giovedì 20 settembre 2012

Tu, seguimi!




Sono rotti i miei legami
pagati i miei debiti
le mie porte spalancate
me ne vado da ogni parte.
Essi accovacciati nel loro angolo
continuano a tessere la pallida tela delle loro ore;
o tornano a sedersi nella polvere
a contare le loro monete
e mi chiamano perché torni indietro
Ma già la mia spada è forgiata,
già ho messo l'armatura
già il mio cavallo è impaziente
e io guadagnerò il mio Regno.

Tagore

Di seguito il Vangelo di oggi 21 settembre, festa liturgica di san Matteo apostolo ed evangelista, con un commento, il testo della catechesi che il Santo Padre gli ha dedicato e un testo breve su santa Teresa di Lisieux e san Matteo... Buona giornata!


Dal Vangelo secondo Matteo 9,9-13.

In quel tempo, Gesù passando, vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».


IL COMMENTO

Matteo, un peccatore intento a peccare. Le mani ancora incollate al denaro estorto, probabilmente senza scrupoli. E una voce come un diamante incastonato in uno sguardo: "Seguimi". Di certo più che il "segui" ha fatto il "mi". Solitamente tendiamo ad enfatizzare il fatto di seguire e perdiamo di vista Chi seguire e, ancor prima, Chi chiama ad essere seguito.

Una voce, uno sguardo, e una parola. Il tutto accaduto proprio lì, dove Matteo era in quello stesso istante, immerso nel suo impuro lavoro di esattore, più spesso di taglieggiatore. Un mafioso più o meno. Basta pensare cosa evochi in noi questa parola per capire che vita facesse Matteo. Mafioso e collaborazionista, peggio di un kapò in un campo di concentramento: "non c'è nulla di più detestabile del gabelliere" (San Giovanni Crisostomo, Omelia su Matteo).

E lì, in quel vomito di vita, un raggio di luce, come ha inimitabilmente dipinto Caravaggio. Una voce, uno sguardo e una parola. E' il Signore, l'unico Signore, l'unico Dio perchè l'unico che si sia chinato su quel relitto d'uomo, pubblicano, venduto, specie di peccatore tra le più turpi. Unico il Signore nel cercarlo, nel guardarlo, nel chiamarlo. Gesù, l'unico ad amarlo. Così, senza moralismo, senza giudizio alcuno. Amarlo al punto di volerlo con sè. E chi si prenderebbe ora, così su due piedi, un mafioso, un traditore in casa.... Solo il Signore.



Chiamare Matteo è stato come consegnare l'amministrazione d'una banca ad un ladro. Gesù ha consegnato i suoi tesori, le sue cose più preziose ad un approfittatore, ad un ladro. L' assoluta eccezionalità di questa esperienza ha generato in Matteo l'eccezionale, la conversione. La Grazia ha acceso la gratitudine. Come non seguire l'unico che lo aveva amato, l'unico che lo aveva guarito e strappato all'inferno? Matteo ha toccato un amore più grande d'ogni altro, qualcosa di mai visto, sentito, vissuto. Qualcosa che ti prende fin dentro, nel più profondo di te stesso e ti trascina con sè, in un amore mai sperimentato, una tenerezza mai immaginata. Un amore celeste.


Lasciare tutto allora è stata per Matteo la libertà, altro che una rinuncia.Lasciare tutto è, semplicemente, avere trovato l'unico per cui vivere è bello.E vero. E santo. Lasciare tutto è essere rapiti dall'amore che è impossibile anche sognare, ma al quale tutto, in ogni uomo, tende invincibilmente. Lasciare tutto è avere ormai Lui, Gesù, e il resto non conta. Nulla. Lasciare tutto subito,perchè già si è ricevuto tutto, istantaneamente. E nel tutto di Gesù è donata anche ogni altra cosa, persona, affetto, lavoro. Tutto trasfigurato. Tutto nuovo.

Seguire Gesù è infatti, prima d'ogni altra cosa, invitarlo alla nostra vita, alla nostra storia. Come Matteo. Per lui il primo frutto dell'incontro con Cristo è stato trasmettere l'eccezionalità di tale esperienza ai suoi amici. Come in una sorta di pellegrinaggio sin dentro le profondità della propria vicenda, Matteo conduce Gesù proprio ai luoghi, alle persone, alle cose che un istante prima aveva lasciato. Gesù scende con Matteo nelle profondità della sua storia di peccato e tradimento.


