sabato 1 settembre 2012

Quello che contamina l'uomo



LE PAROLE DEL PAPA ALL'ANGELUS DI OGGI, 2 SETTEMBRE 2012

Cari fratelli e sorelle! Nella Liturgia della Parola di questa domenica emerge il tema della Legge di Dio, del suo comandamento: un elemento essenziale della religione ebraica e anche di quella cristiana, dove trova il suo pieno compimento nell’amore (cfr Rm 13,10).
La Legge di Dio è la sua Parola che guida l’uomo nel cammino della vita, lo fa uscire dalla schiavitù dell’egoismo e lo introduce nella «terra» della vera libertà e della vita. Per questo nella Bibbia la Legge non è vista come un peso, una limitazione opprimente, ma come il dono più prezioso del Signore, la testimonianza del suo amore paterno, della sua volontà di stare vicino al suo popolo, di essere il suo Alleato e scrivere con esso una storia d’amore. Così prega il pio israelita: «Nei tuoi decreti è la mia delizia, / non dimenticherò la tua parola. (…) Guidami sul sentiero dei tuoi comandi, / perché in essi è la mia felicità» (Sal 119,16.35). Nell’Antico Testamento, colui che a nome di Dio trasmette la Legge al popolo è Mosè. Egli, dopo il lungo cammino nel deserto, sulla soglia della terra promessa, così proclama: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi» (Dt 4,1).
Ed ecco il problema: quando il popolo si stabilisce nella terra, ed è depositario della Legge, è tentato di riporre la sua sicurezza e la sua gioia in qualcosa che non è più la Parola del Signore: nei beni, nel potere, in altre ‘divinità’ che in realtà sono vane, sono idoli. Certo, la Legge di Dio rimane, ma non è più la cosa più importante, la regola di vita; diventa piuttosto un rivestimento, una copertura, mentre la vita segue altre strade, altre regole, interessi spesso egoistici individuali e di gruppo. E così la religione smarrisce il suo senso autentico che è vivere in ascolto di Dio per fare la sua volontà (...)
È questo un grave rischio di ogni religione, che Gesù ha riscontrato nel suo tempo, ma che si può verificare, purtroppo, anche nella cristianità. Perciò le parole di Gesù nel Vangelo di oggi contro gli scribi e i farisei devono far pensare anche noi. Gesù fa proprie le parole del profeta Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7,6-7; cfr Is 29,13). E poi conclude: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8).
Anche l’apostolo Giacomo, nella sua Lettera, mette in guardia dal pericolo di una falsa religiosità. Egli scrive ai cristiani: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). La Vergine Maria, alla quale ora ci rivolgiamo in preghiera, ci aiuti ad ascoltare con cuore aperto e sincero la Parola di Dio, perché orienti i nostri pensieri, le nostre scelte e le nostre azioni, ogni giorno.



Celebriamo oggi 2 settembre la:   

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIOAnno B 
Di seguito i testi della liturgia e i commenti.

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 23 A, 1-4; CCL 41, 321-323)
Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell'opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire.
Tuttavia non dimentichiamo quanto ci dice l'Apostolo: «Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Ribadisce: «Per grazia siete stati salvati» (Ef 2, 5).
In realtà non vi era in precedenza nella nostra vita nulla di buono, che Dio potesse apprezzare e amare, quasi avesse dovuto dire a se stesso: «Andiamo, soccorriamo questi uomini, perché la loro vita è buona». Non poteva piacergli la nostra vita col nostro modo di agire, però non poteva dispiacergli ciò che egli stesso aveva operato in noi. Pertanto condannerà il nostro operato, ma salverà ciò che egli stesso ha creato.
Dunque non eravamo davvero buoni. Ciò nonostante, Dio ebbe compassione di noi e mandò il suo Figlio, perché morisse, non già per i buoni, ma per i cattivi, non per i giusti, ma per gli empi. Proprio così: «Cristo morì per gli empi» (Rm 5, 6). E che cosa aggiunge? «Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto», al massimo «ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» (Rm 5, 7). Può darsi che qualcuno abbia la forza di morire per il giusto. Ma per l'ingiusto, l'empio, l'iniquo, chi accetterebbe di morire, se non Cristo soltanto, che è talmente giusto da poter giustificare anche gli ingiusti?
Come vedete, fratelli, non avevamo opere buone, ma tutte erano cattive. Tuttavia, pur essendo tali le opere degli uomini, la misericordia divina non li abbandonò. Anzi Dio mandò il suo Figlio a redimerci non con oro né con argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli, quale Agnello immacolato condotto al sacrificio ha sparso per le pecore macchiate, se pure solo macchiate e non del tutto corrotte.
Questa è la grazia che abbiamo ricevuto. Viviamo perciò in modo degno di essa, per non fare oltraggio a un dono sì grande. Ci è venuto incontro un medico tanto buono e valente da liberarci da tutti i nostri mali. Se vogliamo di nuovo ricadere nella malattia, non solo recheremo danno a noi stessi, ma ci dimostreremo anche ingrati verso il nostro medico.
Seguiamo perciò le ve che egli ci ha mostrato, specialmente la via dell'umiltà, quella per la quale si è incamminato lui stesso: Infatti ci ha tracciato la via dell'umiltà con il suo insegnamento e l'ha percorsa fino in fondo soffrendo per noi.
Perché dunque colui che era immortale potesse morire per noi, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). L'immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte.
Questo ha compiuto il Signore, in questo ci ha preceduto. Lui che è grande si è umiliato, umiliato fu ucciso, ucciso risuscitò e fu esaltato per non lasciare noi nell'inferno, ma per esaltare in sé, nella risurrezione dai morti, coloro che in questa terra aveva esaltati soltanto nella fede e nella confessione dei giusti. Dunque ci ha chiesto di seguire la via dell'umiltà: se lo faremo daremo gloria al Signore e a ragione potremo cantare: «Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie, invocando il tuo nome» (Sal 74, 2).
 
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 85,3.5
Abbi pietà di me, Signore,
perché ti invoco tutto il giorno:
tu sei buono e pronto al perdono,
sei pieno di misericordia con chi ti invoca.

Colletta

O Dio, nostro Padre, unica fonte di ogni dono perfetto, suscita in noi l'amore per te e ravviva la nostra fede, perché si sviluppi in noi il germe del bene e con il tuo aiuto maturi fino alla sua pienezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...

 Oppure:
Guarda, o Padre, il popolo cristiano radunato nel giorno memoriale della Pasqua, f
a' che la lode delle nostre labbra risuoni nella profondità del cuore: la tua parola seminata in noi santifichi e rinnovi tutta la nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Dt 4, 1-2. 6-8
Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando... osserverete i comandi del Signore. 

Dal libro del Deuteronòmio
Mose parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: "Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente". Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?». 

Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 14

Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa, 
pratica la giustizia 
e dice la verità che ha nel cuore, 
non sparge calunnie con la sua lingua.Non fa danno al suo prossimo 
e non lancia insulti al suo vicino. 
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, 
ma onora chi teme il Signore.
Non presta il suo denaro a usura 
e non accetta doni contro l'innocente. 
Colui che agisce in questo modo 
resterà saldo per sempre. 
 

Seconda Lettura
   Gc 1, 17-18. 21b-22.27
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c'è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.
Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.

Canto al Vangelo
   Gc 1,18 
Alleluia, alleluia. 
Per sua volontà il Padre ci ha generati per mezzo della parola di verità,
per es
sere una primizia delle sue creature. 

Alleluia.


 Vangelo   Mc 7,1-8.14-15.21-23Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini,escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, in­ganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo». Parola del Signore.

