sabato 20 ottobre 2012

Dal minareto a Gesù

Nelle prime due settimane del sinodo sull'evangelizzazione, sette vescovi hanno rotto il silenzio su un argomento tabù: quello delle conversioni dall'islam al cristianesimo. Ecco che cosa hanno detto .




CITTÀ DEL VATICANO, 20 ottobre 2012 – Forse non tutti se l’aspettavano, ma è stata la questione islamica una delle più toccate nelle riflessioni che hanno occupato le prime due settimane del sinodo sulla nuova evangelizzazione.

Ha fatto molto rumore il filmato che il cardinale ghanese Peter Turkson, presidente del pontificio consiglio della giustizia e della pace, ha mostrato ai padri sinodali durante l’assemblea generale di sabato 13 ottobre. Un filmato pescato su YouTube che denunciava in modo rozzo, e con dati non verificati, l’avanzata demografica dell’islam anche a spese della cristianità. Il porporato ha successivamente chiesto scusa.

Ha fatto ugualmente rumore l’annuncio della visita in Siria, voluta da Benedetto XVI, di una missione sinodale guidata dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Della visita non si conoscono per ora le date e l'agenda:


È passato invece in sordina quanto detto da più prelati in riferimento a un tema che è solitamente tabù nel discorso pubblico della Chiesa cattolica. Quello delle conversioni dall’islam al cristianesimo.

Il tema è stato affrontato da una mezza dozzina di prelati di altrettanti paesi,  che hanno offerto informazioni ed analisi per certi versi inedite.

Il primo a parlare della questione è stato il vescovo assunzionista Louis Pelâtre, vicario apostolico di Istanbul in Turchia.

"In alcune circostanze – ha spiegato il presule originario della Francia – diventa possibile anche l’annuncio di Gesù Cristo. Insieme ad altre pubblicazioni, il Catechismo della Chiesa Cattolica è stato tradotto in turco. I giovani entrano in contatto con la fede cristiana attraverso internet. Anche se siamo praticamente privi di accesso alle radio e alle televisioni pubbliche, possiamo ricorrere alle reti private, molto più utilizzate dai protestanti evangelici che dai cattolici. Da qui la necessità di operai ben preparati e qualificati per la messe che ci attende. A questo apostolato specifico non possiamo rispondere con la buona volontà e con l’improvvisazione". 

Da parte sua il gesuita Paul Desfarges, vescovo di Constantine e dell’antica Ippona di sant’Agostino, in Algeria, anche lui di origini francesi, ha fatto notare che il dialogo islamo-cristiano è messo oggi sì a dura prova "a causa delle correnti fondamentaliste", ma "anche a causa di una nuova situazione, che seppure gioiosa, provoca sofferenza nelle persone".

"In alcuni dei nostri paesi – ha spiegato – abbiamo la grazia di accogliere fedeli che provengono da famiglie musulmane. In generale, essi erano tormentati interiormente già da tempo. Questi nuovi discepoli sono talvolta rifiutati dalle loro famiglie o comunque obbligati a mantenere una grandissima discrezione. Con il tempo, scoprono tuttavia che la loro storia spirituale con Dio è iniziata molto prima della conversione e che lo Spirito li ha guidati attraverso questa o quella persona musulmana del proprio ambiente che incarnava valori spirituali e umani. Questi discepoli ci ricordano, anch’essi, che il dialogo della vita è al centro della testimonianza del Vangelo". 

L’argomento delle conversioni dall’islam è stato toccato anche dal leader della più corposa comunità cattolica mediorientale, il patriarca maronita Béchara Boutros Rai, che risiede in Libano.

"L’evangelizzazione nei paesi arabi – ha detto – è messa in atto in modo indiretto, all’interno delle scuole cattoliche, delle università, degli ospedali e degli istituti appartenenti alle diocesi e agli ordini religiosi aperti sia ai cristiani che ai musulmani. L’evangelizzazione indiretta è praticata soprattutto tramite i mezzi di comunicazione sociale, in particolare quelli cattolici che trasmettono le celebrazioni liturgiche e vari programmi religiosi. Constatiamo tra i musulmani conversioni segrete al cristianesimo". 

Particolarmente articolata è stata poi la riflessione dell’arcivescovo Joseph Absi, ausiliare e protosincello a Damasco dei greco-melkiti di Siria, il quale ha registrato "l’apertura di alcuni musulmani al cristianesimo, favorita probabilmente dai mezzi di comunicazione attuali" e il fatto che "alcuni di loro sono persino riusciti a scoprire in Cristo il volto d’amore di Dio Padre".

