giovedì 13 settembre 2012

Buon viaggio, Santo Padre!


VIAGGIO APOSTOLICO IN LIBANO
IN OCCASIONE DELLA FIRMA E DELLA PUBBLICAZIONE
DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE
DELL’ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE
DEL SINODO DEI VESCOVI
14-16 SETTEMBRE 2012
 Libano 2012



Il Pontefice si reca in Libano come "messaggero di pace" e le crescenti tensioni che ancora oggi percorrono drammaticamente l'intera area mediorientale, "lungi dallo scoraggiarlo, hanno reso ancora più urgente il suo desiderio" di compiere questo viaggio. Alla vigilia della partenza di Benedetto XVI il cardinale Tarcisio Bertone offre la chiave di lettura del viaggio papale, definendolo "un invito a tutti i responsabili del Medio Oriente e della comunità internazionale a impegnarsi con una volontà ferma per trovare soluzioni eque e durature per la regione". 
In un'intervista rilasciata al quotidiano francese "Le Figaro" e pubblicata nel numero di oggi, 13 settembre, il segretario di Stato ricorda che per il Pontefice la promozione dei diritti dell'uomo, primo fra tutti quella alla libertà di religione, "è la strategia più efficace per costruire il bene comune". E ribadisce la posizione "chiara e netta" della Chiesa di fronte a ogni forma di violenza, che - afferma - "porta solo a nuove violenze" e "ferisce per sempre i corpi ma anche le menti". In questo senso il Papa in Libano "intende essere una voce profetica e una voce morale", invitando "tutti gli uomini e le donne di buona volontà a far sì che la religione non sia mai un motivo di guerra e di divisione".
Per il porporato il Medio Oriente oggi "deve molto alla presenza cristiana", che contribuisce "all'edificazione di una società libera, giusta e riconciliata". All'islam la Chiesa tende perciò "una mano aperta in segno di dialogo e di riconciliazione", consapevole che la posta in gioco è quella di "lavorare insieme per fare di questa regione una nuova culla di civiltà, di cultura e di pace". Convinzione espressa in queste ore anche dal primo ministro libanese Najib Miqati, che in un'intervista ad Aki - Adnkronos International manifesta la fiducia che la visita del Pontefice in un Paese "punto di incontro e di interazione tra le civiltà e le culture" rappresenti "l'inizio di una vera collaborazione tra i popoli di tutti i Paesi mediorientali".
Anche per il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il Papa troverà in Libano una nazione desiderosa di "divenire protagonista in un desiderato processo di pace e di riconciliazione". Certezza condivisa dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che parla di un Paese "che ha saputo credere nella "intesa possibile", mai cedendo alla fragilità dei risultati e piuttosto dando credito alla condivisa appartenenza a una "terra" venuta dalle mani di Dio e da lui benedetta quale casa accogliente per tutti". Da parte sua il nunzio apostolico, arcivescovo Gabriele Caccia, sottolinea le molteplici dimensioni del viaggio papale - "ecclesiale, sociale, nazionale, regionale e anche internazionale" - mentre il patriarca di Antiochia dei Maroniti, Béchara Raï, riafferma l'importanza del dialogo, del rispetto reciproco e della solidarietà per costruire insieme "la città degli uomini".

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Di seguito l'intervista del cardinale segretario di Stato a "Le Figaro" sul viaggio di Benedetto XVI in Libano 
di Jean-Marie Guénois
Il viaggio di Benedetto XVI in Libano s'iscrive inevitabilmente nel contesto drammatico della guerra civile in Siria. È un viaggio a rischio?

La situazione drammatica nella quale vive il popolo siriano è seguita con molta apprensione dal Santo Padre. Da oltre un anno il Papa ha moltiplicato i suoi appelli pubblici a favore della pace, della riconciliazione, dell'unità del popolo siriano. Non ha neppure lesinato sforzi per una soluzione diplomatica. In Libano le nostre reti ecclesiali ci indicano che il Paese non si trova oggi in una situazione pre-conflittuale paragonabile alla crisi siriana. Alcuni episodi hanno potuto suscitare un'impressione diversa nell'opinione internazionale ma, ancora una volta, le informazioni che riceviamo sul posto ci assicurano che, al contrario, c'è grande attesa per la visita del Papa da parte di tutti i libanesi e di tutte le comunità socio-religiose del Paese.

L'ipotesi di un annullamento del viaggio è stata mai contemplata?
No, mai. Noi seguiamo la situazione molto da vicino. Incrociamo molteplici fonti d'informazione. Consideriamo seriamente tutti gli avvenimenti particolari, ma non abbiamo finora mai ricevuto dati sufficientemente gravi da far contemplare l'ipotesi dell'annullamento della visita.

Benedetto XVI ha mai esitato?

