venerdì 22 marzo 2013

Con coraggio e ottimismo



 Il sermone di intronizzazione dell’arcivescovo di Canterbury 

Coraggio e ottimismo: sono queste le parole chiave del sermone pronunciato ieri, giovedì, dall’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, in occasione della cerimonia per la sua intronizzazione. Parlando di fronte a oltre duemila fedeli e numerosi rappresentanti di autorità civili e di varie comunità religiose nella cattedrale di Canterbury, Welby ha voluto anche rendere omaggio a Papa Francesco, richiamando l’omelia della messa per l’inizio del ministero di successore di Pietro celebrata il 19 marzo. «In umiltà e semplicità — ha ricordato l’arcivescovo anglicano — Papa Francesco ha esortato martedì a essere custodi gli uni degli altri, del creato, dei poveri e dei vulnerabili. Il coraggio si diffonde in una società che si trova sotto l’autorità di Dio, affinché possiamo diventare quella piena comunità umana che tutti sogniamo. Ascoltiamo quindi Cristo che ci chiama e dice: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». Il primate anglicano ha aggiunto che «le attuali sfide dell’ambiente, dell’economia, dello sviluppo umano e della povertà possono essere affrontate con lo straordinario coraggio cristiano». Ieri il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il cardinale Kurt Koch — presente tra gli altri alla cerimonia — ha consegnato all’arcivescovo Welby il messaggio firmato da Benedetto XVI lo scorso 4 febbraio, in occasione dell’elezione del presule anglicano, e la lettera scritta il 18 marzo da Papa Francesco per l’intronizzazione (che abbiamo pubblicato nell’edizione di ieri). Al primate anglicano sono giunte anche le preghiere e le espressioni di stima del World Council of Churches (Wcc). Il segretario generale, Olav Fykse Tveit, ha sottolineato che l’organizzazione ecumenica «ammira l’impegno dell’arcivescovo Welby nella guida della Comunione anglicana». L’auspicio espresso da Tveit, a nome del Wcc, è quello «a sviluppare le nostre relazioni reciproche, nonché a rafforzare i nostri sforzi per la pace, la giustizia, la riconciliazione e il dialogo interreligioso».
Justin Welby è il centocinquesimo arcivescovo di Canterbury ed è succeduto a Rowan Williams. Welby, 57 anni di età, sposato e con cinque figli, era divenuto diacono nel 1992 e vescovo nel 2011. L’arcivescovo di Canterbury è primus inter pares tra i vescovi anglicani, primate di circa 80 milioni di fedeli sparsi nelle trentotto province in cui è suddivisa l’Anglican Communion. Welby ha inoltre sottolineato che di fronte alle difficili sfide del mondo contemporaneo «ci sono ragioni per essere ottimisti sul futuro della fede cristiana nel mondo e nel nostro Paese». Il presule ha invitato anche «a uscire dalle “comodità” delle proprie tradizioni, lasciandosi andare sulle onde e raggiungendo la mano di Cristo», impegnandosi «nella sua chiamata e proclamazione e nella preghiera, per vedere il mondo trasformato».
La cerimonia di intronizzazione è stata guidata per la prima volta da una donna, l’arcidiacono Sheila Watson. Come da tradizione, l’arcivescovo Welby ha colpito per tre volte uno dei portoni della cattedrale con il suo bastone pastorale e poi ha risposto ad alcune domande rituali prima di essere ammesso nella chiesa. Successivamente c’è stato il giuramento del presule sugli statuti della Church of England e alla regina (che è il Supreme Governor della Chiesa d’Inghilterra), a cui è seguita l’accettazione degli antichi Vangeli portati in Inghilterra da sant’Agostino nel 597.

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Quando il nostro cuore è di pietra, succede che prendiamo pietre vere in mano e lapidiamo Gesù Cristo nelle persone dei nostri fratelli, specialmente quelli più deboli. Perciò occorre aprire il cuore all’amore. Lo ha detto Papa Francesco, commentando le letture del giorno durante la messa celebrata questa mattina, 22 marzo, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Una celebrazione semplice, alla quale il Pontefice ha invitato gli addetti del servizio giardini e nettezza urbana del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, improvvisando una breve omelia incentrata in particolare sul brano del vangelo di Giovanni che narra l’episodio dei giudei che volevano lapidare Gesù.
Hanno concelebrato il cardinale Raúl Eduardo Vela Chiriboga, arcivescovo emerito di Quito in Ecuador, l’arcivescovo Lorenzo Baldisseri, segretario del Collegio cardinalizio e della Congregazione per i Vescovi, i monsignori Alfred Xuereb e Battista Ricca, direttore della Domus.
Erano presenti anche suore di tre comunità religiose femminili che prestano il loro servizio in Vaticano: le Figlie della carità di san Vincenzo de’ Paoli, del dispensario pediatrico Santa Marta; le Figlie dei sacri cuori di Gesù e Maria Istituto Ravasco, della Casa San Benedetto per nunzi in pensione; e le Suore della presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio (di Cracovia), del magazzino privato del Santo Padre.

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«Non era — si legge nell’editoriale dell’ultimo numero della «Civiltà Cattolica» — uno dei tanti nomi che la gente era stata abituata a considerare “papabili”. Forse la sua età, 76 anni e tre mesi, induceva a classificarlo più tra i grandi elettori che tra i possibili eletti». Papa Francesco, continua l’editoriale, «è un uomo di governo, che ha affrontato momenti anche molto difficili. La sua semplicità, il suo tratto umile e riservato si sposano dunque a una solida capacità di organizzazione e guida. È stato relatore generale aggiunto alla X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (ottobre 2001), dedicata al ministero episcopale. Al Sinodo ha sottolineato in particolare la “missione profetica del vescovo”, il suo “essere profeta di giustizia”, il suo dovere di “predicare incessantemente” la dottrina sociale della Chiesa, ma anche di “esprimere un giudizio autentico in materia di fede e di morale”. Ha avuto sempre presente la questione sociale, che comprende in maniera radicalmente teologica: “Se si segue Cristo — ha affermato — si capisce che calpestare la dignità di una persona è peccato grave”. Ha sempre dato la priorità alla difesa dei poveri anteponendo a tutto la conversione del cuore, dalla quale nasce la possibilità del cambiamento sociale. Lo stile attento al cuore e alle strutture converge in una vita pastorale intensa, rivolta soprattutto a creare una Chiesa di popolo e non di élite».
«Riconosciamo — conclude l’editoriale — in questo atteggiamento così aperto alla missione e alla misericordia, in maniera sobria, appassionata e spirituale, la prima chiara cifra del pontificato di Papa Francesco».
Nello stesso numero, in un articolo di Thomas P. Rausch, viene sottolineata anche l’eredità rilevante di Benedetto XVI. Da un’articolata ricognizione del pensiero, della spiritualità e dell’insegnamento del predecessore di Papa Francesco emerge una nota su un aspetto poco sottolineato: «La sua incredibile varietà di interessi spazia dalla teologia dogmatica alla liturgia, alla cultura e all’arte, alla politica, all’ecumenismo e alle religioni non cristiane. Anche se Joseph Ratzinger ha ricevuto un plauso generale per le sue opere più specificamente teologiche, la profondità del suo lavoro nel campo della filosofia politica è molto meno conosciuta, e qui vorremmo auspicarne l’approfondimento». Va sottolineato infatti, secondo Rausch, come Benedetto XVI, abbia sempre considerato i tentativi di trovare la salvezza attraverso l’attività politica o il progresso tecnologico una secolarizzazione della speranza cristiana.  
L'Osservatore Romano, 23 marzo 2013.