venerdì 26 ottobre 2012

Quelli senza navigatore




Fingo di essere contro il navigatore per nobili motivi morali, per alte e intelligenti ragioni tipo che la signora che con voce meccanica ti dice di “svol- tareà – destra” ottunde le tue capacità e il senso dell’orientamento, l’abilità di imparare cose nuove e la memoria. La verità, ovviamente, è che non sono capace di programmarlo, non voglio assolutamente imparare niente di tecnologico, anche se so che alcune cose mi semplificherebbero la vita.
Sono troppo vecchia per misurarmi con certe cose, e infatti ho ricevuto in prova le ultime meraviglie tecnologiche sul mercato – uno dei pochi effetti collaterali positivi del mio lavoro – e le ho affidate agli uomini della mia famiglia, perché mi proteggano dalle loro insidie.
Comunque perderti ti dà un sacco di tempo per pensare. Ieri dovevo fare un servizio fuori Roma, città in cui inspiegabilmente trovi ovunque cartelli con scritto “zoo” e “auditorium” (anche quando sono lontanissimi), ma raramente indicazioni utili, soprattutto nell’estrema periferia.
Quando stavo guidando da un’ora nel nulla, ho smesso di pensare dove stessi andando, certa che non sarei mai più arrivata, e mi sono rassegnata a passare la giornata e la nottata successiva all’addiaccio (le mie due onnipresenti borse mi garantiscono la sopravvivenza per almeno trentasei ore, anche se mi sbecca si lo smalto). E così, rimosse le cose urgenti (cosa si può fare di urgente in mezzo a una prateria, capannoni da una parte, pecore dall’altra?), mi sono messa a pensare alle cose importanti, come alla lettura appena ascoltata a messa (talora mi accade anche di non dormire): “Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3).
Mi chiedo: perché non capiamo di essere amati da Dio?
Una questioncina da niente, me ne rendo conto. La speculazione si è interrotta quando sono casualmente arrivata a destinazione, quindi non è che abbia prodotto un gran che di riflessione, ma insomma, tentiamo di ragionare.
Intanto possono mettercisi di mezzo anche esperienze infantili negative: se Dio si fa chiamare padre, ma il padre che ho avuto io non era buono, a che paternità vengo rimandata? Se Maria dice di essere nostra madre, ma la nostra mamma non è stata accogliente, il problema è lo stesso.
Ma poiché un’infanzia infelice non si nega a nessuno, deve esserci un modo di superare questo problema di modelli inadeguati (nessun genitore, comunque, sarà mai all’altezza, chiaramente).
Capire l’amore di Dio è una grazia, una dono immenso. Ma noi possiamo metterci nelle condizioni di accoglierlo, questo dono. San Paolo dice “che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori”. È qui la risposta.
Fargli spazio farlo abitare con noi nella preghiera, avere consuetudine con lui, dargli tempo respiro energie. Avere con lui un rapporto vivo.
La preghiera è una fatica bestiale, perché ci fa vedere il nostro vero volto, che non è pulitino come vorremmo credere e far credere. Ma più guardiamo la nostra sporcizia, più tutto quello che Dio ci regala ogni giorno ci comincia ad apparire un regalo, segno del suo amore.
Allora non si può più dimenticare, se ne viene rapiti e conquistati inevitabilmente per sempre. I veggenti a Medjugorje dicono che la Madonna i non credenti li chiama sempre “quelli che non hanno conosciuto l’amore di Dio”. (C. Miriano)