Il Santo Padre ha preso la decisione di visitare il Libano molto tempo fa. Vi si reca come un messaggero di pace. Bisogna capire bene questo per non sbagliarsi sul viaggio. Le crescenti tensioni in quell'area, lungi dallo scoraggiarlo, hanno dunque reso ancora più urgente il suo desiderio di visitare il Libano al fine di promuovere la pace e di esprimere a tutti la sua profonda solidarietà.

Sono state richieste particolari misure di sicurezza per il Papa, ma anche per le folle?

Ogni viaggio è oggetto di rigide misure per garantire la sicurezza di tutti. Nessuna richiesta supplementare è stata comunque formulata. A tale riguardo, restiamo in stretto contatto con le autorità.

La posizione della Chiesa cattolica sulla crisi siriana è stata spesso percepita come troppo prudente nei confronti del regime di Damasco. Che cosa pensa oggi la Santa Sede della crisi siriana?
Fin dall'inizio della crisi, il Papa ha condannato con tutte le sue forze le violenze e la perdita di vite umane. Con lo stesso vigore Benedetto XVI ha affermato le legittime aspirazioni del popolo siriano. Ha ripetutamente invitato tutti i responsabili ad astenersi da qualsiasi violenza e a impegnarsi sulla via del dialogo e della riconciliazione per risolvere questioni inevitabili per il bene del Paese e per quello di tutta la regione.

Ci sono oppositori musulmani che rimproverano ai cristiani siriani la loro "neutralità".

In Siria i cristiani cercano di vivere in pace e in armonia con i loro fratelli siriani. Temono l'aumento della violenza che mette in pericolo tutti i siriani. I cristiani sono un punto di riferimento, un ponte tra le comunità. Essi cercano di costruire la pace e l'unità tra tutti i cittadini, al di là della loro appartenenza etnica e religiosa.

Alcuni però vedono questa "neutralità" come una mancanza di coraggio... La posizione della Chiesa non è neutrale, è semplicemente chiara e netta: la violenza porta solo a nuove violenze! La violenza porta la morte. Ferisce per sempre i corpi ma anche le menti. La violenza infligge ferite psicologiche profonde al cuore della nazione siriana che si faranno sentire per molti anni.

Benedetto XVI si pronuncerà su questa crisi durante il viaggio?

Il Papa intende essere una voce profetica e una voce morale. La Santa Sede chiede la cessazione immediata di ogni violenza per far prevalere il dialogo ed evitare qualsiasi nuova ferita alla popolazione.

Ma perché in questo contesto è stato scelto il Libano?

Benedetto XVI ha già visitato la Terra Santa, cioè Israele, i Territori Palestinesi, la Giordania, Cipro, la Turchia. Il Libano, Paese biblico, è apparso un luogo ideale per consegnare l'esortazione post-sinodale a tutte le Chiese del Medio Oriente e per dire al mondo che vivere insieme tra culture e religioni diverse non è un'illusione, ma una realtà che esiste. Questo Libano nel quale Giovanni Paolo II vedeva, "più che un Paese", un "messaggio" di libertà, di convivialità e di dialogo.

Benedetto XVI ha inserito la novità geopolitica della primavera araba nel documento che renderà pubblico domenica a Beirut?

Il Papa non è un commentatore politico! Aspettarsi dall'esortazione post-sinodale una sorta d'interpretazione socio-politica della "primavera araba", o addirittura un programma politico specifico per i cristiani, sarebbe fraintendere il magistero del Santo Padre. L'esortazione post-sinodale sarà piuttosto un messaggio di speranza e un incoraggiamento per tutti i cattolici del Medio Oriente affinché possano offrire il loro prezioso contributo nelle società tanto diverse in cui vivono.

Questo testo inedito per il futuro di quei cristiani non rischia di essere già superato dagli eventi? L'esortazione trae la sua ispirazione da un Sinodo che ha riunito a Roma per tre settimane tutti i vescovi e gli esperti del Medio Oriente. In quell'autunno 2010 sono state poste pubblicamente questioni molto precise - e a volte scomode - sulla libertà, la democrazia, la giustizia, lo Stato di diritto. Bisogna ammettere che le richieste del Sinodo, sostenute dai cattolici, hanno in un certo modo anticipato le aspirazioni della "primavera araba" del 2011.

Il Papa ha affrontato questi temi sociali nella stesura finale del documento?

Benedetto XVI ha seguito con molta attenzione l'evolversi della "primavera araba". È molto informato sulla situazione. Quando capi di Stato o primi ministri escono da un incontro con lui, sono sempre sorpresi dal suo livello di conoscenza delle diverse questioni. Per il Papa la promozione dei diritti dell'uomo è la strategia più efficace per costruire il bene comune, base della convivialità sociale. Ritiene che se la democrazia prenderà maggiormente consistenza nel mondo arabo, porterà a un maggiore rispetto dei diritti dell'uomo e a un migliore sviluppo della società a tutti i livelli. Ma allo stesso modo insiste nel dire che la religione e i suoi valori sono un elemento importante del tessuto sociale. La religione è anche un diritto fondamentale dell'uomo ed è per lui inimmaginabile che dei credenti si privino di una parte di se stessi - della loro fede - per essere cittadini attivi.