Ma siccome, ha aggiunto, "i musulmani non riescono a distinguere i cristiani dagli occidentali, poiché per loro non c’è distinzione alcuna tra ciò che è religioso e ciò che è politico e sociale", accade che il comportamento degli occidentali, soprattutto a livello culturale e politico, in generale "nuoce alla sensibilità religiosa e nazionale, ai valori, all’etica e alla cultura dei musulmani" e quindi rappresenta "un ostacolo alla loro apertura nei confronti del cristianesimo e alla loro eventuale evangelizzazione".

Infatti, ha spiegato, "la maggior parte dei musulmani sono convinti che la rilassatezza dei costumi, lo sfruttamento dei popoli poveri e deboli, il disprezzo della religione musulmana che avvertono da parte degli occidentali, provenga dai cristiani o dal cristiano". Di qui la domanda su "come e cosa fare per evitare che i musulmani confondano cristianesimo e Occidente, cristiani e occidentali e si sentano scherniti, frustrati". E la richiesta al sinodo, di "soffermarsi su tale questione per cercare di evitare, nella misura del possibile, tensioni e malintesi e per far sì che i musulmani siano più recettivi nei confronti della Chiesa e del Vangelo".

Di avvicinamento o conversione di musulmani al cristianesimo non hanno parlato solo presuli di paesi arabi, ma anche pastori provenienti dall’Africa o dall’Europa.

Il lazzarista italiano Cristoforo Palmieri, vescovo di Rrëshen in Albania, ha parlato infatti dell’urgenza di "evangelizzazione verso i fratelli musulmani che portavano e portano ancora radici cristiane, e che si mostrano aperti all’annuncio".

Mentre Raphaël Balla Guilavogui, vescovo di N'Zérékoré in Guinea, ha rivelato come alle giornate diocesane della gioventù organizzate nel suo paese "partecipano anche alcuni musulmani".

Particolarmente drammatica la constatazione di John Ebebe Ayah, vescovo di Ogoja in Nigeria, il quale ha sottolineato come "molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle musulmane sognano di convertirsi alla fede cristiana ma non possono realizzare ciò per paura di perdere la propria vita".

Come si può evincere da questi contributi, il fenomeno delle conversioni dall’islam al cristianesimo sembra ancora piuttosto ridotto nei numeri e fortemente contrastato da un mondo musulmano che nella quasi totalità delle sue componenti è ancora incapace di sopportare il diritto di poter cambiare religione.

In una intervista alla Radio Vaticana in lingua francese del 16 ottobre il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ha ribadito che "il grande problema sta nel fatto che, nei paesi dove la legge musulmana è quella della maggioranza, fino ad oggi nessun musulmano accetta che la libertà di cambiare religione, o di sceglierla, sia iscritta in un testo giuridico".

Ed ha aggiunto: "In tutte le mie conversazioni con dei musulmani, spesso ben disposti, questo è stato un argomento tabù".

Il diritto di cambiare religione è invece ormai pacificamente acquisito nel mondo di tradizione cristiana. Con risultati a volte sorprendenti come l’impennata di conversioni all’islam che si sta registrando ad Haiti, segnalata dall’Associated Press e oggetto di notizia anche su "L'Osservatore Romano". (S. Magister)

* * *

Sullo stesso tema, in "Asia News", la drammatica lettera aperta di un algerino convertito dall'islam al cristianesimo, Mohammed Christophe Bilek:


Parigi (AsiaNews) - Persecuzione diretta da parte della comunità islamica; imbarazzo e indifferenza verso la loro sorte da parte dei cristiani: è la situazione che affrontano molti musulmani che si sono convertiti al cristianesimo, non solo nei loro Paesi di origine, ma anche in Europa, dove - invece di garantire la libertà di coscienza - si difende soltanto la libertà per i musulmani di testimoniare la loro fede. Mohammed Christophe Bilek lancia un appello con questa lettera inviata ad AsiaNews.
Mohammed Christophe Bilek è nato in Algeria nel 1950 e vive in Francia dal 1961. È l'autore di due libri, "Un algerino non troppo cattolico" (1999, Cerf) e "Sant'Agostino raccontato a mia figlia". Dagli anni '90 egli è anche il responsabile del sito Notre Dame de Kabylie, per l'evangelizzazione dei musulmani e il dialogo islamo-cristiano.
 Cari amici, se la persecuzione è il destino di numerosi cristiani, che dire dei musulmani che vogliono diventare cristiani? Essi sono come dei bambini che stanno per nascere, ai quali si rifiuta il diritto di esistere!
Questa settimana, un algerino battezzato a Pasqua mi ha detto: "Questa comunità [musulmana] mi fa stare male, questa Umma che vuol fare di me il suo schiavo! Non è Allah che fa di me il suo schiavo - come essi pretendono - ma essa...nel nome di Allah! Io non voglio essere prigioniero di un dogma, non voglio vivere nella menzogna! Al contrario, Dio mi chiama alla verità del Vangelo che libera. Io non impongo la mia fede a nessuno, nemmeno a mia figlia... Perché mi si vuole imporre la fede musulmana?".
Sì, cari amici, coloro che oggi scelgono di seguire Gesù Cristo, come me già più di 40 anni fa, si nascondono anche in Francia, in Europa, per paura di violenze e rappresaglie familiari o comunitarie. A maggior ragione, immaginate la vita dei nostri fratelli che non hanno la possibilità di vivere in Paesi che rispettano la libertà di coscienza, che vivono seppelliti in Marocco o in Tunisia, per esempio.
Essi ci supplicano, vi implorano di pregare per loro e di non dimenticarli. Ma occorre fare di più e prendere le loro difese contro leggi liberticide che non vengono da Dio, ma dagli uomini, checché ne dicano coloro che le vogliono imporre.
Come prendere le loro difese? Con le armi? No, certo. Piuttosto, con le armi del Vangelo: quelle della giustizia, della verità, della carità, della fraternità.
Quanto a giustizia e verità, si continua a negare questa evidenza: che noi, in quanto cristiani, in tutto il mondo musulmano, siamo spogliati dei nostri diritti e della libertà. Basta ricordare la legge sull'apostasia, istituita con la sharia e praticata da numerosi Paesi come l'Arabia saudita o l'Iran.
Lasciate che vi domandi: forse Gesù Cristo ha imposto la sua legge? Sebbene essa sia una legge d'amore, ha mai Egli forzato qualcuno a praticarla? Forse che la Chiesa cattolica, per esempio, scomunica e lancia della fatwa contro coloro che la abbandonano per divenire musulmani? Forse che essa minaccia i fulmini e l'inferno per il fatto che essi sono iscritti sui registri del battesimo?
No, certo. E perché? Perché la fede è un'adesione liberamente consentita da Dio. E dunque a Lui ognuno renderà conto.
Ora, questo diritto di abbandonare il cristianesimo, riconosciuto ai convertiti all'islam, perché non è riconosciuto a coloro che vogliono abbandonare la religione musulmana per seguire Gesù Cristo? Vogliamo dunque dire ai musulmani sinceri: mostratevi caritatevoli e accettate questa uguaglianza davanti a Dio, solo giudice, in modo definitivo e senza concessione! Ditelo pubblicamente, almeno qui in Francia, in Europa, dove voi reclamate i vostri diritti. Siate conseguenti e credibili, ammettendo uguali diritti umani ai vostri fratelli che hanno scelto un'altra via!
Riguardo alla fraternità cristiana, non posso che citare ancora le parole di quell'algerino: "I musulmani mi fanno stare male, è un fatto, perché essi si immischiano nella mia vita interiore, mentre essa riguarda [solo] Dio; ma quelli che mi uccidono sono questi fratelli cristiani, che chiacchierano con i musulmani, ma non levano nemmeno il dito mignolo per aiutarci: forse ci prendono per dei bugiardi? Mi domando: per loro siamo dei falsi fratelli o dei fratelli di secondo ordine?".
L'amico algerino ha ragione: come si può credere alla sincerità di questi cristiani, convinti o no, che qui in Francia e in Europa, hanno in bocca solo parole come "islamofobia", "stigmatizzazione dei musulmani", ma si tacciono o si volgono altrove per non vedere le sofferenze e gli abusi che i cristiani subiscono, impediti di vivere la loro fede nei loro Paesi d'origine e nei loro Paesi di esilio? Non accade forse che essi pongono una discriminazione fra noi e loro? Senza arrivare fino a parlare di razzismo, non praticano forse una segregazione fra noi e loro? Essi si credono giusti, ma denunciano solo alcune ingiustizie.
In conclusione, vogliamo riaffermare qui, davanti a Dio, per coloro che hanno orecchie per intendere, le parole di una celebre figlia di Francia: noi non abbiamo il compito di convincervi. Ad ogni modo, poiché nostro Signore deve essere il primo ad ricevere il nostro servizio, in accordo con Giovanna di Francia [d'Arco],.. e poiché la nostra anima appartiene a Dio, secondo l'espressione di sant'Agostino, ... noi testimoniamo pubblicamente che oggi Gesù Cristo è perseguitato nei fratelli e nelle sorelle che provengono dalla tradizione musulmana.