Il seguimi di Gesù lo aveva coinvolto completamente, tutto di lui era ormai di Cristo, era libero e per questo poteva donarsi. Come San Paolo, libero da tutti, s'era potuto fare tutto a tutti. La chiamata inaspettata e gratuita di Gesù desta in Matteo lo stupore, e lo incammina in un pellegrinaggio della memoria a scoprire che ogni istante, ogni rapporto della sua vita è stato guarito. Il Medico ha guardato, amato, chiamato, curato.


La parola di misericordia lo ha rigenerato, ed ora Matteo può guardare a se stesso e alla sua storia con occhi nuovi. Laddove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia. L'indegno ha riacquistato dignità, e quello che era stato messo a servizio dell'iniquità è ormai donato per la Giustizia. I rapporti sanati, gli sguardi purificati, i pensieri illuminati, ogni azione santificata. L'amore di Gesù ha guarito Matteo integralmente, lo ha liberato da ogni paura, il passato non lo schiaccia, il presente non lo avvelena, il futuro non lo angoscia. E' vivo Matteo, è un uomo, è di Cristo.

E' grande e stupefacente il mistero racchiuso in questa pagina evangelica. V'è coagulato l'intero cristianesimo. Un incontro, inaspettato. Un amore, gratuito. E la vita salvata, ridestata. Nessuna preparazione, nessuna buona disposizione, solo un infinito amore. Chi lo ha incontrato non ne può più fare a meno. "Nella figura di Matteo i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza" (Benedetto XVI, Catechesi su San Matteo).

Scriveva Ugo di San Vittore che “chi trova dolce la propria patria è solo un tenero dilettante. Chi trova dolci tutte le patrie s’è già avviato sulla strada giusta. Ma solo è perfetto chi si sente straniero in ogni luogo”. Liberato da un amore che varca ogni frontiera, chi ha conosciuto l'amore di Cristo è già cittadino di un altro mondo, un' icona vivente del Cielo. I suoi passi d'ogni giorno, sulle orme di Gesù, sono le tracce di speranza per il mondo.

E' Cristo che scende alla nostra vita, dentro i nostri peccati. Non importa se non lo stiamo aspettando, se siamo intenti ai nostri loschi traffici. Importa il suo amore. Importa l'esperienza, vera e reale, del suo perdono. Importa la libertà. Essa è per noi, è incastonata negli occhi misericordiosi e compassionevoli di Gesù, nel suo sguardo posato oggi su ciascuno di noi.


Nella sua parola, nella chiamata che risuona oggi, e ogni istante, negli angoli dove ci perdiamo accovacciati nei nostri pensieri. Amore e libertà, pace e gioia, i frutti del suo amore che anche oggi ci viene incontro. Che ci sia dato lostupore dinanzi a Gesù. Preghiamo perchè si compia in ciascuno di noi questa Parola, questa esperienza, gli occhi di Matteo folgorati dallo sguardo del Signore.