La primavera araba pone di nuovo la questione delle relazioni tra la Chiesa e l'islam; come vede oggi questo problema?

Conosciamo male la nostra storia comune! Le relazioni islamo-cristiane risalgono a molti secoli fa. Hanno conosciuto tutte le varianti, a seconda dei Paesi, andando dall'osmosi al rifiuto, in seno al mondo musulmano ma anche all'interno della Chiesa. Dal concilio Vaticano II, la linea direttrice è chiara: la comunità cristiana tende una mano aperta in segno di dialogo e di riconciliazione. Noi osserviamo, nel mondo islamico, i segni del desiderio di stringere questa mano e di camminare insieme. A Roma, il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, sotto la responsabilità del cardinale Tauran, viene in proposito interpellato da ogni parte del mondo. Certo, si levano voci contrarie, ma le società sempre più multietniche, multiculturali e multireligiose impongono questa coabitazione. È una scelta senza appello per la libertà di coscienza, la libertà religiosa, il rispetto e il dialogo. Il problema oggi consiste nel trasporre, soprattutto attraverso la formazione, questa qualità del rapporto dal livello delle élite a quello delle popolazioni che sono talvolta sotto l'influenza dei gruppi fondamentalisti.

Alcuni scettici preannunciano però un inevitabile scontro islamo-cristiano...

Non siamo d'accordo, poiché ci troviamo all'opposto di uno scontro con l'islam! Una simile visione conflittuale non dà ragione né alla realtà sul terreno, né a una visione del futuro, né al credo profondo della fede stessa.

Nell'attesa, sempre più cristiani lasciano il Medio Oriente. Questa partenza è inevitabile?

Bisognerebbe rispondere Paese per Paese, per evitare generalizzazioni. E non dimenticare che il primo motivo della partenza è spesso economico e sociale, mentre il secondo è legato all'instabilità creata dagli anni di guerra. Al contrario, e noi lo constatiamo, quando il contesto sociale e culturale è favorevole, i cristiani si mobilitano, anche in Paesi musulmani, per la costruzione di società in cui ognuno deve avere il proprio posto, indipendentemente dall'appartenenza religiosa. Su questo piano il ruolo degli Stati è decisivo.

I cristiani del Medio Oriente, minoritari, hanno una vocazione particolare?

Per comprenderla, occorre ribaltare la nostra prospettiva: il cristianesimo è nato lì! I cristiani in Medio Oriente non sono arrivati come missionari dell'Occidente o sulle orme di imperi coloniali. Allo stesso tempo, il Medio Oriente attuale deve molto alla presenza cristiana. Questa ha modellato il volto delle società. Un solo esempio: la rinascita araba del secolo scorso che ha visto la partecipazione di eminenti figure cristiane. I cristiani contribuiscono dunque all'edificazione di una società libera, giusta e riconciliata. La loro presenza è auspicata dalla maggior parte dei Paesi. La posta in gioco è di lavorare insieme per fare di questa regione una nuova culla di civiltà, di cultura e di pace.

Questo viaggio di Benedetto XVI a Beirut s'iscrive in un contesto d'instabilità generalizzata: incertezza in Egitto, tensione tra Israele e Iran, Siria a ferro e fuoco, Iraq frammentato. Qual è la principale posta in gioco della visita?

Aggiungerei la questione palestinese che dura da diversi decenni e non ha ancora trovato una vera soluzione. In effetti, accordi parziali, anche se positivi, non possono garantire una pace duratura se altre questioni non sono state risolte. La sfida più grande è di trovare una soluzione condivisa da tutti i protagonisti locali con l'aiuto della comunità internazionale, che è corresponsabile. La presenza del Papa è dunque un invito a tutti i responsabili del Medio Oriente e della comunità internazionale a impegnarsi con una volontà ferma per trovare soluzioni eque e durature per la regione. Benedetto XVI non ha però la pretesa di essere un leader politico. Come responsabile religioso, viene per confermare i suoi fratelli nella fede in Gesù Cristo e intende esortare tutti gli uomini e le donne di buona volontà a far sì che la religione non sia mai un motivo di guerra e di divisione. Cercherà di toccare i cuori affinché ognuno s'impegni a cambiare la situazione.

