domenica 24 marzo 2013

Jorge Mario Bergoglio: "La corruzione, male del cuore"




La corruzione, male del cuore
di Jorge Mario Bergoglio
in “la Repubblica” di oggi, 24 marzo 2013.
Il testo è tratto dal libro “Guarire dalla corruzione” di Mario Jorge Bergoglio/Papa Francesco
edito da Emi, in uscita domani.
* * *
Oggi si parla spesso di corruzione, soprattutto per ciò che riguarda l’attività politica. Viene
denunciata in diversi ambienti sociali. Vari vescovi hanno segnalato la “crisi morale” che attraversa
molte istituzioni. Intanto la reazione generale di fronte a certi fatti che sono indice di corruzione è
andata crescendo.
[...] E, tuttavia, ogni corruzione sociale non è altro che la conseguenza di un cuore corrotto... Non ci
sarebbe corruzione sociale senza cuori corrotti: «Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina
l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni,
furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia,
stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7,20-
23).
Un cuore corrotto: qui sta il punto. Perché un cuore si corrompe?
[...] Il cuore umano è cuore nella misura in cui è in grado di riferirsi a un’altra cosa: nella misura in
cui è capace di aderire, nella misura in cui è capace di amare o di negare l’amore (odiare). Per
questo Gesù, quando invita a conoscere il cuore come fonte delle nostre azioni, richiama la nostra
attenzione su questa adesione finalistica del nostro cuore inquieto: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà
anche il tuo cuore» (Mt 6,21). Conoscere il cuore dell’uomo, il suo stato, comporta necessariamente
conoscere il tesoro al quale questo cuore si riferisce, il tesoro che lo libera e lo riempie o che lo
distrugge e lo riduce in schiavitù; in quest’ultimo caso, il tesoro che corrompe. Di modo che dal
fatto della corruzione (personale o sociale) si passa al cuore come autore e preservatore di questa
corruzione, e dal cuore si passa al tesoro al quale è attaccato questo cuore.
[…] In primo luogo, può essere utile addentrarsi nella struttura interna dello stato di corruzione
«soppesando la disonestà e malizia che... porta in sé»; sapendo che, sebbene la corruzione sia una
condizione intrinsecamente legata al peccato, si distingue in alcuni punti di esso. In secondo luogo,
è pur utile descrivere il modo di procedere di una persona, di un cuore corrotto (che è diverso da
quello di un peccatore). In terzo luogo, considerare alcune delle forme di corruzione con le quali
Gesù ebbe a scontrarsi nel suo tempo.
Infine, sarà utile interrogarsi sulla forma di corruzione che potrebbe essere più tipica di una persona
religiosa. È chiaro che può portare in sé una corruzione simile a quella del resto dei mortali, però
qui mi interessa indagare ciò che io chiamerei corruzione minore, cioè la possibilità che un religioso
abbia il cuore corrotto ma (mi si permetta l’espressione) venialmente, cioè che la sua lealtà nei
confronti di Gesù Cristo sia indolenzita da un certo grado di paralisi. Può essere che un religioso
partecipi di un ambiente corrotto? È possibile che un religioso sia — in qualche modo —
parzialmente o venialmente corrotto?
[...] Corruptio optimi, pessima. Questo motto può applicarsi ai religiosi corrotti. E ce ne sono,
eccome. Per saperlo, basta leggere la storia. Nei diversi ordini che hanno richiesto una riforma o che
l’hanno fatta, c’era un maggiore o minore grado di corruzione. Non voglio riferirmi qui ai casi ovvi
di corruzione, ma piuttosto a stati di corruzione quotidiana, che io chiamerei veniale, ma che fanno
arenare la vita religiosa. Come si produce ciò?
Il beato Fabro utilizzava una regola d’oro per individuare lo stato di un’anima che viveva
tranquillamente e in pace: proporle qualcosa in più (magis). Se un’anima era chiusa alla generosità,
avrebbe reagito male. L’anima si abitua al cattivo odore della corruzione. Come succede in un
ambiente chiuso: solo chi viene dall’esterno si accorge dell’aria viziata. E quando si vuole aiutare
una persona così, il cumulo di resistenze è enorme.

