sabato 2 febbraio 2013

L'incontro con il Signore





Oggi 2 FEBBRAIO  celebriamo la festa della

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE.

Di seguito i testi della liturgia con un commento.


Sulla festa di oggi vedi anche:

02 Feb 2012
Stamani abbiamo continuato la meditazione fatta ieri sera sui testi della liturgia di oggi, festa della Presentazione di Nostro Signore al Tempio. Stasera vorrei rilevare con voi una cosa molto importante, sempre a proposito ...


02 Feb 2011
NELLA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE. OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI. Basilica Vaticana Martedì, 2 febbraio 2011. Cari fratelli e sorelle! Nella Festa odierna contempliamo il Signore Gesù ...
   
Per la Chiesa di Gerusalemme, la data scelta per la festa della presentazione fu da principio il 15 febbraio, 40 giorni dopo La nascita di Gesù, che allora l’Oriente celebrava il 6 gennaio, in conformità alla legge ebraica che imponeva questo spazio di tempo tra la nascita di un bambino e la purificazione di sua madre. Quando la festa, nei secoli VI e VII, si estese in Occidente, fu anticipata al 2 febbraio, perché la nascita di Gesù era celebrata al 25 dicembre.
A Roma, la presentazione fu unita a una cerimonia penitenziale che si celebrava in contrapposizione ai riti pagani delle «lustrazioni». Poco alla volta la festa si appropriò la processione di penitenza che divenne una specie di imitazione della presentazione di Cristo al Tempio. Il papa san Sergio I (sec. VIII), di origine orientale, fece tradurre in latino i canti della festa greca, che furono adottati per la processione romana. Nel secolo X la Gallia organizzò una solenne benedizione delle candele che si usavano in questa processione; un secolo più tardi aggiunse l’antifona Lumen ad revelationem con il cantico di Simeone (Nunc dimittis).
La presentazione di Gesù al Tempio è più un mistero doloroso che gaudioso. Maria «presenta» a Dio il figlio Gesù, glielo «offre». Ora, ogni offerta è una rinuncia.
Comincia il mistero della sofferenza di Maria, che raggiungerà il culmine ai piedi della croce. La croce è la spada che trapasserà la sua anima. Ogni primogenito ebreo era il segno permanente e il memoriale quotidiano della«liberazione» dalla grande schiavitù: i primogeniti in Egitto erano stati risparmiati. Gesù, però, il Primogenito per eccellenza, non sarà«risparmiato»,  ma col suo sangue porterà la nuova e definitiva liberazione.
Il gesto di Maria che «offre» si traduce in gesto liturgico in ogni nostra Eucaristia. Quando il pane e il vino - frutti della terra e del lavoro dell’uomo -  ci vengono ridonati come Corpo e Sangue di Cristo, anche noi siamo nella pace del Signore, poiché contempliamo la sua salvezza e viviamo nell’attesa della sua «venuta».

Accogliamo la luce viva ed eterna
Dai « Discorsi » di san Sofronio, vescovo.
Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno. La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9è venuta. Tutti dunque, fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.

BENEDIZIONE DELLE CANDELE E PROCESSIONE
L’assemblea si raccoglie in una chiesa succursale o in altro luogo adatto da dove si muoverà la processione verso la chiesa principale; può anche radunarsi nella chiesa principale, dinanzi alla porta o in altro luogo, da dove si muoverà la processione verso l’altare: si disponga ogni cosa in modo che una buona parte dei fedeli possa partecipare comodamente al rito.

Mentre si accendono le candele, si canta l’antifona:
Il Signore nostro Dio verrà con potenza,
e illuminerà il suo popolo. Alleluia.

Il sacerdote saluta il popolo e poi, con queste parole o con altre simili, illustra il significato del rito ed esorta i fedeli a una partecipazione attiva, cosciente e piena.
Fratelli carissimi, sono passati quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede.
Guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza.
Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.
  


BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Pregiamo.
O Dio, fonte e principio di ogni luce,
che oggi hai rivelato al santo vecchio Simeone
il Cristo, vera luce di tutte le genti,
benedici  +  questi ceri
e ascolta le preghiere del tuo popolo,
che viene incontro  a te con questi segni luminosi
e con inni di lode;
guidalo  sulla   via del bene,
perché giunga alla luce che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.

