sabato 26 gennaio 2013

Il Vangelo è stato scritto per noi!



"Tutti voi che ascoltate le nostre parole, se siete uomini tali da essere amati da Dio, siete anche voi Teofili, e per voi è scritto il Vangelo"
Origene, Commento al Vangelo di Luca, 1, 5

Oggi 27 gennaio celebriamo la:   
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno C 
Di seguito i testi della liturgia con qualche commento.

Cristo è sempre presente nella sua Chiesa
Dalla Costituzione «Sacrosanctum Concilium» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla sacra Liturgia  (Nn. 7-8. 106)
Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e soprattutto nelle azioni liturgiche. E' presente nel Sacrificio della Messa tanto nella persona del ministro, «Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti», tanto, e in sommo grado, sotto le specie eucaristiche. E' presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo che battezza. E' presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. E' presente infine quando la Chiesa prega e canta i santi, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
In quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo prega come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre.
Giustamente perciò la Liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico e integrale.
Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l'efficacia.
Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini e dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo. Insieme con la moltitudine dei cori celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di condividere in qualche misura la loro condizione e aspettiamo, quale salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli apparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria.
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore» o «domenica». In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all'Eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li «ha rigenerati nella speranza viva della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1, 3). La domenica è dunque la festa primordiale che dev'essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le vengano anteposte altre celebrazioni, a meno che siamo di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico.
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 95,1.6
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore da tutta la terra;
splendore e maestà dinanzi a lui,
potenza e bellezza nel suo santuario.
 

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore...

Oppure:
O Padre, tu hai mandato il Cristo, re e profeta, ad annunziare ai poveri il lieto messaggio del tuo regno, fa che la sua parola che oggi risuona nella Chiesa, ci edifichi in un corpo solo e ci renda strumento di liberazione e di salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
 
LITURGIA DELLA PAROLA
   
Prima Lettura  Ne 8,2-4.5-6.8-10
Leggevano il libro della legge e ne spiegavano il senso.
 

Dal libro di Neemìa
In quei giorni, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere.
Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci d’intendere; tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge. Lo scriba Esdra stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza.
Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutti; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore, Dio grande, e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.
I levìti leggevano il libro della legge di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura.
Neemìa, che era il governatore, Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: «Questo giorno è consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!». Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.
Poi Neemìa disse loro: «Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza».

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 18
Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.
   
La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Ti siano gradite le parole della mia bocca;
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia roccia e mio redentore.
   
Seconda Lettura  1Cor 12,12-30 forma breve 12,12-14.27
Voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
[ Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.
Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra.
 ]Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato?
Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
 [ Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. ]  Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?
 
Canto al Vangelo   Lc 4,18
Alleluia, alleluia.
Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.

Alleluia.
  
  
Vangelo  Lc 1,1-4; 4,14-21
Oggi si è compiuta questa Scrittura .
 

Dal vangelo secondo Luca
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Parola del Signore.

COMMENTI

Congregazione per il Clero

«Tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della legge» (Ne 8,9). Tutto il popolo di Israele, ascoltando le parole della legge, piange! Piange di commozione e piange di dolore. In un caso, come nell’altro, il pianto è però salutare, è dono di Dio, che irriga la durezza dei cuori e li apre all’opera del suo amore.
«Tutto il popolo, ascoltando le parole della legge, piangeva»! Perché? Perché, all’ascolto di quelle parole, il popolo era preso dalla commozione, tanto che – abbiamo ascoltato – Esdra e Neemia, le guide del popolo, devono raccomandare di non piangere e di non fare lutto?
Perché all’ascolto di quelle parole, i cuori erano come rapiti dalla gioia e, insieme, dal dolore.
Anzitutto, Israele piange di gioia! Sì, il popolo piange di gioia all’ascolto di quelle parole, perché la legge, cioè la volontà che Dio aveva voluto rivelare alla nazione che si era scelta, rappresenta il segno più grande della prossimità e della predilezione di Dio. Una prossimità ed una predilezione, che affondano le radici, non in una qualche preminenza demografica, militare, o economica di Israele di fronte alle altre nazioni – il popolo, infatti, era appena tornato dall’esilio babilonese, durante il quale aveva sperimentato tutta la fragilità ed il peso del suo peccato –, ma solo nella sovrana volontà di Dio, la cui Provvidenza aveva riunito Israele nella terra promessa per rivolgergli ancora la sua attenzione, la sua parola. Il popolo, quindi, piange di commozione, perché Dio è fedele alle sue promesse e non si è allontanato, nemmeno di fronte al peccato.
In secondo luogo, il popolo piange di dolore. Perché? Perché la lettura del libro della legge, ricorda al popolo da quale dignità esso sia caduto e quanto sia grande la sua infedeltà, un’infedeltà fatta di innumerevoli tradimenti, un’infedeltà, che pare ineluttabile, invincibile. Un’infedeltà, che solo la forza di quell’amore forte, instancabile e ostinato di Dio potrà sconfiggere.
Il libro della legge è un libro, così, di benedizione, perché rivela la vicinanza di Dio, ma anche un libro di maledizione, perché, alla luce della legge, tutto il mondo è riconosciuto colpevole di fronte a Dio (cfr. Rm 3,19).
Questa duplice dimensione della legge, che benedice e maledice al contempo, che dice l’amore e l’attenzione di Dio per l’uomo e la colpevolezza dell’uomo, che non corrisponde all’amore di Dio, perdura nella storia fino all’accadere di un fatto nuovo, fino all’accadere di quell’avvenimento, del quale parla San Luca nella pagina di Vangelo che abbiamo ascoltata: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te» (Lc 1,1-4).
Di quale avvenimento si tratta? Cosa ci è stato trasmesso da coloro che ne furono testimoni oculari? Cosa ci è accaduto?
Carissimi fratelli e sorelle, ci è accaduta la Misericordia di Dio fatta carne! Ci è accaduto il Figlio di Dio, «nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge» (Gal 4,4)! Ci è accaduto Gesù Cristo, crocifisso, morto e risorto! Egli, qui come nella sinagoga di Nazareth, dice a noi: «Oggi – cioè adesso, mentre mi stai guardando, ma non solo; “oggi”, cioè in me, nella mia persona, nella mia carne – si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
È in Cristo, vero uomo e vero Dio, che la legge trova perfetto compimento; è nella sua carne, che la volontà dell’uomo aderisce perfettamente e definitivamente alla volontà di Dio; è nella sua carne che, per il Mistero dell’Incarnazione, ci è donata la comunione dell’uomo con Dio ed è sempre in lui che questa comunione viene perfettamente compiuta in quell’obbedienza perfetta, «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8).
In Cristo, la legge viene perfettamente compiuta, ma anche superata! All’uomo, infatti, non viene più soltanto chiesto un amore “creaturale”, umano; all’uomo, Dio domanda, ora, un amore divino, quell’amore eterno del Figlio per il Padre, nel quale Cristo ci ha introdotti, dischiudendoci il suo cuore, donandoci il suo Spirito nel santo Battesimo e rendendoci membra del suo Corpo.
La nostra legge, ora, è lui, è Cristo stesso, legge di grazia, legge scritta nei nostri cuori con il fuoco dello Spirito, legge viva che, mentre ci comunica l’amore di Dio, per pura misericordia, ci rende anche capaci di riamarlo a nostra volta, «ognuno secondo la propria parte» (1Cor 12,27).
Domandiamo a Maria Santissima, che di questo Corpo è l’icona perfetta, di illuminare gli occhi della nostra mente, di mostrare a ciascuno l’inaudita prossimità del Mistero fatto uomo nel suo grembo e di accogliere sempre più la comunione viva con Cristo, per abbracciare, con inesauribile gratitudine, il posto ch’egli ci ha assegnato nella Chiesa e, da lì, servirlo con tutto il cuore. Amen!
* * *
Padre Raniero Cantalamessa
 Prima di iniziare il racconto della vita di Gesù, l’evangelista Luca spiega i criteri che l’hanno guidato. Egli assicura di riferire fatti attestati da testimoni oculari, appurati da lui stesso con «ricerche accurate», perché chi legge si possa rendere conto della solidità degli insegnamenti contenuti nel Vangelo. Questo ci dà l’occasione di occuparci del problema della storicità dei Vangeli.
Fino a qualche secolo fa, non esisteva nella gente il senso critico. Si prendeva per storicamente accaduto tutto ciò che veniva riferito. Negli ultimi due o tre secoli, è nato il senso storico per cui, prima di credere a un fatto del passato, lo si sottopone a un attento esame critico per accertarne la veridicità. Questa esigenza è stata applicata anche ai Vangeli.
Riassumiamo le varie tappe che la vita e l’insegnamento di Gesù hanno attraversato prima di giungere fino a noi.
Prima fase: vita terrena di Gesù. Gesù non scrisse nulla, ma nella sua predicazione usò alcuni accorgimenti comuni alle culture antiche, le quali facilitavano molto il ritenere un testo a memoria: frasi brevi, parallelismi e antitesi, ripetizioni ritmiche, immagini, parabole…Pensiamo a frasi del Vangelo come: «Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi », «Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione…; stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita» (Mt 7,13-14). Frasi come queste, una volta ascoltate, anche la gente di oggi difficilmente le dimentica. Il fatto dunque che Gesù non abbia scritto lui stesso i Vangeli non significa che le parole in essi riferite non siano sue. Non potendo stampare le parole sulla carta, gli uomini antichi se le stampavano nella mente.
Seconda fase: predicazione orale degli apostoli. Dopo la risurrezione, gli apostoli cominciarono subito ad annunciare a tutti la vita e le parole di Cristo, tenendo conto dei bisogni e delle circostanze dei diversi ascoltatori. Il loro scopo non era quello di fare della storia, ma di portare le persone alla fede. Con la comprensione più chiara che ora ne avevano, essi furono in grado di trasmettere agli altri quello che Gesù aveva detto e fatto, adattandolo ai bisogni di coloro a cui si rivolgevano.
Terza fase: i Vangeli scritti. Una trentina d’anni dopo la morte di Gesù, alcuni autori cominciarono a mettere per iscritto questa predicazione giunta fino a essi per via orale. Nacquero così i quattro Vangeli che conosciamo. Delle molte cose giunte fino a loro, gli evangelisti ne scelsero alcune, ne riassunsero altre, altre infine le spiegarono, per adattarle ai bisogni del momento delle comunità per le quali scrivevano. Il bisogno di adattare le parole di Gesú a delle esigenze nuove e diverse influì sull’ordine con cui i fatti sono raccontati nei quattro Vangeli, sulla diversa colorazione e importanza che rivestono, ma non ha alterato la verità fondamentale di essi.
Che gli evangelisti avessero, per quanto era possibile in quel tempo, una preoccupazione storica e non solo edificante, lo dimostra la precisione con cui situano la vicenda di Cristo nel tempo e nello spazio. Poco più avanti, Luca ci fornisce tutte le coordinate politiche e geografiche dell’inizio del ministero pubblico di Gesù (cfr. Lc 3,1-2).
In conclusione, i Vangeli non sono libri storici nel senso moderno di un racconto il più possibile distaccato e neutrale dei fatti accaduti. Sono però storici nel senso che quello che ci trasmettono riflette nella sostanza l’accaduto.
Ma l’argomento più convincente a favore della fondamentale verità storica dei Vangeli è quello che sperimentiamo dentro di noi ogni volta che siamo raggiunti in profondità da una parola di Cristo. Quale altra parola, antica o nuova, ha avuto mai lo stesso potere?
