ROMA, venerdì, 30 novembre 2012 -
Di seguito il testo
dell'intervento pronunciato questa mattina dal cardinale Angelo
Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della CEI, in apertura
dell’XI Forum del progetto culturale, in programma fino al 1° dicembre a
Roma sul tema: “Processi di mondializzazione, opportunità per i
cattolici italiani”.
***
1. Il Forum del Progetto culturale, celebrando il suo quindicesimo
anniversario, intende rivolgere quest’anno la sua attenzione ai processi
di mondializzazione da tempo in atto, considerando la loro genesi e la
loro presente configurazione. Lo intende fare considerando questi
processi non già come il prodotto di anonime forze impersonali, di
strutture indipendenti dal volere umano, bensì come un’“opportunità” che
gli uomini sono chiamati a cogliere, al fine di orientare il loro agire
verso il bene comune.
Come in altri casi, infatti, si tratta di fenomeni che debbono essere
valutati non solo tenendo conto dei rischi che comportano ma, anche e
soprattutto, mettendo in evidenza quanto di positivo può essere
riscontrato in essi. Desidero in apertura salutare con animo grato S.E.
il Card. Camillo Ruini, Ideatore e Presidente del Progetto Culturale
della CEI, il Comitato e tutti i Collaboratori, per la passione e
l’intelligenza che hanno speso in questi anni di ricerca e produzione
culturale.
In questo Forum si parlerà sia dei processi della mondializzazione,
sia di quello specifico della globalizzazione. Nella riflessione
contemporanea si tende di solito a distinguere fra i due concetti.
Alcuni autori, come ad esempio la sociologa Saskia Sassen, intendono con
il termine “mondializzazione” quello sviluppo storico che ha condotto
al progressivo imporsi di un’economia mondiale e di sistemi politici che
tendono ad estendersi a livello globale.
Spesso questo concetto viene inteso come se fosse un processo
ineluttabile. Invece quello di “globalizzazione” è un termine che si
diffonde tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta dello scorso secolo, e
che esprime il modo in cui vengono a configurarsi gli sviluppi della
mondializzazione, soprattutto in seguito all’enorme incremento e alla
capillare diffusione delle nuove tecnologie.
Si tratta comunque – per contenuti e modalità - di fenomeni che hanno
una fondamentale incidenza sugli uomini e sui diversi ambiti della loro
vita. Il modo in cui verrà sviluppata all’interno di questo Forum la
riflessione su tali questioni e sulle loro conseguenze è quello, ormai
sperimentato, della riflessione attenta e documentata, nonché del libero
dibattito.
Il punto di partenza proposto per tale approfondimento è offerto da quanto il Sommo Pontefice scrive nella Lettera Enciclica
Caritas in Veritate quando parla, nel n. 42, della necessità di “
vivere ed orientare la globalizzazione dell'umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione”.
È questa infatti l’ispirazione etica e culturale che anima il
cattolicesimo riguardo a tali fenomeni ed è questa l’indicazione del
modo in cui i cattolici possono interagire con essi.
2. Va sottolineato, anzitutto, che la mondializzazione è un fenomeno
che la Chiesa cattolica conosce bene. Lo conosceva già quando non veniva
chiamato in questo modo, e non si configurava nelle specifiche forme,
oggi predominanti, della globalizzazione. La Chiesa infatti, proprio in
quanto Chiesa
cattolica, è comunità universale, e lo è non solo
per il fatto che è presente in ogni parte della Terra. Non si tratta,
infatti, di prendere atto solo di un dato statistico, che vede un
incremento continuo sulla scena mondiale, ma è in causa innanzitutto un
dato qualitativo che costituisce la stessa natura della Chiesa, e cioè
la missione che ha ricevuto da Cristo.
Il compito della Chiesa, infatti, è di annunciare e di testimoniare
la salvezza e quindi l’unità del genere umano in Cristo. Come ricorda ad
esempio il Servo di Dio Giovanni Paolo II (nel suo Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace del 2000), l’umanità, per quanto divisa,
“per quanto segnata dal peccato, dall’odio e dalla violenza, […] è
chiamata da Dio a formare un’unica famiglia” (n. 2).
Ecco perché, a partire da questo mandato, l’impegno della Chiesa è
stato e dev’essere compiuto “in vista della meta di fare dell’umanità
una sola famiglia, fondata sui valori della giustizia, dell’equità,
della solidarietà” (n. 5). È in questo orizzonte che l’esperienza della
mondializzazione e gli attuali processi della globalizzazione possono
offrire agli uomini straordinarie e promettenti opportunità.
In sintesi, la Chiesa, proprio in quanto cattolica, è per sua stessa
natura protesa a un’azione globale e globalizzante: essa è chiamata alla
missione di comunicare la Buona Novella al mondo intero. È appunto per
questa ragione che, anche nel contemporaneo contesto globalizzato, i
cattolici possono trovare nella dottrina e nella tradizione quei
riferimenti precisi che consentono loro un sicuro orientamento.