Oppure:
Dio, creatore e datore di verità e di luce,
guarda noi tuoi fedeli riuniti nel tuo tempio
e illuminati dalla luce di questi ceri,
infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità,
perché possiamo giungere felicemente
alla pienezza della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.
  


PROCESSIONE

All’invito del sacerdote (o del diacono) la processione si muove verso la chiesa principale (oppure verso l’altare). Intanto si esegue il seguente cantico o un altro canto adatto.

Rit. Cristo è luce per illuminare le genti,
e gloria del tuo popolo Israele.

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola.

Perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli.


Mentre la processione entra in chiesa, si esegue un canto che introduca la celebrazione della Messa; quindi si canta o si recita l’inno Gloria a Diocui segue immediatamente l’orazione.


MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 47,10-11
Abbiamo accolto, o Dio, 
la tua misericordia in mezzo al tuo tempio.
Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode
si estende ai confini della terra:
di giustizia è piena la tua destra.

Colletta
Dio onnipotente ed eterno, guarda i tuoi fedeli riuniti nella festa della Presentazione al tempio del tuo unico Figlio fatto uomo, e concedi anche a noi di essere presentati a te pienamente rinnovati nello Spirito. Per il nostro Signore..


LITURGIA DELLA PAROLA
   
Prima Lettura  Ml 3,1-4
Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate.
Dal libro del profeta Malachìa
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.
Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
 
   
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 23
Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
   
Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
 
   
Seconda Lettura  Eb 2,14-18
Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli.
Dalla lettera agli  Ebrei
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

Canto al Vangelo  Lc 2,30.32    
Alleluia, alleluia.
I miei occhi han visto la tua salvezza:
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo, Israele.
Alleluia.
  
  
Vangelo   Lc 2,22-40 (forma breve: Lc 2,22-32)
I miei occhi hanno visto la sua salvezza.
Dal vangelo secondo Luca
[ Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele». 
]
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
  Parola del Signore.

* * *



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



1. Simeone e Anna, due figure dell’attesa ardente di Cristo
«Le nostre lampade esprimono la luminosità dell’anima con la quale dobbiamo andare incontro al Signore» (Sofronio, Vescovo, +639). Simeone e Anna nella loro lunga vita riflettono la speranza secolare del popolo ebraico. Essi hanno vissuto tutta la loro esistenza in attesa di vedere Colui del quale il profeta Malachia, secoli prima, aveva detto: «Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate» (Lettura, Ml 3,1) e si sono lasciati affinare come “oro e argento” (cf Ml 3,3).
Il vecchio Simeone «aspettava la consolazione di Israele» (Vangelo, Lc 2,25) e questa attesa plasmava tutta la sua esistenza. Questa è anche la posizione del cristiano e, a fortiori, dei consacrati.
Che cosa significa attesa? Attesa – etimologicamente da tendere a – è la tensione verso una Presenza amata in ogni circostanza e in ogni rapporto. «Vigilo l’istante con imminenza d’attesa» (C. Rebora, Dall’immagine tesa). Richiamando ogni giorno – attraverso il sigillo della povertà, della castità e dell’obbedienza – l’Eterno che è entrato nel tempo, voi sostenete uomini e donne a vivere il tempo nella sua portata eterna. Che affascinante e grande responsabilità!

2. Nulla anteporre all’amore di Cristo
Prima che con particolari azioni o servizi, voi date al mondo questa testimonianza con la stessa forma della vostra vita. Tale forma è il frutto della chiamata del Signore: nessuno l’ha scelta da se stesso, tutti voi siete stati chiamati. «La vita consacrata – ci ricorda la Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata nel suo Messaggio per la 17a Giornata Mondiale» – è custode del senso ultimo, pieno e radicale della vita».
In questo senso la figura della profetessa Anna è emblematica. Il Vangelo non riporta le sue parole, ma fa emergere la sua testimonianza a Gesù dalla descrizione della sua consacrazione: «Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Vangelo, Lc 2,37).
Chiamati a permanere nella dimora del Signore rinnovando ogni giorno l’offerta di se stessi a Lui. Chiamati a testimoniare ad ogni uomo il primato e la precedenza di Dio, cioè che nulla può essere anteposto all’amore personale per Cristo perché Egli sempre ci precede. è il senso dei consigli evangelici che avete professato pubblicamente.

