sabato 24 novembre 2012

Cristo Re dell'Universo


Celebriamo oggi la:    
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO
RE DELL'UNIVERSO
Anno B - Solennità 
Venga il tuo regno
Dall'opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote  (Cap. 25; PG 11, 495-499)
Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del
Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).
Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è , o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di « incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.
  
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Ap 5,12; 1,6
L'Agnello immolato è degno di ricevere potenza
e ricchezza e sapienza e forza e onore:
a lui gloria e potenza nei secoli, in eterno.
 

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che hai voluto rinnovare tutte le cose in Cristo tuo Figlio, Re dell'universo, f
a' che ogni creatura, libera dalla schiavitù del peccato, ti serva e ti lodi senza fine. Per il nostro Signore...
 

Oppure:
O Dio, fonte do ogni paternità, che hai mandato il tuo Figlio per farci partecipi del suo sacerdozio regale, illumina il nostro spirito, perché comprendiamo che servire è regnare, e con la vita donare ai fratelli confessiamo la nostra fedeltà al Cristo, primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra. Egli è Dio...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Dn 7, 13-14
Il suo potere è un potere eterno.

Dal libro del profeta Daniele
Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d'uomo;
giunse fi­no al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 92
Il Signore regna, si riveste di splendore.
 
Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.
 
È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre, dall'eternità tu sei.
 
Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.


Seconda Lettura
   Ap 1, 5-8
Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio.

Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della ter­ra si batteranno il petto. Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l'Alfa e l'Omèga, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!


Canto al Vangelo 
 Mc 11,9.10
Alleluia, alleluia.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Alleluia.


Vangelo   Gv 18, 33b-37
Tu lo dici: io sono re.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giu­deo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno con­segnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Parola del Signore.


* * *

COMMENTI


CONGREGAZIONE PER IL CLERO

In Comunione con tutta la Chiesa, celebriamo oggi la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo: Nostro Signore è Re, è «Principe dei morti – abbiamo ascoltato – e Sovrano dei re della terra» (Ap 1,5).
Ma questo titolo – “Re dell’Universo” – dovrebbe quasi “atterrire” la nostra sensibilità moderna, incapace di comprendere anzitutto come Cristo possa essere Re e, in secondo luogo, come l’estensione di questa Regalità non sia limitata alla sola Comunità cristiana ma abbracci, addirittura, l’intero Universo!
Partiamo dalla Regalità. Oggi celebriamo Cristo Re! Perché? La ragione storica di questa festa è da individuarsi nel nascere e dilagare del laicismo, quella corrente di pensiero che vorrebbe vedere Dio “estromesso” dalla cosa pubblica. Ad essa rispose il Santo Padre Pio XI, nel 1925, istituendo la Solennità di Cristo Re, affinché, soprattutto attraverso la preghiera pubblica, tutti i figli della Chiesa potessero essere istruiti e sostenuti nella fedeltà al realismo cattolico, che riconosce, a fondamento di tutte le cose, l’eterno Verbo del Padre.
Ma, a distanza di quasi un secolo, dopo la diffusione della democrazia, quale principale forma di governo dell’Occidentale, non potrebbe essere obsoleto attribuire a Cristo il titolo di Re? Non si dovrebbe attribuire a Cristo un ruolo più consono alla nostra esperienza politica?
«Tu lo dici; Io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Cristo stesso, nel dialogo con il procuratore romano, adopera la categoria della regalità. Ma questa regalità, senza dubbio alcuno, non è riducibile a nessun umano potere, perché Egli stesso afferma: «Il Mio Regno non è di questo mondo. […] Il Mio Regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). È Regno di giustizia, di pace, di amore. Dunque è evidente, guardando la storia e la contemporaneità, che non si tratta di un regno di questo mondo!
Il Regno di Cristo non è paragonabile ad alcun regno terreno; la Sua regalità non è di quaggiù, non è di questo mondo ma si radica nell’essere stesso di Dio, nel Cielo: «Ecco, viene sulle nubi e ognuno Lo vedrà».
Inoltre, questa regalità si estende a tutto l’universo! Sì, Cristo è Re dell’Universo intero: non soltanto della compagine visibile della Chiesa, non solo di coloro che credono in Lui; Egli è Re dell’Universo, del Cielo e della terra, del cosmo e della storia, di quanti L’hanno conosciuto e Lo amano, come di quanti L’hanno crocifisso: «Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore, Colui che era, che è e che viene». Come può, ci domandiamo, la regalità di Cristo estendersi ad ogni uomo? Questo pensiero non potrebbe essere, in fondo, lesivo della libertà di coscienza?
No. La regalità di Cristo è semplicemente un fatto che non può che essere “riconosciuto” dalla Chiesa, la quale, inoltre, fa l’esperienza più compiuta di questa “appartenenza” al Re: un’appartenenza che è comunione di Vita con Lui, tanto da essere non solo il Suo Popolo, ma il Suo stesso Corpo Mistico.
La Regalità di Cristo viene dal Cielo e, per questa ragione, è indistruttibile, perché non trae la propria legittimità dal precario e cangiante consenso umano. Per mezzo di Lui, infatti, «tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3). Tuttavia, pur essendo una regalità – potremmo dire – di “diritto” quella di Cristo, in quanto Eterno Figlio del Padre, Egli afferma di essere nato e venuto nel mondo «per questo: per rendere testimonianza alla verità». Cristo è nato da Maria Santissima, ha condiviso la nostra vita, ha fatto nostra la Sua gioia e Sue le nostre sofferenze, è comparso davanti a Pilato e Si è consegnato per essere Crocifisso, per questo: per rendere testimonianza alla verità.
Ma «Cosa è la Verità?» (Gv 18,38). Seguiamo lo sguardo di Colei che “stava” sotto la Croce, lo sguardo di Maria Santissima: la Verità che Cristo, Re dei Martiri, testimonia è la Sua stessa Persona! Lui è la Verità, per mezzo della quale tutto è stato creato; Lui è la Verità, nella quale tutto trova la propria consistenza; Lui, Cristo, è la Verità che, assisa sul Trono della Croce, rifulge di splendore e dice a ciascuno di noi: «Io ti amo!». «Io, che sono Dio, ti amo, perché Dio è Amore!». Cristo regna in virtù del Suo Amore Onnipotente ed Eterno. Cristo, Amore Eterno, Incarnato e Crocifisso, regna dalla Croce e apre a noi il Suo Costato, perché in esso troviamo la Libertà, l’Amore e la Vita per sempre. Amen!

