sabato 27 ottobre 2012

Raniero Cantalamessa - "Credi tu?"



Propongo di seguito la lettura di qualche pagina di questo bel libretto del padre Cantalamessa ofmcapp. sul Simbolo. Utilissimo per rinfrescare le nostre idee in questo Anno della Fede.

* * *

Credo
Gesù dice: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Prima di lui, convertirsi significava
sempre "tornare indietro", tornare all' Alleanza violata. Con Gesù la parola "conversione"
assume un significato nuovo, rivolto più al futuro che al passato. Convertirsi non significa
tornare indietro, all' Antica Alleanza, ma significa fare un salto in avanti, entrare nella Nuova
Alleanza, afferrare questo Il Regno che è apparso, entrarvi, ed entrarvi mediante la fede.
"Convertitevi e credete" non significa due cose diverse e successive, ma la stessa azione:
convertitevi, cioè credete; convertitevi credendo!
"Tutto è possibile per chi crede" (Mc 9,23) e "nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37). La fede
rivela la sua natura divina nel fatto che è praticamente inesauribile. Non c'è un punto oltre il
quale non si possa andare nel credere: si può sempre credere ancora di più. Tutta la grazia di
Dio è al lavoro per portare l'uomo da un grado di fede un altro grado più perfetto, da una fede
con segni a una fede senza segni. Appena il credente è riuscito a superare, con la fede, un
ostacolo, Dio non perde tempo e gli mette davanti un ostacolo più alto, sempre più alto,
sapendo quale corona gli sta preparando con l'altra mano. Così di seguito, fino a chiedergli
l'umanamente impossibile: il salto nel buio.
Avviene, con la fede, come nella gara atletica del salto in alto: a ogni salto riuscito,
l'asticella viene innalzata di qualche centimetro, per permettere un salto ancora più alto e così il
limite precedente viene sempre di nuovo superato, senza che si possa prevedere quale sarà la
misura finale.
Non si finisce mai di stupirsi dinanzi a questa grande invenzione di Dio che è la fede. La
gloria del cielo è come un albero maestoso dai molti rami e dai molti frutti, ma nasce da un
piccolo seme coltivato sulla terra, e questo seme è la fede. Immaginiamo cosa faremo se un
giorno ci venisse dato segno meno da uno che sappiamo essere un esperto in materia - un
piccolo seme in una scatolina, con l'assicurazione che si tratta di un seme unico al mondo, che
produce un albero ricercatissimo, capace di fare ricco chi lo possiede: come lo custodiremmo,
come lo ripareremmo dai venti...
Così dobbiamo fare con la nostra fede: essa è un seme che produce "frutti di vita eterna"!


Credo in Dio Padre
Il grande sconosciuto è Dio Padre. Più che sconosciuto: rifiutato! Le cause
dell'oscuramento della figura di Dio Padre nella cultura moderna sono molteplici. Al fondo c'è
la rivendicazione di autonomia assoluta dell'uomo. E siccome Dio Padre si presenta come il
principio stesso e la fonte di ogni autorità, non restava che negarlo, e così è avvenuto. "La
radice dell'uomo è l'uomo stesso" (K.Marx). "Se Dio esiste, l'uomo è nulla" (P.Sartre). Sono
voce levatesi negli ultimi due secoli.
Freud ha pensato di dare una giustificazione psicologica a questo rifiuto, dicendo che il
culto del Padre celeste non è che una proiezione del complesso parentale che porta il bambino
a idealizzare il proprio padre terreno dopo avere desiderato di ucciderlo.
Parlando dell'epoca che precedette la rivelazione evangelica, un autore antico diceva:
"L'ignoranza del Padre era causa di angoscia e di paura". Succede lo stesso anche oggi:
l'ignoranza del Padre è forte di angoscia e di paura. Se il Padre è, a tutti i livelli, spirituali e
materiali, "la radice ultima dell'essere", senza di lui non possiamo che sentirci "sradicati".
È urgente dunque riportare alla luce il vero volto di Dio Padre. Non occorrono, per
questo, anni di lavoro, come ne sono occorsi per togliere la patina oscura che ricopriva
l'immagine del Padre nella Cappella Sistina. Basta un lampo, un'illuminazione del cuore, una
rivelazione dello Spirito. Perché il vero volto di Dio Padre è lì, consegnato per sempre nella
Scrittura. È contenuto in una parola: "Dio è amore!". La parola "Dio", senza altre aggiunte,
nelle Nuovo Testamento significa sempre di Dio Padre. Dunque Dio Padre è amore. "Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).
"Perché Dio ci ha creati?". A questa domanda ilCatechismo ci insegnava a rispondere
giustamente: "Per conoscerlo, servirlo e amarlo in questa vita e goderlo poi nell'altra in
paradiso". Questo però risponde solo alla domanda: "Per quale fine ci ha creato?", ma non
risponde alla domanda: "Per quale causa ci ha creato?". Alla seconda domanda non si deve
rispondere: "Perché lo amassimo", ma: "Perché ci amava". Dice la Preghiera Eucaristica IV:
"Ai dato origine all'universo per effondere il tuo amore su tutte le creature e allietarle con lo
splendore della tua Gloria".
Qui sta tutta la differenza tra il Dio dei filosofi e il Dio del Vangelo che dice: "In questo
sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi... Noi amiamo perché
egli ci ha amati per primo" (1Gv 4,10.19).


Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra
Perché Dio ci ha creato? La risposta più giusta è: Dio ci ha creato perché ci amava.
Nessuno saprebbe convincerci del fatto che noi siamo stati creati per amore, meglio di come lo
fa Santa Caterina da Siena, Patrona d'Italia e Dottore della Chiesa, con questa infuocata
preghiera alla Trinità:
"Come creasti, dunque, o Padre eterno, questa tua creatura? Io sono grandemente
stupefatta di ciò; vedo infatti, come tu mi mostri, che per nessuna altra ragione la facesti, se no
perché con il lume tuo ti vedesti costringere dal fuoco della tua carità a darci l'essere,
nonostante le iniquità che dovevamo commettere contro di te, o Padre eterno. Il fuoco dunque
ti costrinse. O amore ineffabile, benché nel lume tuo tu vedessi tutte le iniquità, che la tua
creatura doveva commettere contro la tua divina bontà, tu facesti vista quasi di non vedere, ma
fermasti l'occhio nella bellezza della tua creatura, della quale tu, come pazzo ed ebbro d'amore,
t' innamorasti e per amore la traesti a te, dandole l'essere ad immagine e similitudine tua. Tu,
verità eterna, hai dichiarato a me la verità tua, cioè che l'amore che costrinse a crearla".
Non devo dunque guardare fuori per avere la prova che Dio mi ama: io stesso sono la
prova; il mio essere è, in se stesso, dono. Guardandoci nella fede, noi possiamo dire: Esisto,
dunque sono amato! Per il cristiano è vero che "essere, è essere amato" (G.Marcel).
Non tutti, si sa, interpretano così la creazione. "Dicono fra loro sragionando: Siamo nati
per caso" affermava già in antico la Sacra Scrittura (Sap 2,1-2). Nell'antichità c'era chi
considerava il mondo come opera di un rivale di Dio, o di un dio inferiore, il Demiurgo,
oppure come il frutto di una necessità, o di un incidente occorso nel mondo divino. Dio
avrebbe creato il mondo per un'eccedenza di energia (non d'amore!), che non poteva essere
contenuta in se stessa. Oggi c'è chi ritiene l'esistenza dell'uomo e delle cose un effetto di ignote
leggi cosmiche. C'è persino chi la vede come una condanna, quasi un essere stati "gettati
nell'esistenza". La scoperta dell'esistenza, che in Santa Caterina da Siena generava stupore e
grande gioia, in quest'ultima prospettiva - che è quella dell'esistenzialismo ateo - genera
solamente "nausea". I santi non dicono cose nuove, ma hanno il dono di dire in modo
inimitabile cose antiche e vere, come dice Gesù: "Ogni scriba, divenuto discepolo del Regno
dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt
13,52).


