Alla vigilia della grande festa di domani riprendo inanzitutto il celebre aforisma del Talmud:
"State molto attenti a far piangere una donna,
che poi Dio conta le sue lacrime!
La donna è uscita dalla costola dell'uomo,
non dai piedi perchè dovesse essere pestata,
né dalla testa per essere superiore,
ma dal fianco per essere uguale...
un po' più in basso del braccio per essere protetta
e dal lato del cuore per essere Amata".
che poi Dio conta le sue lacrime!
La donna è uscita dalla costola dell'uomo,
non dai piedi perchè dovesse essere pestata,
né dalla testa per essere superiore,
ma dal fianco per essere uguale...
un po' più in basso del braccio per essere protetta
e dal lato del cuore per essere Amata".
* * *
...e continuo con la risposta alla domanda di una affezionata lettrice di questo blog che mi chiede come mai Paolo (san Paolo!) chiedesse alle donne cristiane (oranti e profetesse) di avere il capo coperto durante le assemblee liturgiche. Sperando di dissipare un grossolano equivoco dovuto alla nostra tragica ignoranza della Sacra Scrittura.
Per san Paolo il velo è prima di tutto un segno di
autorità.
Egli pretende che le donne siano femminili, ma non usa mai la parola «velo». La copertura di cui parla è il «velo» naturale dei capelli (non quello di stoffa). Non si tratta di un segno di dipendenza ma piuttosto di «autorità» (exousia), come viene reso nella nuova versione della Bibbia della Cei: «La donna deve avere sul capo un segno di autorità» (1Cor 11,10). Non quella del potere patriarcale o clericale, ma l’autorità che Dio stesso le ha conferito nella nuova creazione.
***
Di seguito un articolo che riporto da Jesus n.1 gennaio 2009
Amiche, sorelle, apostole
di Elena Bosetti, biblista, suora, ma soprattutto donna... (*)
L’idea che Paolo avesse un pregiudizio negativo nei confronti delle donne è contraddetta dalle Lettere dell’apostolo, che cita spesso figure femminili con responsabilità di rilievo nelle prime comunità cristiane.
È
ancora diffusa l’idea che tra Paolo e le donne non sia corso buon
sangue. Non si possono negare alcune aperture, ma in fondo serpeggia il
sospetto che l’Apostolo abbia contribuito a frenare la carica
rivoluzionaria del Vangelo. È davvero così? Trova fondamento questo
sospetto nelle Lettere dell’Apostolo? Paolo non ha certamente bisogno
di essere difeso, ma semmai compreso. Troppe volte infatti è stato e
viene ancora frainteso e usato contro le donne.
In prima istanza gli dobbiamo l’affermazione della fondamentale
uguaglianza e dignità battesimale. Nella Lettera ai Galati (3,27-28)
risuona un forte grido di libertà, contro ogni discriminazione di tipo
razziale, sociale e sessuale: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è
schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi
siete uno in Cristo Gesù». Questa dichiarazione suona decisamente
antitetica ai pregiudizi sottesi al triplice ringraziamento di una
preghiera di origine rabbinica, ancora vigente: «Benedetto sei tu
Signore... perché non mi hai fatto pagano, perché non mi hai fatto
donna, perché non mi hai fatto schiavo». In Cristo, insomma, cessano
le discriminazioni, non è più rilevante l’identità etnica o il
prestigio sociale, e nemmeno l’essere maschio o femmina.Paolo consegna a Febe la lettera per i cristiani di Roma, miniatura
del XII secolo, Parigi, Biblioteca nazionale (foto L. Riva/Periodici San Paolo).
Febe, Prisca, Trifena e Trifosa, Perside: una fitta sequenza di nomi femminili. Piuttosto trascurate perché non rilevanti sotto il profilo dottrinale, le liste dei saluti costituiscono una sorta di spaccato del vissuto ecclesiale e una preziosa miniera di informazioni. Nell’ultimo capitolo della Lettera ai Romani sono menzionate undici donne. Un femminile concreto. Dietro i nomi ci sono i volti e le personalissime vicende di ognuna di queste donne coinvolte nella diffusione del Vangelo. In primo piano Febe, il cui nome significa «luminosa, splendente». È lei che porta personalmente a Roma la lettera dell’Apostolo, il quale si premura che la comunità l’accolga nel modo più ragguardevole: «Vi raccomando Febe, sorella nostra, che è anche diacono della chiesa che si trova a Cencre» (Rm 16,1).
Santa Prisca, affresco nella cripta della chiesa omonima a Roma
(foto R. Ottria/Periodici San Paolo).