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 Di seguito un intervento

di Béchara Boutros Rai, 

Patriarca di Antiochia dei Maroniti

Nostro Signore ha detto: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso" (Luca, 12, 49). Il viaggio del Papa in Libano risponde a tale volontà del Signore. Con questa visita Benedetto XVI ravviverà, in Libano e il Medio Oriente, il fuoco della fede, della speranza e della carità. È sotto l'impulso dello Spirito Santo che questa visita risveglia nei nostri cuori il senso evangelico della nostra presenza cristiana in Oriente, in quanto chiamati a favorire la comunione e l'unità, a "rendere testimonianza alla verità" (Giovanni, 18, 37), a promuovere la dignità dell'uomo, e a divenire gli artefici della pace, quella che proviene da Dio e che possiamo edificare sull'amore, sulla giustizia, sulla verità e sulla libertà.
I popoli del Medio Oriente, in questi giorni, vivono un momento storico che, speriamo, porterà a una pace, una giustizia e un'unità più grandi. Preghiamo affinché i nostri giovani possano impegnarsi nella promozione del valore dell'uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini, come pure del diritto primordiale alla libertà e alla dignità.
Le prove di ordine economico e politico che i popoli del Medio Oriente continuano a sopportare già da oltre mezzo secolo, così come l'impoverimento che si sta generalizzando, scuotono le famiglie, le destabilizzano e costituiscono un ostacolo al loro sviluppo. Le lotte armate continuano a disorientare i giovani che desiderano assicurare il loro futuro, con serenità. Il popolo palestinese che rimane disperso dal punto di vista umano, geografico e politico, aspira a una pace, che resta vaga e lontana.
In seno a questi sconvolgimenti che disorientano i nostri popoli, la chiamata del Signore ci affida "il ministero della riconciliazione" (2 Corinti, 5, 18); questa chiamata tocca i nostri cuori e ci spinge all'azione coraggiosa a favore di una vera riconciliazione tra le comunità e le persone. "Misericordia io voglio e non sacrificio" (Matteo, 12, 7), ci raccomanda il Signore; questa misericordia diviene urgente oggi per i popoli della nostra regione.
Qui in Libano, in questa bella terra dei cedri, continuiamo a lavorare insieme, cristiani e musulmani, non solo per avviare un dialogo tra noi, ma anche e soprattutto per coltivare una vero "vivere insieme", nella solidarietà e nel rispetto reciproco, per edificare insieme la "città degli uomini".
È in questo spirito, ispirato dalla raccomandazione che Giovanni Paolo II ha rivolto alla Chiesa universale, chiamandola a prendere l'iniziativa di annunciare al mondo che "il Libano è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l'Oriente come per l'Occidente" (Lettera Apostolica a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione nel Libano, 7 settembre 1989), che attendiamo la visita di Benedetto XVI.
Questo messaggio, con la visita del Pontefice, diviene un appello rivolto a tutti i Paesi del Medio Oriente, come un olio sacro, che si spande a partire dal Libano, e che noi continueremo a sostenere, con spirito di condivisione e di collaborazione, cosicché, alla fine, i popoli di questo Oriente, liberati dai gioghi che impediscono il loro sviluppo, possano riuscire a ritrovare la luce della pace e a instaurare la giustizia.
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Di seguito una intervista con il cardinale Jean-Louis Tauran,  Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, 
di Mario Ponzi
Vivere insieme si può, non è utopia. È il messaggio del popolo libanese a un mondo che stenta a trovare il cammino della pace e il Papa va in Medio Oriente proprio per rafforzare questo cammino. Lo dice il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nell'intervista rilasciata al nostro giornale alla vigilia della partenza al seguito del Papa. "Scoprirà certamente - dice il porporato che ha lavorato nella nunziatura apostolica in Libano durante gli anni duri della guerra - tanta gente, gente comune, pronta a divenire protagonista in un desiderato processo di pace e di riconciliazione". E sono loro, dice ancora il cardinale, gli interpreti di quel "dialogo della quotidianità che li aiuta ad affrontare e a risolvere insieme problemi e sfide comuni. Quelli della quotidianità appunto".

Cosa è rimasto tra i suoi ricordi dell'esperienza vissuta in Libano? 

La grandezza dell'anima libanese. Il Libano è stato sempre un laboratorio di dialogo tra le religioni così come tra le culture. Per anni è stato un ponte tra l'Oriente e l'Occidente. Quando ero al servizio della nunziatura a Beirut, negli anni Ottanta, sentivo ripetere spesso: "Salviamo il Libano per salvare i cristiani". La situazione era drammatica ed era difficile pensare che il Paese sarebbe potuto diventare un esempio per il mondo. I libanesi sono stati capaci di dimostrare che vivere insieme non è un'utopia. È possibile quando c'è un minimo di condivisione di un patrimonio culturale e religioso come quello che aveva e ha il Libano. In questo il Paese ha fatto scuola. E lo dimostrano i suoi giovani. Frequentano le stesse scuole, studiano sugli stessi testi, hanno le stesse idee su quello che deve essere il loro futuro. Ecco, questa è l'anima libanese.

Vede profilarsi delle ombre su quest'anima?