COMMENTI

1. Congregazione per il Clero
Nelle letture dell’odierna liturgia troviamo una forte sottolineatura all’azione. In ciò è possibile ravvisare un principio corretto, poiché l’uomo conosce se stesso, diventa propriamente uomo, matura il proprio io solo nel suo agire: i fattori costitutivi dell’umano si percepiscono là dove sono impegnati nell’azione!
In questa evangelica esortazione ad agire, percepiamo che è in gioco l’intera esistenza. Ma su quali sentieri muovere i nostri passi, perché essi si inoltrino con verità al significato autentico della vita? Perché camminiamo realmente verso Dio, pieno compimento del nostro io?
E’ il Vangelo a indicarcene una direzione, tra le più importanti, su cui trattenere la nostra attenzione. Questo particolare sentiero costituisce anche l’oggetto della forte critica di Gesù ai farisei: è il sentiero della Tradizione, che è un aspetto ineludibile della vita e di ogni seria cultura. La tradizione è come l’ipotesi di lavoro iniziale, con la quale ciascun uomo è posto nel mondo, nel confronto con la vita, avendo come parametro ineludibile le esigenze e le evidenze fondamentali dell’io.
I farisei, semplicemente, non sono leali verso la propria tradizione: nel loro tenace, quasi feroce, attaccamento ad essa, in realtà ne tradiscono lo spirito ed impediscono alla tradizione stessa di essere concreto strumento pedagogico. Non sono leali perché, in ultima analisi, il loro modo di agire è bloccato in un’osservanza immutabile, che non tiene conto della realtà e, ancora più gravemente, non è vissuta alla grande Presenza di Dio, che è lo scopo di ogni tradizione. Essi scambiano la sicurezza, che sembra dare l’immutabilità di una forma, per la certezza che proviene unicamente dalla dinamica di un avvenimento, di un incontro che, di volta in volta, si incarna nel bisogno della situazione presente. Per vivere davvero nella tradizione è necessario rinunciare ad essere arbitri delle condizioni attraverso le quali Dio ci incontra. Quello che conta, in realtà, non è la fissità, o anche la mutabilità delle forme tradizionali, ma il saper cogliere nelle circostanze, che cosa davvero faciliti l’incontro con il mistero. Tradizione viene da tradere, consegnare, comunicare; la tradizione deve mettere in comunicazione nell’oggi, con stupore e vivacità, la grande Presenza di Dio con la nostra vita e la vita del mondo.
La tradizione esiste perché la grande Presenza di Dio sia “compagna” del nostro presente, mentre l’osservanza dei farisei non li avvicinava, anzi, li allontanava irrimediabilmente, dal cuore di Dio, così che essi diventavano sempre più lontani dal loro stesso cuore, che è il punto su cui si gioca la costruttività vera della vita. E allontanandosi da Dio e dal proprio cuore, irrimediabilmente ci si allontana dagli altri uomini. «Dal cuore degli uomini [infatti] escono le intenzioni cattive» che contaminano l’uomo rendendolo inumano: non c’era soccorso nei farisei, non c’era misericordia, perché non facevano spazio alla misericordia; infatti la misericordia è la vera misura della fede, è il perdono e l’abbraccio che supera ogni misura umana; la misericordia è immagine e segno della presenza di Dio nel mondo. Solo la misericordia fa grande e vera una tradizione. Una tradizione, una forma tradizionale, una “regola” è tanto più vera, grande, adeguata al suo scopo, quanto più sostiene e genera misericordia.
Il Signore Gesù ha osservato sempre tutte le norme e le leggi del suo popolo, ma, proprio perché le viveva alla presenza di Dio, le ha superate tutte; solo così il Padre poteva diventare vicino al presente di ogni uomo, di allora come di oggi.
Ecco perché Cristo ha accusato i farisei di ipocrisia, cioè di assenza di un impegno vero e, dunque, di quella pigrizia nella vita, che rende lontani dal cuore di Dio e dal proprio cuore: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me»; questo popolo, con tutto il suo impegno vive un’osservanza senza attesa, e resta alla superficie di sé e di Me.
Cristo invece è venuto perché ci fosse un popolo che con la sua tradizione rendesse vicino il cuore di Dio al cuore di ogni uomo. E questo popolo c’è: è la Chiesa cattolica, siamo noi: «Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? […] questa nazione è il solo popolo saggio e intelligente». Intelligente perché ha compreso cosa sia la tradizione, cioè cosa sia la misericordia che, purificando il cuore, lo rende, in modo  creativo abitazione di Dio, per sé e per tutti: «I puri di cuore abiteranno nella casa del Signore». La Chiesa è il “luogo” della tradizione, è la sola capace di valorizzare tutto, trattenendo ogni volta ciò che ha valore per il destino eterno, perché in tutto abiti la misericordia, abiti il Mistero.
Ci sostenga la Beata Vergine Maria, Mater Misericordiae, nel cammino di prudente discernimento, perché, vivendo nell’autentica tradizione ecclesiale, siamo sempre desti nel cuore è perciò testimoni della carità di Cristo.