Creatore di tutte le cose visibili e invisibili
Sono ben note e spesso ripetute le parole che Dostoevskij pone in bocca a uno dei
personaggi del romanzo L'idiota: " Il mondo sarà salvato dalla bellezza" e la domanda che segue
immediatamente a tale affermazione: "Quale bellezza salverà il mondo?". È chiaro per tutti che
non ogni bellezza salverà il mondo; c'è una bellezza che può salvare il mondo e una bellezza che
può perderlo. Il dramma è tutto qui.
"Dio - scrive P.Evdokimov - non è il solo a rivestirsi di Bellezza, il male lo imita e rende
la bellezza profondamente ambigua... La bellezza esercita il suo fascino, converte l'anima
umana al suo culto idolatra, uso il posto dell'Assoluto, con una strana e totale indifferenza
verso il Bene e la Verità... se la Verità è sempre bella, la bellezza non sempre è vera".
Qual è la causa di questa ambiguità? Come mai siamo portati fuori strada proprio da
quella luce che dovrebbe guidarci nel nostro cammino verso la felicità? Stando al racconto
biblico, l'ambiguità della bellezza non fu solo l'effetto del peccato, ma anche la sua causa. Eva fu
sedotta proprio dalla bellezza del frutto proibito, qualunque cosa esso significhi fuori metafora.
Eva vide che il frutto era "gradito agli occhi e desiderabile" (Gen 3,6). L'uomo non si
staccherebbe da Dio, se non fosse attratto dalle creature. Dei due elementi costitutivi del
peccato - abbandonare Dio e rivolgersi alle creature - il secondo recede psicologicamente il
primo. Dunque esiste una causa più profonda, anteriore al peccato stesso. Infatti, l'ambiguità
della bellezza affonda le sue radici nella natura stessa composita dell'uomo, fatto di un elemento
materiale e di uno immateriale, di qualcosa che lo porta verso la molteplicità e di qualcosa che
tende invece all'unità. Non c'è alcun bisogno di pensare (come hanno fatto gnostici, manichei e
tanti altri) che i due elementi risalgano a due "creatori" rivali, uno buono che ha creato l'anima
e uno cattivo che ha creato la materia e il corpo. È lo stesso Dio che ha creato l'uno e l'altro, le
cose visibili e invisibili in unità profonda, sostanziale. Con l'esercizio concreto della sua libertà
guidata dalla Parola di Dio, l'uomo decide in che direzione svilupparsi: se "in alto", verso ciò
che sta "sopra" di lui, o "in basso", verso ciò che sta "sotto" di lui, se verso l'unità o verso la
molteplicità. Creando l'uomo libero - scrive un filosofo del Rinascimento - è come se Dio gli
dicesse: "Ti ho posto nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi ciò che vi è in esso.
Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero
e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai
degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti
nelle cose superiori che sono divine".


