Dio educa il suo popolo
[1] 1. Mi sento la testa piena e confusa. Ho letto,
ascoltato, trascritto testi e appunti di ogni genere sul tema dell'educazione. E
adesso tutto questo materiale mi è come stipato dentro, senza trovare una via
d'uscita soddisfacente. Vorrei dire e riesprimere tutte le cose udite, tenere
conto dei consigli ricevuti (scriva una lettera pastorale chiara, incisiva,
breve, convincente... ma tenga conto di questo, non ometta quell'altro...
insista sui principi, non vogliamo ricette... ci dia indicazioni pratiche,
scenda al concreto...).
Ho mal di capo e non so da che parte cominciare.
Ma ecco un lampo: perché sono qui e scrivo? Perché mi sto
interessando di queste cose? Perché mi sta a cuore comunicare qualcosa su questo
tema?
Perché Tu, o Signore, mi hai educato, Tu mi hai condotto fin
qui: Tu hai messo in me la gioia di educare "più gioia di quando abbondano vino
e frumento" (Salmo 4, 8). Sei Tu, o mio Dio, il grande educatore, mio e di tutto
questo popolo. Sei Tu che ci conduci per mano, anche in questa nuova fase del
nostro cammino pastorale. "Uno solo è il vostro Maestro" (Matteo 23, 8). "Come
un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati", Tu, o Signore,
"ci sollevi sulle tue ali"; ci fai "montare sulle alture della terra, ci nutri
con i prodotti della campagna"; ci fai "succhiare miele dalla rupe e olio dai
ciottoli della roccia" (Deuteronomio 32, 1-13).
Rivedo il mio cammino educativo. Alcuni educatori
meravigliosi: mia madre, alcuni preti e religiosi, qualche professore. Altri
meno "bravi", meno ammirati da noi ragazzi, ma tutti ci hanno pur dato qualcosa.
Attraverso questi tuoi strumenti sei Tu, o Padre, che ci hai educato fino a
oggi!
Penso al mio cammino di vescovo: posso dire anzitutto di me
ciò che ho scritto una volta del cardinale Ferrari: "un vescovo educato dal suo
popolo". Quanti stimoli formativi ricevo da tanta gente, che non mi lascia
dormire sui solchi già tracciati, ma continuamente scuote la mia pigrizia. Sei
Tu, o Signore, che agisci per mezzo di questo popolo e continui a educare
misericordiosamente questo tuo vescovo:
Ed ecco emergere il tema preciso di questa lettera: Dio educa
il suo popolo! Non dunque un trattatello di pedagogia, non una piccola miniera
di buoni consigli. Ma un messaggio di fiducia: Dio è in mezzo a noi, Dio ha
educato ciascuno di noi e tutti noi. Dio continua a educare. Noi educatori siamo
suoi alleati: l'opera educativa non è nostra, è sua. Noi impariamo da lui, lo
seguiamo, gli facciamo fiducia ed egli ci guida e ci conduce.
[2] 2. Il Signore ci fa passare dai cinque programmi
pastorali 1980-1986 a una nuova serie di programmi. I primi volevano esprimere
un'immagine di uomo e di Chiesa indicandone alcuni punti nodali. Questa seconda
serie, che comprenderà tre imperativi ("educare", "comunicare", "vigilare"),
vuol rispondere alla domanda: quali sono gli atteggiamenti, gli strumenti, i
metodi e gli ambiti nei quali prende forma la figura di uomo e di Chiesa locale
descritta nella prima serie di programmi pastorali?
Questa seconda fase non ci conduce dunque su sentieri
diversi. Si tratta di ripercorrere le stesse strade con un'attenzione cosciente
a dove mettiamo i passi, a come ci muoviamo, a quali mezzi ci avvicinano di più
alla meta.
Venendo in particolare al programma pastorale sull'educare,
si può dire che esso è al tempo stesso nuovo e vecchio. E' nuovo, perché nessuna
delle precedenti lettere è stata espressamente dedicata all'educazione.
Non è nuovo, perché la preoccupazione educativa ha sempre
accompagnato i cinque programmi fin qui svolti.
