Dieci
anni fa la Nota dottrinale del cardinale Joseph Ratzinger circa alcune
questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella
vita politica.
* * *
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE
La Congregazione per la Dottrina della Fede, sentito anche il parere del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ritenuto opportuno pubblicare la presente “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. La Nota è indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica e, in special modo, ai politici cattolici e a tutti i fedeli laici chiamati alla partecipazione della vita pubblica e politica nelle società democratiche.
I. Un insegnamento costante
1.
L’impegno del cristiano nel mondo in duemila anni di storia si è espresso
seguendo percorsi diversi. Uno è stato attuato nella partecipazione all’azione
politica: i cristiani, affermava uno scrittore ecclesiastico dei primi secoli,
«partecipano alla vita pubblica come cittadini».[1]
La Chiesa venera tra i suoi Santi numerosi uomini e donne che hanno servito
Dio mediante il loro generoso impegno nelle attività politiche e di governo.
Tra di essi, S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici,
seppe testimoniare fino al martirio la «dignità inalienabile della coscienza».[2]
Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni
compromesso, e senza abbandonare «la costante fedeltà all’autorità e alle
istituzioni legittime» che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua
morte che «l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale».[3]
Le
attuali società democratiche, nelle quali lodevolmente tutti sono resi
partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà,[4]
richiedono nuove e più ampie forme di partecipazione alla vita pubblica da
parte dei cittadini, cristiani e non cristiani. In effetti, tutti possono
contribuire attraverso il voto all’elezione dei legislatori e dei governanti
e, anche in altri modi, alla formazione degli orientamenti politici e delle
scelte legislative che a loro avviso giovano maggiormente al bene comune.[5]
La vita in un sistema politico democratico non potrebbe svolgersi
proficuamente senza l’attivo, responsabile e generoso coinvolgimento da
parte di tutti, «sia pure con diversità e complementarità di forme, livelli,
compiti e responsabilità».[6]
Mediante
l’adempimento dei comuni doveri civili, «guidati dalla coscienza cristiana»,[7]
in conformità ai valori che con essa sono congruenti, i fedeli laici svolgono
anche il compito loro proprio di animare cristianamente l’ordine temporale,
rispettandone la natura e la legittima autonomia,[8]
e cooperando con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto
la propria responsabilità.[9]
Conseguenza di questo fondamentale insegnamento del Concilio Vaticano II è
che «i fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”,
ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa,
amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e
istituzionalmente il bene comune»,[10]
che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e
la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente,
la giustizia, la solidarietà, ecc.
La
presente Nota non ha la pretesa di
riproporre l’intero insegnamento della Chiesa in materia, riassunto peraltro
nelle sue linee essenziali nel Catechismo
della Chiesa Cattolica, ma intende soltanto richiamare alcuni principi
propri della coscienza cristiana che ispirano l’impegno sociale e politico
dei cattolici nelle società democratiche.[11]
E ciò perché in questi ultimi tempi, spesso per l’incalzare degli eventi,
sono emersi orientamenti ambigui e posizioni discutibili, che rendono
opportuna la chiarificazione di aspetti e dimensioni importanti della tematica
in questione.
II. Alcuni punti nodali nell’attuale dibattito
culturale e politico
2.
La società civile si trova oggi all’interno di un complesso processo
culturale che mostra la fine di un’epoca e l’incertezza per la nuova che
emerge all’orizzonte. Le grandi conquiste di cui si è spettatori provocano
a verificare il positivo cammino che l’umanità ha compiuto nel progresso e
nell’acquisizione di condizioni di vita più umane. La crescita di
responsabilità nei confronti di Paesi ancora in via di sviluppo è certamente
un segno di grande rilievo, che mostra la crescente sensibilità per il bene
comune. Insieme a questo, comunque, non è possibile sottacere i gravi
pericoli a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni
e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni.
È
oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé
nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e
la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale. A
seguito di questa tendenza non è inusuale, purtroppo, riscontrare in
dichiarazioni pubbliche affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo
etico è la condizione per la democrazia.[12]
Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte
morali la più completa autonomia mentre, dall’altra, i legislatori
ritengono di rispettare tale libertà di scelta formulando leggi che
prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi alla sola
condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali transitori,[13]
come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore. Nel
contempo, invocando ingannevolmente il valore della tolleranza, a una buona
parte dei cittadini — e tra questi ai cattolici — si chiede di rinunciare
a contribuire alla vita sociale e politica dei propri Paesi secondo la
concezione della persona e del bene comune che loro ritengono umanamente vera
e giusta, da attuare mediante i mezzi leciti che l’ordinamento giuridico
democratico mette ugualmente a disposizione di tutti i membri della comunità
politica. La storia del XX secolo basta a dimostrare che la ragione sta dalla
parte di quei cittadini che ritengono del tutto falsa la tesi relativista
secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa
dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo,
del bene comune e dello Stato.
3.
Questa concezione relativista del pluralismo nulla ha a che vedere con la
legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni
politiche compatibili con la fede e la legge morale naturale, quella che
secondo il proprio criterio meglio si adegua alle esigenze del bene comune. La
libertà politica non è né può essere fondata sull’idea relativista che
tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso
valore, ma sul fatto che le attività politiche mirano volta per volta alla
realizzazione estremamente concreta del vero bene umano e sociale in un
contesto storico, geografico, economico, tecnologico e culturale ben
determinato. Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle
circostanze scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di
soluzioni che debbono però essere moralmente accettabili. Non è compito
della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche
— per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile
giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi
morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge
morale.[14] Se il cristiano è tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità
delle opzioni temporali»,[15]
egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in
chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale
ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per
la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono
“negoziabili”.
Sul
piano della militanza politica concreta, occorre notare che il carattere
contingente di alcune scelte in materia sociale, il fatto che spesso siano
moralmente possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso
valore sostanziale di fondo, la possibilità di interpretare in maniera
diversa alcuni principi basilari della teoria politica, nonché la complessità
tecnica di buona parte dei problemi politici, spiegano il fatto che
generalmente vi possa essere una pluralità di partiti all’interno dei quali
i cattolici possono scegliere di militare per esercitare — particolarmente
attraverso la rappresentanza parlamentare — il loro diritto-dovere nella
costruzione della vita civile del loro Paese.[16]
Questa ovvia constatazione non può essere confusa però con un indistinto
pluralismo nella scelta dei principi morali e dei valori sostanziali a cui si
fa riferimento. La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra
la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa
si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È su
questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre
per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia
segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali.
La
Chiesa è consapevole che la via della democrazia se, da una parte, esprime al
meglio la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche, dall’altra
si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta
concezione della persona.[17]
Su questo principio l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso
alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede
cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi. La
struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe
alquanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della
persona. È il rispetto della persona, peraltro, a rendere possibile la
partecipazione democratica. Come insegna il Concilio Vaticano II, la tutela «dei
diritti della persona umana è condizione perché i cittadini, individualmente
o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa
pubblica».[18]
4.
A partire da qui si estende la complessa rete di problematiche attuali che non
hanno avuto confronti con le tematiche dei secoli passati. La conquista
scientifica, infatti, ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la
coscienza e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera
coerente e solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi
che, incuranti delle conseguenze che derivano per l’esistenza e l’avvenire
dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali,
intendono frantumare l’intangibilità della vita umana. I cattolici, in
questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare
al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono
dinanzi ad essa. Giovanni Paolo II, continuando il costante insegnamento della
Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle
rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi» ad ogni
legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni
cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione in
favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo
appoggio con il proprio voto.[19]
Ciò non impedisce, come ha insegnato Giovanni Paolo II nella Lettera
Enciclica Evangelium vitae a
proposito del caso in cui non fosse possibile scongiurare o abrogare
completamente una legge abortista già in vigore o messa al voto, che «un
parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara
e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte
mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti
negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica».[20]
In
questo contesto, è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben
formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione
di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti
fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di
proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce
come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei
suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno
politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è
sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il
cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal
vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa
essere annunciata e raggiunta.
Quando
l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono
deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si
fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti
devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda
il bene integrale della persona. E’ questo il caso delle leggi civili in
materia di aborto
e di eutanasia (da non confondersi
con la rinuncia all’accanimento
terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima), che devono
tutelare il diritto primario alla vita a partire dal suo concepimento fino al
suo termine naturale. Allo stesso
modo occorre ribadire il dovere di rispettare e proteggere i diritti dell’embrione
umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione
della famiglia, fondata sul
matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità
e stabilità, a fronte delle moderne leggi sul divorzio: ad essa non possono
essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né
queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la
garanzia della libertà di educazione
ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile, riconosciuto tra
l’altro nelle Dichiarazioni internazionali dei diritti umani. Alla stessa
stregua, si deve pensare alla tutela
sociale dei minori e alla liberazione delle vittime dalle moderne
forme di schiavitù (si pensi ad esempio, alla droga e allo sfruttamento
della prostituzione). Non può essere esente da questo elenco il diritto alla libertà
religiosa e lo sviluppo per un’economia
che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della
giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di
sussidiarietà, secondo il quale «i diritti delle persone, delle famiglie e
dei gruppi, e il loro esercizio devono essere riconosciuti».[21]
Come non vedere, infine, in questa esemplificazione il grande tema della pace.
