sabato 8 settembre 2012

Coraggio!



Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla.
(S. Beda il Venerabile)


Questa è la Parola della Prima Lettura di oggi, 9 settembre, XXIII Domenica del T.O. - Anno "B". "Coraggio", il nostro Dio è venuto a salvarci dalla morte, a dirci "Apriti!". Apriamo dunque il cuore e guardiamo verso il Cielo. Buona domenica! Pb. Vito Valente
Di seguito l'allocuzione del Papa all'Angelus, la seconda lettura dell'Ufficio, i testi del messale e qualche commento.

* * *

Cari fratelli e sorelle!  Al centro del Vangelo di oggi (Mc 7,31-37) c’è una piccola parola, molto importante. Una parola che – nel suo senso profondo – riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. L’evangelista Marco la riporta nella lingua stessa in cui Gesù la pronunciò, così che la sentiamo ancora più viva. Questa parola è «effatà», che significa: «apriti». 
Vediamo il contesto in cui è collocata. Gesù stava attraversando la regione detta «Decapoli», tra il litorale di Tiro e Sidone e la Galilea; una zona dunque non giudaica. Gli portarono un uomo sordomuto, perché lo guarisse – evidentemente la sua fama si era diffusa fin là. Gesù lo prese in disparte, gli toccò le orecchie e la lingua e poi, guardando verso il cielo, con un profondo sospiro disse: «Effatà», che significa appunto: «Apriti». E subito quell’uomo incominciò a udire e a parlare speditamente (cfr Mc 7,35). Ecco allora il significato storico, letterale di questa parola: quel sordomuto, grazie all’intervento di Gesù, «si aprì»; prima era chiuso, isolato, per lui era molto difficile comunicare; la guarigione fu per lui un’«apertura» agli altri e al mondo, un’apertura che, partendo dagli organi dell’udito e della parola, coinvolgeva tutta la sua persona e la sua vita: finalmente poteva comunicare e quindi relazionarsi in modo nuovo.      
Ma tutti sappiamo che la chiusura dell’uomo, il suo isolamento, non dipende solo dagli organi di senso. C’è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il «cuore». E’ questo che Gesù è venuto ad «aprire», a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché dicevo che questa piccola parola, «effatà – apriti», riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell’«effatà» sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato: il sacerdote, toccando la bocca e le orecchie del neo-battezzato dice: «Effatà», pregando che possa presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede. Mediante il Battesimo, la persona umana inizia, per così dire, a «respirare» lo Spirito Santo, quello che Gesù aveva invocato dal Padre con quel profondo sospiro, per guarire il sordomuto.      
Ci rivolgiamo ora in preghiera a Maria Santissima, di cui ieri abbiamo celebrato la Natività. A motivo del suo singolare rapporto con il Verbo Incarnato, Maria è pienamente «aperta» all’amore del Signore, il suo cuore è costantemente in ascolto della sua Parola. La sua materna intercessione ci ottenga di sperimentare ogni giorno, nella fede, il miracolo dell’«effatà», per vivere in comunione con Dio e con i fratelli.


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La sapienza cristiana
Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, papa
(Disc. 95, 6-8; PL 54, 464-465)