Paolo saluta quindi una formidabile coppia missionaria, Prisca e Aquila. Non è un dettaglio casuale che menzioni il nome della moglie prima di quello del marito. Di questa benemerita coppia giudeo-cristiana si parla sei volte nel Nuovo Testamento e in quattro casi il nome di Prisca (o Priscilla) precede quello di Aquila. Segno di rispetto o qualcosa di più? Sembra che Prisca, di origine aristocratica, fosse la proprietaria della casa in cui si radunava una delle comunità giudeo-cristiane di Roma. Costretti a lasciare la capitale in seguito all’editto dell’imperatore Claudio che ordinava l’espulsione da Roma di tutti i giudei, i due coniugi incontrano Paolo a Corinto. Nella loro casa l’Apostolo trova ospitalità e anche lavoro, poiché erano del medesimo mestiere, fabbricatori di tende (Atti 18,2-3).
Il martirio di santa Prisca, affresco del XVI secolo
nella chiesa omonima di Roma (foto R. Ottria/Periodici San Paolo).
Giunia: donna tra gli apostoli. La lista dei saluti menziona un’altra coppia benemerita, Andronico e Giunia: «Miei parenti», scrive Paolo, «e compagni di prigionia: sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me» (Rm 16,7). La qualifica di «parenti» può essere interpretata in senso ampio, come appartenenti etnicamente al medesimo popolo dei giudei. Non può avere invece semplice valenza metaforica il dettaglio «compagni di prigionia». Non ci è detto in quale carcere, ma è più importante sapere che in carcere c’era anche lei, Giunia, e Paolo deve esserne rimasto talmente edificato che non trova difficoltà alcuna ad attribuirle il titolo di «apostolo». Bello il commento di Giovanni Crisostomo: «Essere tra gli apostoli è già una gran cosa, ma essere insigni tra di loro, considera quale grande elogio sia; ed erano insigni per le opere e per le azioni virtuose. Accidenti, quale doveva essere la "filosofia" di questa donna, se è stimata degna dell’appellativo degli apostoli!» (citato da R. Penna).
Nei saluti della Lettera ai Romani Paolo ricorda anche donne singole: Maria, Trifena e Trifosa, accomunate dal riconoscimento «che hanno lavorato/faticato per il Signore». Con il medesimo verbo Paolo indica il proprio lavoro di predicazione e insegnamento. Un posto speciale nei saluti è riservato alla «diletta Pèrside»: anche lei «ha molto faticato nel Signore». L’ultima serie di saluti menziona la madre di Rufo, che Paolo considera come sua stessa madre. Evidentemente in qualche parte dell’Oriente, in Grecia o in Asia, deve averne sperimentato l’affettuosa accoglienza. E poi ancora saluti (il verbo utilizzato include anche il senso di «abbracci») per Patroba e Giulia, per la sorella di Nereo e Olimpas. Impressiona questo fitto elenco di nomi femminili, dietro i quali ci sono volti e ruoli, e soprattutto amore e dedizione incondizionata al Vangelo.
Un’icona che raffigura Priscilla (o Prisca), cristiana di Roma, moglie di Aquila.
Nella lettera a Filemone l’Apostolo esorta due donne di spicco, Evodia e Sintiche, a trovare un accordo nel Signore. Non sappiamo la ragione del loro dissenso, forse divergenze pastorali. Paolo ricorda che «hanno combattuto per il Vangelo» al suo fianco. Sono dunque missionarie convinte e generose, fino a esporre la vita per la causa del Vangelo. Mi piace notare un altro dettaglio: in questa lettera, unico caso nel Nuovo Testamento, Paolo fa il nome di una donna già nell’intestazione. La lettera non è indirizzata soltanto a Filemone (come abitualmente si dice) ma anche «alla sorella Apfia», probabilmente moglie di lui. Colpisce il tono caldo e personalissimo di questo scritto e la forza persuasiva delle ragioni affettive: una schietta amicizia lega Paolo a questa casa in cui si raduna la Chiesa e in cui desidera anche lui trovare alloggio appena uscirà dal carcere.
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(*): Sul tema vedi anche più ampiamente:
1. San Paolo e le donne Elena Bosetti, sjbp (Pubblicato in ... - Laici
www.laici.va/.../san-paolo-e-le-donne.pdf2. PAOLO E LE DONNE - Piccolo Eremo delle Querce
www.piccoloeremodellequerce.it/.../Paolo_e...
3.La donna nella tradizione religiosa ebraico-cristiana - Le nostre Radici
L'obiettivo di questa relazione è quello di rimettere a tema, dal punto di vista biblico, l'essere creati ad immagine di Dio come coppia “maschio-femmina”, nel ...
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Si può anche dare un'occhiata ai post che ho pubblicato in questo blog negli anni precedenti, ovviamente alla data a cavallo della "ricorrenza" di domani...
Raccomando infine: