lunedì 28 gennaio 2013

Gesù politically uncorrect

 
di Gianfranco Ravasi
in “il Sole 24 Ore” del 27 gennaio 2013
Quando attraccano col battello a Cafarnao, sulla sponda settentrionale del lago di Tiberiade, i pellegrini
intravedono subito le colonne e le pareti rimaste in piedi dell'antica sinagoga
del IV secolo, segno dell'importanza di questa cittadina di transito verso la Siria, ora però ridotta solo a un
campo archeologico gestito dai Francescani. In quell'area sinagogale, in un edificio preesistente ora scomparso,
Cristo tenne un lungo e sconcertante discorso sulla sua carne come cibo e sul suo sangue come bevanda. Se si pensa
che in quella cultura era vietato persino toccare un corpo lacerato e sanguinolento perché il sangue, segno della vita
intangibile, contaminava chi lo manipolava, si riesce a comprendere la reazione di molti discepoli di Gesù
registrata dall'evangelista Giovanni: «Questo discorso è sklerós», cioè «duro», inaccettabile (6,6o).
Lo stesso Cristo ne è consapevole e replica: «Questo vi scandalizza?», e in greco skàndalon è la pietra
d'inciampo che fa incespicare e cadere una persona che avanza su un viottolo accidentato. Non per nulla,
rivolto ai dodici, gli apostoli da lui selezionati, li aveva interpellati con una domanda netta e radicale: «Volete
andarvene anche voi?» (6,67). Di fronte ai molti altri discepoli che o tornarono indietro e non andavano più
con Gesù», sarà l'apostolo Pietro a reagire: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!»
(6,68). Questa promessa così solare era, però, destinata non di rado ad appannarsi dinanzi ad altre parole
e comportament i «duri» del Maestro.
Abbiamo voluto evocare questa scena evangelica per presentare un libro che un monaco della comunità
piemontese di Bose, Ludwig Monti (Le parole dure di Gesù, Qiqaj on, Bose, Biella, pagg. 172, €16,00) ha dedicato
proprio alle «parole dure di Gesù», un volume che in copertina ha l'impressionante volto di Cristo in opus
sectile della domus di Porta Marina a Ostia (IV sec.) dagli occhi terrificanti e agghiaccianti.
Io stesso ormai da molto tempo ho consacrato una rubrica settimanale della Famiglia Cristiana a uno spoglio
sistematico non solo di «parole dure» di Gesù, ma anche di tutti i passi del Vangelo che sono vere e proprie «pietre
d'inciampo» (skàndalon) del lettore. Costui, infatti, è incline a considerare Cristo solo come «mite e umile di cuore»
e, quindi, dolce, tenero, mansueto, e a ritenere l'«evangelo» solo una «buona novella».
Questo è vero, ma l'amore non elide la giustizia, la bontà si deve coniugare con la verità, la delicatezza
non è sinonimo di ingenuità, la soavità non può sconfinare nella sprovvedutezza e il bene non è
dabbenaggine.
Il biblista di Bose colleziona 34 passi evangelici articolandoli secondo i destinatari (stando almeno alla
redazione degli evangelisti) e cioè i dodici o i discepoli, le persone religiose di allora (pensiamo agli scribi e ai farisei),
la folla ebraica e altri, per finire con una frase rivolta a Dio e apparentemente problematica: «Io prego per loro , non
prego per il mondo» (Giovanni 17,9).
A creare difficoltà interpretativa o imbarazzo in verità ci sono molte altre paro
le di Gesù ed è forse per questo che Monti aggiunge in finale una bibliografia «per andare oltre...».
Certo è che molti lettori dei Vangeli si scontrano non di rado con frasi scioccanti (hard sayings le definiva
un saggio del 1983 dello studioso americano Frederick F. Bru ce) come, ad esempio, questo invito sbalorditivo
rivolto da Gesù a un aspirante discepolo che aveva appena perso il padre e doveva partecipare al funerale:
«Tu seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti!» (Matteo 8,22).
O ancora, in modo altrettanto provocatorio e «scandaloso»: «Se uno viene a me e non odia suo padre, la
madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Luca
14,26). In realtà, qui lo sconcerto (Gesù che impone l'odio, dopo aver sempre esaltato l'amore e la non violenza!) è
più di indole linguistica, essendo sprovviste le lingue semitiche - come l'aramaico sotteso al greco dei Vangeli - del
comparativo relativo per cui «amare meno» si rende con «odiare». In questo caso, allora, lo sbigottimento
davanti a un simile appello si dissolve, pen
sando che Gesù voleva dire: «Se uno viene a me e mi ama meno di quanto ami suo padre...». Ma perché Luca
che ben maneggiava il greco non ha adottato subito questa resa? Risponde giustamente Monti: «A costo di urtare i
suoi lettori di lingua greca, Luca mantiene il verbo "odiare" per far risaltare la paradossalità della richiesta di
Gesù». Detto in altri termini, Gesù non è un politico che, a costo di aggregare a sé voti e conservare il potere, è
pronto a ogni compromesso. Meglio pochi discepoli (il «piccolo gregge») consapevoli delle esigenze della
scelta da compiere che una massa di seguaci approssimativi e inclini alla fuga davanti a un impegno serio e
severo.
Potremmo andare avanti in questa elencazione, adducendo un esempio ulteriore, come questa
imbarazzante dichiarazione di Cristo: «Qualunque peccato o bestemmia verrà perdonata, ma la bestemmia contro
lo Spirito non verrà perdonata» (Matteo 12,31). Già sant'Agostino confessava la sua impotenza a decifrare
l'asserto, riconoscendo che «nelle S. Scritture non c'è forse nessuna questione più impegnativa e non se ne trova
altra più difficile». Il nostro autore propone una soluzione suggestiva, tenendo conto del contesto ove di scena è la
lotta contro Satana e il peccato. Là si ha l'affermazione di Gesù che dichiara di «scacciare i demoni per mezzo dello
Spirito di Dio»
(12,28). Allora, «se lo Spirito è la remissione dei peccati, bestemmiare contro di esso è chiudersi ipso facto
al perdono donato da Dio e rifiutare di lasciarsi da lui convertire. Gesù non pronuncia una parola di castigo, si limita
a una triste constatazione di questa realtà di fatto» che rivela, tra l'altro, il rilievo della libertà umana.
Fermiamoci qui, lasciando scoprire ai lettori altre «parole dure» di Cristo, per non parlare di quei passi
evangelici problematici o complicati che qui non vengono affrontati e ai quali penso di dedicare io stesso in futuro
un'analisi essenziale, destinata a chi non ha un'attrezzatura esegetica specifica. Vorremmo, infatti, che
tutti si rendessero ragione dei testi e della loro difficoltà, consapevoli di una battuta dello storico inglese secentesco
Thomas Fuller che, nella sua Gnomologia , sosteneva: «Tutto è difficile prima di diventare semplice».