* * *
COMMENTI PATRISTICI
S. Ambrogio
Poiché molti – dice Luca – hanno intrapreso. Evidentemente, hanno intrapreso coloro che poi non riuscirono a condurre a termine l’opera. In tal modo anche san Luca, dicendo che molti hanno intrapreso, dal canto suo dimostra esaurientemente che molti hanno cominciato senza poter finire. Chi infatti si è sforzato di ripartire la materia, lo ha fatto secondo le sue forze, senza però riuscirvi. Invece i doni e la grazia di Dio si ottengono senza alcuno sforzo, e, quando vengono infusi, hanno l’effetto di irrigare l’ingegno dello scrittore, tanto che esso non scarseggi, ma abbondi rigogliosamente. Non si è sforzato Matteo, non si è sforzato Marco, non si è sforzato Giovanni, non si è sforzato Luca, ma provvisti dallo Spirito divino dell’abbondanza di tutto, parole e argomenti, terminarono senza alcuna fatica quanto avevano cominciato. Per questo dice giustamente: Perché molti hanno intrapreso a stendere una narrazione degli avvenimenti, che si sono compiuti tra noi, o anche che abbondano in noi.
Ora, ciò che abbonda non viene a mancare per nessuno e nessuno può dubitare di ciò che si è compiuto, poiché l’esito ne garantisce la verità, e le conseguenze la proclamano. Pertanto il Vangelo è compiuto, e abbonda in tutti i fedeli del mondo intero e irriga la mente, e fortifica il cuore di tutti. Perciò Luca fondato sulla roccia, come colui che ha attinto tutta la pienezza della fede e il sostegno della perseveranza, può dire giustamente ciò che in noi si è compiuto; infatti sia coloro che narrano le azioni salvifiche del Signore, sia coloro che considerano la sua vita mirabile, distinguono il vero dal falso non in base a segni e a prodigi, ma alla parola. Quando leggi di azioni superiori alle umani possibilità, c’è forse metodo più ragionevole che attribuirle alla natura superiore, e riferire invece alle debolezze del corpo assunto da Cristo ciò che leggi circa le azioni della sua natura mortale? In tal modo la nostra fede non si fonda su prodigi, ma su la parola e l’intelligenza.
E continua: Come ce li hanno trasmessi quelli che videro da principio e divennero ministri della Parola. ... Poiché si parla non di una parola pronunziata, ma della Parola sostanziale che si fece carne e ha dimorato fra noi, dobbiamo qui intendere non una qualsiasi, ma quella celeste Parola, a cui servirono gli apostoli. ...
Questo Vangelo è stato scritto per Teofilo, cioè per colui che Dio ama. Se ami Iddio, è stato scritto anche per te, e, se è stato scritto per te, prendi il regalo che l’evangelista ti fa. Conserva con cura il pegno dell’amico nel segreto del cuore, custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo, che ci è stato dato, studialo frequentemente, interrogalo spesso. A un pegno devi serbarti anzitutto fedele, alla fedeltà deve seguire diligenza, perché tignola e ruggine non distruggano i pegni a te dati: può darsi infatti che si rovini ciò che ti è stato affidato. Il vangelo è un pegno che rende bene, bada però che tignola e ruggine non lo corrodono perfino nel tuo cuore. Lo corrode la tignola, se tu credi male quanto hai letto bene. ...
C’è anche una ruggine dell’anima, quando l’acutezza dell’intenzione religiosa si attutisce macchiandosi delle passioni mondane, oppure quando la trasparenza della fede viene intorbidata dalla nebbia dell’eresia. Ruggine dell’anima è la cura smodata del patrimonio, ruggine dell’anima è l’indolenza, ruggine dell’anima è l’arrivismo, se in queste cose si ripone ogni speranza della vita presente. Perciò, volgendoci alle cose di Dio, aguzziamo l’ingegno, manteniamo desto l’affetto, affinché possiamo conservare riposta nella guaina dell’animo nostro, sempre pronta e affilata, quella spada che il Signore ci comanda di comperare, vendendo il mantello. I soldati di Cristo, infatti, devono sempre avere a disposizione le armi spirituali, che da Dio hanno la potenza di debellare le fortezze, perché non avvenga che il condottiero dell’esercito celeste, alla sua venuta, disgustato dalla ruggine delle nostre armi, ci allontani dalle sue legioni.
(Dall’Esposizione del Vangelo secondo Luca I, 3-5. 12. 14)