3. Christum suscipere
«Simeone accolse il Bambino tra le braccia» (Vangelo, Lc 2,27). E – come ci ha ricordato il Santo Padre nell’indimenticabile incontro in Duomo del 2 giugno scorso – citando il nostro grande padre Ambrogio, «Chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi» (Ambrogio, Expos. Evangelii sec. Lucam, V, 16). A ciascuno di noi è stata data la gioia di stringere tra le braccia il Figlio di Dio. Un’esperienza carnale, umana, intensissima di compimento, come ci farà dire oggi il Postcommunio: «O Dio, che hai esaudito l’ardente attesa del santo Simeone, compi in noi l’opera della tua misericordia» (Orazione dopo la Comunione).
«Alla vita religiosa, nelle sue molteplici forme, è chiesto di esprimere la carità stessa di Dio, nel linguaggio del nostro tempo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 926).

4. A te una spada trafiggerà l’anima
L’amore conforma l’amante all’Amato. Le parole del vecchio Simeone a Maria, osserva acutamente il Beato Giovanni Paolo II nella Redemptoris Mater al n. 16, sono un secondo annuncio a Maria. Se da una parte confermano che il suo bambino è il Salvatore («i miei occhi hanno visto la tua salvezza» Vangelo, Lc 2,30), dall’altra («e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35) indicano la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore. Maria è chiamata alla stessa obbedienza di fede del Figlio. Ancora una volta emerge la “strana” necessità del sacrificio perché l’amore sia vero.

5. Nel cuore della Chiesa locale
La dimensione storica in cui sia il Figlio di Dio fattosi uomo sia ogni cristiano compie la propria missione, ci aiuta a meglio comprendere che la vita consacrata sorge e si sviluppa sempre nel seno delle Chiese locali, le quali però «sono strutturate ad immagine della Chiesa universale» (LG 23). In occasione dell’Incontro con i Superiori e le Superiore locali delle comunità e realtà di vita consacrata presenti nella nostra Arcidiocesi il 12 giugno 2012, abbiamo avuto modo di riflettere insieme sul carattere coessenziale della vostra presenza nella Chiesa locale – qualcosa della santità della Chiesa verrebbe meno se non esistesse la vita consacrata tra di noi – e sulla necessità che tale carattere coessenziale si documenti e si testimoni in modalità espressive adeguate.
Mi auguro che le indicazioni che sono emerse durante quel ricco dialogo diventino oggetto di lavoro effettivo nelle vostre comunità. In particolare mi preme sottolineare sia l’apertura a tutte le dimensioni del mondo che un carisma veramente cattolico possiede dall’origine – al di là delle attività concrete che i singoli appartenenti svolgono –, sia il compito che le famiglie di vita consacrata hanno di spalancare quotidianamente la Chiesa locale alla Chiesa universale. Per poter adempiere questi compiti urgenti è necessario che la vita consacrata realizzi il proprio carisma incarnandosi senza risparmi nella vita della Chiesa locale: assumendo i tratti caratteristici di tale Chiesa e la guida oggettiva del suo pastore, la vita consacrata riuscirà a far presente e richiamare con forza sia il compito missionario universale, sia l’orizzonte cattolico che deve caratterizzare la vita di ogni Chiesa locale.

6. Dal Vieni, Signore Gesù! al Venga il tuo regno
La sovrabbondanza del dono ricevuto genera in noi la gioia, che inesorabilmente trabocca e coinvolge tutti i fratelli uomini: «Si affretta il vecchio Simeone, la lunga speranza si compie: accorre e felice annuncia la Luce, sospiro dei popoli» abbiamo cantato durante la Processione iniziale. Anna «si mise anche lei a lodare Dio e parlava del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Israele» (Vangelo, Lc 2,38). E Paolo, nella Lettera ai cristiani di Roma, insiste sul tema: «Sta scritto: “Esultate, o nazioni, insieme al suo popolo”. E di nuovo: “Genti tutte, lodate il Signore; i popoli tutti lo esaltino”. … “Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni: in lui le nazioni spereranno”» (Epistola, Rm 15, 10-12).
«Alla supplica: “Vieni, Signore Gesù!”, si unisce l'altra invocazione: “Venga il tuo Regno” (Mt 6, 10). Chi attende vigile il compimento delle promesse di Cristo è in grado di infondere speranza anche ai suoi fratelli e sorelle, spesso sfiduciati e pessimisti riguardo al futuro» (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 27).