 * * *

2. Raniero Cantalamessa ofmcapp.

“Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.
Nel brano evangelico di questa domenica Gesù colpisce alla radice la tendenza di dare più importanza ai gesti e ai riti esteriori che alle disposizioni del cuore, il desiderio di apparire, più che di essere, buoni. In breve, l’ipocrisia e il formalismo.
Oggi però possiamo cogliere in quella pagina di Vangelo un insegnamento di ordine non solo individuale, ma anche sociale e collettivo. La distorsione che Gesù denunciava di dare più importanza alla pulizia esteriore che alla purezza del cuore, si riproduce oggi su scala mondiale. Ci si preoccupa moltissimo dell’inquinamento esteriore e fisico dell’atmosfera, delle acque, del buco nell’ozono; invece silenzio quasi assoluto sull’inquinamento interiore e morale. Ci indigniamo vedendo immagini di uccelli marini che escono dalle acque inquinate da chiazze di petrolio, ricoperti di catrame e incapaci di volare, ma non facciamo altrettanto per i nostri bambini precocemente viziati e spenti, a causa della coltre di malizia che ormai si stende su ogni aspetto della vita.
Sia ben chiaro: non si tratta di opporre tra loro i due tipi di inquinamento. La lotta all’inquinamento fisico e la cura dell’igiene è un segno di progresso e di civiltà al quale non si può a nessun costo rinunciare. Gesù non disse, in quella occasione, che non bisognava lavarsi le mani, o lavare i bicchieri e tutto il resto; disse che questo, da solo, non basta; non va alla radice del male.
Gesù lancia dunque il programma di una ecologia del cuore. Prendiamo qualcuna delle cose “inquinanti” elencate da Gesù, la calunnia con il vizio ad essa imparentato di dire malignità sul conto del prossimo. Vogliamo realizzare davvero un’opera di bonifica del cuore? Intraprendiamo una lotta senza quartiere alla nostra abitudine di scendere al pettegolezzo, a riferire critiche, a partecipare a mormorazioni contro persone assenti, a trinciare giudizi avventati. Questo è un veleno difficilissimo da neutralizzare, una volta diffuso.
Una volta una donna andò a confessarsi da S. Filippo Neri, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spiumandola ben bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: “Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui”. “Impossibile!”, esclamò la donna. Il vento le ha certamente disperse ai quattro venti nel frattempo”. Ma qui l’aspettava S. Filippo. “Vedi – le disse – come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca”.
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3. Luciano Manicardi
La Legge di Dio che Mosè ha trasmesso al popolo non tollera aggiunte né sottrazioni: è l’insieme delle norme e dei comandi che rivela la volontà di Dio e che rende sapiente il popolo che si apre al suo ascolto obbediente e fattivo (I lettura). La vita di un corpo scritturistico all’interno di un popolo origina interpretazioni e tradizioni che cercano una sua attualizzazione e traduzione pratica: occorre allora il discernimento affinato per distinguere volontà di Dio e tradizione umana che, assolutizzata, può divenire ostacolo alla stessa parola di Dio (vangelo). Dice Gesù: “Trascurando il comandamento di Dio voi osservate la tradizione degli uomini” (Mc 7,8). Un elemento dunque che può essere sviluppato a partire dai due testi biblici è quello del rapporto tra Scrittura e Tradizione, e in particolare, le tradizioni, elementi particolari (usi liturgici, devozioni,…) sorti in determinate fasi storiche, che rischiano di sostituirsi al centro del messaggio cristiano o di opacizzarlo giungendo a deformarlo.
Il testo chiede dunque discernimento tra ciò che è essenziale e ciò che è periferico, ciò che è prioritario e ciò che è secondario nell’annuncio cristiano. Le parole evangeliche hanno infatti di mira usanze giudaiche, ma il meccanismo denunciato da Gesù è attivo in ogni sistema religioso ed è facilmente individuabile anche nel cristianesimo. Occorrerebbe sempre passare al vaglio del vangelo le priorità che noi cristiani ci assegniamo: sul piano pastorale o su quello morale o su altro ancora. E occorrerebbe sempre porsi la domanda: che cosa è davvero irrinunciabile, talmente centrale da non poter essere tralasciato nella vita e nell’annuncio cristiano? Come criterio di discernimento essenziale e minimale al tempo stesso, va ricordato ciò che diceva Isacco della Stella: “È la carità, l’agape, il criterio di ciò che nella chiesa deve essere conservato o cambiato”.
  