Il Signore dice: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Questa fame non ha nulla a che vedere con la fama corporale e questa sete non chiede una bevanda terrena, ma desidera di avere la sua soddisfazione nel bene della giustizia. Vuole essere introdotta nel segreto di tutti i beni occulti e brama di riempirsi dello stesso Signore.
Beata l'anima che aspira a questo cibo e arde di desiderio per questa bevanda. Non lo ambirebbe certo se non ne avesse già per nulla assaporato la dolcezza. Ha udito il Signore che diceva: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 33, 9). Ha ricevuto una parcella della dolcezza celeste. Si è sentita bruciata dell'amore della castissima voluttà, tanto che, disprezzando tutte le cose temporali, si è accesa interamente del desiderio di mangiare e bere la giustizia. Ha imparato la verità di quel primo comandamento che dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5; cfr. Mt 22, 37; Mc 12, 30; Lc 10, 27). Infatti amare Dio non è altro che amare la giustizia. Ma come all'amore di Dio si associa la sollecitudine per il prossimo, così al desiderio della giustizia si unisce la virtù della misericordia. Perciò il Signore dice: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7).
Riconosci, o cristiano, la sublimità della tua sapienza e comprendi con quali dottrine e metodi vi arrivi e a quali ricompense sei chiamato! Colui che è misericordia vuole che tu sia misericordioso, e colui che è giustizia vuole che tu sia giusto, perché il Creatore brilli nella sua creatura e l'immagine di Dio risplenda, come riflessa nello specchio del cuore umano, modellato secondo la forma del modello. La fede di chi veramente la pratica non teme pericoli. Se così farai, i tuoi desideri si adempiranno e possiederai per sempre quei beni che ami.
E poiché tutto diverrà per te puro, grazie all'elemosina, giungerai anche a quella beatitudine che viene promessa subito dopo dal Signore con queste parole: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).
Grande, fratelli, è la felicità di colui per il quale è preparato un premio così straordinario. Che significa dunque avere il cuore puro, se non attendere al conseguimento di quelle virtù sopra accennate? Quale mente potrebbe afferrare, quale lingua potrebbe esprimere l'immensa felicità di vedere Dio?
E tuttavia a questa meta giungerà la nostra natura umana, quando sarà trasformata: vedrà, cioè, la divinità in se stessa, non più «come in uno specchio, né in maniera confusa, ma a faccia a faccia» (1 Cor 13, 12), così come nessun uomo ha mai potuto vedere. Conseguirà nella gioia ineffabile dell'eterna contemplazione «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo» (1 Cor 2, 9).
  
MESSALE
Antifona d'Ingresso   Sal 118,137.124
Tu sei giusto, Signore, e sono retti i tuoi giudizi:
agisci con il tuo servo secondo il tuo amore.
 

Colletta

O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l'eredità eterna. Per il nostro Signore...

 
  Oppure:
O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura 
  Is 35, 4-7Si schiuderanno gli orecchi dei sordi, griderà di gioia la lingua del muto.
Dal libro del profeta Isaia
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete! Ec
co il vostro Dio, 
giunge la vendetta, la ricompensa divina. 
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderan
no gli orecchi dei sordi. 
Allora lo zoppo salterà come un cervo, 
griderà di gioia la lingua del muto,
perché sca
turiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nel
la steppa. 
La terra bruciata diventerà una palude,
il suo
lo riarso sorgenti d'acqua. 


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 145
Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. 
Egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.
  

Seconda Lettura
   
Gc 2, 1-5Dio non ha forse scelto i poveri per farli eredi del Regno?
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.
Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano? 
 

Canto al Vangelo
   Cfr. Mt 4,23 
Alleluia, alleluia.
Gesù annunciava il vangelo del Regno 
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo.

Alleluia.

  
 Vangelo   Mc 7, 31-37Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!». Parola del Signore.


COMMENTI

Congregazione per il Clero

«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio»!
Con queste consolanti parole il Profeta Isaia annuncia i segni e gli eventi che accompagneranno la venuta del Messia e che saranno esplicita testimonianza del compimento dei tempi e della storia; segni della manifestazione definitiva del Signore.
La prossimità del Messia è descritta con un elenco di prodigi che sono un ricondurre la realtà, ed in essa l’uomo, alla sua oggettiva condizione, sconfiggendo il male. «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto». Centro dell’annuncio evangelico sarà il compimento della profezia. Gli abitanti della Decàpoli diranno di Gesù: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti». Quale significato riconoscere in queste azioni del Signore e, soprattutto, nella sua parola: «Effatà», «Apriti»?
In Gesù di Nazareth tutte le promesse di Dio sono diventate un “sì”; in Lui, signore e Cristo, trova pieno compimento tutta l’attesa umana di salvezza e la stessa attesa di Israele. È Lui il Messia e il Salvatore, nel quale e per il quale le parole del profeta divengono vere per noi oggi. Grazie a Cristo, la Chiesa, suo corpo, può proclamare al mondo da duemila anni: «Ecco il vostro Dio!».
Da una tale certezza e presenza, scaturisce l’obbedienza al comando del Signore: «Effatà». Esso, oltre che un grande miracolo di guarigione fisica di un sordomuto, rappresenta l’apertura e la certezza che abitano il cuore umano, quando esso vive alla presenza del Signore. Il cuore del cristiano, in tal senso, è permanentemente un “cuore aperto”, perché ferito dall’amore del Signore. Un cuore aperto all’ascolto della Parola di Dio e alla vita di grazia della Chiesa; un cuore aperto al dialogo della Verità ed alla sua costante ricerca; un cuore, perciò, autenticamente proteso ad ascoltare il grido degli uomini che sale dalle povertà morali, spirituali e materiali di ogni tempo.
 Come potranno i nostri fratelli credere ad un annuncio tanto sconvolgente come: «Ecco il Vostro Dio», se non incontreranno donne ed uomini obbedienti al comando del Signore: «Effatà»? Se non incontreranno cuori davvero aperti, capaci di verità e compassione, di annuncio e condivisione. Cuori che con la loro apertura, siano in grado di sconfiggere ogni sordità ed ogni mutismo.
In tal senso, è sempre straordinariamente luminosa la verità che solo l’amore è credibile. Solo l’amore gratuito, aperto, donato è in grado di guarire l’uomo e di fare in modo che gli altri uomini non appaiano come “nemici”, o ostacoli per i propri progetti, ma come fratelli nel comune cammino verso la salvezza.
Ed è il Signore Gesù, con la sua vita offerta per noi, il solo amore totalmente credibile! Ogni altra esperienza di reale gratuità nell’amore, deve rimandarci a Lui, alla gratuità di Colui che, per amore, «Ha fatto bene ogni cosa».
In tale contesto, allora, appare meno distante il monito di San Giacomo: «la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo […], sia immune da favoritismi personali».
L’apostolo, affermando «in una delle vostre riunioni», si rivolge ai Cristiani radunati in preghiera. Conseguentemente, il presupposto del superamento della “naturale” inclinazione a distinguere tra persone, preferendone talvolta alcune ad altre, magari in base alle loro ricchezze, è costituito dalla comune appartenenza a Cristo. Tra coloro che appartengono al Signore, il cui cuore è stato “aperto” dall’incontro salvifico con Lui, non devono esserci distinzioni né favoritismi, perché la comune autentica ricchezza è la fede che tutti unisce, genera ed accomuna. L’aver, non di rado, estrapolato tale comando dell’Apostolo Giacomo, dal contesto della comune appartenenza di fede nel quale è formulato, ha reso l’indicazione talmente “distante” e “spiritualista”, da oscurarne le profonde ragioni e da non poter, praticamente, essere vissuta fino in fondo.
Una comunità certa della presenza del Signore e capace di annunciare al mondo «Ecco il vostro Dio!», sarà anche una comunità capace di reale condivisione ed unità e, così, capace di aprirsi davvero ad ogni uomo, perché la carità sia sempre testimonianza della Verità del Vangelo.
Apriamoci al dono della grazia eucaristica ed imploriamo l’intercessione della Beata Vergine Maria, che tutti ama e predilige, per essere realmente testimoni dell’amore, sola Verità credibile.

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Raniero Cantalamessa ofmcapp.