3. Tuttavia nello scenario attuale il termine “globalizzazione”, così
come pure quello di “mondializzazione”, vengono ad assumere molteplici
significati e a caratterizzarsi per una complessità di articolazioni in
precedenza sconosciute. Questi significati sono dovuti in buona parte ai
diversi ambiti in cui tali processi possono trovare la loro
realizzazione.
Si tratta in primo luogo dell’ambito economico, all’interno del
quale si manifestano nel modo più evidente. Ma alla stessa griglia
concettuale vengono ricondotte, come sue specifiche applicazioni, anche
molte dinamiche oggi in atto nel contesto sociale: soprattutto quelle
collegate ai grandi processi migratori. Forme di globalizzazione possono
poi essere riscontrate sia nella dimensione della cultura, con
l’imporsi di modi di pensare e di idee che hanno ormai diffusione
universale, sia nella sfera della comunicazione, dato che viviamo in
un’epoca nella quale le notizie possono essere condivise in tempo reale
nella maggior parte del mondo.
Bisogna essere attenti, però, a non accogliere in maniera acritica
alcune concezioni inadeguate che hanno favorito, in tempi recenti, la
nascita di una vera e propria “ideologia” della globalizzazione. Non si
deve ritenere, lo ripeto, che essa sia un destino ineluttabile nei cui
confronti non vi può essere possibilità d’interazione e d’indirizzo da
parte degli uomini. E ugualmente è scorretto pensare questi fenomeni
come il risultato di una automatica applicazione alle differenti
situazioni locali di norme uniformi, che molto spesso non corrispondono
ad esigenze condivise, ma sono l’espressione di una mentalità dominante.
Tale lettura della globalizzazione, che pure è stata proposta
soprattutto all’interno del dibattito nordamericano, si è rivelata in
alcuni casi non aderente dal punto di vista scientifico e pericolosa sul
piano pratico.
È scorretta perché, anche se in ambito economico, culturale,
comunicativo o sociale è possibile riscontrare processi simili in varie
parti del mondo, questo fatto non ha come risultato una omogeneizzazione
di gusti, abitudini, modi di pensare. Semmai, ciò che è possibile
verificare è un processo di adattamento di alcuni modelli occidentali
alle concrete situazioni e alle specifiche tradizioni con le quali tali
modelli si trovano di volta in volta a interagire. Per questo motivo già
da alcuni anni, a indicare tale complesso adattamento, invece che di
globalizzazione si preferisce parlare di “glocalizzazione”.
Con questo neologismo s’intende il risultato di una progressiva e
faticosa applicazione di criteri diffusi globalmente alle differenti
realtà locali, applicazione che spesso comporta una modifica anche
significativa degli stessi criteri applicati.
Inoltre tale lettura unilaterale dei processi di globalizzazione può
essere pericolosa perché potrebbe giustificare una forma d’imposizione, a
volte anche violenta, del globale sul locale. In questo caso si
verificherebbe un vero e grave fraintendimento di ciò che l’umanità,
grazie soprattutto all’elaborazione del pensiero cristiano, ha stabilito
essere realmente universale: la dignità della persona, la salvaguardia
della sua libertà, il rispetto della vita in ogni suo momento.
Con un uso ideologico dei processi di globalizzazione, invece, ciò
che è a fondamento di ogni comportamento umano, e che per questo può
essere da tutti condiviso, rischierebbe di trasformarsi in qualcosa
d’imposto, e perciò avvertito come estraneo al proprio essere e alla
propria storia. Non stupiscono dunque le reazioni di rigetto, a volte
altrettanto violente. L’ultimo decennio della storia del mondo sta a
insegnarlo.
4. Va detto con chiarezza che questa è una concezione errata del
progresso umano e del suo sviluppo globale, e va ribadito che “l’utile”
di una parte dell’umanità non può essere considerato il criterio per
stabilire ciò che è bene per tutti. La globalizzazione, infatti,
dev’essere regolamentata secondo giustizia, evitando che essa si
configuri come l’espressione d’interessi particolari imposti
universalmente. Si tratta invero di globalizzare l’umano: cioè di far
emergere la creaturalità di tutti e di ciascuno, fatto che costituisce
il fondamento di ciò che davvero può essere detto universale.
Il Magistero della Chiesa cattolica afferma tutto questo in modo
estremamente chiaro e argomentato, soprattutto nei documenti degli
ultimi cinquant’anni. Penso anzitutto alla Lettera Enciclica di Paolo VI
Populorum progressio. In essa il Sommo Pontefice chiedeva di
configurare un modello di economia di mercato capace d’includere, almeno
tendenzialmente, tutti i popoli e non solamente quelli più attrezzati.
