sabato 8 settembre 2012

Cominciamo bene...




A un anno di distanza dal suo ingresso nella diocesi ambrosiana il cardinale Angelo Scola ha scritto la sua prima lettera pastorale, resa nota oggi, nella ricorrenza di Maria nascente alla quale è dedicato il Duomo di Milano. La lettera «Alla scoperta del Dio vicino» è rivolta a «tutti i battezzati» e a «quanti vorranno accoglierla». Il documento, dai molti accenti ratzingeriani, legge la realtà milanese secondo le indicazioni proposte da Benedetto XVI per l’Anno della Fede.

 
«Le nostre comunità dovranno concentrarsi sull’essenziale: il rapporto con Gesù», chiedendo di «dedicare tempo alla conoscenza e alla contemplazione più che proliferazione di iniziative, silenzio più che moltiplicazione di parole, l’irresistibile comunicazione di un’esperienza di pienezza che contagia la società più che l’affannosa ricerca del consenso. In una parola: testimonianza più che militanza».

 
Il cardinale, citando Benedetto XVI, osserva che oggi «capita non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato».

 
Ecco dunque le drammatiche domanda: «il popolo di Dio che è in Milano è realmente in grado ancora oggi di annunciare Gesù Cristo?». E ancora: «La Chiesa, ferita dal peccato di taluni suoi membri, è credibile ancor oggi agli occhi nostri e a quelli del sofisticato uomo post-moderno?». Le risposte, aggiunge l’arcivescovo, non vanno cercate «nei calcoli statistici e nelle proiezioni che decretano le probabilità di successo, non nella presunzione di profezia rivendicata da discutibili interpreti e maestri del nostro tempo, ma tornando con umiltà e fiducia a Colui che è il primo e l’ultimo, Colui che è, che era e che viene».


 
«Per vivere adeguatamente l’Anno della fede – aggiunge Scola – dobbiamo quindi avere l’umiltà di rimetterci alla scuola di Gesù e di domandarci che cos’è la fede». Con l’atteggiamento descritto nel brano del Vangelo di Marco che presenta la richiesta di guarigione rivolta a Gesù dal padre di un ragazzo indemoniato. Il Nazareno risponde: «Tutto è possibile per chi crede». Il padre replica: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Questa invocazione è la giusta disposizione, secondo il cardinale, per vivere il tempo presente.
 
«Risultano incomprensibili», aggiunge Scola, «gli atteggiamenti degli intellettuali che avvicinano Gesù perché amano discutere di tutto, ma non mettono mai in discussione se stessi, delle persone religiose che si accaniscono nell’interpretazione delle tradizioni e nelle pratiche legali per essere a posto con Dio, degli scettici che presentano le loro domande pungenti senza essere disponibili ad ascoltare le risposte, dei gaudenti che talora si incuriosiscono persino di qualche cosa di serio, ma non hanno fame, non hanno sete, non hanno bisogno di salvezza e degli stessi discepoli che hanno pensato di potersela cavare da soli. Il padre del bambino arriva a Gesù perché per lui la vita è un caso serio: si può essere salvati o si è definitivamente perduti?».

 
«In questo pover’uomo», spiega il cardinale, «ci riconosciamo tutti: spinti verso Gesù dal bisogno, siamo sorpresi dalla parola che autorizza a desiderare tutto, sconcertati da una promessa più grande di ogni preghiera, chiamati a una pienezza che supera ogni attesa».

 
La lettera indica i «pilastri portanti di ogni comunità cristiana», tratti dalla vita dei primi discepoli descritta negli Atti degli apostoli. Il primo è «l’assimilazione del pensiero di Cristo» che «è frutto del rapporto personale con lui». Scola chiede di approfondire Tradizione, Scrittura «autenticamente interpretata dal magistero», i testi del Concilio Vaticano II e il Catechismo. Il secondo è «la tensione a condividere con tutti i fratelli la propria esistenza»; il terzo è la centralità dell’eucaristia; il quarto è la missione. A proposito di questa il cardinale precisa: «La missione non è l’accanimento del proselitismo, ma una testimonianza che lascia trasparire l’attrattiva di Gesù, è lo struggimento perché tutti siano salvati».