Il brano evangelico ci riferisce una bella guarigione operata da Gesù: “E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: Effatà, cioè: Apriti! E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Gesù non operava miracoli come chi aziona una bacchetta magica o fa schioccare le dita. Quel “sospiro” che si lascia sfuggire al momento di toccare gli orecchi del sordo, ci dice che si immedesimava con le sofferenze della gente, partecipava intensamente alla loro disgrazia, se ne faceva carico. In un’occasione, dopo che Gesù aveva guarito molti malati, l’evangelista commenta: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Matteo 8, 17).
I miracoli di Cristo non sono mai fine a se stessi; sono “segni”. Quello che Gesú operò un giorno per una persona sul piano fisico indica quello che egli vuole operare ogni giorno per ogni persona sul piano spirituale. L’uomo guarito da Cristo era sordo-muto; non poteva comunicare con gli altri, ascoltare la loro voce ed esprimere i propri sentimenti e bisogni. Se la sordità e la mutezza consistono nella incapacità di comunicare correttamente con il prossimo, di avere relazioni buone e belle, allora dobbiamo riconoscere subito che siamo tutti, chi più chi meno, dei sordo-muti ed è perciò a tutti che Gesú rivolge quel suo grido: Effatà, apriti! La differenza è che la sordità fisica non dipende dal soggetto ed è del tutto incolpevole, mentre quella morale lo è. Oggi si evita il termine “sordo” e si preferisce il termine “non udente” proprio per distinguere il semplice fatto di non sentire dalla sordità morale.
Siamo sordi, per fare qualche esempio, quando non sentiamo il grido di aiuto che si leva verso di noi e preferiamo mettere tra noi e il prossimo il “doppio vetro” dell’indifferenza. Dei genitori sono sordi quando non capiscono che certe atteggiamenti strani o scomposti dei figli nascondono una richiesta di attenzione e di amore. Un marito è sordo quando non sa vedere nel nervosismo della moglie il segno di una stanchezza o il bisogno di una chiarificazione. E viceversa per la moglie.
Siamo muti quando ci chiudiamo per orgoglio in un silenzio sdegnoso e risentito, mentre forse con una sola parola di scusa e di perdono potremmo riportare la pace e la serenità in casa. Noi religiosi, frati e suore, abbiamo nella giornata dei tempi di silenzio e a volte in confessione ci accusiamo dicendo: “Ho rotto il silenzio”. Penso che a volte dovremmo accusarci del contrario e dire: “Non ho rotto il silenzio”.
Quello tuttavia che decide della qualità di una comunicazione non è il semplice parlare o non parlare, ma il parlare o non parlare per amore. Sant’Agostino diceva alla gente in un discorso: È impossibile sapere in ogni circostanza qual è la cosa giusta da fare: se parlare o tacere, se correggere o lasciar correre. Ecco allora che ti viene data una breve regola che vale per tutti i casi: “Ama e fa’ ciò che vuoi”. Preoccupati che nel tuo cuore ci sia amore, poi se parli sarà per amore, se taci sarà per amore e tutto sarà bene perché dall’amore non viene che il bene.
La Bibbia fa capire da dove inizia la rottura della comunicazione, da dove viene la nostra difficoltà di rapportarci in modo sano e bello gli uni con gli altri. Finché Adamo ed Eva erano in buoni rapporti con Dio, anche il loro rapporto reciproco era bello ed estasiante: “Questa è carne della mia carne…”. Appena si interrompe, per la disobbedienza, il loro rapporto con Dio, cominciano le accuse reciproche: “È stato lui, è stata lei…”
È da qui che bisogna ogni volta ripartire. Gesú è venuto per “riconciliarci con Dio” e così riconciliarci gli uni con gli altri. Lo fa soprattutto attraverso i sacramenti. La Chiesa ha sempre visto nei gesti apparentemente strani che Gesú compie sul sordo-muto (gli pone le dita negli orecchi e gli tocca la lingua) un simbolo dei sacramenti grazie ai quali egli continua a “toccarci” fisicamente per guarirci spiritualmente. Per questo nel battesimo il ministro compie sul battezzando i gesti che Gesú fece sul sordo-muto: gli mette il dito negli orecchi e gli tocca la punta della lingua, ripetendo la parola di Gesú: Effatà, apriti!
In particolare il sacramento dell’Eucaristia ci aiuta a vincere la incomunicabilità con il prossimo, facendoci sperimentare la più meravigliosa comunione con Dio.