Chiedeva che ci si impegnasse a promuovere un mondo più umano per tutti,
un mondo nel quale tutti avessero “qualcosa da dare e da ricevere,
senza che il progresso degli uni costituisse un ostacolo allo sviluppo
degli altri” (PP, n. 44).
E dunque, anche se non poteva prevedere i sorprendenti esiti della
mondializzazione che abbiamo sotto gli occhi, il Papa ne individuava
lucidamente gli aspetti problematici, soprattutto dal punto di vista
degli squilibri economici che era in grado di provocare, e proponeva una
formula – quella di un mondo nel quale il progresso degli uni non
costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri – capace di fornire un
orientamento morale nel rapporto fra i popoli.
Sulla stessa linea si è mosso in molti suoi interventi il beato
Giovanni Paolo II: lo abbiamo già visto dalla precedente citazione di un
suo discorso. Egli sottolinea con forza, ad esempio nella Lettera
enciclica
Centesimus annus, il fatto che non bisogna
assolutizzare l’economia, dal momento che essa “è solo un aspetto ed una
dimensione della complessa attività umana”.
Ciò significa, nello specifico, che “la libertà economica è solo un
elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando
cioè l’uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che
come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua
necessaria relazione con la persona umana e finisce con l’alienarla ed
opprimerla” (CA, n. 39).
È ciò che avviene ogni qual volta la persona si trova presa, e anzi
soffocata, tra i due poli dello Stato totalitario e del mercato. Tale
alternativa è sbagliata perché dimentica “che la convivenza tra gli
uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in
se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire” (CA,
n. 49).
Oggi, certamente ci troviamo in una situazione nella quale la
contrapposizione tra i due blocchi, a cui alludevano queste parole, è
ormai superata. Ma non è certo venuta meno l’esigenza di salvaguardare
il bene comune a livello globale. E soprattutto in maniera sempre più
urgente emerge la necessità di fornire un fondamento antropologico in
grado di giustificare quella “globalizzazione della solidarietà” che
Giovanni Paolo II auspicava.
È questo il modo in cui il nostro tema è affrontato nella
Caritas in veritate.
La globalizzazione, in questa Enciclica, costituisce una vera e propria
sfida etica. L’etica, a sua volta, è guidata e orientata dalla carità.
Infatti, come viene detto, “solo con la
carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede,
è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più
umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui
proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso
tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore
che vince il male con il bene” (CV, n. 9).
Comprendere questo significa cambiare prospettiva. “I processi della
globalizzazione, considerati a partire da tale concezione dell’essere
umano, diventano occasioni, luoghi in cui si può realizzare il suo agire
buono. Non solo nel caso più evidente di ciò che riguarda la
globalizzazione economica, ma per tutti gli aspetti e le dimensioni in
cui quanto è realizzato da una parte dell’umanità viene messo al
servizio di tutti. La stessa economia, infatti, non può prescindere
dalla gratuità” (CV, n. 39). Lo stesso orientamento che spinge alla
condivisione deve animare i processi all’opera in ambito sociale,
culturale, comunicativo.
5. In conclusione, gli sviluppi della mondializzazione e l’attuale
fase della globalizzazione non possono affatto essere considerati
l’esito di un percorso storico che l’uomo può solamente subire e
rispetto al quale non ha responsabilità. Essi devono invece essere
pensati e assunti all’interno di una dimensione etica. Riguardano cioè
l’azione libera dell’uomo. E possono essere considerati un’opportunità
nella misura in cui essi chiamano a un agire buono.
Ma alla base di questa dimensione etica, e proprio allo scopo di dare
a essa fondamento e motivazione, è presente una concezione
antropologica ben precisa. Si tratta di quell’autentico patrimonio
dell’Occidente che viene proposto all’ecumene e riscoperto sempre di
nuovo. Si tratta di ciò che la dottrina cattolica ha elaborato nel corso
della sua tradizione. È l’idea dell’uomo come colui che solo nella
relazione con Dio trova salvaguardata la sua dignità e che, proprio a
partire da qui, vede giustificata la fraternità universale e ogni
apertura moralmente responsabile alla vita.
Lo ribadisce in maniera molto precisa Papa Benedetto XVI, ancora nella
Caritas in veritate.
Con le sue parole, così come ho iniziato, voglio concludere: “La
verità della globalizzazione come processo e il suo criterio etico
fondamentale sono dati dall’unità della famiglia umana e dal suo
sviluppo nel bene. Occorre quindi impegnarsi incessantemente per
favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza, del processo di integrazione planetaria” (CV, n. 42). Mi auguro che le parole del Sommo Pontefice possano aiutare il proficuo sviluppo della vostra riflessione.