Credo in un solo Signore, Gesù Cristo
Questa è la fede che la Chiesa ha ereditato dagli Apostoli, che ha santificato le sue origini,
che ha plasmato il suo culto e perfino la sua arte. Sull'aureola del Cristo "Pantocrator" ("Tutto
ciò è stato fatto per mezzo di lui") presentato nei mosaici o nelle icone antiche, sono inscritte
in oro tre lettere greche: "O ΩN - Colui che è". La Chiesa ha qualcosa da "svelarci" e da
"consegnarci", un segreto nascosto al mondo: che "Gesù è il Signore" e che davanti a lui si
deve piegare ogni ginocchio, che, un giorno, davanti a lui ogni ginocchio, infallibilmente, "si
piegherà" (Is 45,23;Fil 2,10).
La forza oggettiva della frase: "Gesù è il Signore" sta nel fatto che essa rende presente la
storia. Essa è la conclusione di due eventi fondamentali: Gesù è morto per i nostri peccati; è
risorto per la nostra giustificazione. Per ciò Gesù è il Signore! Gli eventi che hanno preparato
questa conclusione si rendono sempre presenti e operanti quando si proclama la nostra fede:
"Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha
risuscitato dai morti, sarà salvo" (Rm 10,9).
Vi sono due modi fondamentali di entrare in comunione con gli eventi della salvezza: uno
è il Sacramento, l'altro è la Parola. Questo di cui stiamo parlando è il modo della Parola e della
Parola per eccellenza che è il Kerygma,  il Vangelo proclamato. La spiritualità orientale insiste
sull'esperienza di Dio nei "misteri", nella preghiera del cuore. La spiritualità occidentale insiste
sull'esperienza di Dio nella contemplazione, quando ci si raccoglie in sé e ci si eleva, con la
mente, al di sopra delle cose e di se stessi. Vi sono insomma tanti "itinerari della mente a Dio".
Ma la Parola di Dio ce ne svela uno che è servito a dischiudere l'orizzonte di Dio alle prime
generazioni cristiane, un itinerario non straordinario è riservato a pochi privilegiati, ma aperto
a tutti gli uomini dal cuore retto - a quelli che credono e a quelli che sono alla ricerca della fede
- un itinerario che non sale attraverso i gradi della contemplazione, ma attraverso gli eventi
divini della salvezza; che non nasce dal silenzio, ma dall'ascolto, e questo è l'itinerario
delKerygma, il Vangelo proclamato: "Gesù Cristo è morto! Gesù Cristo è risorto! Gesù Cristo è
il Signore!".
Quest'esperienza la facevano nei primi cristiani, quando, nel culto, esclamavano:
"Maranatha!" che voleva dire diverse cose, secondo il modo con cui veniva pronunciato, e cioè:
"Vieni, Signore", o "Il Signore è qui", o "Il Signore viene".


Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre
"Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere
come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, facendosi obbediente fino
alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra
di ogni nome". L'apostolo Paolo si astiene anche lui dal pronunciare questo Nome ineffabile e
lo sostituisce con Adonai, che in greco suona Kyrios, in latino Dominus e in italiano Signore. "
Ogni ginocchio - continua il testo - si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua
proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,8 - 11). Ciò che egli
intende con la parola "Signore" è precisamente quel Nome che proclama l'Essere divino.
Il Padre ha dato a Cristo - vero uomo - il suo stesso Nome e il suo stesso potere. Lo dice
anche Gesù: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Questa è la verità
inaudita racchiusa nella proclamazione: "Gesù Cristo è il Signore!". Gesù Cristo è "Colui che
è", il Vivente.
San Paolo non è il solo a proclamare questa verità: "Quando avrete innalzato il Figlio
dell'uomo - dice Gesù nel Vangelo di Giovanni - allora saprete che Io Sono" (Gv 8,28) e poco
prima diceva: "Se non credete che Io Sonno, morirete nei vostri peccati" (Gv otto 24). Il
perdono dei peccati avviene ormai in questo Nome, in questa Persona. Nel racconto della
Passione, si riferisce cosa avvenne quando i soldati si accostarono a Gesù per catturarlo: "Gesù,
conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: Chi cercate? Gli
risposero: Gesù, il Nazareno. Disse loro Gesù: Sono Io!... Appena disse: Sono Io,
indietreggiarono e caddero a terra" (Gv 18,4 - 6). Perché indietreggiarono e caddero a terra?
Perché egli aveva pronunciato il suo Nome divino, "Io sono", ed esso, per un istante, era stato
lasciato libero di sprigionare la sua potenza. Come per Paolo, anche per l'evangelista Giovanni,
il Nome divino è strettamente legato all'obbedienza di Gesù fino alla morte: "Quando avrete
innalzato il Figlio dell'uomo allora saprete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma
come mi hai assegnato il Padre, così io parlo" (Gv 8,28). Gesù non è Signore contro il Padre, o
al posto del Padre, ma "a gloria di Dio Padre".
Non è bastato a Dio parlarci del suo amore "per mezzo dei profeti". "Ultimamente, in
questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1,1 - 2). C'è una differenza enorme
rispetto a prima. Gesù non si limita a parlarci dell'amore di Dio, come facevano i profeti: egli
"è" l'amore di Dio, perché "Dio è amore" (1Gv 4,16) e Gesù è Dio!