7. Il cammino dell’Anno della fede
L’Anno della fede, a cui il Santo Padre ci ha convocato in concomitanza con il 50 anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, è un’occasione privilegiata perché tutti i consacrati riprendano in mano i ricchi insegnamenti conciliari sullo stato di vita loro proprio. Mi riferisco, ovviamente, in particolare al capitolo VI della Costituzione dogmatica Lumen gentium e al Decreto Perfectae Caritatis. Mi auguro che tali testi siano oggetto di lettura, studio e riflessione personale e comunitaria, in modo che ciascuno di voi per primo possa riscoprire come «lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità» (LG 44).

8. Abbandonati, come un bambino, alla mano di suo padre
Col cuore di Simeone e di Anna, seguendo le orme di Maria Santissima, di San Giuseppe, dei Santi e Beati fondatori, siete chiamati a vivere abbandonati, come un bambino, alla mano di suo padre. Così come canteremo alla Comunione con le soavi parole che il beato John Henry Newman rivolgeva a Gesù: «Conducimi tu, luce gentile». Amen.


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Omelia di S.E.R. Mons. Massimo Camisasca, vescovo della diocesi di Reggio Emilia–Guastalla, per la festa della Presentazione di Gesù al tempio.
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Cari fratelli e sorelle,
la Chiesa ha significativamente legato questa giornata, memoria della presentazione di Gesù al Tempio, alla vita consacrata. Saluto e ringrazio innanzitutto mons. Gianfranco Ruffini, mio vicario per la vita consacrata e i monasteri e tutti voi religiosi e religiose, soprattutto coloro che durante quest’anno festeggiano un particolare anniversario della professione religiosa.
Vorrei guardare assieme a voi ciò che caratterizza la vostra vita e, nello stesso tempo, indicare a tutti ciò che è essenziale in ogni autentica vita cristiana.
La Tradizione ecclesiale ha visto nell’obbedienza, verginità e povertà le caratteristiche principali della persona di Gesù e di ogni uomo e donna chiamati a seguirlo.
Sono i consigli evangelici, così chiamati perché nascono da un invito di Gesù: se vuoi essere perfetto… (Mt 19,21). In realtà esprimono un ideale a cui tutti sono invitati, pur nella diversità delle forme in cui si esprime la risposta dell’uomo a Dio. Sono paragonabili ad un unico raggio di luce bianca che si rifrange in tre diversi colori.
Obbedienza, povertà e verginità ci parlano innanzitutto del rapporto che Gesù aveva col Padre, ma anche con gli uomini e con le cose. Rappresentano perciò l’itinerario compiuto della vita cristiana.
L’obbedienza
L’obbedienza è il fondamento e assieme il coronamento della vita nuova. L’uomo non nasce da se stesso, riceve la vita. E rimane in vita perché lo Spirito di Dio continuamente alimenta la sua persona. Vivere è, dunque, aderire a Colui che ci crea e ci rinnova. Il rapporto col padre e con la madre è per ogni uomo e donna il segno riassuntivo di tutto questo dinamismo di crescita verso la propria statura adulta, verso la propria maturità personale.
Ogni autorità, infatti, è soltanto una funzione vicaria, necessaria ma relativa a quell’autorità che non viene mai meno, anzi cresce di importanza col crescere della nostra figliolanza, l’autorità di Dio Padre.
Gesù ha fondato tutta la propria esistenza, la propria missione, nel rapporto col Padre. Io faccio ciò che piace a Lui (Cfr. Gv 8,29). Il dialogo, vissuto giorno e notte, col Padre era l’alimento della sua vita. Egli fu obbediente ai genitori, alla gente, alla legge mosaica, perfino alle leggi civili, per custodire l’obbedienza al Padre. Cercare la volontà del Padre, entrare in essa, era il suo pane quotidiano. Egli ha insegnato a noi a fare altrettanto. Anzi, ci ha mandato il suo Spirito che in noi grida “Padre”(cfr. Rom 8,15; Gal 4,6) perché lo conosce e lo sa riconoscere.
Nello stesso tempo, è anche vero che noi impariamo dalle autorità sulla terra a riconoscere ed amare l’autorità e la paternità di Colui che è nel cielo.
Per questo, grande è la responsabilità davanti a Dio e agli uomini di ogni autorità! I superiori possono facilitare o ostacolare il cammino dei loro fratelli verso la verità e il bene, possono svelare o offuscare il volto di Dio.
In una comunità ecclesiale, in particolare, il posto dell’autorità è proprio quello del Padre. Ogni autorità nella Chiesa deve saper coniugare accoglienza, ascolto, pazienza, capacità di perdono, con l’indicazione disinteressata della verità e del bene. Deve sapere quando comandare e quando consigliare, quando correggere apertamente e quando rimandare. Non deve lasciarsi guidare nel giudizio sulle persone da nessun interesse che non sia il bene dell’altro.
Così ha vissuto Gesù con i suoi apostoli. E noi possiamo partecipare dei raggi di questa luce. Egli ha insegnato agli apostoli la sua obbedienza chiamandoli a vivere con lui. Ascoltando le sue parole, guardandolo agire, aderendo a ciò che egli chiedeva loro, sono entrati, quasi senza accorgersi, in una vita nuova di cui lo Spirito ha rivelato loro, in modo definitivo, la realtà.
Obbedire, molto prima che eseguire un comando, significa per noi addentrarsi nell’esperienza della compagnia vocazionale, in cui ha iniziato a rivelarsi il disegno buono del Padre per noi.
Verginità e maturità affettiva
