché, da sempre, Papa Francesco ha avuto l'abitudine di parlare seguendo una traccia elaborata ma con numerose aggiunte improvvisate.