sabato 22 dicembre 2012

Oggi Maria la fa da padrone


Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, 
sia in ciascuno lo Spirito di Maria a esultare in Dio; 
se, secondo la carne, una sola è la Madre di Cristo,
secondo la fede tutte le anime generano Cristo.
S. Ambrogio, Esp. del Vang. sec. Luca, II, 26

* * * 


La solennità del Natale del Signore è alle porte, anzi è già attivo in noi il Mistero dell'Incarnazione del Verbo e attende solo che noi lo rendiamo operativo nella nostra vita attraverso la fede. Nulla siamo senza Dio fatto carne, niente possiamo progettare per la nostra vita senza la sua presenza che porta in sé l'eternità. Lo sguardo di Maria, la Vergine Madre che ha creduto, ci ispiri un Natale di santità. Buona domenica pb. Vito Valente.
È questo anche il mio augurio personale a tutti voi.

Oggi 23 dicembre celebriamo la    

IV DOMENICA DI AVVENTO

 Anno C



Magnificat
Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(1, 46-55; CCL 120, 37-39)
«Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo con una concezione temporale.
Perché ha fatto in me cose grandi l'Onnipotente, e santo è il suo nome (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all'inizio del cantico dove è detto: «L'anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell'anima a cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» (Mt 5, 19).
Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là di tutto quello che ha fatto.
«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l'ho amato (cfr. Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: «Chiunque diventerà piccolo come un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli» (cfr. Mt 18, 4).
«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme della sua fede, sia nella circoncisione sia nell'incirconcisione. Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 29). E' da rivelare poi che le madri, quella del Signore e quella di Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per l'inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, gli sia restituita la vita.
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Is 45,8
Stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada
e dalle nubi scenda a noi il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore.

 

 
Colletta
Infondi nel nostro spirito la tua grazia, o Padre, tu, che nell'annunzio dell'angelo ci hai rivelato l'incarnazione del tuo Figlio, per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

 
Oppure:
O Dio, che hai scelto l'umile figlia di Israele per farne la tua dimora, dona alla Chiesa una totale adesione al tuo volere, perché imitando l'obbedienza del Verbo venuto nel mondo per servire, esulti con Maria per la tua salvezza e si offra a te in perenne cantico di lode. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

    
Prima Lettura  Mic 5,1-4a
Da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele
 

Dal libro del profeta Michea
Così dice il Signore:
«E tu, Betlemme di Èfrata,
così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele;
le sue origini sono dall'antichità, dai giorni più remoti.
Perciò Dio li metterà in potere altrui,
fino a quando partorirà colei che deve partorire;
e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele.
Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore,
con la maestà del nome del Signore, suo Dio.
Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande
fino agli estremi confini della terra.
Egli stesso sarà la pace!». 
 
Salmo Responsoriale  Dal Salmo 79
Signore, fa' splendere il tuo volto
e noi saremo salvi.

   
Tu, pastore d'Israele, ascolta,
seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci.
 
Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
 
Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome.
 
Seconda Lettura  Eb 10,5-10
Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà.

Dalla lettera agli Ebrei

 
Fratelli, entrando nel mondo, Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà"».
Dopo aver detto: «Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato», cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre.
 
Canto al Vangelo  Lc 1,38
Alleluia, alleluia.
Ecco la serva del Signore:
avvenga per me secondo la tua parola. 

Alleluia.
  
  
Vangelo  Lc 1,39-45
A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?
Dal vangelo secondo Luca
 
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Ap­pena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bam­bino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orec­chi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.
E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Parola del Signore.

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero
«A che debbo che la Madre del mio Signore venga da me?» (Lc 1,43). La Notte Santa è vicina, pare già di sentire il canto degli angeli, che chiama alla grotta i pastori di Betlemme, e la Chiesa, in questa Quarta Domenica d’Avvento, in uno straordinario crescendo di grazia e di stupore, dopo averci fatto incontrare San Giovanni Battista, il Precursore del Verbo Incarnato, ci pone dinanzi Maria, Colei che, nel grembo, porta l’Atteso del nostro cuore!
 A che dobbiamo questo straordinario incontro? Perché un visita così inaspettata, così immeritata prima del Santo Natale? Cosa vuole donarci, oggi, la Chiesa? Cosa ci dice, oggi, Maria?
Anzitutto, vengono alimentati, in modo formidabile, la nostra attesa, il nostro desiderio e la nostra gratitudine!
Viene alimentata la nostra attesa, perché Maria Santissima porta in grembo il Frutto che Dio attende dall’umanità, il Frutto che noi non saremmo mai stati capaci di offrire, il Figlio che è stato generato in Lei per opera dello Spirito Santo, Colui che, entrando nel mondo, dice: «Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10,6-7).
Viene alimentato il nostro desiderio, perché se è così bella la Vergine Immacolata che viene a farci visita, se la sua voce riempie di gioia il grembo di Santa Elisabetta e inonda d’amore il nostro cuore, quanto deve essere straordinariamente bello, amoroso e grande Colui che Ella porta dentro di sé. Se è così maestosa la Dimora regale, quanto dovrà essere forte e maestoso il Re che la abita! Se è così dolce il primo frutto, quanto dovrà essere rigoglioso l’Albero da cui è stato tratto! Attendiamo con desiderio il Natale del Signore e alimentiamo questo desiderio, guardando a Maria e ripetendo: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il Frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42).
Viene alimentata, ancora, la nostra gratitudine. Sì, perché se la voce che esce dalle sue labbra è fonte di gioia, poiché eco di quella Gioia senza tramonto che porta nel grembo, lo dobbiamo alla sua santa libertà! Sì, perché Ella «ha creduto – esulta Elisabetta – nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45), ha pronunciato il suo “sì” all’annuncio dell’Angelo e, così, ha permesso ogni nostro “sì”! Sul suo “sì”, ogni “sì” si fonda!
Sul suo “sì” ha voluto poggiarsi lo stesso eterno “Sì” di Dio alla nostra Salvezza! Per il suo “sì”, la Salvezza è divenuta “realtà”. Per il suo “sì”, anche noi possiamo aderire, possiamo “credere” alle parole che il Signore ci dice e, in tal modo, divenire beati!
E cosa ci dice il Signore? A cosa, in questo Anno della Fede, siamo chiamati a credere, con ferma fede, obbedendo con la nostra volontà e intelligenza?
Siamo chiamati a credere, con ferma fede, anzitutto questo: il Pastore d’Israele, che, seduto sui cherubini, risplende, è venuto a visitarci, a visitare noi, che siamo la Sua Vigna, e poiché Lui ci ha raggiunto, prendendo la nostra carne in Maria e da Maria, da Lui mai più ci allontaneremo (cfr. Sal 79,2.15.19).
In secondo luogo, siamo chiamati a credere, con ferma fede, che Egli, non solo, prende la nostra carne, ma si fa “portare” dalla nostra carne. È nel grembo di Maria, che Cristo visita Santa Elisabetta e benedice il Suo Precursore. È da Maria che nascerà a Betlemme. È da Maria che verrà presentato al Padre e all’umanità nel Tempio di Gerusalemme. È dalla carne umana, dalla carne immacolata di Maria e dalla carne “salvata” della Chiesa, che Egli si fa portare. È attraverso la carne della Chiesa, attraverso la nostra carne – quella carne, che ha reso partecipe della Sua stessa gloria divina –, che Egli vuole stare con noi e raggiungere ogni uomo, oggi e fino alla consumazione dei tempi!
Esultiamo, allora, con gioia indicibile e gloriosa, intonando, con Colei che tutte le generazioni chiameranno “Beata”: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1,46). Amen!
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2. Padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.

