sabato 8 settembre 2012

La sofferenza di un popolo



Riporto da "Libero" di oggi, 8 settembre, a firma di Antonio Socci.

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C’è una cosa che mi stupisce da quarant’anni: l’odio contro Comunione e liberazione. Cominciò alla sua  nascita, nei primi anni Settanta, anche come violenza fisica contro militanti e sedi del movimento da parte degli estremisti politici di quegli anni.
Ma soprattutto con attacchi di stampa: memorabile l’accusa di finanziamenti della Cia, dimostratasi del tutto falsa, ma che il movimento pagò subendo una durissima intolleranza.
A quel tempo CL pativa pure una forte ostilità dei più potenti ambienti clericali che solo l’arrivo di Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger costrinse a riconoscere la positiva e libera presenza dei movimenti nella Chiesa.
Oggi non c’è più la violenza fisica. Ma l’ostilità immotivata e furiosa rimane. E’ una macchina del fango vera e antica di cui nessuno ha mai chiesto scusa. E che  continua.
Per esempio giovedì il titolo di un articolo del “Fatto quotidiano” tira in ballo CL con “un’accusa tanto assurda quanto infamante”, protestava ieri il portavoce di CL, Savorana, che prospettava azioni legali.
Sotto la protesta di Savorana c’era la minuscola risposta del giornale dove si ammette che “effettivamente il titolo non rispecchia il contenuto dell’articolo”.  Ovvero: CL non c’entra.
Chiedere scusa, no? Neanche per idea. Anzi, nella pagina a fianco c’era un articolo dove si lanciava un altro attacco a CL su altri temi (“CL, giù le mani dalla sanità”).
Sempre ieri, sul magazine di Repubblica, “Il Venerdì”, un articolista fantasioso cerca di legare CL pure al triste caso del maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele. Personaggio totalmente sconosciuto a CL, ma che il giornalista dice “reclutato” dal Centro internazionale di CL (ovviamente senza portare il minimo argomento e la minima prova o testimonianza).
Si fa giornalismo così? Pare di sì. Tanto nessuno chiede scusa e nessuno ricorda che fra le principali vittime di Vatileaks c’è proprio CL, perché, fra le altre cose, i Corvi hanno prelevato e divulgato la lettera riservata al Papa, sulla diocesi di Milano, firmata da don Carron (attuale leader di CL).
Anche su questa lettera c’è stata un’assurda disinformazione. Partecipavo lunedì scorso all’ “Infedele” e incredulo ho dovuto ascoltare uno degli ospiti, fra l’altro uno storico, oggi editorialista di “Repubblica”, che citava tale lettera come se fosse stata un’iniziativa di CL a cui seguì il siluramento del cardinale Tettamanzi per motivi politici (di vicinanza al centrosinistra), sostituito da Scola.
E’ surreale. Le cose stanno in modo totalmente diverso (e Lerner non mi dette la possibilità di replicare). Il cardinale Tettamanzi – che non fu affatto defenestrato, anzi, il Papa allungò di due anni il suo mandato – era ormai in scadenza.
E il Vaticano – tramite il Nunzio, Bertello – nel febbraio 2011 attivò la prassi consueta, in questi casi, ovvero consultare per la nomina del successore i vescovi lombardi, i cardinali di nascita ambrosiana, poi sacerdoti, associazioni e movimenti ecclesiali della diocesi milanese.
Pareri confidenziali chiesti dal Vaticano a tutti, anche a CL, com’è ovvio. Ma le lettere di tutti sono rimaste segrete, quella di CL invece è stata abusivamente resa nota. Con evidenti, pesanti contraccolpi.
Era infatti un documento delicato. Carron, rispondendo “alla sua richiesta”, segnalava al Nunzio la necessità di un Pastore “che sappia rinsaldare i legami con Roma e con Pietro” e “annunciare con coraggio e fascino esistenziale la gioia di essere cristiani, essere Pastore di tutto il gregge e non di una parte soltanto”.
Carron infatti aveva rilevato prima i problemi della diocesi (dalla “grave crisi delle vocazioni” al “disorientamento dei fedeli” dovuto a varie scelte discutibili).
