martedì 26 marzo 2013

Diversi e complementari



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(Lucetta Scaraffia) In un primo tempo, l’idea dell’esistenza di due Pontefici ha spaventato qualcuno: c’è chi ha parlato di desacralizzazione e addirittura di declino della figura papale, chi ha riesumato da un lontano passato le vicende complicate e conflittuali di Papi e antipapi. Ma tutti questi timori si stanno sciogliendo davanti alla semplice realtà, ben rappresentata da quella fotografia in cui abbiamo visto il Pontefice e il suo predecessore l’uno accanto all’altro mentre pregano. Così diversi come aspetto, come biografia, come personalità, ma così vicini nell’intensità della preghiera e nell’amore per la Chiesa.
È apparso chiaro, allora, che proprio la diversità delle figure dei Papi che si sono susseguiti nella storia ha costituito e costituisce la ricchezza della Chiesa, così come la diversità dei carismi degli ordini religiosi, dei movimenti, e naturalmente dei santi. La forza della Chiesa è infatti quella di essere composta da individui anche molto differenti, che si completano e si rafforzano a vicenda, se non si combattono ma sanno far scattare la sinergia giusta.
Si tratta di una complementarietà fra Benedetto XVI e Francesco — lo studioso e il pastore, se vogliamo sintetizzare — che si può rilevare chiaramente anche dai loro libri. In questi, se pure in modo e con stile molto diverso, entrambi si accingono a quello che è il compito di ogni intellettuale e pastore cristiano: far rivivere gli insegnamenti di Cristo nel presente.
Sono state ora tradotte in italiano due meditazioni di Jorge Mario Bergoglio, l’una dedicata all’accusa di sé, cioè alla capacità di esercitare un esame di coscienza severo, l’altra sulla corruzione. Sono molto chiaramente scritti di un gesuita, di un sacerdote particolarmente ben preparato alla cura delle anime, di cui conosce i difetti e le abitudini dannose, ma anche le possibilità di ascesa spirituale.
Entrambi i testi, in fondo, hanno il fine di rendere i lettori consapevoli della gravità e della pericolosità delle loro mancanze, di farli pentire: solo così, infatti, può nascere la richiesta di perdono a Dio, e quindi la redenzione. È meglio un peccatore che si riconosce come tale — egli scrive — di un essere umano dall’anima così corrotta da non saper più riconoscere il peccato, ma solo giustificarlo. Sono le parole del medico vero, non inutilmente pietoso, che vuole guarire il malato con la consapevolezza e con la medicina della misericordia.
Leggendo questa analisi chiara e forte vengono in mente molti discorsi e scritti di Benedetto XVI, che ha dedicato gran parte della sua riflessione a smascherare le manipolazioni culturali che nelle società contemporanee trasformano il peccato in qualcosa di positivo, se non addirittura desiderabile. Una rielaborazione che rende il peccato stesso «socialmente accettabile» — scrive l’arcivescovo di Buenos Aires — e lo trasforma così in corruzione.
Nei testi ora ripubblicati Jorge Mario Bergoglio invita ad avere coraggio e a «rinunciare a tutti i maquillage di noi stessi perché si manifesti la verità», cioè a fare tesoro di quella dottrina spirituale «dell’accusa di se stessi» che si esercita attraverso un severo esame di coscienza. È solo grazie alla fede nell’esistenza della verità, come tante volte ha ripetuto Benedetto XVI, che ciascun essere umano può guardare onestamente a se stesso, senza lasciarsi confondere da ideologie o da elaborazioni culturali — per esempio, certe forme di psicologia o psicanalisi — che vogliono deresponsabilizzare, come se la cancellazione del senso di colpa costituisse la via maestra per la felicità.
La complementarietà dei due messaggi colpisce, e ancora una volta porta credenti e non credenti a volgere lo sguardo verso la Chiesa con rinnovata speranza. Una speranza che non sta tanto nelle persone ma nella saggezza che esse sanno trasmettere: la speranza portata da Gesù che, come ha detto Papa Francesco, non bisogna lasciarsi rubare. L'Osservatore Romano, 27 marzo 2013.

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Le parole di Papa Francesco prima di essere eletto Pontefice.

Durante l’omelia pronunciata nella prima messa celebrata a Cuba dopo diverse settimane passate a Roma per l’elezione del nuovo pontefice, il cardinale Jaime Ortega ha rivelato le parole che il cardinale Jorge Mario Bergoglio ha pronunciato nel corso della congregazione generale dei cardinali prima si entrare in conclave.

