sabato 8 settembre 2012

Coraggio! (2) - Commenti Patristici



Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla.
(S. Beda il Venerabile)



Di seguito qualche commento patristico al Vangelo di oggi, 9 settembre, XXIII Domenica del T.O. - Anno "B".
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Dal commento al vangelo secondo Marco di S. Beda il Venerabile ( 2, 7, 32-37)
Il sordomuto
E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).
Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. E` necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana debolezza; cosí egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette. "Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui" (Mc 7,33). Il primo passo verso la salvezza è che l’infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l’anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?" (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio" (Mt 12,28). Gli stessi maghi d’Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: "Qui è il dito di Dio" (Es 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (cfr. Es 31,18); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell’infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all’apprendimento della scienza della salvezza..."E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»" (Mc 7,34). Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lí la medicina che dà la voce ai muti, l’udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l’aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.
    "E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35).     In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell’unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprì le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato così risanato può giustamente dire col salmista: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode" (Sal 50,17), e con Isaia: "Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l’orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli" (Is 50,4). "E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più così loro ordinava, tanto più essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»" (Mc 7,36-37).     «Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto più annunziato i suoi miracoli quanto più egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest’ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare? «(Agostino).
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Dalle Omelie di Beda il Venerabile.
Homilia II, 19  in dom. XII post Pent.  PL 94, 234-235.

     Oggi il vangelo ci mostra un sordomuto curato in modo mirabile dal Signore: quest'uomo simboleggia tutti quelli tra noi che per grazia divina sono liberati dagli inganni del diavolo. Infatti l'uomo, da quando gonfio di superbia ha prestato orecchio alle parole mortali del serpente indirizzate contro Dio, è diventato sordo all'ascolto della parola di vita; è diventato muto per elevare le lodi del Creatore da quando ha presunto di parlare col seduttore. Ha chiuso gli orecchi all'ascolto della lode del Creatore in mezzo agli angeli, dopo che incautamente li aveva aperti per ascoltare l'offesa rivolta allo stesso Dio dalla parole del nemico; ha chiuso la bocca all'esaltazione del Creatore insieme con gli angeli, dopo che superbo l'aveva riempita con la prevaricazione del cibo proibito, quasi che volesse perfezionare l'opera divina,
     O misero venir meno del genere umano che, viziato alla radice, si è corrotto sempre di più man mano che andavano crescendo i suoi rami. Così quando il Signore è venuto nella carne, eccetto pochi fedeli della Giudea, quasi tutto il mondo era nell'errore, sordo e muto a riconoscere e testimoniare la verità. Madove è abbondato il peccatoha sovrabbondato la grazia. Ecco che il Signore viene al mare di Galilea, dove sa che è malato colui che sta per risanare. Colmo di amore, viene dai cuori gonfi, turbolenti e instabili degli uomini. Tra di essi - egli lo sa - ci sono quelli che appartengono al regno della sua grazia.

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     Poiché il sordomuto non poteva né riconoscere né pregare il Salvatore, gli amici lo conducono al Signore e lo supplicano per la sua salvezza. Appunto così deve effettuarsi la guarigione spirituale: se i fratelli non riescono  a far sì che uno si converta, ascolti e riconosca la verità, lo presentino allo sguardo della tenerezza divina, vadano a mendicare il soccorso dalla mano di Dio.
     La misericordia del medico celeste non si farà attendere se non esita o viene meno l'intensa supplica di quelli che pregano. Perciò il testo soggiunge immediatamente: Portandolo in disparte lontano dalla follaGesù gli pose ledita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Gesù mette le dita negli orecchi del sordo per farlo udire, ogni volta che mediante i doni della grazia spirituale converte all'ascolto della sua parola i non credenti di lunga data. Tocca con la saliva la bocca del muto affinché parli, ogni volta che tramite il ministero della predicazione offre all'uomo le ragioni della fede che deve professare. Infatti, le dita del Signore simboleggiano i doni dello Spirito Santo, secondo quanto egli stesso insegna dicendo: Scaccio i demoni con il dito di Dio, ciò che un altro evangelista esprime in modo più chiaro: Scaccio i demoni per virtù dello Spiritodi Dio.