Benedetto XVI: Catechesi su san Matteo

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Cari fratelli e sorelle,
proseguendo nella serie dei ritratti dei dodici Apostoli, che abbiamo cominciato alcune settimane fa, oggi ci soffermiamo su Matteo. Per la verità, delineare compiutamente la sua figura è quasi impossibile, perché le notizie che lo riguardano sono poche e frammentarie. Ciò che possiamo fare, però, è tratteggiare non tanto la sua biografia quanto piuttosto il profilo che ne trasmette il Vangelo.
Intanto, egli risulta sempre presente negli elenchi dei Dodici scelti da Gesù (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13). Il suo nome ebraico significa "dono di Dio". Il primo Vangelo canonico, che va sotto il suo nome, ce lo presenta nell’elenco dei Dodici con una qualifica ben precisa: "il pubblicano" (Mt 10,3). In questo modo egli viene identificato con l’uomo seduto al banco delle imposte, che Gesù chiama alla propria sequela: "Andando via di là, Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli si alzò e lo seguì" (Mt 9,9). Anche Marco (cfr 2,13-17) e Luca (cfr 5,27-30) raccontano la chiamata dell’uomo seduto al banco delle imposte, ma lo chiamano "Levi". Per immaginare la scena descritta in Mt 9,9 è sufficiente ricordare la magnifica tela di Caravaggio, conservata qui a Roma nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Dai Vangeli emerge un ulteriore particolare biografico: nel passo che precede immediatamente il racconto della chiamata viene riferito un miracolo compiuto da Gesù a Cafarnao (cfr Mt9,1-8; Mc2,1-12) e si accenna alla prossimità del Mare di Galilea, cioè del Lago di Tiberiade (cfr Mc 2,13-14). Si può da ciò dedurre che Matteo esercitasse la funzione di esattore a Cafarnao, posta appunto "presso il mare" (Mt 4,13), dove Gesù era ospite fisso nella casa di Pietro.
Sulla base di queste semplici constatazioni che risultano dal Vangelo possiamo avanzare un paio di riflessioni. La prima è che Gesù accoglie nel gruppo dei suoi intimi un uomo che, secondo le concezioni in voga nell’Israele del tempo, era considerato un pubblico peccatore. Matteo, infatti, non solo maneggiava denaro ritenuto impuro a motivo della sua provenienza da gente estranea al popolo di Dio, ma collaborava anche con un’autorità straniera odiosamente avida, i cui tributi potevano essere determinati anche in modo arbitrario. Per questi motivi, più di una volta i Vangeli parlano unitariamente di "pubblicani e peccatori" (Mt 9,10; Lc 15,1), di "pubblicani e prostitute" (Mt21,31). Inoltre essi vedono nei pubblicani un esempio di grettezza (cfr Mt5,46: amano solo coloro che li amano) e menzionano uno di loro, Zaccheo, come "capo dei pubblicani e ricco" (Lc 19,2), mentre l'opinione popolare li associava a "ladri, ingiusti, adulteri" (Lc 18, 11). Un primo dato salta all’occhio sulla base di questi accenni: Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia. Anzi, proprio mentre si trova a tavola in casa di Matteo-Levi, in risposta a chi esprimeva scandalo per il fatto che egli frequentava compagnie poco raccomandabili, pronuncia l'importante dichiarazione: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati: non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" (Mc 2,17).
Il buon annuncio del Vangelo consiste proprio in questo: nell’offerta della grazia di Dio al peccatore! Altrove, con la celebre parabola del fariseo e del pubblicano saliti al Tempio per pregare, Gesù indica addirittura un anonimo pubblicano come esempio apprezzabile di umile fiducia nella misericordia divina: mentre il fariseo si vanta della propria perfezione morale, "il pubblicano ... non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore»". E Gesù commenta: "Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato" (Lc 18,13-14). Nella figura di Matteo, dunque, i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza. A questo proposito, san Giovanni Crisostomo fa un’annotazione significativa: egli osserva che solo nel racconto di alcune chiamate si accenna al lavoro che gli interessati stavano svolgendo. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono chiamati mentre stanno pescando, Matteo appunto mentre riscuote il tributo. Si tratta di lavori di poco conto – commenta il Crisostomo - "poiché non c'è nulla di più detestabile del gabelliere e nulla di più comune della pesca" (In Matth. Hom.:PL 57, 363). La chiamata di Gesù giunge dunque anche a persone di basso rango sociale, mentre attendono al loro lavoro ordinario.
Un’altra riflessione, che proviene dal racconto evangelico, è che alla chiamata di Gesù, Matteo risponde all'istante: "egli si alzò e lo seguì". La stringatezza della frase mette chiaramente in evidenza la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un cespite di guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio. Facilmente intuibile l’applicazione al presente: anche oggi non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste. Una volta Egli ebbe a dire senza mezzi termini: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel regno dei cieli; poi vieni e seguimi" (Mt19,21). E’ proprio ciò che fece Matteo: si alzò e lo seguì! In questo ‘alzarsi’ è legittimo leggere il distacco da una situazione di peccato ed insieme l'adesione consapevole a un’esistenza nuova, retta, nella comunione con Gesù.
Ricordiamo, infine, che la tradizione della Chiesa antica è concorde nell’attribuire a Matteo la paternità del primo Vangelo. Ciò avviene già a partire da Papia, Vescovo di Gerapoli in Frigia attorno all’anno 130. Egli scrive: "Matteo raccolse le parole (del Signore) in lingua ebraica, e ciascuno le interpretò come poteva" (in Eusebio di Cesarea, Hist. eccl. III,39,16). Lo storico Eusebio aggiunge questa notizia: "Matteo, che dapprima aveva predicato tra gli ebrei, quando decise di andare anche presso altri popoli scrisse nella sua lingua materna il Vangelo da lui annunciato; così cercò di sostituire con lo scritto, presso coloro dai quali si separava, quello che essi perdevano con la sua partenza"(ibid., III, 24,6). Non abbiamo più il Vangelo scritto da Matteo in ebraico o in aramaico, ma nel Vangelo greco che abbiamo continuiamo a udire ancora, in qualche modo, la voce persuasiva del pubblicano Matteo che, diventato Apostolo, séguita ad annunciarci la salvatrice misericordia di Dio e ascoltiamo questo messaggio di san Matteo, meditiamolo sempre di nuovo per imparare anche noi ad alzarci e a seguire Gesù con decisione.