Gli israeliti erano schiavi in Egitto, ma si erano abituati alla perdita della libertà, avevano adeguato
la forma della loro anima a quella condizione, non immaginavano un’altra maniera di vivere. La
loro coscienza era addormentata e, in questo senso, possiamo affermare che era una sorta di
corruzione. Quando Mosè annuncia loro il progetto di Dio, «essi non ascoltarono Mosè, perché
erano all’estremo della sopportazione per la dura servitù». (Es 6,9).
[...] Sotto la minaccia della potenza assira, gli anziani d’Israele, stanchi e impauriti, vorrebbero
scendere a patti con il nemico; deve farsi avanti Giuditta a rileggere loro la storia affinché non
accettino come pecore situazioni che Dio non vuole. [...] E gli apostoli preferivano non credere a ciò
che i loro occhi vedevano quella mattina nel cenacolo: dice il Vangelo che «per la grande gioia
ancora non credevano» (Lc 24,41).
Ecco qui il nodo del problema: un percorso doloroso demoralizza sempre, avere sperimentato delle
sconfitte conduce il cuore umano ad abituarvisi, per non doversi sorprendere né tornare a soffrire se
ne arrivassero altre. O semplicemente uno è soddisfatto dello stato in cui si trova e non vuole altri
problemi.
In tutte queste citazioni bibliche incontriamo reticenza. Il cuore non vuole problemi. Esiste il timore
che Dio ci imbarchi in viaggi che non possiamo controllare. Esiste un timore della visita di Dio, un
timore della consolazione. In questo modo si matura una disposizione fatalista; gli orizzonti si
rimpiccioliscono a misura della propria desolazione o del proprio quietismo. Si teme l’illusione e si
preferisce il realismo del meno alla promessa del più […] Invece, nella preferenza per il meno che
sembrerebbe più realista c’è già un sottile processo di corruzione: si arriva alla mediocrità e alla
tiepidezza (due forme di corruzione spirituale), si arriva alla trattativa con Dio secondo il modello
del primo o del secondo binario. Nella preghiera penitenziale del sacramento della riconciliazione si
chiede il perdono per altri peccati... ma non si mostra al Signore questo dato di scoraggiamento
dell’anima. È la lenta, ma definitiva, sclerosi del cuore.
L’anima inizia allora ad accontentarsi dei prodotti che le offre il supermercato del consumismo
religioso. Più che mai vivrà la vita consacrata come una realizzazione immanente della sua
personalità. Per molti tale realizzazione consisterà nella soddisfazione professionale, per altri
nell’esito delle opere, per altri nel compiacersi di sé per la stima di cui sono fatti oggetto. Altri
ancora cercheranno nella perfezione degli strumenti moderni di riempire quel vuoto che la loro
anima sente rispetto al fine che un tempo cercò e dal quale si lasciò cercare. Altri faranno un’intensa
vita sociale: si godranno uscite, vacanze con gli «amici», grandi mangiate e feste; cercheranno di
essere tenuti in considerazione in tutte le occasioni che comportano la loro presenza. Potrei
continuare citando casi di corruzione, ma — semplificando — tutto questo non è nient’altro che
qualcosa di più profondo: ciò che ho già chiamato «mondanità spirituale». La mondanità spirituale
come paganesimo in vesti ecclesiastiche. Davanti a questi uomini e donne corrotti nella loro vita
consacrata, la Chiesa mostra la grandezza dei suoi santi... che hanno saputo trascendere ogni
apparenza fino a contemplare il volto di Cristo, e questo li ha resi «pazzi per Cristo».
Chissà, uno sogna ad occhi aperti e vorrebbe ravvivare questa parte morta del cuore, avverte l’invito
del Signore... Ma no, quanto lavoro, troppa fatica! La nostra indigenza deve sforzarsi un poco per
aprire uno spazio alla trascendenza, ma la malattia della corruzione ce lo impedisce. E il Signore
non si stanca di chiamarci: «Non avere paura... ». Non temere che cosa? Non temere la speranza... e
la speranza non delude.