La verginità è l’altro volto dell’obbedienza. Potremmo dire che è l’obbedienza al Padre vissuta nel rapporto con gli uomini e con le donne. Essa è la modalità di rapporto che Gesù viveva con ogni persona.
La verginità non rappresenta la rinuncia ad amare. Chi segue Cristo, imitando anche la forma della sua esistenza, non vive una vita diminuita, meschina, arida. All’opposto, è raggiunto dalla promessa di Gesù di avere il centuplo sulla terra, assieme alle persecuzioni (cfr. Mc 10,30). Cento volte tanto in pienezza affettiva. Eppure Gesù non si è sposato, non ha avuto figli carnali. Come stanno insieme le due cose? Certamente egli non ha disprezzato il matrimonio: ha iniziato il suo ministero pubblico durante una festa di nozze, ha fatto dell’unione tra uomo e donna un sacramento, cioè un segno efficace della alleanza tra Dio e l’umanità. Ma ha scelto lui stesso e ha chiesto a chi lo seguiva stabilmente di non avere marito o moglie. Ha presentato sé come l’unum necessarium (Lc 10,42). Amare Cristo, seguirlo, può bastare al cuore dell’uomo: in Lui troviamo un amore che non ci chiude in noi stessi ma, al contrario, ci spalanca ad amare tanti uomini e donne con lo stesso amore disinteressato con cui Gesù ama le nostre persone. L’itinerario della verginità ci conduce alla pienezza della carità, a quei beni definitivi che resteranno quando tutto ciò che è provvisorio scomparirà.
Se la verginità non può essere frutto dei nostri sforzi o propositi, allo stesso modo esige, e quasi suscita, il cambiamento del nostro modo istintivo di possedere, segnato dalla nostra condizione di peccatori.
Gesù invita a guardare l’altro con occhio purificato (Cfr. Mt 6,22), come lo guarda Dio, nel rispetto della sua vocazione.
La verginità, prima ancora che nei rapporti con i fratelli, dev’essere vissuta con noi stessi, imparando a guardarci, corpo e anima, come ci guarda Dio. Anche i legami con i genitori, i parenti, gli amici, devono essere segnati da questa conversione.
La verginità è custodita nella preghiera, con cui chiediamo a Dio l’esperienza del suo amore. Dal silenzio, che ci aiuta ad uscire dalla distrazione. Da un uso oculato e vigilante delle fonti di immagini (libri, cinema, televisione, tecnologie…), che permetta una purificazione della memoria.
Ma soprattutto sarà l’esperienza stessa della verginità a renderla desiderabile e a far sentire come leggero ogni sacrificio che essa richiederà alla nostra umanità ferita.
Tutta la nostra vita può essere definita un cammino di purificazione, di conversione dell’amore, verso la maturità affettiva. Anche se tale itinerario non sarà mai interamente compiuto sulla terra, noi, già nel tempo, possiamo sperimentare il passaggio dall’ira alla pazienza, dalla superbia all’umiltà, dal rancore al perdono, dall’invidia alla gioia per i beni degli altri. Possiamo, soprattutto, per grazia di Dio, convertire il nostro desiderio di possedere l’altro e le cose strumentalizzandole a nostro piacere, nella gratuità che sa godere in modo puro della presenza della persona amata, che sa donarsi e sacrificarsi.
La povertà è la pienezza dell’umano
La povertà nasce dalla scoperta che io appartengo ad un Altro, a Dio. Tale coscienza è fonte di un’enorme positività: sono di un Altro perché sono stato voluto e amato da lui. Sono stato suscitato all’essere dal nulla.
Se io sono opera di un Altro, tutto mi è dato da lui. Nello stesso tempo tutto è mio perché in Gesù trovo ogni bene necessario alla vita, in misura sovrabbondante. Tutto mi è dato per conoscere il Padre e colui che egli ha mandato (Cfr. Gv 17,3).
Vedere e usare di ogni cosa per raggiungere il Padre: in questo sta il segreto affascinante della povertà. Essa non è propriamente una virtù negativa, ma un atteggiamento positivo.
Nei discorsi missionari riportati da Matteo e Luca nei loro vangeli, tutto ciò è molto chiaro. La vita è definita dalla missione ed essa necessita di uomini liberi. Gesù invita i suoi che stanno partendo a non avere due tuniche, due borse, a non rimanere troppo in una casa (cfr. Lc 9,3-5; Mt 10,9-14). Li invita cioè ad avere un rapporto leggero, libero con cose e persone. Nessun uomo e nessuna cosa è disprezzata, tutto è collocato in un disegno in cui ciascuno trova il suo giusto posto. È veramente l’inizio di quei cieli nuovi e terra nuova di cui parla san Pietro (2Pt 3,13). L’inizio di un mondo veramente umano.
La povertà è la virtù che nasce dalla resurrezione di Cristo. Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (cfr. 1Cor 3,21-23). Soltanto chi vive nella certezza di aver ricevuto tutto da Gesù è libero di fronte alle cose. Altrimenti cercherà la propria sicurezza in ciò che ha, stringendolo sempre più a sé. Come in un naufragio, invece di affidarsi alla leggerezza delle acque, si aggrappa agli altri trascinandoli verso il fondo.
Colui che vive la povertà è luminoso. Essa deve irraggiarsi nel nostro modo di vestire, di mangiare, di arredare la casa. Dalla nostra vita deve essere abolito ogni sfarzo e ogni sciatteria. Le nostre case mostrino a noi e a chi vi entra la bellezza della semplicità, la gioia di avere solo ciò che è necessario.
Cari fratelli e sorelle, è questo il mio augurio per tutti voi. Possa la vostra vita risplendere nel mondo come segno e testimonianza della presenza di Dio in mezzo a noi.
Amen