Dio da Dio... Dio vero da Dio vero... della stessa sostanza del Padre
"Volgo i pensieri alla dimora che non conosce tramonto, alla mia cara Trinità, unica
Luce, di cui anche la sola ombra ora mi commuove" (San Gregorio di Nazianzo). Riguardo al
Cristo Gesù colpisce il contrasto tra due affermazioni. Da una parte, egli è visto come "il più
bello fra i figli dell'uomo" (Sal 44/45,3), come "irradiazione della gloria di Dio e impronta
della sua sostanza" (Eb 1,3). Dall'altra, a Lui, nella Passione, vengono applicate le parole dei
Carmi del Servo di Iahvè: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non
splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che
ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia" (Is 53,2 - 3).
La spiegazione del contrasto è semplice: Gesù ha redento la bellezza, privandosene per
amore. "La nostra anima, fratelli, è brutta per colpa del peccato: essa diviene bella amando
Dio. Dio è sempre bellezza, non c'è mai in lui deformità o mutamento. Egli non ci ha amato
per lasciarci brutti come eravamo, ma per renderci belli da brutti che eravamo. In che modo
saremo belli? Amando Lui, che è sempre bello. Assumendo un corpo, Egli prese sopra di sé la
tua bruttezza, la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simili a te e spingerti ad
amare la bellezza interiore... Egli non aveva bellezza di splendore per dare a te bellezze
splendore" (Sant' Agostino).
 Per capire questo paradosso, bisogna rifarsi al principio che Paolo formula all'inizio della
Prima Lettera ai Corinzi: "Poiché, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua
sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della
predicazione" (1Cor 1,21). Applicato alla bellezza e allo splendore della Luce di Dio, questo
significa: poiché mediante la bellezza delle creature l'uomo non è stato capace di elevarsi alla
bellezza del Creatore, Dio ha cambiato, per così dire, metodo e ha deciso di rivelare la sua
bellezza attraverso l'ignominia e la deformità della croce della sofferenza. Il raggiungimento
della bellezza passa anch'esso ormai attraverso il mistero pasquale di morte e risurrezione. La
bellezza non è più astrattamente, come la definisce Platone, "lo splendore del vero", mai,
concretamente, lo splendore di Cristo, anche se le due cose coincidono, essendo Lui stesso la
Verità. La Bellezza si è incarnata! Questo è il modello e la fonte della bellezza redenta: "Dio
che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la
conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo" (2 Cor 4,6).




Per mezzo di Cristo Gesù tutte le cose sono state create
La domanda "Perché Dio ci ha creato?" può rinascere sotto un'altra forma: "Perché Gesù
è morto per i nostri peccati?". La risposta che ha illuminato di colpo la fede della Chiesa, come
un bagliore di sole, e stata: "Perché ci amava!". "Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso
per me" (Gal 2,20). "Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi" (Ef 5,2). "Cristo ha amato
la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ef 5,25).
È una verità, come si vede, pacifica, primordiale, che pervade ogni cosa e si applica sia
alla Chiesa nel suo insieme sia al singolo uomo. L'evangelista Giovanni fa risalire questa
rivelazione allo stesso Gesù: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i
propri amici. Voi siete miei amici" (Gv 15,13 - 14). Questa risposta al "perché" della
Creazione e della Passione di Cristo è veramente definitiva e non ammette altre domande.
L'amore di Dio infatti non ha un "perché", ma è gratuito. È l'unico amore al mondo veramente
e totalmente gratuito che non chiede nulla per sé (ha già tutto!), ma solo dona, o meglio, si
dona. "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha
mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati... Egli ci ha amati per
primo!" (1 Gv 4,10. 19).
Gesù dunque "venne ad abitare in mezzo a noi", ha sofferto ed è morto liberamente, per
amore. Non per caso, non per necessità, non per oscure forze o ragioni della storia che lo
hanno travolto a sua insaputa, o suo malgrado. Chi afferma questo, svuota il Vangelo, gli toglie
l'anima. Perché il Vangelo non è altro che questo, e cioè il lieto messaggio dell'amore di Dio in
Cristo Gesù. Non solo il Vangelo, ma anche l'intera Bibbia non è che questo: la notizia
dell'amore misterioso, incomprensibile, di Dio per l'uomo. Se tutta la Scrittura si mettesse a
parlare insieme, se, per qualche prodigio, da parola scritta si tramutasse tutta in parola
pronunciata, in voce, questa voce, più potente dei flutti del mare, griderebbe: "Dio vi ama!"
L'amore di Dio per l'uomo affonda le sue radici nell'eternità - "Dio, Padre del Signore
nostro Gesù Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo" dice l' Apostolo in Ef
1,4 - ma si è manifestato nel tempo, in una serie di gesti concreti che costituiscono la storia
della salvezza. Dio aveva già parlato di questo suo amore, nei tempi antichi, molte volte e in
diversi modi ai padri per mezzo dei profeti (cf Eb 1,1). Aveva parlato creandoci, perché cos'è la
creazione se non un atto d'amore, il primordiale atto d'amore di Dio per l'uomo? "Hai dato
origine all'universo per effondere il tuo amore su tutte le creature", diciamo nella Preghiera
Eucaristica IV.