Una visione irenica e ideologica tende, a volte, a secolarizzare il valore
della pace mentre, in altri casi, si cede a un sommario giudizio etico
dimenticando la complessità delle ragioni in questione. La pace è sempre «frutto
della giustizia ed effetto della carità»;[22]
esige il rifiuto radicale e assoluto della violenza e del
terrorismo e richiede un impegno costante e vigile da parte di chi ha la
responsabilità politica.
III. Principi della dottrina cattolica su laicità
e pluralismo
5.
Di fronte a queste problematiche, se è lecito pensare all’utilizzo di una
pluralità di metodologie, che rispecchiano sensibilità e culture differenti,
nessun fedele tuttavia può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia
dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino
la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della
società. Non si tratta di per sé di «valori confessionali», poiché tali
esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge
morale naturale. Esse non esigono in chi le difende la professione di fede
cristiana, anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le tutela sempre e
dovunque come servizio disinteressato alla verità sull’uomo e al bene
comune delle società civili. D’altronde, non si può negare che la politica
debba anche riferirsi a principi che sono dotati di valore assoluto proprio
perché sono al servizio della dignità della persona e del vero progresso
umano.
6.
Il richiamo che spesso viene fatto in riferimento alla “laicità” che dovrebbe guidare l’impegno dei cattolici, richiede
una chiarificazione non solo terminologica. La promozione secondo coscienza
del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il
“confessionalismo” o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale
cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da
quella religiosa ed ecclesiastica - ma
non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa
e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto.[23]
Giovanni Paolo II ha più volte messo in guardia contro i pericoli derivanti
da qualsiasi confusione tra la sfera religiosa e la sfera politica. «Assai
delicate sono le situazioni in cui una norma specificamente religiosa diventa,
o tende a diventare, legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la
distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica.
Identificare la legge religiosa con quella civile può effettivamente
soffocare la libertà religiosa e, persino, limitare o negare altri
inalienabili diritti umani».[24]
Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione
della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine
teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli,
ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve
intromettersi né può in modo alcuno esigerli o impedirli, salve esigenze
fondate di ordine pubblico. Il riconoscimento dei diritti civili e politici e
l’erogazione dei pubblici servizi non possono restare condizionati a
convinzioni o prestazioni di natura religiosa da parte dei cittadini.
Questione
completamente diversa è il diritto-dovere dei cittadini cattolici, come di
tutti gli altri cittadini, di cercare sinceramente la verità e di promuovere
e difendere con mezzi leciti le verità morali riguardanti la vita sociale, la
giustizia, la libertà, il rispetto della vita e degli altri diritti della
persona. Il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla
Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la “laicità” dell’impegno
di coloro che in esse si riconoscono, indipendentemente dal ruolo che la
ricerca razionale e la conferma procedente dalla fede abbiano svolto nel loro
riconoscimento da parte di ogni singolo cittadino. La “laicità”, infatti,
indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che
scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche
se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica,
poiché la verità è una. Sarebbe un errore confondere la giusta autonomia
che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un
principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa.
Con
il suo intervento in questo ambito, il Magistero della Chiesa non vuole
esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione dei
cattolici su questioni contingenti. Esso intende invece — come è suo
proprio compito — istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto
di quanti si dedicano all’impegno nella vita politica, perché il loro agire
sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene
comune. L’insegnamento sociale della Chiesa non è un’intromissione nel
governo dei singoli Paesi. Pone certamente un dovere morale di coerenza per i
fedeli laici, interiore alla loro coscienza, che è unica e unitaria. «Nella
loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita
cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra,
la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei
rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. Il tralcio,
radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività
e dell’esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano
nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del
realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei
fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto — come, ad
esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l’amore e la dedizione
nella famiglia e nell’educazione dei figli, il servizio sociale e politico,
la proposta della verità nell’ambito della cultura — sono occasioni
provvidenziali per un “continuo esercizio della fede, della speranza e della
carità”».[25]
Vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un
succube adagiarsi su posizioni estranee all’impegno politico o su una forma
di confessionalismo, ma l’espressione con cui i cristiani offrono il loro
coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento
sociale più giusto e coerente con la dignità della persona umana.
Nelle
società democratiche tutte le proposte sono discusse e vagliate liberamente.
Coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere
nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un
segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire
in politica coerentemente alle proprie convinzioni riguardanti il bene comune,
incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo.