* * *


Riporto da Avvenire
a firma di ENZO BIANCHI

Negli scritti di fr. Christian, il priore di Tibhirine, rapito e poi ucciso assieme a sei suoi confratelli nella primavera del 1996, c’è un tema che ritorna a più riprese e che ci offre una chiave di lettura preziosissima per cogliere quanto il messaggio di quella piccola comunità trappista presente al cuore dell’islam algerino possa ancora oggi costituire una memoria evangelica per tutta la chiesa, anche quella inserita, come in Europa, in contesti sociali ormai postcristiani. Questo tema è l’episodio della Visitazione di Maria a Elisabetta.  
Così fr. Christian scriveva nel 1977: “In questi ultimi tempi mi sono convinto che l’episodio della Visitazione è il vero luogo teologico scritturistico della missione nel rispetto dell’altro che lo Spirito ha già investito. Mi piace una frase di un autore che riassume molto bene tutto questo: “Gesù è ciò che accade quando Dio parla senza ostacoli nel cuore di un uomo”. In altri termini, quando Dio è libero di parlare e di agire senza ostacoli nella rettitudine di un uomo, quest’uomo parla e agisce come Gesù.”. Emerge qui lo stile di una “missione” che rispetta l’altro riconoscendolo come già illuminato, investito dallo Spirito e, come tale, capace di riconoscere i segni della presenza di Cristo in chi si fa prossimo per offrirgli – come prescrive la regola di Benedetto – “omnis humanitas”, ogni gesto possibile di solidarietà umana.
Anni dopo, in occasione della professione semplice di un suo confratello, l’omelia di fr. Christian propone un’interpretazione originalissima del sì di Maria cui fa immediatamente seguito la “salita” verso la cugina Elisabetta, gravida del Battista. “Ecco Maria,professa semplice perché il suo si è recentissimo, si lancia sulla strada verso la montagna per fare il noviziato della sua maternità universale. Maria votata a portare Cristo in sé, fuori da casa sua, come ciascuno di noi, e a servire umilmente affinché lo Spirito faccia trasalire il Figlio di Dio ancora in gestazione nell’altro”. È il servizio gratuito reso all’altro che fa sussultare, germogliare quello che lo Spirito ha già posto nell’altro.