L’ultima Domenica di Avvento è quella che ci deve preparare immediatamente al Natale. Ormai gli acquisti dovrebbero essere terminati e siamo forse un po’ più disponibili a pensare anche al senso religioso della festa. Il Vangelo è quello della Visitazione di Maria ad Elisabetta, che si conclude con il Magnificat: “L’anima magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”.
Con il Magnificat Maria ci aiuta a cogliere un aspetto importante del mistero natalizio sul quale vorrei insistere: il Natale come festa degli umili e come riscatto della povera gente. Dice: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Nel mondo d’oggi si vanno profilando due nuove classi sociali, che non sono più le stesse con cui si ragionava nel passato, e cioè padroni e proletari. Sono piuttosto, da una parte, la società cosmopolita che sa l’inglese, che si muove a suo agio negli aeroporti del mondo, che sa usare il computer e “naviga” su Internet; per la quale la terra è già “il villaggio globale”; dall’altra, la gran massa di coloro che sono usciti appena dal paese in cui sono nati e hanno un accesso limitato o solo indiretto ai grandi mezzi di comunicazione sociale. Sono questi, oggi, rispettivamente, i nuovi “potenti” e i nuovi “umili”.
Maria ci aiuta a rimettere le cose a posto e a non lasciarci ingannare. Ci dice che spesso i valori più profondi si nascondono tra gli umili; che gli avvenimenti che più incidono nella storia (come la nascita di Gesù), accadono in mezzo ad essi, non sui grandi palcoscenici del mondo. Betlemme era “la più piccola borgata di Giuda”, dice la prima lettura di oggi, eppure fu in essa che nacque il Messia. Grandi scrittori, come Manzoni e Dostoevskij, hanno immortalato, nelle loro opere, i valori e le storie della “povera gente”.
La “scelta preferenziale” dei poveri è qualcosa che Dio ha fatto ben prima del Concilio Vaticano II. La Scrittura dice che “Dio è eccelso, ma si china a guardare verso l’umile” (Sal 138, 6); che “resiste ai superbi, ma dà la sua grazia agli umili” (1 Pt 5,5). Lungo tutta la rivelazione egli ci appare come un Dio che si china sui miseri, gli afflitti, gli abbandonati e quelli che non sono nulla agli occhi del mondo. Tutto questo contiene una lezione attualissima. La nostra tentazione infatti è di fare esattamente il contrario di quello che ha fatto Dio: di voler guardare a chi sta in alto, non a chi sta in basso; a chi sta bene, non a chi si trova nel bisogno.
Non possiamo accontentarci di ricordare che Dio guarda verso gli umili. Dobbiamo diventare noi stessi piccoli, umili, almeno di cuore. La basilica della Natività a Betlemme ha una sola porta d’ingresso ed essa è così bassa che non vi si passa se non curvandosi profondamente. Qualcuno dice che fu costruita così per impedire che i beduini vi entrassero dentro in groppa ai loro cammelli. Ma la spiegazione che si è sempre data (e che contiene, in ogni caso, una profonda verità spirituale) è un’altra. Quella porta doveva ricordare ai pellegrini che per penetrare nel significato profondo del Natale bisogna abbassarsi e farsi piccoli.
Nei prossimi giorni sentiremo cantare tante volte l’antica melodia: “Tu scendi dalle stelle, o re del cielo...”. Ma se Dio è sceso “dalle stelle”, non dovremmo noi scendere dai nostri piccoli piedistalli di superiorità e di dominio, per vivere come fratelli riconciliati tra di noi? Bisogna scendere anche noi dai “cammelli”, per entrare nella grotta di Betlemme...
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3. Luciano Manicardi
La storia della rivelazione è anche storia del luogo di dimora che Dio cerca tra gli uomini. In questa ricerca Dio sceglie ciò che è piccolociò che è poverociò che non si impone: la piccola borgata di Betlemme è il luogo designato per la manifestazione del Messia (Michea); il grembo della vergine di Nazaret, Maria, diviene luogo di dimora del Signore (Luca); il corpo umano è il luogo definitivo di abitazione di Dio tra gli uomini (Ebrei).
I riferimenti al corpo della partoriente (Michea), ai corpi delle due donne incinte che si incontrano (Luca), al corpo che Dio prepara per il Cristo (Ebrei) offrono la possibilità di una riflessione, pienamente in contesto con l’incarnazione, sul corpo come luogo spirituale, come sacramento della presenza di Dio tra gli uomini.
Il mistero dell’incarnazione non è riducibile all’evento puntuale della nascita. Come ogni uomo, Gesù è portato nel seno di una donna, abita per nove mesi nel grembo di Maria e tale grembo è sua casa, suo cibo, sua vita. Il venire al mondo è anzitutto l’esserci nel corpo di un altro: per Gesù (come per ogni umano) il corpo di una donna è il suo primo mondo. Noi avveniamo nel corpo di una donna.