Così, ad esempio, la prima proposta (mettere in rilievo "la
dimensione contemplativa della vita" ) nasceva da una certa idea di uomo e
suggeriva una educazione impregnata di silenzio, di preghiera personale, perché
la persona umana potesse ritrovare la sua identità. Educando alla contemplazione
abbiamo inteso educare l'uomo a ritrovare se stesso, non ad aggiungere qualche
pratica religiosa in più (ma l'hanno capito davvero tutti?). Era questo anche lo
scopo delle "Scuole di preghiera".
La proposta successiva ("In principio, la Parola") indicava
un'immagine di uomo e di Chiesa in ascolto, in obbedienza a un progetto divino.
Di qui l'educazione alla "lectio divina", all'ascolto della Parola nella
liturgia, e il metodo delle "Scuole della Parola", che dai raduni giovanili in
Duomo si è esteso a tutta la Diocesi.
La terza proposta (mettere "l'Eucaristia al centro"), ha
educato a riconoscere la forza plasmatrice della Pasqua rivissuta dalla Chiesa,
superando la centralità autosufficiente dell'uomo con i suoi esiti negativi di
frammentazione e sgretolamento della coscienza.
Dalla centralità eucaristica abbiamo derivato la dimensione
missionaria della Chiesa ("Partenza da Emmaus") e l'essere "per la carità"
("Farsi prossimo").
Il Convegno di Busto Arsizio su "Catechisti testimoni" (1984)
e quello di Milano-Assago sul farsi prossimo" (1986) hanno voluto educare a
questi due atteggiamenti fondamentali della Chiesa e del cristiano.
Soprattutto l'ultimo tema del "Farsi prossimo" racchiude i
discorsi precedenti e li porta a maturazione. Perciò una riflessione
sull'educare che tenga conto del nostro cammino di Chiesa potrebbe esprimersi
semplicemente in una ricerca su come "educare a farsi prossimo", naturalmente
secondo tutta la vastità di questo termine, con ciò che esso presuppone quanto a
cammini di vita spirituale e personale e quanto a cammini di Chiesa. Se il farsi
prossimo rappresenta il momento sintetico e culminante di una visione di uomo e
di Chiesa, si tratta ora di passare dalla considerazione di questa immagine a
una riflessione esplicita degli ambiti, strumenti e metodi, mediante i quali ci
si appropria quotidianamente della proposta.
[3] 3. Il tema "educare" sarà il primo che affronteremo in
questa nuova fase pastorale. Ad esso dedicheremo il biennio 1987-89.
Si danno molte definizioni dell'educazione.
Essa è "introduzione nella realtà, alla realtà totale" (L.
Giussani che cita .r A. Jungmann). E' "una procreazione continua" (S. De
Giacinto); è un "dare aiuto, sostegno e guida ai "nuovi" della società da parte
degli "adulti", lungo un processo con il quale i "nuovi" si muoveranno sempre
più consapevolmente verso la loro autonomia" (da uno studio a cura dell'UCIIM);
comprende "ogni modificazione programmata della persona, specie nei primi anni,
mediante l'operazione sia di un intervento esterno, sia della libera decisione"
(J. Dikow), ecc.
Ogni definizione risente sempre un po' del tempo e
dell'ambiente in cui è elaborata.
Dalla molteplicità dei tentativi di definire questa realtà si
ricava che essa non è facilmente circoscrivibile in poche parole. Perciò la si
descrive più volentieri esplicitandone i fini. Essa "deve promuovere la
formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene
delle varie società di cui l'uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà
mansioni da svolgere" (Vaticano II, Gravissi suo itinerario educativo. Ma ciò
che diremo si applicherà anche al "secondo stadio", perché l'educare e
l'educarsi sono realtà contigue e comunicanti.
[4] 4. La nostra situazione educativa è stata analizzata più
volte in questi anni. Mi riferisco in particolare alle riflessioni fatte dal
Consiglio Pastorale Diocesano negli anni 1981-1982, che culminarono nel
pregevole documento "Spunti per un progetto di pastorale giovanile" dell'8
maggio 1982; dal Consiglio Presbiterale ("Pastorale giovanile", sessioni del 24
febbraio e 31 marzo 1981; "Educazione e Famiglia", 23-24 marzo 1987; "Educare",
9 giugno 1987); in occasione dell'inchiesta sulla catechesi agli adulti, in
preparazione al Convegno di Busto Arsizio nel 1984; nel Convegno di
Milano-Assago nel novembre 1986, con il conseguente avvio delle scuole di
formazione al socio-politico, ecc.
Qui mi limito a poche domande.
a) Sappiamo educare? Come ci comportiamo di fronte ai momenti
difficili dell'educazione? In essi si vede, infatti, se si è davvero capaci di
aiutare il ragazzo ad assumere per la prima volta coscienza di sé come totalità
e compiere un'opzione di fondo per la sua esistenza.
Interroghiamoci, dunque, su come ci comportiamo di fronte a
problemi come la mancanza di dialogo nelle famiglie, la resa educativa dei
genitori dopo i quattordici anni, la rassegnazione di fronte al potere magico
della televisione, l'apatia dei quindicenni e la loro solitudine di fronte ai
primi problemi affettivi...
Nell'ambito parrocchiale, come guardiamo a problemi come lo
svuotamento degli Oratori da parte dei ragazzi di una certa età, la fatica di
interessare i giovani a qualcosa che vada più in là del loro piccolo gruppo,
l'inerzia di molte realtà di base e la foga discutibile di altre, ecc.
E ancora a livelli più vasti, lo scarso rendimento dello
sforzo educativo della scuola, le ricorrenti rivolte generazionali, per non
parlare dei problemi più gravi come il vivere sulla strada, i pericoli della
droga, le tentazioni della violenza.
b) Siamo noi stessi educabili? Siamo pronti a mettere in
questione il nostro modo di educare, a sottoporlo al vaglio, a riconoscere le
nostre manchevolezze, a cambiare qualcosa?
c) Non c'è forse uno scarto tra le energie che impegniamo nel
campo educativo e i risultati raggiunti? Non mi si dica che sono pochi gli
educatori disponibili. Quando penso ai nostri oltre tremila preti diocesani e
religiosi, ai circa ottocento religiosi laici, alle oltre diecimila suore, ai
forse trentamila tra catechisti ed educatori di Oratorio, alle centinaia di
migliaia di genitori che si dicono cristiani, mi vedo di fronte a un esercito di
educatori straordinario. Prima di lamentarci che gli educatori sono pochi,
domandiamoci se coloro che tra noi in qualche modo esprimono una vocazione
educativa sono davvero impegnati secondo le loro possibilità. Ho talora
l'impressione che, tra molti che si dicono "educatori", spiri un vento di
incertezza, di rassegnazione, di rinuncia. Parecchi di loro sembrano dire come
Mosè: "Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso
troppo grave per me" (Numeri 11, 14). Si è come un po' bloccati e impotenti di
fronte a quelli che vengono denunciati come gli insuperabili ostacoli educativi
del mondo d'oggi (società permissiva, televisione, ambienti negativi frequentati
dai giovani, mentalità dominante, richiamo dei divertimenti, carenza di ideali,
ecc.).
Tale mentalità lamentosa e dimissionaria caratterizza
purtroppo tanti nostri ambienti, e fa si che anche gli sforzi buoni che ivi si
compiono e i sacrifici fatti non abbiano la forza incisiva che nasce dalla
fiducia di avere in mano una chiave educativa valida.
Non c'è spettacolo più deprimente che incontrare genitori o
educatori che si dolgono in continuazione dei loro ragazzi e non riescono a
convincersi di possedere strumenti educativi formidabili.
Mi pare che contribuisca a ciò anche un atteggiamento di
fondo errato, che chiamerei di "solitudine educativa", e che vorrei aiutare a
correggere con questa mia lettera.