Certo l'esperienza che ho avuto mi porta a pensare che la guerra sia la sintesi di tutti i mali che affliggono il mondo. Dunque non si può pretendere che sedici anni di conflitto non abbiano lasciato delle tracce. Mi ricordo, per esempio, che quando ero nella nunziatura di Beirut, proprio negli anni della guerra, mi capitava spesso di visitare molti villaggi insieme con il nunzio apostolico, l'arcivescovo Carlo Furno. La cosa che più ci colpiva erano i giocattoli dei bambini: tutti riproducevano carri armati, cannoni, mitra. Dunque un'intera generazione è cresciuta avendo quei modelli. Tanto è stato fatto in questi anni nel Paese per superare questa mentalità.

Secondo lei questa disponibilità alla convivenza è rimasta intatta? 

Quando si parla di convivenza, di dialogo, bisogna sempre pensare che non si tratta in realtà di dialogo tra le religioni, ma di dialogo tra i credenti. Non si tratta, cioè, di un'attività filosofica tra teologi, ma del dialogo della quotidianità tra persone che hanno e vivono gli stessi problemi: la pace, la scuola, il lavoro, il futuro. In una società sana, che condivide questi problemi, non si cerca la divisione; si cerca piuttosto la collaborazione per risolverli. Questo fa del dialogo una pratica quotidiana tra persone che hanno credi diversi ma problematiche comuni.

Potrà la visita del Papa rafforzare questo modello?

Intanto la presenza del Papa aiuterà ad attirare l'attenzione sul perché in Oriente i cristiani hanno paura: paura soprattutto del futuro, in quanto non sono rispettati, non è consentito loro di partecipare appieno alla vita dei loro Paesi. Mi ha molto impressionato, proprio nel recente Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, percepire che la sensazione di molti cristiani di quelle terre è di essere considerati cittadini di "serie b". Con la sua presenza il Papa certamente restituirà coraggio soprattutto ai cristiani affinché non abbiano più paura.

E a causa di queste paure che diciotto milioni di libanesi hanno abbandonato il loro Paese?

Le ragioni della diaspora libanese sono diverse. È possibile che alcuni abbiano anche avvertito un senso di paura. Ma io credo che a spaventarli sia stata soprattutto la mancanza di prospettive per il futuro. I cristiani raggiungo ottimi livelli culturali e una preparazione professionale tale da facilitarne l'inserimento nei processi lavorativi dei Paesi occidentali. C'è poi un'altro particolare. Proprio recentemente, per la precisione nel mese di giugno, sono tornato a Beirut. E mi è stato detto che il grande problema di oggi è la progressiva scomparsa della classe media. Un fatto grave, perché indica una difficoltà nel sistema economico. La gente ha paura del futuro e chi ha la possibilità di farlo va via per cercare nuove opportunità di vita. Questo riguarda soprattutto i cristiani. Ciò ha causato la diminuzione del numero dei componenti della comunità cristiana presente sul territorio. E lo si intuisce anche da alcuni aspetti esteriori. Quel che è certo è che in queste terre i cristiani, quando sono una minoranza - come lo sono in tutti i Paesi musulmani - restano comunque una minoranza che conta, perché stanno accanto al popolo con opere sociali di alto livello, dalle università alle scuole e ai centri di assistenza.

Lei ha partecipato all'assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi. Quale urgenza ha manifestato?

Direi innanzitutto la forza di una comunione tutta da riscoprire. Ripetiamo spesso che per risolvere le questioni sul tappeto c'è bisogno di dialogo. Ma il dialogo non è solo dialogo tra le religioni; è anche dialogo ecumenico e dialogo all'interno delle stesse Chiese. Questa è la vita quotidiana. Bisogna evitare che gli accadimenti - anche se si tratta di guerre e di violenza - mettano in pericolo la libertà interiore di ciascuno, che è poi la libertà di religione. Questo deve essere salvaguardato come patrimonio universale. Ognuno deve essere libero di vivere dove è nato, di seguire la propria coscienza, di esprimere apertamente la propria fede.

E ora il Papa offre a tutti il documento post-sinodale...

Sì, lo darà a tutti affinché tutti capiscano che vivere insieme si può, non è utopia. Proprio mercoledì scorso, durante l'udienza generale, parlando del suo prossimo viaggio, il Pontefice ha ancora una volta esortato i cristiani a essere costruttori di pace e protagonisti della riconciliazione. E li ha incoraggiati a proseguire sulla via del dialogo con tutti, perché la storia del Medio Oriente ci insegna il ruolo importante e spesso primordiale interpretato dalle diverse comunità cristiane proprio nel dialogo tra le religioni e tra le culture. Io credo che questo messaggio sia un ottimo strumento per un dialogo nuovo. Del resto, è bene ricordare che i cristiani hanno sempre partecipato alla costruzione del patrimonio culturale del Medio Oriente; e questo anche gli islamici lo sanno e lo accettano. Quindi è sbagliato ritenere che i musulmani non apprezzino i cristiani. Senza contare che anche tra i seguaci dell'islam ci sono piccoli protagonisti della riconciliazione: ne ho avuto esperienza meravigliosa proprio quando giravo nei villaggi tormentati dalla guerra. Credo che ancora oggi tra la gente comune vi siano tanti cristiani e tanti musulmani che inseguono lo stesso desiderio di pace e di riconciliazione.