Il testo evangelico è anzitutto celebrazione dell’accoglienza: Elisabetta riconosce in Maria colei che ha accolto la Parola di Dio credendo al suo compimento (v. 45); Maria canta Dio come Colui che l’ha accolta nella sua piccolezza rivolgendole uno sguardo di amore e di elezione (v. 48); nella visitazione, Maria ed Elisabetta si accolgono reciprocamente riconoscendo ciascuna l’azione che Dio ha compiuto nell’altra: la sterile è rimasta incinta e la vergine ha concepito per opera dello Spirito santo. E dietro all’anziana Elisabetta resa feconda vi è anche l’accoglienza delle preghiere di Zaccaria, suo marito, da parte di Dio (cf. Lc 1,13). Il mistero della fecondità è un mistero di accoglienza.
La vita che Maria ha accolto nel proprio grembo diviene inabitazione di Cristo in lei. Questo mistero di maternità ha una valenza spirituale. La preparazione della via del Signore, così importante in Avvento, si declina come preparazione del proprio corpo e del proprio cuore all’inabitazione del Signore grazie all’ascolto della Parola di Dio. Maria è figura del credente che genera in sé il Cristo grazie all’ascolto di tale Parola. Agostino ha potuto scrivere che Maria concepì il Figlio di Dio “nello spirito prima che nel corpo” (Discorso 215,1). E Gesù dirà: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).