In questa prospettiva, infatti, si vuole negare non solo ogni rilevanza
politica e culturale della fede cristiana, ma perfino la stessa possibilità
di un’etica naturale. Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia
morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo
pluralismo. La sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza
ovvia di questa impostazione. La marginalizzazione del Cristianesimo, d’altronde,
non potrebbe giovare al futuro progettuale di una società e alla concordia
tra i popoli, ed anzi insidierebbe gli stessi fondamenti spirituali e
culturali della civiltà.[26]
IV. Considerazioni su aspetti particolari
7.
È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune
associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi
orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni
contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e
condivisioni, essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza
cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o
organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente, è da rilevare che
alcune Riviste e Periodici cattolici in certi Paesi hanno orientato i lettori
in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando
sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in
considerazione i principi a cui si è fatto riferimento.
La
fede in Gesù Cristo che ha definito se stesso «la via, la verità e la vita»
(Gv 14,6) chiede ai cristiani lo sforzo per inoltrarsi con maggior impegno
nella costruzione di una cultura che, ispirata al Vangelo, riproponga il
patrimonio di valori e contenuti della Tradizione cattolica. La necessità di
presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale,
intellettuale e morale del cattolicesimo appare oggi carico di un’urgenza
non procrastinabile, anche per evitare il rischio di una diaspora culturale
dei cattolici. Del resto lo spessore culturale raggiunto e la matura
esperienza di impegno politico che i cattolici in diversi paesi hanno saputo
sviluppare, specialmente nei decenni posteriori alla seconda guerra mondiale,
non possono porli in alcun complesso di inferiorità nei confronti di altre
proposte che la storia recente ha mostrato deboli o radicalmente fallimentari.
È insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici
possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla
base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare
le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni
poggeranno sempre su fragili fondamenta.
La
fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici,
consapevole che la dimensione storica in cui l’uomo vive impone di
verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente
mutevoli. Sotto questo aspetto sono da respingere quelle posizioni politiche e
quei comportamenti che si ispirano a una visione utopistica la quale,
capovolgendo la tradizione della fede biblica in una specie di profetismo
senza Dio, strumentalizza il messaggio religioso, indirizzando la coscienza
verso una speranza solo terrena che annulla o ridimensiona la tensione
cristiana verso la vita eterna.
Nello
stesso tempo, la Chiesa insegna che non esiste autentica libertà senza la
verità. «Verità e libertà o si coniugano insieme o insieme miseramente
periscono», ha scritto Giovanni Paolo II.[27]
In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca di
raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di
libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi alla
tutela del bene della persona e della società intera.
8.
A questo proposito è bene ricordare una verità che non sempre oggi viene
percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente: il
diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa,
proclamato dalla Dichiarazione Dignitatis
humanae del Concilio Vaticano II, si fonda sulla dignità ontologica della
persona umana, e in nessun modo su di una inesistente uguaglianza tra le
religioni e tra i sistemi culturali umani.[28]
In questa linea il Papa Paolo VI ha affermato che «il Concilio, in nessun
modo, fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le
religioni, e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno
uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di
non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tendono ad opprimere la
coscienza nella ricerca della vera religione e nell’adesione ad essa».[29]
L’affermazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa non
contraddice quindi affatto la condanna dell’indifferentismo e del
relativismo religioso da parte della dottrina cattolica,[30]
anzi con essa è pienamente coerente.
V. Conclusione
9.
Gli orientamenti contenuti nella presenta Nota
intendono illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di vita del
cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura, richiamata dal
Concilio Vaticano II. Esso esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri
doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro
che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo
quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni,
e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a
compierli, secondo la vocazione di ciascuno». Siano desiderosi i fedeli «di
poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani,
domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale
insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene
coordinato a gloria di Dio».[31]
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell’Udienza
del 21 novembre 2002 ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione
Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma,
dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 24 novembre
2002, Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’Universo.
+
JOSEPH CARD. RATZINGER
Prefetto
Prefetto
+
TARCISIO BERTONE, S.D.B.
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario
Arcivescovo emerito di Vercelli
Segretario
[1]
LETTERA A DIOGNETO, 5, 5. Cfr. anche Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 2240.
[2]
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Apost. Motu
Proprio data per la proclamazione di San Tommaso Moro Patrono dei
Governanti e dei Politici, n. 1, AAS 93 (2001) 76-80.
[3]
Ibid, n. 4.
[4]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 31; Catechismo della
Chiesa Cattolica, n. 1915.
[5]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 75.