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Di seguito un intervento di Leonardo Sandri ,Cardinale prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali

La vigilia dei viaggi apostolici è sempre carica di attesa, specie per la comunità ecclesiale che si appresta ad accogliere nel successore di Pietro il pastore inviato da Cristo a confermare i fratelli e le sorelle nella fede. Così incoraggiata, la fede dà vigore alla testimonianza e la rende perseverante, affinché la grazia del Vangelo rifluisca sulla società intera. È proprio la comunità umana, con la quale i cristiani condividono le prospettive di bene per il futuro, come le gioie e le difficoltà del presente, a percepire in ogni visita papale un dono. Una prova di una vicinanza. Un segno di un apprezzamento che addita i vari Paesi visitati alla sollecitudine di tutta la Chiesa e all'attenzione del mondo.
Ma in ognuna di tali vigilie, e mi riferisco sia ai viaggi di Benedetto XVI sia a quelli di Giovanni Paolo II, è sempre affiorata quella incertezza, che rende più intensa la preghiera affinché il Signore vegli sul pellegrino della speranza e della pace, e ne renda fecondo il servizio apostolico. Talora, le perplessità e persino le incomprensioni di talune componenti sociali o religiose delle nazioni destinatarie della visita avevano alimentato notevoli preoccupazioni. L'incontro, poi, si è puntualmente rivelato portatore di comunione all'insegna del rispetto ospitale, fino a suscitare il desiderio, del tutto inaspettato, di dare tempo ulteriore alla fraternità cordiale instaurata dalla presenza mite e avvincente di Benedetto XVI. Vorrei solo menzionare, tra i ricordi personali, il viaggio apostolico in Turchia e il clima disteso e costruttivo in cui si è svolto a comune soddisfazione e consolazione.
La visita in Libano è attesa dall'intera nazione. Si preannuncia come un avvenimento volto a confermarla in quella missione che le ha affidato Giovanni Paolo II, quando la definì "un messaggio" di convivenza rispettosa e solidale. Il Papa riconoscerà al "Paese dei cedri" tale esemplarità a dispetto delle smentite del passato e nonostante il delicato equilibrio del presente. Componenti religiose e tradizioni culturali dai caratteri storici talora nettamente e volutamente diversificati hanno saputo, infatti, avvicinarsi e rimanere vicine grazie a una plurisecolare frequentazione. Il profilo unificante del singolare processo va innegabilmente individuato nella dimensione religiosa della vita personale e sociale, palesemente riconosciuta, insieme ad altri elementi comuni di rilievo, quali la lingua araba. Su questa feconda base, tra le più alterne e a volte dolorose vicende, il Libano ha saputo credere nella "intesa possibile", mai cedendo alla fragilità dei risultati e piuttosto dando credito alla condivisa appartenenza a una "terra" venuta dalle mani di Dio e da lui benedetta quale casa accogliente per tutti.
Ma anche per questo viaggio la dimensione dell'incertezza non manca. Non possiamo negare l'apprensione forte e la pena che portiamo nel cuore in questa vigilia per l'inarrestabile violenza che affligge la Siria fino a lambire il Libano e a riversare sulla regione un flusso di profughi alla ricerca disperata di sicurezza e futuro. È il Papa stesso a riconoscere "la situazione spesso drammatica vissuta dalle popolazioni della regione martoriata da troppo tempo per gli incessanti conflitti" e a comprendere "l'angoscia di numerosi mediorientali immersi quotidianamente nelle sofferenze di ogni genere che affliggono tristemente, e talora mortalmente, la loro vita personale e familiare".