[5] 5. Una lettera sull'educazione che volesse dire tutto
sarebbe diseducativa, perché contravverrebbe a un principio fondamentale
dell'educazione che è quello "maieutico": far emergere le cose dall'altro,
fargliele scoprire, invitarlo a completare il quadro abbozzato, a trovare le
lacune, ecc.
Queste pagine sono dunque uno stimolo a pensare. Vogliono
mettere in moto un processo di riflessione e di revisione dei pensieri, delle
idee e dei modi di agire abituali nel campo educativo.
Esse sono pensate per il primo anno del biennio pastorale che
dedicheremo all'"educare".
Nell'ultima parte di questa lettera sono contenute alcune
indicazioni programmatiche per questo anno 1 987-88 .
Nell'anno successivo chiederò alle principali agenzie
educative (Famiglia, Parrocchia e Oratorio, Scuola, Associazioni e Movimenti,
Istituzioni culturali...) di mettere in atto un riesame analitico dei propri
fini e dei propri mezzi. Se il Signore me ne darà grazia, accompagnerò questo
cammino con una lettera dal titolo "Itinerari educativi", che cercherà di
raccogliere le esperienze fatte per le diverse età e i diversi ambienti.
Quest'anno sarà invece dedicato ai principi generali comuni a
ogni realtà educativa. Sono convinto, infatti, che se non si esce un po' dal
cerchio immediato delle attività e dei problemi quotidiani sarà quasi
impossibile attuare un efficace rinnovamento.
Perciò, prima di arrivare a ulteriori specificazioni di
ambiti e strumenti educativi, ritengo pertinente, nella linea del "primato della
contemplazione", dedicarci anzitutto a una riflessione più generale su "Dio
educatore" e sulle conseguenze che ne derivano per ogni cammino formativo.
Infatti solo guardando più in alto possiamo poi sperare di vederci un po' meglio
anche nelle nostre situazioni quotidiane.
Per quanto riguarda una prima utilizzazione immediata della
lettera, vi offro questi suggerimenti:
1. Anzitutto contempliamo, con l'aiuto della Scrittura, Dio
educatore. Leggiamo nelle pagine dell'Antico e del Nuovo Testamento come Dio,
mediante i suoi strumenti, i profeti e gli apostoli, e soprattutto nel suo
Figlio, educhi e guidi i singoli e il popolo. Potremo partire dalle indicazioni
date nella prima parte della lettera, ampliandole con la lettura personale della
Scrittura e con l'aiuto di sussidi. Insistiamo nella preghiera, perché il
Signore ci faccia comprendere che è Lui il grande educatore, e che noi siamo i
suoi discepoli e i suoi alleati, collaboratori e strumenti nel cammino
educativo.
2. Riflettiamo poi, a partire da tali convincimenti, su che
cosa si fa o non si fa oggi presso di noi a proposito dell'educazione.
Confrontiamo i principi generali esposti nella seconda parte della lettera con
quanto noi pensiamo, con le nostre concezioni ed esperienze. Dialogando tra noi
educatori, domandiamoci se abbiamo anzitutto le idee chiare e guardiamo davvero
in faccia a tutta la realtà, poi se abbiamo il coraggio e la gioia di educare,
infine come viviamo questo compito.
3. Da ultimo, esaminiamoci, con l'aiuto della terza parte
della lettera, sul modo con cui le nostre istituzioni educative in generale
riflettono i valori che abbiamo contemplato, e su come potremmo prevedere un
processo di autoanalisi e di valutazione dei risultati che di fatto otteniamo
con i nostri attuali strumenti educativi e delle difficoltà o degli insuccessi.
[6] 6. Assumo come testo fondamentale il passo del Cantico di
Mosé che descrive l'azione educativa di Dio per il suo popolo:
"Egli lo trovò in una terra deserta,
in una landa di ululati solitari.
Lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, (1)
lo custodì come pupilla del suo occhio.
Come aquila che veglia la sua nidiata
che vola sopra i suoi nati
egli spiegò le sue ali e lo prese
lo sollevò sulle sue ali.
Il Signore lo guidò da solo,
non c'era con lui alcun Dio straniero"
in una landa di ululati solitari.