* * * 

Padre Raniero Cantalamessa ofmcapp.


ECCO APPARIRE SULLE NUBI DEL CIELO…

XXXIV Domenica del tempo ordinario: Solennità di Cristo Re
Daniele 7, 13-14; Apocalisse 1, 5-8; Giovanni 18, 33b-37


Nel Vangelo odierno, Pilato chiede a Gesù: “Sei tu il re dei giudei?” e Gesù risponde “Tu lo dici: io sono re”. Poco prima Caifa gli aveva rivolto la stessa domanda in altra forma: “Sei tu il Figlio di Dio benedetto?” e anche questa volta Gesù aveva risposto affermativamente: “Io lo sono!”. Anzi, secondo il Vangelo di Marco, Gesù rafforzò questa risposta, citando e applicando a sé quello che il profeta di Daniele aveva detto del Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo e riceve il regno che non tramonta mai (I lettura). Una visione grandiosa in cui Cristo appare dentro la storia e sopra di essa, temporaneo ed eterno. 

Accanto a questa immagine gloriosa di Cristo troviamo, nelle letture della festa, quella del Gesù umile e sofferente, più preoccupato di fare dei suoi discepoli dei re, che di regnare su di essi. Nel brano tratto dall’Apocalisse egli viene definito: “Colui che ci ama e ci ha liberati con il suo sangue e ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”.

È riuscito sempre difficile mantenere unite queste due prerogative di Cristo - maestà e umiltà-, derivanti dalle sue due nature, divina e umana. L’uomo d’oggi non ha difficoltà a riconoscere in Gesù l’amico e il fratello universale, ma trova difficile proclamarlo anche Signore e riconoscergli un reale potere su di lui. 

Se diamo uno sguardo ai film su Gesù, questa difficoltà salta agli occhi. In genere, il cinema ha optato per il Gesù mite, perseguitato, incompreso, tanto vicino all’uomo, da condividere le sue lotte, le sue ribellioni, il suo desiderio di una vita normale. In questa linea si collocano Jesus Christ Superstar e, in maniera più cruda e dissacrante, L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese. Anche Pier Paolo Pasolini, nel Vangelo secondo Matteo, ci presenta questo Gesù amico degli apostoli e degli uomini, alla nostra portata, anche se non privo di una certa dimensione di mistero, espressa con molta poesia, soprattutto attraverso alcuni efficacissimi silenzi. Solo Franco Zeffirelli, nel suoGesù di Nazaret, si è sforzato di tenere insieme i due tratti di lui. Gesù vi è visto come uomo tra gli uomini, affabile e alla mano, ma, nello stesso tempo, come uno che, con i suoi miracoli e la sua risurrezione, ci mette davanti al mistero della sua persona che trascende l’umano.

Non si tratta di squalificare i tentativi di riproporre in termini accessibili e popolari la vicenda di Gesù. A suo tempo, Gesù non si offendeva se “la gente” lo considerava uno dei profeti. Chiedeva però agli apostoli: “Ma voi chi dite che io sia?”, facendo intendere che le risposte della gente non erano sufficienti. 

