martedì 27 novembre 2012

Cultura e ragione in difesa dell’umano

  L’autonomia da ogni istituzione e la libertà di discutere e di pensare sono considerate dai comitati etici europei le condizioni fondamentali per portare a termine il lavoro di riflessione e approfondimento dei temi bioetici. È questo il tratto comune più evidente fra gli organismi europei che si sono confrontati a Roma il 23 novembre, nel corso di un convegno organizzato dal Comitato Nazionale di Bioetica italiano.
 Pur nelle loro diversità – chiaramente legate alla storia dei diversi paesi, come il fatto che la Francia è stata la prima a costituire, nel 1983, il comitato etico nazionale, mentre in Gran Bretagna ancora oggi ci sono più enti, dipendenti da fondazioni private – i rappresentanti tedesco, francese e britannico hanno esposto tipologie di organizzazione molto simili, e anche metodologie di lavoro parallele, che prevedono la creazione di gruppi di studio sui singoli temi e riunioni plenarie per la redazione dei testi finali, nonché la libertà nella scelta degli argomenti da affrontare. Argomenti che possono, talvolta, essere suggeriti da quesiti proposti dai Governi o anche, come nel caso francese, da cittadini, ma che sono sempre attinenti al grande tema sotteso all’applicazione di nuove tecnologie e di nuovi diritti, cioè l’immagine dell’essere umano, la concezione dell’umano che la nostra civiltà, posta di fronte a incredibili progressi scientifici, vuole difendere o accettare.
 Ogni comitato considera compito fondamentale coinvolgere la società civile, rendendo pubblici i risultati del lavoro svolto ma anche – ed è il caso tedesco – coinvolgendo il pubblico, che può arrivare a quattrocento persone, in alcune sedute su temi particolarmente caldi, come la morte cerebrale o il divieto di incesto. Il rapporto con i cittadini è centrale, perché è per loro che i comitati hanno il compito di approfondire tematiche in apparenza semplici, facendone capire la complessità e anticipando esiti che sono ancora in fieri ma che potranno pesare nel futuro. Più che esprimere pareri e dare consigli, quindi, i comitati si propongono come organi pensanti, che ascoltano tutte le voci, per diventare coscienza della collettività davanti a cambiamenti epocali dell’umano.
 Questi organismi sono sempre costituiti da gruppi interdisciplinari, da persone di diverse appartenenze religiose e filosofiche, che elaborano una cultura nuova al di fuori delle istituzioni tradizionali come le università. E sono fornite di comitati di bioetica anche l’Unione europea e l’Unesco: organismi con fini prevalentemente didattici, che non si occupano solamente della bioetica dei ricchi, quella delle ultime scoperte tecnologiche, ma anche di quella dei poveri, e cioè per esempio del rapporto con la medicina tradizionale e del commercio degli organi per i trapianti da vivente.
 A Roma vi è stato un confronto molto interessante, che ha fatto capire come la modernità tecnologica venga affrontata nei Paesi europei attraverso un lavoro culturale continuo e ben organizzato, che sa coinvolgere la più larga opinione pubblica. I comitati di bioetica oggi vengono infatti ritenuti da gran parte dell’opinione pubblica un punto di riferimento morale indiscusso, che svolge un ruolo di primaria importanza in quella che giustamente gli stessi rappresentanti di questi organismi hanno definito come la questione dell’essere umano.
 Che cosa fa la Chiesa davanti a tutto questo lavoro culturale e pedagogico, che in massima parte prescinde dal suo insegnamento, anche se qualche cattolico fa parte di questi comitati? Cosa fa per non restare esclusa, per far conoscere le sue riflessioni, il suo pensiero? I principi non negoziabili devono, per ogni singolo caso, essere declinati, spiegati, sostenuti. Difesi, cioè, con le armi della cultura e della ragione.
 Per riuscire a essere presente e autorevole in questo contesto, sarebbe utile che la Chiesa stessa favorisse luoghi di approfondimenti interdisciplinari, grazie all’aiuto soprattutto di laici cattolici, per discutere, approfondire, anticipare i problemi, e soprattutto comunicare all’esterno i suoi risultati. Sarebbe insomma utile creare un punto di riferimento bioetico che si mantenesse al passo con i problemi che si presentano, ma in grado anche di intuire le questioni che stanno per aprirsi, per anticipare le conseguenze di alcune scelte e per chiarire l’applicazione della morale cattolica in ogni singolo caso. La posta in gioco, infatti, è di primaria importanza: proprio come hanno detto i rappresentanti dei comitati al convegno di Roma, qui si tratta dell’essere umano, della sua identità e della sua difesa. Vale la pena giocare la partita fino in fondo, partecipando allo stesso dibattito.(L. Scaraffia)
Fonte: Osservatore Romano