Lo educò, ne ebbe cura, lo allevò, (1)
lo custodì come pupilla del suo occhio.
Come aquila che veglia la sua nidiata
che vola sopra i suoi nati
egli spiegò le sue ali e lo prese
lo sollevò sulle sue ali.
Il Signore lo guidò da solo,
non c'era con lui alcun Dio straniero"
(Deuteronomio 32, 10-12)
Questo passo non è isolato, ma esprime una persuasione
costante della Scrittura: è Dio il grande educatore del suo popolo. Il castigo
più terribile che potrebbe colpire gli uomini della Bibbia non sarebbe quello di
punizioni particolari, ma di sentirsi abbandonati da questa guida amorevole,
sapiente, instancabile.
(1) La prima edizione della versione C.E.I. leggeva al v.
10b: "Lo circondò, lo allevò". L'edizione successiva legge come indicato sopra.
Il testo ebraico ha due verbi, il primo dei quali appare in una forma solo in
poesia, e indica la cura affettuosa con cui Dio "circonda" l suo popolo, Io
segue e lo nutre facendolo crescere con amore. Il secondo verbo vuole indicare
la comunicazione della vera intelligenza per scoprire il progetto divino nella
storia.
L'azione educativa comporta dei momenti di rottura col
passato (l'uscita dalla terra deserta, dalla landa di ululati solitari); si
compie attraverso una crescita progressiva, propiziata da gesti di attenzione e
di amore (lo educò, ne ebbe cura, lo custodì); comporta una "partnership" e una
elevazione profonda dello spirito (lo sollevò sulle sue ali); esige una fiducia
assoluta e incondizionata (il Signore lo guidò da solo, non c'era con lui alcun
Dio straniero).
Sono convinto che molti insuccessi educativi hanno la loro
radice nel non aver noi capito che "Dio educa il suo popolo", nel non aver colto
la forza del programma educativo espresso nelle Scritture, nel non esserci
alleati col vero educatore della persona. D'altro canto sono convinto che una
fiducia rinnovata nella forza educativa del Vangelo può ridare fiato a molti
nostri educatori, togliere loro la sensazione di dover portare un peso superiore
alle proprie forze e di lottare contro nemici troppo forti.
Sono pure convinto che una retta concezione di "Dio
educatore" è di fatto molto vicina a una sana comprensione "laica" dell'educare,
intesa nei suoi aspetti positivi, e cioè nella percezione dell'importanza della
libertà, nel sommo rispetto per chi è educato, nella rinuncia a ogni
manipolazione. Infatti il vero senso della libertà presuppone che si sappia "per
che cosa" si è liberi; il rispetto per l'educando non viene dato con un atto di
fiducia cieco, ma confidando nel "maestro interiore", che muove e attira
ciascuno; ogni manipolazione educativa viene esclusa dalla certezza che è nel
santuario della coscienza, nel "cuore", che ciascuno assume le decisioni
definitive
Mettendo al centro l'azione di Dio si pone in più chiara luce
l'attività sia dell'educatore che del soggetto da educare: l'educando viene
stimolato a collaborare con la forza interiore che è in lui, di cui la comunità
educante è alleata. Predomina dunque il rispetto per il processo di
autotrascendenza morale, intellettuale e religiosa dell'adolescente in cammino
verso il proprio io autentico, quello che "è stato fatto per mezzo della Parola"
e che ora è evento mediato dalla stessa Parola.
[7] 7. La Scrittura ha una ricchissima tradizione per quanto
riguarda il tema educativo.
Essa è piena di spunti pedagogici e didattici, espressi sia
nel linguaggio figurato della parabola, sia nella forma dell'esempio, sia nei
detti sapienziali. Il popolo ebraico aveva elaborato un sistema educativo molto
raffinato, e nella Scrittura si trovano tracce di una tradizione pedagogica di
prim'ordine.
Tuttavia noi non siamo interessati, qui, ai particolari.
Ci interessa l'intuizione globale che abbiamo espresso
all'inizio: Dio educa il suo popolo!