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     La saliva emessa dal capo e dalla bocca del Signore è la parola del Vangelo: traendola dall'invisibile mistero della divinità, egli si è degnato offrirla visibilmente al mondo, perché potesse venir risanato.
     Notiamo che il Signore prima di toccare gli orecchi e la lingua del malato che voleva guarire, lo prese e lo trasse in disparte dalla folla. La prima speranza di salvezza è che uno abbandoni il tumulto e la folla dei vizi cui è assuefatto e abbassi umilmente il capo, per ricevere i doni della salvezza. Non potrà sperare di ritornare sano, finché non prova paura a rimanere aggrovigliato nelle sue contraddizioni, a crogiolarsi in parole inutili, a essere devastato da pensieri disordinati.

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     Chi grazie alla misericordia e all'aiuto del Signore ha mutato la torbida vita di prima, chi ha concepito nel cuore l'ispirazione della grazia divina, chi ha imparato la professione della vera fede dalla parola dell'insegnamento evangelico, può ottenere subito la gioia della salvezza.
     Ecco perché il testo sacro ci dice che il Signore allontanò il malato dalla folla, gli mise le dita negli orecchi, gli toccò la lingua con la saliva, alzò gli occhi al cielo ed emise un sospiro. In tal modo ci è indicato da dove dobbiamo sperare la salvezza e con qual umile fervore essa vada cercata e richiesta.
     Gesù alza gli occhi al cielo e sospira, perché si rammarica a vederci impantanati nelle regioni di questa terra, mentre ci ha creati perché possedessimo i beni celesti. Egli alza gli occhi al cielo e sospira per farci comprendere che noi - tu e io - dopo aver disertato le gioie del cielo per gli allettamenti della terra, vi dobbiamo tornare attraverso lacrime e sospiri.




Dalle Conferenze di san Giovanni Cassiano.
Collatio XIII,15-17. PL 49,940-945.

Nella sua inscrutabile bontà, la multiforme sapienza di Dio procura la salvezza agli uomini. Essa elargisce la grazia secondo la capacità di ognuno, perché le guarigioni non avvengano in proporzione della potenza infinita di Dio, ma della fede che egli ci ha donato e ritrova in noi.

Ad alcuni Dio concede la guarigione in virtù di una preghiera, ad altri la dona spontaneamente, senza esserne richiesto. Guarisce alcuni, dopo averli invitati alla speranza: Vuoi guarire(Gv 5,6 ) Ad altri, che non lo sperano, dà spontaneamente il suo aiuto. Con alcuni, prima di operare il miracolo, esplora il desiderio: Che volete che io vi faccia? (Mt 20,32 ) Ad un altro che ignora il modo per ottenere ciò che pur desidera, il
Salvatore lo propone con bontà: Se credi, vedrai la gloria di Dio(Gv 11,40 )
Su alcuni il Signore sparge a profusione la grazia che risana i mali più diversi e l'evangelista può dire che guari tutti i loro ammalati.4(Mt 14,14 ) Con altri, invece, la fonte delle guarigioni sembra seccarsi e sta scritto che il Signore non pote operare nessun prodigio a causa della loro incredulità(Mc6,5-6)

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Se la potenza del Signore è capace di tutti i miracoli raccontati nelle Scritture, perché stupirsi che la grazia divina operi analoghi prodigi anche per mezzo dei servi di Cristo?
Pietro e Giovanni salivano al tempio, quando uno storpio dalla nascita, incapace di muovere un passo, chiese l'elemosina. Ma i due apostoli, Invece delle monetine di bronzo che quell'uomo cercava, di propria iniziativa gli restituirono l'uso delle membra. Lo sciancato Invocava l'aiuto di qualche soldo, gli apostoli lo arricchirono con il dono di una guarigione insperata. Non possiedo né argento né oro, disse Pietro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno cammina! (At 3,6)
Questi esempi, tratti dai racconti evangelici, ci convincono che Dio procura la salvezza al genere umano per vie incomprensibili e in modi innumerevoli. Il Signore invita tutti quelli che hanno fame e sete di lui ad ardere di una brama più grande, e spinge svogliati e renitenti a realizzare i desideri che ha scorto nascosti nel fondo del loro cuore.