Il Gesù che la Chiesa ci presenta nella festa odierna di Cristo Re è il Gesù completo, umanissimo e trascendente. A Parigi si conserva, sotto speciale custodia, la barra che serve a stabilire l’esatta lunghezza del metro, affinché questa unità di misura, introdotta dalla rivoluzione francese, non venga alterata con il passare del tempo. Allo stesso modo, nella comunità dei credenti che è la Chiesa, è custodita la vera immagine di Gesù di Nazaret che deve servire da criterio per misurare la legittimità di ogni sua rappresentazione nella letteratura, nel cinema e nell’arte. 

Non si tratta di una immagine fissa e inerte, da conservare sotto vuoto spinto, come il metro, ma di un Cristo vivente che cresce nella comprensione stessa della Chiesa, anche per merito delle domande e delle provocazioni sempre nuove poste dalla cultura e dal progresso umano. 

* * *

Luciano Manicardi

L’anno liturgico si conclude con una celebrazione del Cristo risorto e asceso al cielo che dal Padre ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra e stende la sua signoria sull’intero universo. Di tale evento è profezia la visione di Daniele ed è dossologica celebrazione il testo di Apocalisse. Il vangelo, presentando il confronto tra Gesù e Pilato, aiuta a comprendere evangelicamente la qualità del “regno” di cui Gesù è portatore. E aiuta a far uscire dall’ambiguità una festa che celebra un “titolo” di Cristo (le liturgie antiche non celebravano titoli di Cristo, ma li confessavano a partire dal loro manifestarsi storico nella vita di Cristo) e che è segnata dal clima culturale e politico dell’epoca in cui è stata istituita (Pio XI, enciclica Quas primas del 1925) e a cui cercava di reagire con una concezione della regalità di Cristo anche come rerum civilium imperium.
I tre testi aiutano anche a cogliere tre dimensione del regnare di Dio sull’umanità. In Daniele la figura che riceve potere e regno (cf. Dn 7,13-14) è personalità corporativa che rappresenta i figli dell’Altissimo (cf. Dn 7,18), il popolo eletto perseguitato e testimone della fede fino al martirio. Apocalisse annuncia la parusia di Cristo, la sua venuta nella gloria, ma parusia significava, nel mondo antico, l’entrata solenne del re nella sua città per prenderne possesso. Tale venuta solenne di Cristo manifesterà la sua presenza regale a ogni creatura e produrrà come effetto il pentimento: “Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che l’hanno trafitto, e tutte le tribù della terra si batteranno per lui il petto” (Ap 1,7). Quanto al confronto tra Gesù e Pilato, esso prelude alla consegna di Gesù alla crocifissione e proprio la croce sarà il luogo di manifestazione della paradossale regalità di Gesù. Croce, martirio, pentimento: Cristo rivela la sua regalità sullacroce e il credente lascia dispiegare nella sua vita la regalità di Cristo nel pentimento e nella testimonianza di fede fino al martirio.

L’episodio del confronto tra Gesù e Pilato, così centrato sulla regalità di Gesù, è interpretato da 1Tm 6,13 come evento in cui Gesù “ha testimoniato la sua bella confessione di fede”: la categoria della regalità, riferita a Gesù, deve essere completata da quella dellatestimonianza (martyría) e della confessione di fede(homologhía). La valenza pubblica della fede cristiana passa attraverso un vivere che è rinvio al mistero divino, ciò che avviene mediante la martyría e la homologhía.
Interrogato sulla sua regalità, Gesù risponde affermando di essere venuto nel mondo “per rendere testimonianza (verbo martyréo) alla verità”. Gesù è il testimone della rivelazione messianica, di quella verità che egli stesso è (cf. Gv 14,6). Fondamento della sua regalità è tale rivelazione, il che spiega anche come sia accolta nel mondo la sua regalità: è l’ascolto della sua voce e l’accoglienza della sua parola che consentono al credente di far regnare su di sé il Signore (cf. Gv 18,37). Non l’imposizione né la coercizione, non la seduzione né la manipolazione della libertà dell’altro sono i mezzi con cui il Signore regna sui credenti, ma l’ascolto della sua parola che richiede la libertà, la soggettività e la responsabilità dell’uomo.
Con la sua reticenza davanti a Pilato Gesù sgombra il campo da ogni possibile equivoco sulla sua regalità: questa non può essere intesa come potere di ordine mondano e terreno. “La mia regalità non proviene da questo mondo” (Gv 18,36). E dunque non ricorre ai mezzi e ai servigi di questo mondo: forza e potere, violenza e armi. Se la sua regalità venisse da questo mondo, Gesù avrebbe un braccio armato, dei servi armati che avrebbero combattuto per difenderlo. La non-violenza è un tratto della regalità di Cristo nella storia.
Ma Pietro che sfodera la spada per difendere Gesù al momento dell’arresto e ferisce il servo del sommo sacerdote (cf. Gv 18,10), mostra l’incomprensione della regalità di Gesù: tragico errore destinato a riproporsi in forme diverse nella storia della chiesa. Errore antico, e sempre nuovo.