Sabato mattina 23 marzo, nel corso della celebrazione nella Cattedrale di L’Avana, alla presenza del Nunzio Apostolico a Cuba, monsignor Bruno Musarò; dei Vescovi Ausiliari Alfredo Petit Havana e Juan de Dios Hernández, e del clero che ha rinnovato le promesse sacerdotali,
l’Arcivescovo dell’Avana ha raccontato che nel corso delle Congregazioni generali, il Cardinale Jorge Mario Bergoglio ha fatto un discorso “magistrale, perspicace, coinvolgente e vero”.
L’intervento del cardinale Bergoglio è articolato in quattro punti ed esprime la sua personale visione sulla Chiesa nel tempo presente.
Il primo di questi punti è centrato sull’evangelizzazione, e afferma che “la Chiesa deve lasciare tutto e andare nelle periferie”, non solo quelle geografiche, ma anche quelle umane ed esistenziali. Deve raggiungere gli ultimi, avvicinare le persone dove si manifesta il
peccato, il dolore, l’ingiustizia e l’ignoranza.
Il secondo punto è una critica forte alla Chiesa “autoreferenziale”, che guarda se stessa con una sorta di “narcisismo teologico” che la allontana dal mondo e che “pretende di tenere Gesù Cristo per se, senza farlo uscire fuori”.
Al punto tre il cardinale Bergoglio ha spiegato le conseguenze di questa visione autoreferenziale e cioè una Chiesa che non evangelizza più e che svolge una vita mondana per sé.
Secondo l’arcivescovo di Buenos Aires bisogna tener conto di queste gravi conseguenze della Chiesa autoreferenziale per  “far luce sui possibili cambiamenti e riforme di cui la Chiesa ha urgente bisogno”. Nel suo ultimo punto il cardinale Bergoglio ha confessato ai cardinali
la speranza di un “uomo che, partendo dalla contemplazione di Gesù Cristo, possa aiutare la Chiesa a avvicinarsi alle periferie esistenziali dell’umanità”.
Nell’indicare le caratteristiche del nuovo Pontefice, Il cardinale Bergoglio non immaginava neanche lontanamente che sarebbe toccato proprio a lui, riparare la barca di Pietro.
Il cardinale Ortega è rimasto così colpito da quanto aveva sentito che ha chiesto a Bergoglio, se poteva avere il testo. L’arcivescovo di Buenos Aires gli ha detto che aveva fissato alcuni
punti ma che non l’aveva scritto.
La mattina dopo Il cardinale Bergoglio “con estrema delicatezza” ha consegnato ad Ortega un foglio in cui aveva fissato i punti del suo intervento così come se lo ricordava. Il cardinale Ortega ha chiesto se poteva pubblicarlo una volta concluso il Conclave, e Bergoglio gli ha detto di sì. Una volta che l’arcivescovo di Buenos Aires è diventato Papa Francesco, il cardinale Ortega ha chiesto se poteva ancora pubblicare il testo del suo intervento alle Congregazioni Generali e il Pontefice gli ha confermato che poteva farlo.
Così la rivista dell’arcidiocesi dell’Avana Palabra Nueva, diretta da Orlando Marquez, ha pubblicato una trascrizione del manoscritto consegnato dal Cardinale Jorge Mario Bergoglio al Cardinale Jaime Ortega.
Il testo riporta l’intervento del futuro papa Francesco nella trascrizione da lui stesso compilata nel corso dell’intervento svolto nella congregazione generale prima del Conclave.

Ne riporto la traduzione in italiano:
La dolce e confortante gioia di evangelizzare
Si è fatto riferimento alla evangelizzazione. È la ragione per la Chiesa. “Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre [...] sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, dal di
dentro, ci spinge.
1) Evangelizzare suppone zelo apostolico. Evangelizzare suppone nella Chiesa la parresia(testimonianza, ndr) di sé stessa. La Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e andare nelle periferie, non solo geografiche, ma anche nelle periferie esistenziali: dove alberga il
mistero del peccato, il dolore, l’ingiustizia, l’ignoranza, dove c’è il disprezzo dei religiosi, del pensiero, e dove vi sono tutte le miserie.
2) Quando la Chiesa non esce per evangelizzare, diventa auto-referenziale e si ammala (cfr. La donna curva ripiegata su se stessa di cui parla Luca nel Vangelo (13,10-17). I mali che, nel
tempo, colpiscono le istituzioni ecclesiastiche sono l’auto-referenzialità e una specie di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse Gesù dice che Lui è alla porta e bussa. Ovviamente il testo si riferisce al fatto che lui colpisce la porta dal di fuori per entrare... Ma penso ai momenti in cui Gesù bussa dall’interno per lasciarlo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Cristo dentro di sé e non lo fa uscire.
3) Quando la Chiesa è auto-referenziale, crede involontariamente di avere una luce propria. Non è più la certezza di mirare il mysterium lunae, invece va verso un male tanto grave noto come mondanità spirituale (Secondo de Lubac, è il peggior male che possa capitare alla Chiesa). La Chiesa vive per dare gloria degli uni agli altri. In parole povere ci sono due immagini della Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che diffonde “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans”  e la Chiesa mondana che vive in sè e per sé stessa. Questa analisi dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e sulle riforme che devono essere fatte per la salvezza delle anime.
4) Pensando al prossimo Papa, c’è bisogno di un uomo che, che dalla contemplazione e dall’adorazione di Gesù Cristo  aiuti la Chiesa a uscire da se stessa  verso la periferia esistenziale dell’umanità, in modo da essere madre feconda della dolce e confortante gioia di
evangelizzare
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