In particolare notava – in linea con i giudizi espressi da don Giussani – che “negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rottura della tradizione ambrosiana” (la “profonda unità fra fede e vita”) e questo ha accentuato “la frattura caratteristica della modernità tra sapere e credere” riducendo l’esperienza cristiana a “intimismo e moralismo”.
Inoltre nella cultura “un malinteso senso del dialogo” finisce per sconfinare “in posizioni relativistiche”. Mentre “l’insegnamento teologico (…) si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero”.
Infine “la presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati più come un problema che come una risorsa” sebbene “i loro membri forniscano, per fare un solo esempio, centinaia e centinaia di catechisti”.
In effetti da parte di don Giussani e di CL c’è sempre stata una continua e convinta offerta di collaborazione al vescovo, ma è mancata la disponibilità della Curia e la valorizzazione dei movimenti.
Lo si può dire con certezza perché lo ha confessato lo stesso cardinale Martini (con encomiabile sincerità) in quella sorta di testamento spirituale che è la lettera pastorale 2001/2002.
A differenza di Martini certi sedicenti “martiniani” non conoscono autocritiche.
Così, quando – in modo arbitrario – è stato fatto uscire il “voto sub secreto” di Carron, dimenticando che tutte le associazioni ecclesiali avevano espresso le loro opinioni e i loro voti, invece di solidarizzare con colui che aveva subito un torto, hanno protestato contro Carron per le idee espresse nella risposta alla Santa Sede.
Poi, questi campioni di tolleranza, hanno preteso dal cardinale Scola che sconfessasse Carron e CL. Il vescovo ha spiegato ciò che fra persone libere e tolleranti non ci sarebbe bisogno di spiegare, ovvero che “quello che ha scritto don Carron è il suo pensiero”.
Qualcuno, fra i “tolleranti”, vuole impedire la libertà di pensiero? Poi ha aggiunto che lui, come arcivescovo di Milano, si era già espresso con grande stima sui suoi due predecessori durante la visita del Papa, mostrando continuità di azione e concludendo: “nella Chiesa ambrosiana lo spirito di comunione è perseguito come l’insostituibile cemento dell’unità”.
Scola, che maturò in CL la sua vocazione sacerdotale, vive il suo episcopato come amore per la Chiesa intera e per la sua unità (come don Giussani ha sempre insegnato).
Per questo la sua omelia al funerale di Martini ha valorizzato al massimo l’episcopato del predecessore. Anche per sottrarre la sua figura –uno dei più importanti principi della Chiesa – a chi, da fuori, vuole usarlo contro la Chiesa.
Si inserisce in questo quadro la recente lettera di don Carron al Corriere, nella quale sottolinea diversi aspetti positivi dell’episcopato di Martini e il suo buon rapporto personale con don Giussani: “Per questo ci rincresce e ci addolora se non abbiamo trovato sempre il modo più adeguato di collaborare alla sua ardua missione e se possiamo aver dato pretesto per interpretazioni equivoche del nostro rapporto con lui, a cominciare da me stesso. Un rapporto che non è mai venuto meno all’obbedienza al Vescovo a qualunque costo, come ci ha sempre testimoniato don Giussani”.
E’ una mano tesa a coloro che lo avevano contestato (che sempre parlano di “dialogo”) per evitare alla Chiesa di Milano polemiche inutili e distruttive. Carron arriva per questo ad assumersi “colpe” che – sicuramente – non ci furono.
Con un “mea culpa” ancora più forte, pochi mesi fa, lo stesso Carron cercò di sottrarre il movimento ecclesiale agli attacchi che da settimane sui media investivano il presidente della Regione Lombardia, Formigoni, proveniente da CL, ma uomo politico autonomo da decenni.
Questo “porgere l’altra guancia”, questo dare anche la tunica a chi ti chiede il mantello, può essere frainteso dal mondo che lo interpreta come debolezza o resa culturale. Lo fraintende anche qualche zelante fan, che sfiorando l’adulazione parla di svolta di CL e addirittura di “profetismo” di Carron.
In realtà è semplicemente “carità” e sacrificio per amore alla Chiesa: è quello che don Giussani ha insegnato da sempre. Benedetto XVI è un testimone commovente di questa misericordia paziente e intelligente.