Maria appare anche figura di colei che, nel suo viaggio verso Elisabetta, porta il Cristo: egli è come una parte di lei in quanto Maria lo porta in sé. Come ogni donna incinta vede riplasmato il proprio corpo dalla presenza di una creatura nel proprio ventre, così la presenza di Cristo riplasma e ri-forma la chiesa che se ne fa testimone, sacramento e narrazione nella propria vita. Il viaggio di Maria appare così con una valenza evangelizzatrice e missionaria.
L’incontro tra le due donne è contrassegnato dal saluto. Esperienza universale, quotidiana e, proprio per questo, spesso banalizzata. Eppure il saluto è legato all’epifania del volto dell’altro ed è già benedizione, augurio di pace (shalom), invito alla gioia (chaîre, “rallegrati”), manifestazione di gioia per l’apparire dell’altro. Recuperare il senso del saluto è un elemento importante della necessaria riscrittura della grammatica delle relazioni quotidiane.
L’incontro delle due madri è anche profezia dell’incontro che avverrà tra i due figli: Giovanni il Battista e Gesù. Attraverso le madri che comunicano tra di loro ma anche con i figli che portano in grembo (Elisabetta sente che il suo bambino ha esultato di gioia al saluto di Maria) già si prepara il terreno a quell’incontro così denso che legherà il Precursore al Veniente. E sia in Giovanni che in Gesù, una volta adulti, si potranno riconoscere le tracce dell’incontro che le due madri fecero un tempo. Perché il passato non è mai solo dietro, ma sempre anche dentro di noi.
* * *
4. Enzo Bianchi
Siamo giunti alla quarta domenica di Avvento ed è ormai imminente la memoria della venuta del Signore Gesù nella carne, pegno della sua Venuta nella gloria. Dopo la contemplazione del Veniente alla fine dei tempi e del Veniente annunciato da Giovanni il Battezzatore, oggi la liturgia ci propone di meditare sull’episodio dellavisitazione di Maria a Elisabetta: il Messia Gesù, ancora nel grembo di Maria, trasfigura l’incontro tra due donne, e la sua sola presenza è causa di gioia e benedizione, nonché di un misterioso riconoscimento da parte di tutta la profezia riassunta in Giovanni, il figlio di Elisabetta.
Maria ha appena ricevuto dall’angelo l’annuncio della sua straordinaria maternità – «Lo Spirito santo scenderà su di te … colui che nascerà sarà Santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35) – e ha obbedito prontamente alla chiamata di Dio, pronunciando il suo: «Eccomi!». Subito la giovane vergine di Nazaret, ormai divenuta Arca dell’alleanza in quanto Dimora del Signore (cf. Es 40,35), si reca verso la montagna della Giudea, per andare a trovare la cugina Elisabetta: essa, pur sterile, è al sesto mese di gravidanza, grazie all’azione dello Spirito di Dio (cf. Lc 1,13-15), cioè alla sua misericordia cui nulla è impossibile (cf. Lc 1,37)… Il viaggio di Maria avviene «in fretta», è contrassegnato dall’urgenza escatologica di chi porta in sé il Messia e desidera condividere questo dono inestimabile; il suo è un viaggio missionario, o meglio un viaggio di carità che diventa missionario: essa va mossa dall’amore, per mostrare concretamente la sua vicinanza all’anziana parente, e finisce per portare Cristo…
«Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo ed essa fu piena di Spirito santo». Con il solo suono della sua voce Maria provoca la gioia messianica annunciata dai profeti (cf. Sof 3,14-17; Zc 2,14-17), che in Giovanni il Battezzatore esultano e danzano: la lunga attesa di Israele trova finalmente compimento, e a quel «resto di Israele» umile e povero che confida solo in Dio è dato di contemplare la venuta del Messia di pace e di giustizia. Maria è inoltre il tramite della discesa dello Spirito, e grazie a lei si compie la promessa rivolta dall’angelo a Zaccaria: «Giovanni sarà pieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre» (Lc 1,15). Il Precursore, colui che «camminerà davanti al Signore» (cf. Lc 1,17), già ora adempie il suo ministero, riconosce Gesù e rivela a Elisabetta che Maria è la madre del Signore!
L’incontro tra Maria ed Elisabetta è anchel’umanissimo incontro tra due donne che si accolgono reciprocamente: è un incontro all’insegna della puragratuità, quell’atteggiamento che consente di ospitare in sé l’altro, disponendosi a riconoscere la vocazione che il Signore gli ha rivolto. E così diviene possibile lo scambio dei doni: al saluto di Maria, lo Spirito colma Elisabetta, la quale risponde a sua volta con la benedizione: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Poi aggiunge: «A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?». Se David di fronte all’Arca aveva esclamato: «Come potrà venire a me l’Arca del Signore?» (2Sam 6,9), queste parole di Elisabetta mostrano la sua consapevolezza che Maria è ormai il sito individuabile della Presenza di Dio, poiché porta in grembo Gesù, Dio fatto uomo.