Ci domandiamo, dunque, quali sono le coordinate fondamentali
del cammino educativo che Dio fa percorrere al suo popolo e a ciascuno dei suoi
figli. Tali coordinate sono illuminanti anche per il nostro compito educativo.
Sinteticamente le esprimerei così: si tratta di un processo
educativo:
1. personale e insieme comunitario;
2. graduale e progressivo;
3. con momenti di rottura e salti di qualità;
4. conflittuale;
5. energico;
6. progettuale e liberante;
7. inserito nella storia;
8. realizzato con l'aiuto di molteplici collaboratori;
9. compiuto in maniera esemplare nella vita di Gesù;
10. iscritto nei cuori mediante l'azione dello Spirito Santo nell'"uomo interiore";
11. espresso nel cammino di fede di Maria "Redemptoris Mater".
2. graduale e progressivo;
3. con momenti di rottura e salti di qualità;
4. conflittuale;
5. energico;
6. progettuale e liberante;
7. inserito nella storia;
8. realizzato con l'aiuto di molteplici collaboratori;
9. compiuto in maniera esemplare nella vita di Gesù;
10. iscritto nei cuori mediante l'azione dello Spirito Santo nell'"uomo interiore";
11. espresso nel cammino di fede di Maria "Redemptoris Mater".
[8] 8. Si tratta anzitutto di un processo che non ha per
termine unicamente l'individuo, ma un intero popolo. Le singole persone sono
educate, amate e rispettate nella loro individualità; a ognuna di esse si
attribuisce un valore assoluto: ma il termine della educazione non è
semplicemente lo sviluppo o il perfezionamento del singolo, è la maturità
dell'intera collettività.
La maturità di ciascuno non si attua se non nella maturazione
della comunità; e la pienezza di sviluppo della comunità comprende e presuppone
la raggiunta pienezza del singolo.
Nella Scrittura i due aspetti (collettività - individuo) sono
talmente collegati e fusi insieme che spesso non è facile determinare se un
testo al singolare si riferisca solo ad una singola persona storica o all'intero
popolo, mentre d'altra parte molti testi al plurale possono applicarsi al
cammino e alle vicende di una persona singola e al suo sviluppo spirituale.
Questo ci fa intendere che il processo educativo di cui parla la Scrittura è
quello di una persona nell'ambito del suo gruppo, e quello di una comunità
chiamata a una maturazione globale mediante la maturazione di tutti i suoi
membri.
Si legga, ad esempio, Osea 2, 16ss:"Perciò, ecco, la attirerò
a me. Ia condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore... Ià canterà come nei
giorni della sua giovinezza... ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con
me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore"
Queste parole sono dirette a tutto il popolo, che appare
sotto l'immagine di una donna infedele, rimessa alla prova con l'ardore del
primo fidanzamento e ricolmata di beni. Ma molti santi nella storia di Israele e
della Chiesa hanno letto queste parole come rivolte a se stessi e al proprio
cammino di persone singole, e hanno fatto ciò legittimamente.
Così è possibile viceversa applicare al cammino del popolo
appelli che sembrano anzitutto rivolti a una persona singola. E' il caso di
tanti Salmi che sembrano parlare a un solo fedele o esprimere le suppliche di un
individuo a partire dal suo caso particolare, ma possono anche essere letti come
oracolo per il popolo e suppliche di tutto il popolo.
E' tipico a questo proposito il "Miserere" che, da Salmo di
penitenza individuale ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia": Salmo
50 (51), 1), diviene invocazione per tutto il popolo ("Nel tuo amore fa' grazia
a Sion, rialza le mura di Gerusalemme": vers. 20).
In conclusione, dicendo che Dio educa il suo popolo si vuol
dire che Dio è educatore di ciascuno di noi, di ogni uomo e donna che vengono in
questo mondo, ma sempre nel quadro di un cammino di popolo, di una comunità di
credenti; Dio educa un popolo nel suo insieme, con attenzione privilegiata verso
il cammino di ciascuno.