* * *

Enzo Bianchi

L’anno liturgico si conclude con la celebrazione della regalità del Signore Gesù Cristo che, risorto da morte e asceso al cielo, ha ricevuto dal Padre “ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18). È lui “l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine” (Ap 21,6; cf. 1,8; 22,13); è lui che “verrà nella gloria e il cui regno non avrà fine”, come affermiamo nella professione di fede. Ma in che cosa consiste la “regalità” di Cristo? Il brano che oggi ascoltiamo ci presenta la risposta che viene dal Vangelo.
Nel contesto della passione secondo Giovanni (cf. Gv 18,1-19,37) le autorità religiose di Israele, dopo aver interrogato Gesù, lo conducono nel pretorio, dove ha inizio il processo romano. Pilato pone subito a Gesù l’unica domanda che gli preme come rappresentante del potere politico: “Tu sei il re dei Giudei?”. Egli conosceva probabilmente la speranza giudaica nella venuta di un re che avrebbe liberato con la forza Israele dal giogo romano: al tempo di Gesù questo era ciò che restava dell’attesa del Re Messia promesso da Dio per instaurare il suo regno di pace e giustizia (cf. Is 11,1-9)… Ora, Gesù era stato definito “re d’Israele” da Natanaele (Gv 1,49) e dal popolo che lo aveva acclamato durante il suo ingresso a Gerusalemme (Gv 12,13), ma egli rifiutava di essere considerato un re politico, rifuggiva la logica mondana del potere; ecco perché dopo la moltiplicazione dei pani, “sapendo che stavano per farlo re si ritirò sulla montagna, tutto solo” (Gv 6,15). Eppure gli apostoli, all’indomani della scandalosa morte in croce di Gesù, nell’alba pasquale oseranno chiedergli: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?” (At 1,6)…

Paradossalmente è Gesù, in catene, a interrogare Pilato, il suo giudice: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. E di fronte alle sue esitazioni ribadisce con forza: “Il mio regno non è di questo mondo, non viene da questo mondo”la regalità di Gesù viene solo da Dio, è quella di chi “è venuto per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Gesù sgombera così il campo da ogni possibile equivoco: la sua regalità non può essere intesa come potere di ordine terreno; “se il mio regno fosse di questo mondo” – precisa – “i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato”, come in effetti aveva tentato di fare Pietro, tagliando un orecchio al servo del sommo sacerdote (cf. Gv 18,10)… Pilato, sempre più impaurito (cf. Gv 19,8), chiede allora a Gesù: “Dunque tu sei re?”. Solo a questo punto, mentre è prossimo alla condanna a morte, Gesù può affermare: “Tu lo dici; io sono re”. Anzi, solo sulla croce si manifesterà definitivamente la regalità di Gesù, quando sul suo capo verrà posto un cartiglio trilingue che attesta: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei” (Gv 19,20)…
Poi Gesù aggiunge: “Per questo sono uscito dal Padre e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”. E Pilato a lui: “Che cos’è la verità?” (Gv 19,38). Ma Gesù non risponde a parole, perché lo ha già fatto con tutta la sua vita, e soprattutto lo sta facendo ora, mediante la libertà e l’amore con cui vive la sua ingiusta passione. Così, poco dopo, conducendo fuori Gesù, Pilato dovrà proclamare, senza comprendere pienamente il senso delle sue parole: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5), l’uomo per eccellenza, l’uomo come Dio l’ha pensato e creato, l’uomo capace di amare “fino all’estremo” (Gv 13,1). Quella di Gesù è dunque unaregalità “altra”, che si svela in pienezza solo nella passione e nella morte di croce; è la gloria di chi ama e dà la vita per i fratelli: in questo senso egli è “il Principe dei re della terra” (Ap 1,5), “il Re dei re e il Signore dei Signori” (Ap 17,14; 19,16).

Da questo episodio capiamo come nel cristianesimo la verità non sia un concetto astratto, ma la rivelazione del disegno di salvezza di Dio ad opera di Gesù; più semplicemente, la verità è una persona, Gesù Cristo (cf. Gv 14,6)! Quel Gesù che ha vissuto come “uomo per gli altri” (D. Bonhoeffer) e con tutta la sua vita ci ha insegnato che, attraverso l’amore, è possibile sperare che la morte non abbia l’ultima parola. Ecco perché il Padre lo ha richiamato dai morti e lo ha fatto risorgere: per mostrare una volta per tutte che, dove c’è una vita spesa nell’amore, questo amore vince anche la morte; per indicare la vita eterna che attende tutti gli uomini nel Regno, in Gesù Cristo, “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18).