Infine Elisabetta afferma: «Beata colei che ha creduto che le parole del Signore si compiono!». Sì, la vera grandezza di Maria consiste nella sua fede: essa ha aderito con tutta se stessa alla promessa di Dio, in grado di dischiudere orizzonti umanamente impossibili, e così ha fatto spazio in sé all’uomo che solo Dio ci poteva dare! E, proprio in quanto ha saputo riconoscere i prodigi che Dio ha compiuto in lei e che la stessa Elisabetta le testimonia, ora Maria può sciogliere il suo splendido canto di ringraziamento, il Magnificat: non a caso un testo che è un mosaico di passi biblici, a dire che Maria ha apprestato tutto, ma è Dio ad aver operato in lei cose grandi…
«Concedi, o Padre, alla tua chiesa di andare verso gli uomini nella carità e di destare ovunque la gioia per la presenza in lei di Gesù Cristo»: queste parole di un’antica preghiera liturgica riassumono bene il senso dell’episodio della Visitazione. La presenza di Cristo che dimora in ciascuno di noi (cf. Gal 2,20) dovrebbe infatti trasfigurare le nostre vite, facendone un’occasione di gioia e di salvezza per ogni uomo che incontriamo: ricordiamolo mentre ci prepariamo a celebrare il Natale ormai vicino.
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COMMENTI PATRISTICI
S. BEDA IL VENERABILE 
Dall’Omelia 1, 4, passim 
La lettura del santo Vangelo che abbiamo ascoltato ci annuncia il principio della nostra 
redenzione che dobbiamo sempre venerare e ci raccomanda il rimedio salutare dell’umiltà, 
che dobbiamo sempre imitare. 
Poiché infatti il genere umano, piagato dalla peste della superbia, era andato in rovina, 
bisognava che l’inizio della futura salvezza offrisse subito la medicina dell’umiltà per 
risanarlo. E poiché la morte era subentrata nel mondo a causa della sconsiderazione 
di una donna che si era fatta ingannare, fu conveniente che, a segno della vita che tornava, 
due donne devote si affrettassero, una prima dell’altra, all’ossequio dell’umiltà e della 
pietà reciproca. ... 
Dopo che la Vergine meritò di essere esaltata dall’apparizione e dalle parole dell’angelo, 
dopo che apprese che doveva essere glorificata da un parto divino,    non insuperbì affatto 
per i doni celesti quasi che fossero merito suo, ma per essere sempre più degna di quei 
doni, tenne fissa la mente a custodia dell’umiltà e così rispose all’angelo che le aveva 
portato l’annunzio: Ecco l’ancella del Signore, sia fatto di me secondo la tua parola. Come poi 
abbiamo appreso dalla lettura di oggi, la stessa umiltà che aveva mostrato all’angelo la 
mostrò anche agli uomini e – ciò che è anche di maggiore significato –, anche a chi le era 
inferiore. ... Chi dubita che la madre del Re eterno sia da anteporre alla madre di un suo 
soldato? Tuttavia essa, memore della Scrittura che prescrive: Quanto più sei grande tanto più 
sii umile in tutto (Sir 3, 20), appena l’angelo che le aveva parla to tornò in cielo, si alza e si 
avvia per luoghi impervi e portando Dio nel seno, si dirige verso le abitazioni dei servi di 
Dio e chiede di parlare con loro. ... 
Entra nella casa di Zaccaria e di Elisabetta e saluta quella che aveva appreso avrebbe 
partorito il servo e precursore del Signore, non quasi che fosse in dubbio sulla profezia che 
aveva appreso, ma per congratularsi del dono che, come aveva saputo, aveva ricevuto 
quella che era serva di Dio come lei: non per confermare le parole dell’angelo con la 
testimonianza di una donna, ma per servire con impegno, lei giovane vergine, una donna 
anziana. 
Appena Elisabetta udì il saluto di Maria il fanciullo le balzò nel seno ed Elisabetta fu ripiena di 
Spirito Santo. Non appena Maria aprì la bocca per salutarla, subito Elisabetta fu ripiena di 
Spirito Santo, e ne fu ripieno anche Giovanni: edotti ambedue dallo stesso Spirito, 
Elisabetta riconobbe colei che l’aveva salutata e la venerò con debita riverenza come 
madre del suo Signore, e Giovanni comprese che era proprio il Signore quello che la 
Vergine portava in seno, e poiché non poteva farlo ancora con la lingua, lo salutò 
esultando nell’anima, e così indicò quanto volentieri e con quanta giovanile devozione
avrebbe assolto il suo compito di precursore, annunziando il Signore ancora prima di 
nascere con i segni che poteva. Si avvicinava infatti il tempo in cui si sarebbe compiuto ciò 
che l’angelo aveva detto: Sarà ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Lc 1, 15), ed 
Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce. ...
Esclamò dunque a gran voce dicendo: Benedetta tu fra le donne, e  benedetto il frutto del tuo 
seno. Benedetta tu fra le donne: non solo è benedetta fra le donne ma fra le donne 