 
Infine, Scola indica quattro ambiti di «speciale cura» per quest’anno pastorale. Innanzitutto la famiglia. A proposito dei divorziati risposati, il cardinale scrive: «la Chiesa testimonia che Dio è vicino a tutti, anche a chi ha il cuore ferito e, attraverso le tante forme di partecipazione e di coinvolgimento, invita tutti a sentirsi a casa nella Chiesa, al di là di ogni pretesa e pregiudizio». Ci sono poi i giovani, quindi i consacrati – il cardinale invita i preti a non cedere alla tentazione dello «scontento» e della «mormorazione», raccomandando che «proprio a coloro che devono prendersi cura della fede degli altri» vivano «momenti di condivisione e di riflessione sulla cura per la propria fede – e infine, quarto ambito, l’annuncio della fede nella società plurale. «I cristiani sono presenti nella storia come l’anima del mondo, sentono la responsabilità di proporre la vita buona del Vangelo in tutti gli ambiti dell’umana esistenza. Non pretendono una egemonia e non possono sottrarsi al dovere della testimonianza».

Tra le tentazioni a proposito di quest’ultimo ambito, Scola individua del «ridurre la fede cristiana a religione civile» così come quella «della diaspora». Entrambe «posizioni che fanno prevalere ciò che separa su quello che unisce e contrappongono gli uni agli altri approfondendo le divisioni, mette alla prova la fede». «Illuminati da una fede adulta, i cristiani – conclude – non si sottraggono al dovere del proporre la loro esperienza e la loro visione circa le grandi questioni che il nostro tempo è chiamato ad affrontare». Tra le iniziative diocesane di quest’anno c’è anche una «Scuola della fede» per i giovani. (A. Tornielli)
Di seguito il testo della omelia del Cardinal Angelo Scola.

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Arcidiocesi di Milano

Celebrazione Eucaristica

nella

Solennità della Natività di Maria


con Rito di Ammissione dei Candidati al Diaconato e al Presbiterato

Ct 6,9d-10; Sir 24,18-20 9; Sal 86 (87); Rm 8,3-11; Mt 1,18-23


Duomo di Milano, 8 settembre 2012


Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



1. «Maria virgo, semper laetare, quae tantam gratiam meruisti, caeli et terrae Creatorem de tuo utero generare», “Vergine Maria, rallegrati per sempre, poiché hai meritato la grazia immensa di generare il Creatore del cielo e della terra nel Tuo grembo”. Le parole della Sallenda dell’odierna celebrazione illuminano, con la forza espressiva di cui la liturgia è capace, il mistero che celebriamo. La Chiesa non teme di cantare le lodi del purissimo grembo (utero dice il latino) di Maria, perché nel farlo riconosce la via che la Trinità ha scelto per comunicarsi a noi e salvarci: «Mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito» (Epistola, Rm 8,3-4). È la via dell’Incarnazione del Figlio perché tutti potessimo diventare in Lui, per opera dello Spirito, figli del Padre che è nei cieli.

La tradizionale scelta di iniziare l’Anno Pastorale nella Solennità di Maria nascente celebrando l’Eucaristia – poiché essa è «il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (cfr. SC 10) - rivela così tutto il suo profondo significato.
Come il Verbo per venire in mezzo a noi si è incarnato nel grembo santo di Maria Vergine, così la Chiesa è il luogo in cui, per pura grazia, il Figlio di Dio vuole continuare a venire incontro agli uomini di ogni tempo e di ogni dove. Come fu per Maria, così è per la Chiesa: tutta la luce che in essa risplende proviene dal Suo Signore, Cristo luce delle genti. Maria e la Chiesa sono «speranza e aurora della salvezza del mondo» ci farà pregare l’Orazione dopo la comunione. La Chiesa non ha altro da offrire agli uomini. Il popolo di Dio, infatti, esiste nella storia «quale sacramento universale della salvezza» (LG 48) e «tutto ciò che di bene può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è “l'universale sacramento della salvezza” che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo» (GS 45). Questa prospettiva storico-salvifica dice, in modo compiuto, cosa sia l’azione pastorale.

2. Oggi la nostra Chiesa celebra anche il significativo rito di ammissione dei Candidati al Diaconato e al Presbiterato. È un gesto semplice con cui la Chiesa accoglie la decisione di alcuni dei suoi figli ad essere presi a servizio del popolo di Dio con la Parola e i Sacramenti, attraverso il ministero del diaconato e del presbiterato e conferma il loro cammino di verifica e di formazione (cfr. Rito di ammissione). L’Orazione e la Benedizione al termine del rito domanda per loro perseveranza nella vocazione. È provvidenziale che il Santo Evangelo ci presenti oggi la figura di San Giuseppe, colui che, in modo eminente, fu preso a servizio del Disegno d’amore di Dio sul mondo. In questi nostri fratelli risplende così quello che è proprio di tutti i cristiani: essere gratuitamente chiamati dal Padre per diventare segno e strumento (sacramento) della Sua salvezza per gli uomini lungo la storia.

