martedì 25 dicembre 2012

Nato in mezzo al letame


Segona, XIII sec. Santa Maria de Claret
Bose, 25 dicembre 2012
Omelia di ENZO BIANCHI


Cari fratelli e sorelle, cari amici e ospiti,
in questa notte più che mai noi ascoltiamo il Vangelo, la buona notizia per eccellenza: Dio è in mezzo a noi, Dio è con noi, l’Immmanuel (Is 7,14; Mt 1,23), e il suo nome è quello di un uomo, Gesù; il suo volto è quello di un uomo, partorito, infante, bambino; la sua parola è quella di un uomo appena nato, un vagito, un pianto, un grido. E il luogo della sua nascita è un luogo abitato dagli uomini: Betlemme, la città del pane, la città di David.
È la Parola di Dio che si è fatta carne, abitando in mezzo a noi – dice il quarto vangelo (cf. Gv 1,14) –, cioè è Dio stesso che ha voluto farsi uomo. Non c’è altra notizia più buona notizia di questa, e per questo noi l’abbiamo ascoltata, insieme la confessiamo, insieme la celebriamo. L’evento del Natale è la prova, nel regime della fede, che Dio ci ha amati a tal punto da voler entrare in piena comunione con noi, a tal punto da condividere la nostra carne, la nostra fragilità, quella vita e morte che costantemente dentro di noi stanno racchiuse nel corpo. Qui c’è tutto il cristianesimo, e perciò c’è tutto il Vangelo. Non ci sarebbe bisogno di tanta altra riflessione, non ci sarebbe bisogno neanche di tante dottrine se noi uomini fossimo semplici, se fossimo in grado di comprendere chi siamo noi e cosa significa che Dio ha voluto entrare in comunione con noi, entrare nella nostra vita, vivere insieme a ciascuno di noi, perché noi potessimo vivere tutti insieme con lui, con Gesù.
Questo racconto di Luca (Lc 2,1-14) dice l’annuncio, il Vangelo degli angeli ai pastori, ma un annuncio che è per tutto il popolo dei credenti; dice e ridice l’evento di questa buona notizia: un bambino deposto in una mangiatoia. È questa la causa della lode degli angeli, è questa la causa della lode dei pastori che hanno ricevuto l’annuncio, vi hanno obbedito e, andati a Betlemme, hanno trovato ragioni di gioia e di ringraziamento al Signore Dio di Israele davanti al bambino, in una stalla. La lode che Luca ci descrive in questa pagina, lode in cielo degli angeli, lode sulla terra da parte di poveri credenti, è la lode che da secoli avveniva ogni giorno nel tempio di Gerusalemme. Lo sappiamo, da quando il Signore dal Sinai con l’arca era sceso in mezzo al suo popolo, accampandosi con le tende del suo popolo, fino a trovare una dimora nel tempio, da quel giorno, nel Santo dei santi, i serafini cantavano costantemente attorno all’Arca il Sanctus (cf. Is 6,3). Cantavano: «Santo, santo, santo nel più alto dei cieli», e i credenti rispondevano: «Santo, santo, santo anche sulla terra».

Nel Santo dei santi vi era il Dio con noi, l’Emmanuele, il Santo dei santi era la sua dimora in mezzo a di noi. Ma con questo annuncio del Vangelo ci viene detto che il Dio vivente non sta più nel tempio, non sta più in uno spazio tre volte santo ma sta in un uomo, sta nella nostra carne, la carne di Gesù, la carne di un uomo-Dio e di un Dio-uomo. Sì, la Presenza di Gerusalemme quella notte cessò di essere nel tempio e diventò Presenza a Betlemme, in quel bambino partorito da una donna, l’uomo Gesù. Questo è il mistero alla conoscenza del quale siamo chiamati in questa liturgia, che è sempre un alzare il velo da parte di Dio, una rivelazione per noi. 
Ma dobbiamo anche guardare alla nostra carne, alla nostra condizione: Dio ha voluto raggiungerci, come noi vogliamo raggiungere e addirittura essere una sola cosa con chi amiamo. Dio ha voluto questo guardando la nostra umanità: si è svuotato, si è abbassato, ha dimenticato le prerogative divine per venire ad abitare una situazione, quella nostra, votata alla morte, la situazione di tutti noi, schiavi del peccato, schiavi del male (cf. Fil 2,6-8). Questo è il mistero scandaloso del Natale. Io non ho altre parole da dirvi, perché credo sia importante che cogliamo nella semplicità ciò che è davvero Vangelo, ciò che è davvero annuncio e che è fondamento della nostra fede. Voglio solo donarvi questa sera, a conclusione, alcune parole di Gerolamo – il grande padre della chiesa, un vero esperto di Scrittura, ma soprattutto esperto nel fare omelia, nell’annunciare il Vangelo – nell’omelia del Natale. Egli commenta:

«Per loro – Giuseppe e Maria – non c’era posto nel caravanserraglio» (Lc 2,7) … Non trova posto nel Santo dei santi risplendente di oro, di gemme, di seta e di argento; e così non nasce tra oro e ricchezze ma in mezzo al letame di una stalla (perché non c’è stalla dove non ci sia letame), dove si erano accumulati i nostri peccati … «Dal letame rialza il povero» (Sal 112 [113],7), dice il salmo. Gesù nasce in mezzo al letame. «Non c’era posto per lui nell’alloggio», non c’era posto nel Santo dei santi, è venuto in mezzo al letame. Giuseppe e Maria, la madre del Signore, non avevano né un servo né una domestica; se ne sono venuti a piedi dalla Galilea, da Nazaret, perché non possedevano neanche un asino. Sono padroni e servi di se stessi … Hanno tentato di trovare un alloggio, ma non si trovava nessun alloggio, nessun posto per la nascita del Salvatore al di fuori di una stalla, una stalla in cui venivano legati giumenti, asini e c’erano pecore … È vero, noi oggi, con la scusa di onorare Cristo a Natale, abbiamo eliminato l’immondizia, il letame, l’abbiamo sostituito con l’argento. Ma per noi cristiani dovrebbe essere più prezioso quello che abbiamo tolto: l’argento e l’oro si addicono ai pagani, mentre a chi crede in Cristo si addice maggiormente quella stalla di terra battuta. Colui che è nato in terra battuta tra letame ha disprezzato l’oro e l’argento, ma ha voluto abbracciare noi, scegliere noi, terra battuta.
(Gerolamo, Omelia sul Natale del Signore [PLS 2,189])
Che queste parole di Gerolamo ci aiutino a capire quanto è una buona notizia che Dio sia venuto là dove noi non ci accorgiamo neanche di abitare.