benedette è insignita di una maggiore speciale benedizione. Benedetto il frutto del tuo 
seno: non benedetto come usualmente si benedicono i santi, ma come dice l’apostolo: Essi 
che sono i discendenti dei patriarchi, dai quali è nato Cristo secondo la carne, che è al di sopra di 
tutte le cose, Dio benedetto nei secoli  (Rm 9, 5). Dei frutti di questa nascita rende 
testimonianza il salmista con parole di mistero quando dice: Il Signore ci concederà il suo 
favore, e la nostra terra darà i suoi frutti (Sal 84, 13). Certo il Signore ha concesso il suo favore 
perché ha voluto liberare il genere umano dalla colpa di prevaricazione per mezzo del 
Figlio suo unigenito; ci ha concesso il suo favore perché, entrando nel tempio del seno 
della Vergine, lo ha consacrato con la grazia dello Spirito Santo. La nostra terra ha dato
il suo frutto perché questa vergine, che aveva avuto il corpo dalla terra, generò un figlio 
uguale per divinità a Dio Padre, ma della sua stessa sostanza nell’autenticità della carne. ... 
A ragione perciò è detto:  Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. Fu 
benedetta in modo incomparabile colei che accolse la gloria del seme divino e conservò 
l’ornamento della verginità. Benedetta tra le donne tu, per il cui parto verginale fu 
cancellata tra i nati di donna la maledizione della prima donna. Benedetto il frutto di quel 
seno, grazie al quale abbiamo riacquistato  il seme della incorruttibilità e dell’eredità 
celeste, che avevamo perso in Adamo. E veramente e specialmente benedetto colui che, 
non come noi, dopo la nascita, ha ricevuto la grazia della benedizione del Signore, ma per
salvare il mondo egli stesso è venuto benedetto nel nome del Signore.
Come mai mi è concesso che la madre del mio Signore venga da me? Quanta umiltà nell’anima 
della profetessa, quanto vere furono le parole del Signore: Su chi si posa il mio sguardo, se 
non su chi è umile, tranquillo e teme le mie parole? (Is 66, 2). Appena la vide, riconobbe che era 
la madre del Signore colei che era venuta presso di lei, ma non riconoscendo in sé alcun
merito per essere degna di ricevere la  visita di una ospite tanto importante,  come mai  – 
disse – mi è concesso che la madre del mio Signore venga da me?. ...
Ma ascoltiamo le parole che Maria pronunziò, per vedere se da esse possiamo conoscere 
almeno un poco di quello che aveva dentro. Dopo che ebbe udito la risposta con la quale 
Elisabetta l’aveva chiamata beata fra le donne, l’aveva indicata madre del Signore suo, 
l’aveva lodata forte nella fede, dopo che al  suo ingresso Elisabetta aveva dato segno di 
essere ripiena di Spirito Santo insieme col figlio, Maria non poté tacere oltre i beni che 
aveva ricevuto e appena trovò il momento opportuno manifestò anche con parole di 
devozione ciò che sentiva sempre nell’animo. Come infatti si conveniva al pudore di una 
vergine, per un certo tempo nascose in silenzio la predizione che aveva divinamente 
ricevuto, venerando nel profondo del cuore il mistero celeste, e aspettando con riverenza 
che Colui che distribuisce i doni manifestasse quando avesse voluto, quale dono speciale 
le avesse dato, quale segreto le avesse rivelato. 
Ma dopo che si accorse che i doni, che le erano stati dati, venivano manifestati per opera di 
altri, perché era lo Spirito che li rivelava,  allora anch’essa svelò il tesoro del cielo che 
conservava nel cuore. Disse così: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito gioisce in Dio 
mio Salvatore. E quel che segue. Con queste parole prima riconosce i doni che erano stati 
concessi in particolare a lei, poi ricorda in generale i benefici con i quali Dio non cessa di 
provvedere sempre al genere umano. Così magnifica il Signore l’anima di colui che tutti 
gli affetti del suo uomo interiore dedica al servizio e alla lode di Dio, che con l’osservanza 
dei precetti di Dio dimostra di avere sempre in mente la potenza della sua maestà. Esulta 
in Dio suo salvatore lo spirito di colui che non trae diletto dai beni terreni, che nessuna 
abbondanza di ricchezze effimere indebolisce, che nessuna avversità spezza ma trae 
diletto solo richiamando alla mente il suo Creatore, dal quale spera la salvezza eterna. 
Certo queste parole si addicono a tutti i perfetti, ma era conveniente che soprattutto le 
pronunciasse la beata madre di Dio che, per merito di singolare privilegio, ardeva di 
spirituale amore per colui che gioiva di avere corporalmente concepito. A ragione poté 
esultare in Gesù, cioè nel suo salvatore, con gioia speciale più degli altri santi poiché, colui 
che aveva conosciuto eterno autore di salvezza, questi sapeva che sarebbe nato dalla sua 
carne con nascita temporale, così che in una sola e stessa persona ci fosse veramente il suo 
figlio e il suo Signore.