giovedì 21 marzo 2013

Papa Francesco e Israele

 









Già nella Sua prima omelia, con la citazione di Lèon Bloy, è stato chiaro l'atteggiamento di Papa Francesco riguardo ai rapporti con i nostri fratelli maggiori....
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Nel discorso di ieri Papa Francesco si è rivolto, in un passaggio, ai rappresentanti del popolo ebraico al quale – ha detto – “ci lega uno specialissimo vincolo spirituale” e ha sottolineato l’importanza di proseguire quel dialogo fraterno che il Concilio auspicava e che si è realizzato portando non pochi frutti, specialmente negli ultimi decenni. Come arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio ha da sempre portato avanti relazioni fraterne con gli ebrei, come ci conferma, al microfono di Debora Donnini, mons. Eduardo García, vescovo ausiliare della stessa diocesi:

R. – Ha participado a celebraciones, juntos con representantes del hebraísmo…
Ha partecipato a celebrazioni insieme a rappresentanti dell’ebraismo, anche nella Cattedrale, come a Capodanno. Il cardinale Bergoglio ha avuto anche incontri occasionali e settimanali: teneva un programma televisivo di dialogo con il Gran Rabbino di Buenos Aires. Ha sempre avuto un dialogo molto fraterno e molto caloroso con loro, che andava al di là delle formalità: nell’atteggiamento quotidiano, nel dialogo, in quel che era necessario fare, incluse molte delle questioni che avevano come tema una questione sociale, nelle quali lavorava insieme alla comunità ebraica.

D. – Papa Francesco, nel suo discorso, ha citato la dichiarazione conciliare Nostra Aetate per sottolineare che gli inizi della fede della Chiesa si trovano già nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti: questo era un tema molto caro al cardinale Bergoglio?

R. – Si, siempre se ha referido ad ellos como “nuestros hermanos mayores”...
Sì. Si è sempre riferito a loro come “nostri fratelli maggiori”. Quando si rivolgeva alla comunità ebraica, lo faceva dicendo “fratelli maggiori”, sempre con un rispetto molto grande per quel che era il significato della tradizione e per l’importanza che l’Antico Testamento ha anche nella nostra vita cristiana. Per lui, Abramo, il nostro Padre nella fede, è una figura molto importante e sempre la sottolinea.

D. – A poche ore dalla sua elezione, Papa Francesco ha inviato al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, un messaggio nel quale esprimeva il suo desiderio di contribuire al progresso delle relazioni tra ebrei e cattolici…

R. – Es un tema muy importante y lo mas notable es que lo vive…
E’ un tema molto importante e la cosa più rilevante è che lo vive con grande naturalezza. Per lui non è un tema di “politica ecclesiastica”, ma rappresenta un tema spirituale, oltre a essere un tema di relazioni.

D. – Lei diceva che Papa Francesco compie gesti…

R. – Los gestos de acercamientos, los abrazos, el dialogo…
I gesti di avvicinamento, gli abbracci, il dialogo, i colloqui informali che ha avuto, credo che parlino chiaramente di quanto sente nel profondo della sua concezione e della sua spiritualità. Quando si vede ciò che fa, si capisce ciò che pensa e ciò che sente. Lo ripeto: lui sente veramente che sono i nostri fratelli maggiori e quindi si avvicina a loro con questo rispetto e con questa venerazione.


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Il rabbino David Rosen, direttore interreligioso dell’American Jewish Committee (AJC), occupa un ruolo di primo piano nel dialogo tra l’ebraismo e la Chiesa cattolica. ZENIT lo ha intervistato a margine dell’udienza di papa Francesco ai Delegati Fraterni di Chiese, Comunità Ecclesiali e Organismi Ecumenici Internazionali, Rappresentanti del popolo ebraico e di Religioni non Cristiane, alla quale il rabbino statunitense ha partecipato.