È importante non fare di questo brano evangelico l’occasione di annotazioni antigiudaiche o anche solo di commenti caricaturali che presentino un giudaismo legalista, esteriore e formale, a differenza di un cristianesimo spirituale e interiore. Già il testo di Marco si esprime con una certa approssimazione (si pensi alla generalizzazione “tutti i giudei” del v. 3: in realtà la prassi di lavarsi le mani prima di mangiare, all’epoca di Gesù, era solo di una parte e probabilmente minoritaria di gruppi farisaici che estendevano al quotidiano le norme di purificazione sacerdotale), e comunque, da un lato, la tradizione cristiana ha conosciuto essa stessa fenomeni analoghi a quelli qui denunciati e, dall’altro, importante è cogliere queste parole come rivolte a noi oggi e trovarne un’ermeneutica adeguata.
Il comandamento di Dio (cf. Mc 7,8) e il cuore dell’uomo (cf. Mc 7,6.21): ecco i due cardini del discernimento di Gesù. Ovvero, la parola di Dio e l’umanità dell’uomo, “il vangelo eterno” (Ap 14,6) e il volto dell’uomo. La parola di Dio ha come mèta il cuore dell’uomo e tende a suscitare una risposta che sia di tutto l’uomo, senza divisione tra lingua e cuore, tra dire e fare, tra esistenza e culto. L’affermazione di Gesù circa l’origine interiore, nel cuore, di ciò che rende impuro l’uomo, è importante perché lega l’impurità al peccato, che è allontanamento dalla parola di Dio e fallimento umano. Soprattutto invita il credente a ricercare in sé l’origine del male che compie e a non rifugiarsi in sistemi di autogiustificazione in base a cui si accusano gli altri per discolpare se stessi, si proietta la colpa fuori di sé per non dover affrontare i mostri che abitano il proprio cuore.
Il discorso di Gesù non condanna l’esteriorità a favore unilateralmente dell’interiorità: noi siamo esteriorità e interiorità. Compito spirituale è quello di non separare ciò che Dio ha unito, ma, appunto, di custodirlo unito: interiorità ed esteriorità (se vogliamo: anima e corpo, o interiorità e sensibilità) sono dimensioni non opposte, ma interagenti in uno scambio in cui l’una dimensione prega l’altra di donarle ciò che non è capace di darsi da sé.
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4. Enzo Bianchi
 In questa domenica in cui si ritorna alla lettura cursiva del vangelo secondo Marco la chiesa propone alla nostra meditazione una pagina che raccoglie alcune parole di Gesù riguardo alla Legge di Dio e alle tradizioni religiose di Israele. E anche se il testo è piuttosto discontinuo, a causa dei numerosi salti di versetti al suo interno, il suo messaggio è nondimeno assai evidente.
L’insegnamento di Gesù richiede ai cristiani di fare un discernimento profondo e affinato per distinguere tra la volontà di Dio espressa dalla Legge e le tradizioni religiose, elaborazioni umane che talora rischiano di sostituirsi al comandamento, fino a indurre chi le segue a trascurare o addirittura a contraddire la volontà di Dio. Nell’ebraismo come nel cristianesimo resta sempre necessario questo discernimento, perché la buona notizia del Vangelo deve emergere e risuonare liberamente e con chiarezza, in modo che gli uomini sappiano rispondere ad essa come a un’esigenza umanizzante. Non lo si dimentichi: sempre ciò che è umanissimo e umanizzante è anche spirituale e obbediente alla Legge di Dio…
Marco ci presenta una controversia che oppone Gesù ai farisei e agli scribi, uomini religiosi che conoscevano bene la Legge di Dio e si vantavano di praticarla. Costoro osservano criticamente i discepoli di Gesù, i quali non compiono l’abluzione delle mani prima dei pasti. Come già avvenuto in precedenza (cf. Mc 2,18-28), a questa constatazione segue la domanda sdegnata rivolta a Gesù, responsabile del comportamento di quanti sono alla sua sequela: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”. In risposta Gesù, fattosi duro, va in collera e accusa puntualmente i suoi interlocutori, definendoli ipocriti: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini … Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione”.