Più tardi ancora, fr. Christian dirà: “Il mistero che viviamo in Algeria è proprio quello dell’ospitalità reciproca più completa. Lo Spirito santo è sempre con chi prende Maria con sé. È bene che la chiesa metta questo mistero della Visitazione sempre più al cuore della fretta che porta verso l’altro, cioè verso ogni essere umano”. La fretta che porta il cristiano verso l’altro è la sollecitudine, l’aver cura dell’altro al punto da non frapporre indugio tra l’averne conosciuto il bisogno e la disponibilità a sopperire a quel bisogno. Il cristiano conosce sì la “fretta escatologica” per il ritorno del Signore, ma questa è anche fretta che l’altro abbia la possibilità di incontrare il Signore attraverso il farsi prossimo a lui da parte dei discepoli del Signore. È allora che la Chiesa scopre la propria missione, come dice p. Rault, vescovo del Sahara: “La missione, sotto l’azione dello Spirito santo è la confluenza di due grazie: l’una concessa all’inviato, l’altra al chiamato”.
Mi sembra questo uno dei lasciti più preziosi della testimonianza fino alla morte offerta dai fratelli di Tibhirine: una memoria evangelica perché la chiesa intera non dimentichi che anche quando compie tanta strada, in salita, di corsa, come Maria verso Elisabetta, al suo arrivo troverà lo Spirito santo già presente, troverà l’altro verso il quale si china già abitato dalla presenza del Signore, in attesa solo di qualcuno che lo renda consapevole del dono gratuito che Dio offre a ogni essere umano.
ENZO BIANCHI 

 Presentazione di Gesù_Beato Angelico

Tanti sono gli artisti che hanno trovato ispirazione a partire dalla festa di oggi, ma forse lo sguardo più coinvolto e commosso è stato quello di un umile frate domenicano che è anche uno dei giganti della pittura del Quattrocento italiano: Fra’ Giovanni da Fiesole, più noto come Fra’ Angelico e poi Beato Angelico.

L’Angelico realizza a Firenze, nelle silenziose celle del convento di San Marco, i suoi più importanti capolavori: committente è Cosimo de’ Medici e le opere sono eseguite tra il 1440 e il 1445. Nella pace del chiostro Fra' Angelico trova il contesto ideale per esprimere la sua fede semplice e colta al tempo stesso, pacificante e ancora in armonia con la nuova visione dell’uomo promossa dalla cultura umanistica. Fra’ Angelico esprime con il suo talento la perfetta coesione tra ragione e fede dell’umanesimo cristiano, dove l’uomo, in armonia con la natura e il cosmo in quanto creatura divina, è protagonista della storia e dello spazio della rappresentazione.

La Presentazione al Tempio si trova nella cella 10 del corridoio Est, lato esterno; sicuramente è parte di quel gruppo di celle dipinte direttamente e completamente dal maestro, mentre una parte della decorazione del convento si deve probabilmente all’intervento di Benozzo Gozzoli. 
L’affresco è stato attentamente restaurato negli anni Ottanta e ha recuperato l’originaria bellezza. Lo straniante fondo rosso che occultava una delicata ambientazione architettonica è stato rimosso e anche la figura del Bambin Gesù, che era stata ridipinta nel XIX secolo, è tornata all’originale bellezza.

Tutta la scena è sapientemente disposta in una delicata quinta architettonica: il tempio come semplice cella monastica in cui Gesù è accolto e “consacrato" dal sacerdote, davanti allo sguardo accorato e commosso di Maria e Giuseppe, che ancora una volta accettano il glorioso ma terribile destino del figlio a loro affidato. Maria, esile figurina ammantata di rosso, svetta al centro della composizione, tendendo le mani come per un’ultima carezza, fragile ma fondamentale perno della costruzione pittorica.
Due figure ammantate di nero, San Pietro Martire e la Beata Villana, restituiscono il contatto con la committenza domenicana e con la devozione cittadina, inserendo l’episodio evangelico nell’esperienza di vita dei monaci di San Marco. (M. Colombo)