3. L’Anno Pastorale cui diamo inizio è segnato dalla gratitudine per quello che abbiamo visto e udito, condiviso e scoperto (cfr. 1 Gv 1, 1-4) durante i giorni della Visita Pastorale del Santo Padre a Milano in occasione del VII Incontro mondiale delle Famiglie. Veramente il Successore di Pietro ci ha «confermato nella fede» (cfr. Lc 22, 32).
Al concorso festante di popolo di allora si è poi aggiunta la mesta e spontanea partecipazione di decine di migliaia di persone al lutto della nostra Chiesa per la dipartita del caro Cardinal Martini, nostro zelante pastore ben ventidue anni e significativo punto di confronto per tutti i soggetti della nostra società plurale. Attraverso questi avvenimenti Dio ci domanda con forza una più grande responsabilità nel vivere l’Anno della fede come anno di grazia.
La Lettera pastorale “Alla scoperta del Dio vicino che oggi vi viene consegnata intende orientare la vita ordinaria della Diocesi per il 2012-2013, Anno della fede approfondendo, come ci indica Porta fidei, l’esperienza e la verità della fede, sostenuti dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II e del Catechismo della Chiesa Cattolica.
La fede cristiana è generata e alimentata dall’incontro con Gesù, Verità vivente e personale: è risposta alla persuasiva bellezza del mistero più che esito di una ricerca inquieta, è fiducia nutrita dall’incontro con il Signore più che una scelta causata dalla sfiducia nelle risorse umane e da uno smarrimento che non trova altra via d’uscita.
Nell’Anno della fede le nostre comunità dovranno concentrarsi sull’essenziale: il rapporto con Gesù che consente l’accesso alla Comunione trinitaria, rende partecipi della Vita divina e, per questo, ci spalanca ad ogni nostro fratello uomo mentre ci fa consapevoli della presente travagliata fase di storia che stiamo attraversando.
Con grande fiducia indirizzo la Lettera pastorale a tutti i battezzati, alle comunità cristiane della Diocesi e a quanti, anche non credenti, vorranno accoglierla. Auspico che possa orientare la vita e le attività di questo anno di grazia. Nel rapporto inscindibile tra persona e comunità mi auguro che questo semplice strumento possa aiutare ognuno di noi a riprendere in modo consapevole l’interrogativo sullo stato della propria fede a partire dalla propria vocazione.
Mi è gradito annunciare a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana che lungo l’Anno della fede, oltre all’anniversario dell’editto di Milano, celebreremo la figura del Cardinal Giovanni Colombo in occasione del 20° della morte, del 110° anniversario della nascita e prossimamente il 50° di nomina arcivescovile. Da tempo una speciale Commissione sta preparando le diverse tappe e le appropriate iniziative.

4. Non poteva esserci miglior occasione dell’odierna solennità per dire il nostro grazie corale a S.E. Mons. Carlo Roberto Redaelli, Arcivescovo eletto di Gorizia. Egli assume una responsabilità di notevole rilievo per la Chiesa all’inizio di questo Terzo millennio. L’arcidiocesi di Gorizia, infatti, ha il compito di mettere a frutto la grande tradizione della Chiesa di Aquileia e di spalancare le Chiese italiane al rapporto con le Chiese slovene, croate, austriache, del Sud dell’Ungheria, che da Aquileia sono nate. È, quello attuale, un frangente storico in cui forse cominciamo a comprendere che non vi sarà futuro politico per i nostri popoli se non a partire da una radicale rifondazione dell’Europa.
S.E. Mons. Carlo Redaelli in modo sempre discreto, ma indefesso e rigoroso, ha servito la Chiesa Ambrosiana come presbitero, come studioso, come Vescovo ausiliare e Vicario Generale. Io stesso, in questo mio primo anno di ministero, ho trovato in lui ben più che uno zelante collaboratore. Gliene siamo, gliene sono grato.
Mettiamo la sua persona e il suo nuovo ministero sotto la protezione della nostra Madonnina, «Madre del bell’amore…, della conoscenza e della santa speranza» (Lettura, Sir 24,18), e chiediamo al nuovo arcivescovo metropolita di portarci nel cuore. Noi faremo altrettanto.

5. «Auróra solis núntia/ promíssa Virgo náscitur:/ María, salve, pérdito;/ datúra mundo Emmánuel» “Ti salutiamo, dolcissima aurora/ che annunci il sole vero, vaticinata vergine che ai miseri darai l’Emmanuele” (Inno dei Primi Vespri).
All’intercessione della Vergine in questo nostro Duomo a Lei dedicato affidiamo l’accorata domanda che accompagni l’Anno della fede: «Credo; aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24). Amen.