Questi uomini religiosi sono malati di ipocrisia, cioè dell’atteggiamento proprio di chi simula, di chi agisce “come se” (cf. Mt 6,2.5.16); con le labbra sembrano adorare Dio ed essere in comunione con lui, ma in realtà il loro cuore è ben lontano da Dio (cf. Is 29,13)… Essi obbediscono a precetti umani e sono i campioni dell’osservanza delle leggi; più in profondità, però, hanno sviluppato l’arte della non-obbedienza alla volontà di Dio, proprio mentre obbediscono esternamente a tante esigenze che loro stessi hanno fissato, senza che Dio le abbia mai indicate! Questi pretesi “giusti” (cf. Mc 2,17) finiscono così per nutrire un bisogno di ammirazione da parte della gente e, quali veri “sepolcri imbiancati” (Mt 23,27), ogni giorno si sforzano di edificare la propria reputazione santa… Gesù denuncia qui i mali tipici di molti uomini religiosi – quelli del suo tempo come quelli di ogni tempo –, per i quali il servizio dell’altare è più importante di quello reso a Dio, l’obbedienza legalistica è più decisiva dell’agire secondo la volontà di Dio e la religione è ritenuta ben più essenziale dell’amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze e il prossimo come se stessi (cf. Mc 12,30-31 e par.; Dt 6,5; Lv 19,18).
Ebbene, il cristianesimo è la religione che chiede di uscire dalle maglie della religione, ossia di passare sempre al vaglio del Vangelo ogni proposito che ci si assegna e ogni obbedienza che si vuole realizzare. E nel compiere tale discernimento i cristiani devono riconoscere con lucidità l’origine del male: essa non è mai negli altri o in realtà esterne, ma è radicata nel cuore dell’uomo, in quelle profondità in cui si decidono i sentimenti, i pensieri, le azioni: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. Sì, il credente è chiamato a scorgere nel proprio cuore la sorgente del suo operare contro la volontà di Dio: non getti dunque sugli altri la responsabilità del suo assecondare la tentazione fino a commettere il peccato; non faccia di una consuetudine umana, pur buona, un elemento essenziale per servire Dio; e, soprattutto, non trasformi le sue osservanze in una cattedra che lo autorizza a ergersi a giudice degli altri…