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Dio stesso ispira i santi desideri ed è all'origine delle buone opere. Per questo egli dona senza riserve la perseveranza. Perciò noi preghiamo Dio, chiedendogli non solo protezione e salvezza, ma anche aiuto e sostegno.
Il Signore che Invochiamo è protettore e salvatore, perché di sua iniziativa sollecita alla salvezza chi ignora o ricusa la fede. Ed è sostegno e rifugio, perché suole accogliere e fortificare chi fa a lui ricorso, mentre assiste quanti si radicano in lui.
Ammirando in spirito la multiforme generosità dell'economia divina, l'apostolo Paolo si sente naufragare nell'oceano senza fondo e senza rive della bontà di Dio, per cui esclama commosso: 0 profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?. (Rm 11,33-34)
Il grande Apostolo delle genti è così afferrato da quella visione che non teme di sottolineare la radicale incapacità della nostra mente a scandagliare il fondo di quell'inestimabile abisso.

12

Chiunque credesse di poter concepire o spiegare le ragioni che hanno guidato Dio a operare la salvezza dell'umanità nella pienezza dei tempi, costui contesterebbe la verità delle parole apostoliche, pretendendo che i giudizi divini siano comprensibili. Egli sarebbe animato da un'audacia priva di senso religioso, poiché il Signore stesso afferma: I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra,tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri(Is 55,8-9)
Nella sua indefettibile bontà, il Signore si degnato di gratificarci del suo amore. Per farcelo intuire, egli ha cercato di paragonare quest'amore a un moto dell'affetto umano e si valso dell'immagine più nobile che ha trovato: il cuore tenerissimo di una mamma.
Dio ha scelto questo esempio, perché non ce n'era uno più prezioso in tutta la natura umana. Ecco perché dichiara: Si dimentica forse una donna del suo bambino ? Poi, non contento di questo raffronto, immediatamente lo oltrepassa e soggiunge: Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai. (Is 49,15)



Letture della preghiera notturna dei certosini



Tempo Ordinario

VENTITREESIMA DOMENICA


9

Dal vangelo secondo Luca: 18,9-14

Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di
essere giusti e disprezzavano gli altri: "Due uomini
salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro
pubblicano".

Dai "Discorsi" di Gregorio Palamas.

Il fariseo e il pubblicano non divergono soltanto per la
morale e i costumi, estremamente opposti, ma persino per il
modo con cui. pregano. C'è infatti una duplice maniera di
pregare, perché non esiste soltanto la supplica ma anche il
rendimento di grazie. Sicché l'uno dei due uomini che
salirono al tempio vi si presentò per glorificare e render
grazie a Dio di tutti i doni che aveva ricevuto da lui;
l'altro per chiedere quanto ancora non aveva ottenuto - ed
ognuno di noi ad ogni ora se ne trova terribilmente
mancante, perché si tratta del perdono delle nostre colpe.
Promettere di far qualcosa per onorare Dio non si chiama
preghiera, ma voto; ce lo insegna la Scrittura quando dice:
Fate voti al Signore vostro Dio e adempiteli, Sal 75,12 e
anche: E' meglio non far voti che farli e poi non
mantenerli. Qo 5, 4. Però questa duplice forma di preghiera
ha anche un doppio inconveniente che non va sottovalutato:
pregare e supplicare per il perdono delle colpe è reso
efficace dalla fede e dalla speranza congiunte all'assenza
di male; invece la disperazione e l'indurimento del cuore lo
rendono vano. D'altra parte il rendimento di grazie per i
doni divini diventa accetto al Signore se associato
all'umiltà e all'atteggiamento di non sprezzare chi non li
possiede. Invece non val nulla quel ringraziamento al
Signore fatto da chi si gonfia per i doni ricevuti come se
fossero il prodotto della propria attività o del proprio
sapere, e da Chi condanna quanti ne sono privi.