Luciano Manicardi
La liberazione dalla schiavitù babilonese è descritta da Isaia con immagini che parlano di vita ritrovata, di vita che sgorga là dove c’era morte: sorgenti d’acqua scaturiscono nel deserto; i ciechi riacquistano la vista, i muti ritrovano la capacità di parola; i sordi possono ascoltare. Marco riprende le immagini del testo isaiano per narrare la guarigione di un sordomuto ed esprimere così l’avvento di una liberazione ancor più radicale: la liberazione messianica.
L’espressione tradotta in italiano con “sordomuto” (Mc 7,32) indica una persona sorda che si esprime a fatica, con difficoltà, balbuziente. Tanto che la sua guarigione è espressa dicendo che egli “parlava correttamente” (Mc 7,35). Incapace di ascoltare, egli non sa neppure esprimersi correttamente e perde la capacità comunicativa trovandosi in un isolamento doloroso. Èl’incapacità di comunicare che affligge così gravemente quest’uomo privandolo della sua soggettività: egli è totalmente passivo. Condotto da altri a Gesù, è oggetto di gesti e parole da parte di Gesù finché viene liberato dai vincoli che lo imprigionavano impedendogli di comunicare. Ed è interessante e significativo che, per guarire dalla sua incomunicabilità e ritrovare la sua soggettività, egli debba essere separato dalla folla e portato in disparte: lì può essere restituito a se stesso e diventare soggetto della sua parola. Lì avviene l’incontro personale con Cristo.

Quest’uomo simbolizza la situazione per cui la “salvezza” è fondamentalmente esperienza di alterità, è apertura e affidamento a un altro, passa attraverso un altro. Così come investe la corporeità: il testo presenta un incontro in cui la fisicità è centrale. Gesù comunica soprattutto con il corpo: il testo parla di mani, dita e tatto, di ascolto e di orecchi, di lingua, saliva e parola, di occhi e di sguardo. Se il corpo è il nostro modo di essere al mondo e di comunicare con il mondo, Gesù deve svegliare la vita corporea di quest’uomo, deve ridestarne i sensi perché egli possa ritrovare il senso del vivere. Lospirituale avviene sempre grazie alla mediazione delcorporeo.
La guarigione del sordo balbuziente, connessa alla guarigione del cieco di Betsaida (cf. Mc 8,22-26), che presenta elementi letterari e tematici molto simili, svela certamente una dimensione simbolica. Le due pericopi inquadrano episodi in cui Gesù si confronta con l’incomprensione e con l’inintelligenza dei suoi discepoli (cf. Mc 8,4.14-21) che “hanno orecchi e non ascoltano, hanno occhi e non vedono” (cf. Mc 8,18), con l’ostilità dei farisei (cf. Mc 8,11-13), mentre moltiplica contatti salvifici con pagani (cf. Mc 8,1-9; anche il nostro episodio si svolge in terra pagana).
Insomma, la sordità che impedisce di parlare correttamente riguarda i discepoli e significa un non-ascolto della Parola che conduce a non annunciarla correttamente o a non confessare adeguatamente la fede (come Pietro in Mc 8,27-33). Solo un ascolto della Parola assiduo e profondo genera un annuncio autentico e efficace; solo una ecclesia audiens può essere ecclesia docens. Fuori di questo ascolto, di questa apertura vivificante e sanante alla Parola, l’annuncio della chiesa si riduce a balbettio o addirittura a sproposito. In questo senso, il gesto terapeutico di Gesù di mettere le dita negli orecchi dell’uomo acquista una valenza spirituale nella linea delle espressioni bibliche che parlano di circoncidere gli orecchi (cf. Ger 6,10), forare gli orecchi (cf. Sal 40,7), ovvero aprire il canale attraverso cui la rivelazione raggiunge il cuore dell’uomo e gli consente di lodare Dio e di annunciare le sue azioni (cf. il rapporto tra “risveglio” degli orecchi e lingua ben istruita in Is 50,4).
Uno solo è guarito, ma l’acclamazione della folla universalizza il gesto di Gesù parlando di muti e sordi al plurale (cf. Mc 7,37). L’esperienza di Dio conosciuta da qualcuno una volta nella storia può essere confessata nella sua estensione universale e nella sua dimensione di eternità nell’azione di grazie, massimamente nella celebrazione liturgica (cf. il salmo 136).
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Enzo Bianchi
Nel corso della sua attività pubblica Gesù si è recato più volte in territorio pagano. Egli non vi ha predicato perché, in quanto figlio di Israele, questa missione non gli apparteneva (cf. Mt 15,24), ma si è fatto prossimo a chi si trovava nel bisogno, curando e operando guarigioni: dovunque Gesù andasse, con la sua sola presenza non poteva che sottrarre terreno all’azione di Satana…
Il brano evangelico odierno ci presenta l’incontro di Gesù con un malato avvenuto proprio in terra pagana: “Di ritorno dalla regione di Tiro, Gesù passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli”. Qui gli portano un sordomuto, cioè un uomo che a causa della sua sordità è balbuziente, impossibilitato a comunicare in pienezza. Costui è un pagano, sordo all’ascolto della rivelazione del Dio di Israele e quindi incapace di rispondergli; ma anche per lui, come per ogni essere umano, vi è una promessa di salvezza da parte di Dio: “Coraggio! Non temete! … Il vostro Dio viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi” (Is 35,4-5). Tale promessa trova il suo pieno compimento nell’azione terapeutica di Gesù, il quale, come suo solito, opera in incognito, nel segreto, rifuggendo ogni ricerca di successo: “portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua” (cf. Mc 8,23-25; Gv 9,1-7).