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Santa Teresa di Lisieux e San Matteo

Scriveva Santa Teresa di Lisieux nella sua Storia di un’anima. “... Il Re della Patria luminosa è venuto a vivere trentatrè anni nel paese delle tenebre. Ahimè! Le tenebre non hanno capito che quel Re divino era la luce del mondo. Ma, Signore, la vostra figlia ha capito la vostra luce divina, vi chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di nutrirsi per quanto tempo voi vorrete del pane di dolore e non vuole alzarsi da questa tavola colma di amarezza dove mangiano i poveri peccatori prima del giorno che voi avete segnato. Ma anche lei osa dire, a nome proprio e dei suoi fratelli: Abbiate pietà di noi Signore perchè siamo poveri peccatori. Oh Signore, rimandateci giustificati.... che tutti coloro che non sono illuminati dalla fiaccola limpida della fede, la vedano finalmente. ... Gesù, se è necessario che la tavola insozzata da essi sia purificata da un’anima la quale vi ama, voglio ben mangiare sola il pane della prova fino a quando vi piaccia introdurmi nel vostro Regno luminoso. La sola grazia che vi chiedo è di non offendervi mai” (Manoscritti autobiografici, n. 277).

Teresina aveva imparato che cosa significhi la misericordia. Le viscere appassionate di Dio. Il sacrificio nella misericordia. Teresa chiamata come noi, come Matteo. Amati esattamente dove eravamo, come eravamo.

La certezza di non essere migliori di nessuno, la santa umiltà. Con Teresa impariamo anche noi a ripetere al Signore, a nome nostro e dei nostri fratelli, di avere pietà di tutti noi poveri peccatori. E' questo il cuore di una madre, di un padre, di un figlio, di un amico, di un collega di lavoro. Insieme a chi vive con noi, a chi ci fa del male, a chi sta gettando la vita nella tomba dei peccati. In ogni prova che ci attende sul cammino, in ogni sofferenza brilla la luce della fede, occhi limpidi che vi intuiscano l’occasione propizia di tendere una mano di salvezza. Le nostre angosce, le sofferenze di oggi, e di domani, sono la mano di Gesù che cerca peccatori da salvare. Le Sue ferite nelle nostre ferite. La nostra vita insanguinata offerta per chi ci è caro, chè tutti ci son cari, anche i nemici, schiavi come lo eravamo noi. Il loro male, il male di un figlio o di un marito nel dolore di una malattia, nella prova qualunque essa sia, diviene un balsamo di salvezza. E' questo il modo di amare, vero, gratuito, divino. Crocifisso.

Con Teresa nell’ora della prova sapere d’essere, proprio in quel momento, seduti alla mensa dei peccatori. Con Teresa, con Gesù. Ogni spada che ci trapassa il cuore è una sorgente di salvezza per infinite persone. La nostra com-passione per chi non ha fede, per chi soffre la vera atrocità, che è non conoscere l’amore di Cristo. Ogni momento di sofferenza è dunque un momento di Grazia, un tesoro che ci accumuliamo in cielo, per noi, e per molti altri.

Il Signore si è seduto alla nostra mensa, quando eravamo malvagi e con il cuore lontano da Lui. Il Cristianesimo non è una serie di sacrifici per scalare il cielo, e tantomeno semplice filantropia. E’ misericordia, persone che hanno sperimentato la misericordia e in essa incontrano tutti gli altri uomini.

Spendere la vita che ci è stata donata e riscattata alla mensa dei peccatori, le macchie della storia, le grandi e le piccole, purificate dalle nostre anime amate infinitamente dal Signore. Sedute, sino all’ultimo giorno, accanto a chi non Lo conosce. Per donare, con gioia, la misericordia che salva.