[6]
GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 42, AAS 81 (1989) 393-521. Questa nota dottrinale si
riferisce ovviamente all’impegno politico dei fedeli laici. I Pastori
hanno il diritto e il dovere di proporre i principi morali anche sull’ordine
sociale; “tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici è
riservata ai laici” (GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 60). Cfr. anche CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31-III-1994,
n. 33.
[7]
CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 76.
[8]
Cfr. ibid, n. 36.
[9]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam
actuositatem, n. 7; Cost. Dogm. Lumen
gentium, n. 36 e Cost. Past. Gaudium
et spes, nn. 31 e 43.
[10]
GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 42.
[11]
Negli ultimi due secoli, più volte il Magistero pontificio si è occupato
delle principali questioni riguardanti l’ordine sociale e politico. Cfr.
LEONE XIII, Lett. Enc. Diuturnum
illud, ASS 14 (1881/82) 4ss; Lett. Enc. Immortale
Dei, ASS 18 (1885/86) 162ss; Lett. Enc. Libertas
praestantissimum, ASS 20 (1887/88) 593ss; Lett. Enc. Rerum novarum, ASS 23 (1890/91) 643ss; BENEDETTO XV, Lett. Enc.
Pacem Dei munus pulcherrimum, AAS 12 (1920) 209ss; PIO XI, Lett. Enc. Quadragesimo
anno, AAS 23 (1931) 190ss; Lett.
Enc. Mit brennender Sorge, AAS
29 (1937) 145-167; Lett. Enc. Divini
Redemptoris, AAS 29 (1937) 78ss; PIO XII, Lett. Enc. Summi Pontificatus, AAS 31 (1939) 423ss; Radiomessaggi natalizi 1941-1944; GIOVANNI XXIII, Lett. Enc. Mater
et magistra, AAS 53 (1961) 401-464; Lett. Enc. Pacem
in terris AAS 55 (1963) 257-304; PAOLO VI, Lett. Enc. Populorum
progressio, AAS 59 (1967) 257-299; Lett. Apost. Octogesima adveniens, AAS 63 (1971) 401-441.
[12]
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus
annus, n. 46, AAS 83 (1991) 793-867; Lett. Enc. Veritatis splendor, n. 101, AAS 85 (1993) 1133-1228; Discorso
al Parlamento Italiano in seduta pubblica comune, n. 5, in: L’Osservatore
Romano, 15-XI-2002.
[13]
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium
vitae, n. 22, AAS 87 (1995) 401-522.
[14]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 76.
[15]
Ibid, n. 75.
[16]
Cfr. ibid, nn. 43 e 75.
[17]
Cfr. ibid, n. 25.
[18]
CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 73.
[19]
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Evangelium
vitae, n. 73.
[20]
Ibid.
[21]
CONCILIO
VATICANO II, Cost. Past. Gaudium et
spes, n. 75.
[22]
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2304.
[23]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 76.
[24]
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la
celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1991: “Se vuoi la pace,
rispetta la coscienza di ogni uomo”, IV, AAS 83 (1991) 410-421.
[25]
GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 59. La citazione interna è del Concilio Vaticano II,
Decreto Apostolicam actuositatem,
n. 4.
[26]
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Discorso al
Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in: L’Osservatore
Romano, 11/I/2002.
[27]
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides
et ratio, n. 90, AAS 91 (1999) 5-88.
[28]
Cfr. CONCILIO VATICANO II, Dich. Dignitatis
humanae, n. 1: “Il Sacro Concilio anzitutto professa che Dio
stesso
ha fatto conoscere al genere umano la via, attraverso la quale gli
uomini,
servendolo, possono in Cristo divenire salvi e beati. Crediamo che
questa
unica vera religione sussista nella Chiesa cattolica”. Ciò non
toglie che la Chiesa consideri con sincero rispetto le varie
tradizioni religiose, anzi riconosce presenti in esse “elementi di
verità
e di bontà”. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Dogm. Lumen
gentium, n. 16; Decr. Ad gentes,
n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2;
GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris
missio, n. 55, AAS 83 (1991) 249-340; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Dich. Dominus Iesus,
nn. 2; 8; 21, AAS 92 (2000) 742-765.
[29]
PAOLO VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, in:
“Insegnamenti di Paolo VI” 14 (1976), 1088-1089.
[30] Cfr. PIO IX, Lett. Enc. Quanta
cura, ASS 3 (1867) 162; LEONE XIII, Lett. Enc. Immortale Dei, ASS 18 (1885) 170-171; PIO XI, Lett. Enc. Quas
primas, AAS 17 (1925) 604-605; Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 2108; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE, Dich. Dominus Iesus, n. 22.
[31]CONCILIO VATICANO II, Cost. Past. Gaudium
et spes, n. 43. Cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Esort. Apost. Christifideles
laici, n. 59.