Per noi uomini e per la nostra salvezza disceso dal cielo
"Perché Dio si è fatto uomo?" Nella sua brevità e semplicità, il canto degli angeli "Gloria
a Dio e pace agli uomini" ci permette di dare una risposta, fondata sulla Parola di Dio, all'antica
questione del perché Dio si è fatto uomo.
A questa domanda sono state date, lungo i secoli cristiani, due risposte fondamentali: una
che mette in primo piano la salvezza dell'uomo e un'altra che mette in primo piano la gloria di
Dio; una che accentua - per esprimerci con le parole del canto degli angeli - la "pace agli
uomini" e una che accentua "la gloria di Dio". La risposta che emerge luminosa e chiara dalla
Parola di Dio è la seguente: l'Incarnazione è per la gloria di Dio, ma questa gloria non consiste
altro che nell'amare l'uomo. "La gloria di Dio - scrive sant' Ireneo di Lione - è l'uomo vivente",
che l'uomo viva, che sia salvato. Anche la pietà cristiana ha intuito questo legame tra la gloria di
Dio è la nostra salvezza, quando, sviluppando il canto angelico, preda dicendo: "Ti rendiamo
grazie per la tua gloria immensa" (è il Gloria del Messa).
Perché rendere "grazie" a Dio per la sua "gloria" se non perché si intuisce che tale gloria
è anche per noi, a nostro favore? In noi che siamo cattivi, agire "per noi stessi" è sommo
egoismo, ma in Dio che è Amore, agire "per se stesso" è necessariamente sommo Amore. Non
ci sono dunque due motivi diversi o, peggio, in contrasto tra loro per cui Dio si è fatto uomo,
ma uno solo che coinvolge insieme, in modo diverso, Dio e l'uomo: la gloria di Dio sta nel dare
quello che, per l'uomo, è salvezza riceve.
Anche Giovanni, nel suo Vangelo, mette in luce questa concezione nuova e sconvolgente
della gloria di Dio. Egli vede nella morte in croce di Cristo la suprema gloria di Dio, perché in
essa si rivela l'amore supremo di Dio. Per un Dio che è Amore, la sua gloria non può consistere
in altro che nell'amare. L'amore è il "perché" ultimo dell'Incarnazione, per la redenzione dal
peccato. Lo vediamo nell'interpretazione della morte di Cristo. Dapprima la fede afferma il
fatto: "è morto", "è risorto"; poi, in un secondo momento, si scopre che è morto per i nostri
peccati e risorto per la nostra giustificazione: perché ci amava! "Mi ha amato e ha dato se stesso
per me" (Gal 2,20). Cristo ci ama e, per questo "a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri
peccati con il suo sangue... a lui la gloria e la potenza nei secoli" (Ap 1,5 - 6). Quello che si
dice della sua morte si deve dire anche della sua nascita: Dio ci ama e per questo si è fatto
uomo per la nostra salvezza. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). Ha tanto amato il
mondo, ha dato il suo Figlio!