* * *


«Meglio essere peccatori che corrotti» La lezione semplice del vescovo Bergoglio 
di Gian Guido Vecchi
in “Corriere della Sera” del 24 marzo 2013
«Potremmo dire che il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata. Semplicemente
per il fatto che alla radice di qualunque atteggiamento corrotto c'è una stanchezza della
trascendenza: di fronte al Dio che non si stanca di perdonare, il corrotto si erge come autosufficiente
nell'espressione della sua salvezza: si stanca di chiedere perdono».
La corruzione corrode la politica, l'economia, la società, arriva a minacciare la stessa Chiesa. E le
parole di Jorge Mario Bergoglio sono severe e semplici: meglio peccatori che corrotti. Perché dal
peccato si può essere perdonati, dalla corruzione no: se ne deve guarire, proprio come da un male.
Il libro, Guarire dalla corruzione, riprende una meditazione pronunciata dall'allora arcivescovo di
Buenos Aires nel 2005 e viene pubblicato per la prima volta in italiano (Editrice missionaria
italiana, che fa uscire anche un altro testo: Umiltà, la strada verso Dio) con la postfazione di Pietro
Grasso: «I giorni dell'elezione di papa Francesco hanno portato in Italia una calda brezza di
rinnovamento», scrive il neopresidente del Senato. «Proprio in quelle ore, mentre l'uomo vestito di
bianco venuto dalla "fine del mondo" parlava di "tenerezza" e "povertà", il nostro Paese tentava di
trovare una via d'uscita dall'ennesima impasse politica, accompagnata da una drammatica crisi
sociale e dal degrado morale che divora ormai le nostre istituzioni...».
Sono parole molto attuali per ogni Paese e istituzione, quelle di Bergoglio. Che inizia subito a
distinguere: «Non bisogna confondere peccato con corruzione. Il peccato, soprattutto se reiterato,
conduce alla corruzione, non però quantitativamente (tanti peccati fanno un corrotto), ma piuttosto
qualitativamente, con il generarsi di abitudini che vanno deteriorando e limitando la capacità di
amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti del cuore su orizzonti più vicini alla sua
immanenza, al suo egoismo». Così il futuro Papa, a proposito degli «uomini ingiusti», cita San
Paolo: «Essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli
hanno reso grazie come Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro
mente ottusa».
Ma la corruzione «non può rimanere nascosta», considera caustico Bergoglio: «Lo sbilanciamento
tra la convinzione di bastare a se stessi e la realtà di essere schiavi di quel tesoro non può essere
arginato. È uno squilibrio che esce fuori e, come succede con tutte le cose chiuse su se stesse, bolle
per sfuggire alla propria pressione... E, al fuoriuscire, sparge l'odore di questa chiusura su se stessi:
puzza. Sì, la corruzione odora di putrefazione». Il corrotto però, «come succede con l'alito cattivo»,
non se ne accorge. Non resta che guarirne: «Generalmente il Signore lo salva attraverso prove che
gli arrivano da situazioni che non può evitare (malattie, perdita di ricchezze, di persone care
eccetera) e sono queste che spaccano l'ossatura corrotta e permettono l'accesso della grazia. Adesso
potrà essere curato».
La riflessione di Pietro Grasso al termine del libro parte da qui, dal «dovere di iniziare un nuovo
cammino» attraverso «la ricostruzione morale del Paese». Scrive il presidente del Senato: «Il
percorso è impervio, ma ci accompagnano ora quelle profonde riflessioni dell'allora cardinale
Bergoglio che fa della corruzione non solo la somma "quantitativa" dei peccati, ma una mala pianta
che minaccia le fondamenta su cui sono costruiti gli Stati democratici e la Chiesa stessa». La
«scossa morale» di papa Francesco si oppone all'«egoismo della corruttela», conclude Grasso: «Il
suo messaggio è così chiaro che nessuno potrà più giustificarsi dicendo "non avevo capito" o "così
fanno tutti"».
G. G. V.