Dopo aver compiuto questi gesti, Gesù “guarda verso il cielo”. Non si tratta di una semplice annotazione stilistica ma di un particolare che racchiude in sé un grande significato: il Figlio alza gli occhi al cielo per rivolgersi al Padre e confessare che ogni potenza viene da lui, che senza la comunione con il Padre egli non potrebbe fare nulla (cf. Gv 5,19)… Di seguito Gesù “emette un sospiro”, mostra cioè una reazione umanissima, sdegnata e insieme implorante, di fronte all’azione del male che impedisce di vivere in pienezza. Questo gemito di fronte al dolore e alla malattia riassume in sé quello della creazione che “geme e soffre nelle doglie del parto” (Rm 8,22), in attesa del Regno in cui la salvezza sarà pienamente realizzata; esso rimanda inoltre al gemito inesprimibile dello Spirito (cf. Rm 8,26-27), che intercede costantemente presso il Padre, affrettando il giorno della Venuta del Signore Gesù nella gloria. Insomma, questo incontro così quotidiano con un uomo malato è segno della salvezza messianica che Dio prepara per tutto e per tutti, una salvezza inaugurata dall’azione di Gesù (cf. Mt 11,1-6)… A questo punto ecco la parola autorevole: “Effatà! Apriti!”, che risana l’uomo sordomuto: “subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”.
Come già avvenuto in occasione di precedenti guarigioni (cf. Mc 1,43-44; 5,43), Gesù esige silenzio in proposito e intima all’uomo guarito e a quanti sono con lui di non divulgare il fatto; “ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa – così come Dio aveva creato ogni cosa molto buona (cf. Gen 1,31) – ; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”. I pagani ora non sono più esclusi dalla comunione con Dio, ma possono ascoltare Dio stesso che in Gesù li ha guariti dalla sordità alla Legge e possono narrare a tutti gli uomini le meraviglie operate dal Dio di Israele (cf. Mt 15,31).
Negli Atti degli apostoli Pietro dirà: “Dio unse in Spirito santo e potenza Gesù, il quale passò facendo il bene e guarendo tutti coloro che si trovavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38). Davvero Gesù ha vissuto la sua esistenza quotidiana come un capolavoro di bellezza e di bontà, radicato com’era nell’ascolto perseverante del Padre, che gli consentiva di avere una parola autorevole e un agire capace di dare pienamente gloria a Dio. Restando fedelmente alla sua sequela, anche noi – come il sordomuto giunti alla fede dal paganesimo e non dal popolo di Israele – ogni giorno possiamo chiedere a Dio di aprire gli orecchi del nostro cuore all’ascolto della sua Parola, così da avere sulle nostre labbra parole di comunione fraterna e nelle nostre mani azioni di carità.