Signor Rabbino, Lei ha salutato il Papa in occasione dell’udienza di mercoledì 20 marzo. Cosa ha detto al Pontefice?
Rosen: Quando si fa parte di una delegazione, persino un’udienza privata con il Papa non permette una vera conversazione. Gli ho detto che spero che lui ci aiuti ad approfondire ancora di più la relazione giudaico-cattolica, e che contribuisca anche al progresso della pace in Terra Santa.
Che cosa lui ha risposto?
Rosen: Lui ha annuito e detto: “Sì! sì!”; ha sorriso e mi ha stretto le mani. Non abbiamo avuto molto tempo per dire tanto.
Per quanto riguardo il dialogo tra cattolici ed ebrei, cosa ci si può aspettare nei prossimi anni?
Rosen: La cosa più importante è che i “vaticanisti”, che hanno detto che l’accento posto dal Vaticano sui rapporti con gli ebrei sarebbe diminuito dopo Benedetto XVI e dopo Giovanni Paolo II, e che avremmo avuto un Papa che non si sarebbe interessato molto a questo tema, si sono tutti sbagliati. Si può presumere, con fiducia, che i rapporti giudaico-cattolici saranno un obiettivo importante di questo pontificato. Come sapete, anche oggi, durante l’udienza privata, papa Francesco ha sottolineato nelle sue parole un impegno particolare per i rapporti giudaico-cattolici,mentre ieri, quando ha parlato durante la messa inaugurale, ha dato il benvenuto ai “rappresentanti ebraici e ai rappresentanti di altre religioni”, quindi siamo stati gli unici rappresentanti, insieme ad altri gruppi cristiani, ad essere menzionati per nome.
Possiamo dunque aspettarci un approfondimento delle relazioni tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico.
Se Lei mi chiede quale opera incompiuta vorrei indicargli, direi che la sfida più grande è quella educativa. C’è stata una trasformazione rivoluzionaria nell’insegnamento della Chiesa e nel suo approccio agli ebrei, ebraismo e Israele. E dove ci sono delle comunità ebraiche vibranti e vitali accanto a comunità cattoliche, come negli Stati Uniti, allora questi cambiamenti sono stati assimilati da parte delle istituzioni educative della Chiesa e questo fino alla base. Ma ci sono molti posti nel mondo dove non ci sono comunità ebraiche e dove gli ebrei non appaiono sugli “schermi radar” dei cattolici e luoghi dove persino i vescovi non conoscono il contenuto dellaNostra Aetate e dove questo non fa parte dell’educazione cattolica.
Quindi penso al fatto che papa Francesco venga dall’Argentina: è vero l’Argentina ha una comunità ebraica vitale, così come il Brasile, ma nella maggior parte del resto dell’America Latina non ci sono, e perciò penso che sia molto importante per noi ricevere il suo sostegno, la sua guida e il suo insegnamento - a chiese e a scuole parrocchiali e nella formazione di sacerdoti nel mondo - che questo debba essere una parte integrale del loro programma educativo.
Papa Benedetto ha detto che non si può essere cattolici e antisemiti. Come valuta il pontificato di Benedetto XVI dal punto di vista dei rapporti giudaico-cattolici?
Rosen: Il pontificato di papa Benedetto XVI è stato estremamente importante e penso che molte persone nella comunità ebraica non capiscano quanto sia stato importante. Infatti, non solo ha seguito le orme di Giovanni Paolo II e in un certo senso le ha estese - per esempio ha visitato più sinagoghe in otto anni quanto Giovanni Paolo II nel suo intero pontificato – ma, pur seguendo le orme di Giovanni Paolo II, ha fatto qualcosa di molto importante: perché si sarebbe potuto dire che la visita di papa Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma e in Terra Santa, in Israele, erano delle azioni idiosincratiche di un uomo che ha avuto una personale esperienza di amicizie ebraiche da bambino e a causa dell’impatto della Shoah, e che era per questo che sentiva in sé la necessità di fare questi gesti. Ma Benedetto, seguendo le sue orme e compiendo esattamente le stesse azioni, ha infatti iscritto queste azioni nel tessuto del pontificato e della Chiesa come tale.
Sarebbe quindi naturale adesso, per papa Francesco, visitare la Sinagoga di Roma, venire in Israele, nella Terra Santa e, per molti versi, queste mosse naturali sono state facilitate dall’impegno di papa Benedetto XVI sulle orme di Giovanni Paolo II.
In Francia, Marc Knobel ha pubblicato un importante libro sull’antisemitismo nel periodo 2000-2013. Come rispondere a queste nuove forme di antisemitismo?
Rosen: Sfortunatamente, l’antisemitismo torna nuovamente di moda adesso. Dopo l’impatto della II Guerra Mondiale pensavamo di avere sotto controllo il virus, eppure esso riemerge in molti luoghi in diverse forme. Più recentemente in Ungheria, ad esempio, dove si nota una sorta di antisemitismo neo-fascista; poi si nota, in luoghi come Francia e Belgio un antisemitismo, che è uno sbocco per le frustrazioni arabe focalizzate sul conflitto arabo-israeliano e che crea ostilità nei confronti di chi sostiene Israele.
Poi si vede un antisemitismo che viene da certi ambienti della “nuova sinistra” che vogliono ritrarre Israele come un surrogato d’America. Tutte queste nuove forme di antisemitismo appaiono da destra a sinistra, e richiedono una risposta significativa; confido totalmente in papa Francesco e mi aspetto da lui che sia molto fermo su questo tema perché lui lo comprende. Lui capisce e ha vissuto anche l’attentato contro un centro ebraico a Buenos Aires, il Centro AMIA in cui morirono 85 ebrei (1). Lui fu uno dei primi ad arrivare sul luogo, per mostrare la sua solidarietà e anche per rilasciare una dichiarazione lanciando un appello alle autorità argentine per arrestare i colpevoli. Ha  partecipato l’anno scorso alla commemorazione che ha tenuto nella cattedrale, un evento commemorativo della Kristallnacht (Notte dei Cristalli, ndr).
Abbiamo tutti i motivi per credere che papa Francesco sarà altrettanto impegnato nella lotta contro l’antisemitismo quanto Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. (A. Bourdin)
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NOTE
(1) Attentato del 18 luglio 1994 a Buenos Aires.

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