10

Devastato da questi due mali, il fariseo si condanna con le
sue stesse parole: infatti è salito al tempio per render
grazie, non per chiedere: da stolto, ha sciorinato un
miserabile ringraziamento intessuto di compiacimento di sé
e di condanna sugli altri. Il vangelo parla chiaro: Il
fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti
ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri,
ingiusti, adulteri. Il fatto di starsene ben ritto non
manifesta certo la sottomissione del servo, ma un orgoglio
sfrontato. Proprio l'opposto dell'altro che non osa alzare
gli occhi al cielo per umiltà. E notiamo la sottolineatura
finissima del testo: il fariseo è detto pregare tra sé;
difatti non si elevava verso Dio, anche se la sua preghiera
non rimase ignorata da Colui che siede sui cherubini e
scruta il fondo degli abissi. Gv 3,13. Dicendo: ti rendo
grazie, la sua preghiera non soggiunge: perché hai pietà
di me per pura gratuità, dato che sono un povero fragile
uomo e tu mi hai strappato dalle insidie del maligno.
Fratelli, è arduo all'anima finita nelle grinfie
dell'avversario e irretita nelle maglie del peccato avere la
forza di sfuggire a tale morsa diabolica grazie alla
penitenza.

11

Una provvidenza più potente dei nostri mezzucci regola la
nostra vita. Talvolta con un minimo di sforzo o anche senza
nessun apporto da parte nostra dimoriamo in Dio, dominando
mali numerosi e gravi. Siamo stati miracolosamente liberati
proprio a motivo della nostra debolezza; e dobbiamo
ringraziare per un tal dono, umiliarci davanti al
benefattore, non esaltarci. Il fariseo non ringraziò
perché aveva ottenuto benefici, ma perché non era come il
resto della gente. Stimava fosse merito suo non essere né
ladro né adultero né ingiusto, anche se effettivamente non
lo era. Non era merito suo, perché non si ingeniava di
badare a sé né ad acquisire la virtù; invece puntava lo
sguardo sugli altri e da insipiente li disprezzava, lui il
solo onesto e saggio ai propri occhi. Gli si sarebbe potuto
dire: Se tutti gli uomini, fuorché te sono ingiusti e
briganti, dove sarebbe la pretesa vittima del furto e
dell'ingiustizia?

12

E veniamo al pubblicano. Prima questi commette il male
appropriandosi i beni altrui, poi cambia rotta; non è che
si creda giusto, però diventa giusto. Invece il fariseo,
benché non si impossessi di nulla a spese del prossimo, si
crede giusto e resta condannato. Ma quale sarà mai la fine
di coloro che non rinunciano ad afferrare le cose altrui,
eppure sudano per comparire gente per bene? Non ne parliamo,
dato che il Signore non sa che farsene di discorsi inutili.
E sono parole vane quando le nostre preghiere fioriscono di
espressioni di umiltà, tanto da farci credere d'aver
conseguito la giustificazione del pubblicano: ma la realtà
vera è ben diversa. Notiamolo: il pubblicano dileggiato dal
fariseo, secondo le apparenze, anche dopo il perdono di Dio,
si stima un peccatore e continua a condannarsi. Tant'è che
non solo non ribatte nulla all'altro che lo accusa, ma
rimane convinto di essere un poco dì buono, come appunto
l'altro asserisce. Quando dunque divorzi dalla tua
cattiveria e quando non rispondi una parola a chi deride i
tuoi limiti, ma condanni te stesso e ti affidi unicamente
alla misericordia di Dio, ricorrendo a lui con una preghiera
bagnata di compunzione, sappilo bene: sei salvato, quasi tu
fossi un secondo pubblicano.