Così, anche stavolta, attesa e incertezza intensificano l'affidamento a Dio e alla sua Santissima Madre perché i passi della speranza e della pace del vescovo di Roma lascino una traccia profonda nei cuori e nei popoli del Medio Oriente. In termini particolarmente cordiali, all'Angelus di domenica scorsa, Benedetto XVI ha collocato il viaggio nell'esclusivo orizzonte della pace. "Vi do la mia pace" (Giovanni, 14, 27): è la parola di Cristo con la quale egli ha anticipato la benedizione offerta al "popolo libanese e alle sue autorità, ai cristiani di quel caro Paese e quanti verranno dai Paesi vicini". Il Santo Padre dona l'abbraccio della pace al "Libano e per estensione all'insieme del Medio Oriente" e impegna tutti in un dialogo al livello più alto e più vero, quello religioso. Con la forza di Gesù, il Papa di Roma, inerme come i profeti e perciò umilmente risoluto, invocherà la pace bussando alla coscienza di ciascuno, dei cattolici e dei fratelli in Cristo, come di tutti quanti condividono l'obbedienza al Dio unico e misericordioso.
Giunto a Beirut, egli dovrà salire verso la montagna che si affaccia sulla splendida baia ove è situata la capitale. Là si trova Harissa, con la nunziatura apostolica che lo ospiterà. Ma anche il santuario che la Chiesa melchita ha dedicato all'apostolo Paolo, dove consegnerà l'esortazione frutto del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Sempre sulla montagna, a Bkerké, residenza del patriarca maronita, incontrerà i giovani e li porrà sotto la protezione di san Marone. Vissuto 1600 anni or sono, il monaco fondatore della storica Chiesa che prende il suo nome, ci porta col cuore in Siria: là visse la sua dedizione straordinaria a Dio e ai fratelli, contribuendo "a far fiorire il deserto" con l'inarrestabile diffusione della vita eremitica nelle sue espressioni più rigorose. Vicino ad Harissa, a Charfet e Bzommar, il Papa sarà accolto rispettivamente dai Patriarchi siro e armeno cattolici per alcuni importanti momenti ecumenici e interreligiosi, prima della messa conclusiva di Beirut, dove giungeranno anche i pastori e i fedeli della Chiesa latina sia libanese sia dell'area circostante, come pure della Chiesa caldea e copta, perché siano rappresentate tutte le tradizioni che arricchiscono la Chiesa cattolica. Nella loro varietà, esse esaltano, infatti, la multiforme sapienza dell'unico Spirito di Cristo.
Una grande statua di Cristo Re, con le braccia spalancate tra la terra e il cielo, domina la montagna sovrastante Beirut. La si ammira, insieme alla Croce, prima di intravvedere quella, altrettanto imponente, di Nostra Signora del Libano attigua al Santuario di Harissa, che è il cuore mariano al quale tornano con l'emozione dei figli i libanesi della madrepatria e quelli sparsi nel mondo. Benedetto XVI dallo stesso monte eleverà la preghiera della pace quasi a reggere le braccia già aperte del Signore ed emulando la scena biblica di Mosè, sostenuto da Aronne e Cur perché mantenesse le mani oranti verso Dio. Purtroppo, anche ai nostri giorni, poco lontano da quella montagna "ferve la battaglia". Le Chiese del Libano saranno accanto al Papa, precedute dalla teoria luminosa dei loro santi e beati: Marone, Charbel, Rafka, Nimatullah, Yacoub, Esthephan. A esse si uniranno le Chiese dell'intero Medio Oriente, arricchite fin dall'epoca apostolica dalla intercessione dei martiri, dei padri e dei dottori, degli innumerevoli discepoli del Signore. Il Sinodo le ha poste sulle vie della comunione e della testimonianza. Ora sono decise a vivere l'Anno della fede nella responsabilità della nuova evangelizzazione. Pregando col successore di Pietro, e grazie al suo insegnamento, riusciranno ad alimentare ovunque la speranza perché mai si ceda con rassegnazione alla violenza e piuttosto si continui a credere fermamente nel dialogo e nella riconciliazione.
Tutto è pronto per lo storico viaggio. Non manchi la nostra preghiera perché il Libano possa parlare con voce ferma e convincente, insieme a Benedetto XVI, della pace radicata nel riferimento a Dio, la sola che trovando una superiore garanzia può aspirare a durare a lungo inalterata e stabile. È questo il "messaggio" più attuale che il Libano può donare al mondo. 