S. Bruno di Segni
Gesù tornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Il Signore aveva predicato in Giudea e aveva mostrato con segni e miracoli la sua potenza e di là è tornato in Galilea. Ma come vi è tornato? Con la potenza dello Spirito. Sempre infatti il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio e lo Spirito Santo in entrambi. Benché dunque Gesù sempre fosse nella potenza dello Spirito Santo, sembrava agire così particolarmente quando dimostrava con la parola e l’opera la forza della sua potenza. Per cui aggiunge anche: Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Per questo infatti era magnificato, perché predicava con la potenza dello Spirito Santo.
E si recò a Nazaret, dove era stato allevato ed entrò secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga, e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. A Nazaret era stato allevato ma non aveva studiato. Tuttavia si alzò a leggere, al fine di operare, leggendo, un miracolo per coloro tra i quali era stato allevato. Infatti non leggiamo che abbia mai fatto questo altrove. Se lo avesse fatto da un’altra parte, si sarebbe potuto pensare che aveva studiato presso un maestro. Ma non potevano supporre questo coloro che lo avevano conosciuto dall’infanzia e non lo avevano mai visto frequentare le scuole e non lo avevano mai udito leggere tanto ampiamente. Ma nota ciò che dice: Entrò secondo la sua consuetudine nella sinagoga. I cristiani infatti devono avere questa consuetudine di venire ogni giorno alla chiesa e ogni giorno di leggere loro stessi oppure, se non ne sono capaci, di ascoltare leggere gli altri.
E apertolo, trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione ... Non si meravigliavano perché leggeva, se non forse per il fatto che non aveva studiato, ma perché esponeva mirabilmente ciò che leggeva. Le sue parole infatti erano piene di grazia e dolci per tutti ad ascoltarsi, secondo quanto sta scritto: Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo: sulle tue labbra è diffusa la grazia (Sal 44, 3). E ancora: Come sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele alla mia bocca (Sal 118, 103). E non tanto la lettura in sé dava questa grazia e questa dolcezza, quanto la spiegazione della lettura.
Vediamo pertanto che cosa significa questa lettura del profeta Isaia, anzi del nostro Signore. Egli ha compreso che essa parlava di lui stesso e l’ha proclamata adempiuta in lui. Lo spirito del Signore – dice – è su di me. È lui infatti il fiore della radice di Iesse, sul quale riposa lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelletto, di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, e Spirito di timore del Signore. È lui di cui è stato scritto: Hai amato la giustizia e odiato l’empietà: perciò ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di letizia a preferenza dei tuoi compagni (Sal 44, 8). Conviene infatti e molto giova che sia eletto uno così, e sia eletto re colui che ha odiato l’iniquità e amato la giustizia. Dica pure dunque: Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poveri il lieto messaggio. Certo a quei poveri di cui è detto: Beati i poveri in spirito (Mt 5, 3). Un ricco venne da lui e, ascoltate le sue parole, se ne andò via triste perché aveva molti beni. Giustamente dunque il Signore predica non ai ricchi, ma ai poveri. E sana i contriti di cuore, perché facilmente la sua dottrina li soccorre. Di loro dice il Salmista: Un cuore contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, o Dio, tu non disprezzi (Sal 50, 19). Abbia dunque il cuore contrito chi desidera essere sanato da Dio. Predica anche la libertà ai prigionieri, non quella per cui siamo affrancati da Babilonia, ma quella per cui siamo liberati dai demoni. Predica anche la vista ai ciechi, privi della luce interiore. Di questa cecità certo parla l’Apostolo:Israele in parte è stato accecato (Rm 11, 25). Rimanda in libertà gli oppressi perché chiama al suo perdono, risanando lui stesso e rimettendo i peccati, coloro che il diavolo aveva ferito con i suoi colpi. Predica anche l’anno di grazia del Signore e il giorno della retribuzione dicendo: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3, 2). E ancora: Molti profeti e re vollero vedere quello che voi vedete e non lo videro, e udire quello che voi udite e non lo udirono (Mt 8, 17). Di questo anno di grazia, di questo giorno di retribuzione l’Apostolo dice: Ecco il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza (1 Cor 6, 2).
(Dal Commento a Luca I, V, 15)