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Concludo con le parole di Gabriele Caccia
Nunzio apostolico in Libano
Il giorno di Pasqua, oltre all'esultanza per la festa della risurrezione di Nostro Signore, il Libano tutto ha ricevuto con grande gioia l'annuncio ufficiale della visita del Santo Padre.
Questa visita, che è contemporaneamente visita di Stato e visita pastorale, risponde all'invito indirizzato al Pontefice sia dal presidente della Repubblica, generale Michel Suleiman, che dai patriarchi e vescovi cattolici del Libano. Essa sottolinea e rafforza le eccellenti relazioni che da sempre esistono tra la Santa Sede e il Libano, che si appresta a ricevere per la terza volta un successore di Pietro. Infatti, già Paolo VI, il 2 dicembre 1964, scelse il "Paese dei cedri" sulla sua rotta per l'India per un breve scalo tecnico, che gli permise di incontrare all'aeroporto, seppur brevemente, il presidente della Repubblica, i patriarchi e vescovi, e una grande folla accorsa per l'occasione. Indimenticabile poi la visita di Giovanni Paolo II (10 e 11 maggio 1997), il quale affidò al Paese le sue conclusioni post sinodali nel testo dal significativo titolo: Una nuova speranza per il Libano.
Il motivo principale della visita di Benedetto XVI è la firma dell'esortazione apostolica, a conclusione dell'assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi, svoltasi in Vaticano nell'ottobre 2010, e la consegna di questo importante testo a tutti cristiani, alle autorità religiose e civili, come pure agli uomini di buona volontà del Medio Oriente e del mondo intero.
Il viaggio del Santo Padre renderà più evidente la collaborazione fattiva esistente fra i diversi riti cattolici ufficialmente presenti nel Paese (maronita, melkita, siro, armeno, caldeo, latino), nonché lo spirito ecumenico veramente fraterno che regna tra tutte le Chiese e comunità cristiane qui presenti, e incoraggerà inoltre il dialogo e la convivialità cordiale, proverbiale fra musulmani e cristiani libanesi. Per tali ragioni il viaggio del Papa assume più dimensioni: ecclesiale, sociale, nazionale, regionale e anche internazionale, specialmente a causa dei recenti fatti che hanno portato nell'ultimo anno questa regione all'attenzione delle cronache mondiali, sia a livello politico per i grandi cambiamenti avvenuti, che culturale per le prospettive nuove che sembrano emergere. In modo particolare la situazione drammatica che vive la popolazione della vicina Siria, per la quale più volte il Santo Padre è già intervenuto anche pubblicamente, sarà nel cuore e nella preghiera di Benedetto XVI, sempre particolarmente vicino a chi soffre ed è vittima di violenza e arbitrarietà.
Il Santo Padre viene come "amico di Dio" e successore di Pietro per ricordare a tutti l'importanza della presenza di Dio nella vita di ciascuno e per confermare i cristiani nella fede.
Il Santo Padre viene anche come "amico degli uomini" per ricordarci che siamo chiamati a vivere insieme e che questa convivenza è basata su uno spirito di accoglienza e di benevolenza verso l'altro.
In questo senso il Santo Padre viene come "pellegrino di pace" per annunciare e donare la pace che il Signore risorto ha lasciato ai suoi discepoli. "Vi dono la mia pace", è, infatti, il motto scelto per questo viaggio, così caro a tutte le popolazioni di questa regione e alle religioni qui presenti, che lo usano come saluto quotidiano. Un messaggio, quello della pace, destinato non solo ai discepoli di Cristo, ma attraverso di loro, al mondo intero. Una pace che è radicata nella giustizia, nel rispetto per l'altro, nella dignità di ciascuna persona davanti a Dio e alla comunità umana. Una pace che si può realizzare attraverso il dialogo e in uno spirito di riconciliazione e di perdono reciproco là dove ci sono ancora delle ferite da rimarginare. Il viaggio apostolico sarà anche un'occasione che permetterà a Benedetto XVI di visitare questa parte del mondo così cara a tutti i cristiani, perché è qui che la fede è nata e, nonostante tutte le vicende storiche anche drammatiche, ancora vive. Una terra benedetta per la presenza di Cristo, che ha attraversato la regione di Tiro e di Sidone, come ci narrano i vangeli, suscitando in lui l'ammirazione per la grande fede della donna siro-fenicia; una terra percorsa dagli apostoli e, secondo un'antica tradizione, dalla Vergine Maria, nonché da san Paolo, di cui abbiamo notizia nel libro degli Atti degli Apostoli; una terra di martiri che hanno testimoniato la loro fede fino all'effusione del sangue; una terra di eremiti, di monaci e di santi, anche recenti, come san Charbel, Hardini, Rafka, e i beati padre Jacques Ghazir Haddad, fratel Stefano Nehme e il venerabile padre Béchara Abou Mrad. Ma una terra che è anche cara ai credenti delle altre religioni monoteiste. Una terra, dunque, che per se stessa esige la capacità di vivere insieme e di condividere lo stesso destino.
Il Santo Padre ribadisce con questo viaggio la sua attenzione e il posto speciale che questa regione del mondo ha nel suo cuore e che si è manifestata con la convocazione del primo Sinodo speciale per il Medio Oriente oltre che con le sue visite compiute in altri Paesi della zona: Terra Santa, cioè Israele, Territori Palestinesi e Giordania, Turchia e Cipro. Egli invita così tutta la cristianità a guardare e a pregare per questi luoghi che hanno visto il nascere del cristianesimo e il suo divulgarsi con ardente spirito missionario.
Cresce in questi ultimi giorni in tutti i libanesi l'entusiasmo e l'attesa per l'arrivo del Santo Padre, fervono gli ultimi preparativi dei moltissimi coinvolti nell'organizzazione sia da parte dello Stato che della Chiesa, ma ciò che più è significativo è l'aspetto spirituale che si è intensificato con diverse iniziative a livello personale e comunitario: veglie di preghiera, di riflessione, e anche incontri islamo-cristiani. La speranza è che la presenza e la parola del Santo Padre diano un nuovo slancio a tutti e in particolare ai libanesi per compiere la loro missione di "Paese messaggio per l'Oriente e per l'Occidente" così bene espressa da Giovanni Paolo II, e che aiuti tutti a ricercare e a ritrovare la via della pace per tutto il Medio Oriente.
Sono certo che il Santo Padre, che ama molto questo Paese, troverà un'accoglienza calorosa, degna della rinomata ospitalità libanese.

Fonte: Osservatore Romano