San Cirillo di Alessandria
Cristo, volendo restaurare il mondo e ricondurre tutti gli uomini al Padre, trasformare in meglio tutte le cose e rinnovare la faccia della terra, assunse la condizione di servo (cfr. Fil 2, 7) – egli Signore dell’universo – e annunziò la buona novella ai poveri, affermando che proprio per questo era stato mandato. Per poveri si possono intendere quelli che soffrono nella totale indigenza, ma anche, come dice la Scrittura, tutti quelli che non posseggono la speranza e che nel mondo sono privi di Dio.
Arrivati a Cristo dal paganesimo, arricchiti dalla fede in lui, hanno conseguito un tesoro divino venuto dal cielo, la predicazione del Vangelo della salvezza, resi partecipi in tal modo del regno dei cieli e consorti dei santi, eredi di quei beni che non si possono né immaginare, né domandare: cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo; queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor 2, 9).
O forse qui s’intende che ai poveri in spirito è stato donato nel Cristo abbondante ministero di carismi. Egli chiama coloro che hanno il cuore smarrito, e l’animo debole e fiacco, quelli che sono incapaci di resistere agli assalti delle tentazioni, talmente soggetti alle passioni da sembrarne schiavi. Ebbene proprio a questi egli promette guarigione e aiuto, così come ai ciechi dona la vista. Infatti quelli che adorano una creatura e dicono a un pezzo di legno: tu sei mio padre; e a una pietra: tu mi hai generato (Ger 2, 27) certo non hanno conosciuto Dio. Che cosa sono se non dei ciechi nel cuore, privi della luce divina per intendere? A costoro il Padre infonde la luce di una vera conoscenza di Dio.
Chiamati per mezzo della fede lo hanno conosciuto; anzi, più ancora sono stati conosciuti da Lui. Mentre erano figli della notte e delle tenebre, son diventati figli della luce. Il giorno è spuntato ad illuminarli, ed è sorto per loro il sole di giustizia; per loro si è levata lucente la stella del mattino.
Nulla ci vieta di applicare tutto questo anche ai fratelli venuti dal giudaismo. Anch’essi erano poveri, col cuore spezzato, comeschiavi e nelle tenebre. Ma venne Cristo, e a Israele prima che agli altri si annunziò con le benefiche e fulgide manifestazioni della sua potenza, proclamò l’anno di misericordia del Signore e il giorno della salvezza. Anno della misericordia era quello in cui Cristo fu crocifisso per noi. Allora davvero noi siamo diventati cari a Dio Padre, e per mezzo di Cristo abbiamo dato frutto. Ce lo ha insegnato egli stesso: In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se invece muore produce molto frutto (Gv 12, 24). A coloro che piangevano su Sion venne offerta in Cristo la consolazione, e la gloria invece della cenere. Cessarono infatti di piangerla, e cominciarono a predicare e annunziare il vangelo della gioia.
(Dal Commento sul profeta Isaia 5, 5)