La ragione penultima di ciò è la natura comunitaria della
persona: nessuno diviene uomo nel senso pieno del termine, nessuno giunge
all'esercizio storico autentico della sua libertà senza una comunità a
cominciare da quella della famiglia. Una persona che si sviluppa senza comunità
è di fatto impensabile. Ma anche la comunità ha una "personalità" che non è solo
la somma dei singoli individui; ha un destino e una dignità storica propri.
La ragione ultima di questa dialettica persona-comunità sta
invece nel fatto che l'umanità è chiamata alla comunione con Dio nell'adesione
strettissima, in un solo corpo, a Gesù, Verbo incarnato, che riassume in sé
tutti i destini umani: i destini di tutti e di ciascuno (cf. Efesini 1, 3-23;
Colossesi 1, 1 5-20).
A questo binomio persona-comunità noi possiamo dare un nome,
semplice e ricchissimo: Chiesa. Essa è il popolo dei liberi figli di Dio.
Nell'Eucaristia, specialmente nell'assemblea domenicale, si esprime in maniera
privilegiata la chiamata di ciascuno, con le sue caratteristiche personali e
inalienabili, a formare con tutti gli altri un solo corpo nell'unico corpo del
Signore (cf. 1 Corinti 10, 17), a essere "una cosa sola" nella partecipazione
alla comunione trinitaria (cf. Giovanni 17, 21).
[9] 9. Gradualità significa, anzitutto, saper partire sempre
dal punto in cui si trova il soggetto da educare. Non si tratta quindi di
programmare a tavolino un punto di partenza, o di supporre chissà quali
preparazioni nell'educando. Occorre rendersi conto di dove il soggetto in realtà
si trova. Bisogna fare come Filippo, che si accosta al carro del tesoriere della
regina d'Etiopia, vede quell'uomo immerso nella lettura e parte da questa
circostanza: "Comprendi ciò che leggi?" (Atti 8, 26-30).
Anche se la situazione fosse disastrosa, occorre non chiudere
gli occhi. Così Deuteronomio 32, 10 ci dice che Dio trovò il suo popolo "in una
terra deserta, in una landa di ululati solitari".
Si veda anche in Ezechiele 16, 3-5 una descrizione plastica
dello stato miserevole da cui Dio tira fuori il suo popolo e si consideri quanto
detto, ad esempio, da Ebrei 1, lss; 6, lss e Osea 11 sulla "condiscendenza"
divina, atto pedagogico nella linea della progressività.
All'inizio di ogni processo educativo c'è dunque la domanda:
Adamo, dove sei? (cf. Genesi 3, 9).
L'importante è chiedersi: dove si trova questa persona,
questo gruppo, questa comunità? hanno già compiuto un cammino serio? oppure sono
all'"abc" della fede? si trovano in un momento di depressione, o di
scoraggiamento? Definire con amore e con diligenza il punto di partenza è sempre
il primo passo per un cammino veramente graduale.
Noi spesso, invece, non ce ne rendiamo conto e rovesciamo
addosso alle persone o ai gruppi conigli e suggerimenti non assimilabili in quel
momento, e che diventano fonte piuttosto di confusione e di appesantimento che
non di incoraggiamento e di stimolo.
La seconda caratteristica della gradualità è la cura di
individuare in ogni situazione il passo successivo da compiere. Si tratta di
quel passo che una persona può davvero fare.
Non dunque una richiesta esorbitante o eccessiva, e neppure
una richiesta troppo blanda, tale da non costituire un vero e proprio passo in
avanti. Alla bambina di dodici anni risuscitata, Gesù non chiede alcun gesto
particolare, se non la semplice voglia di riprendere a vivere, ordinando ai
genitori "di darle da mangiare" (Marco 5, 43). All'indemoniato guarito, che
desidera stare con lui, Gesù non lo permette: "Va' nella tua casa, dai tuoi,
annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto" (cf Marco 5, 19). A colui che
dichiara di aver osservato i comandamenti fin dalla giovinezza, chiede il
massimo: Va', vendi, vieni, seguimi! (cf. Marco l0, 21 )
Occorre che il soggetto da educare sia stimolato dolcemente e
coraggiosamente a fare qualcosa di più di ciò che sta facendo, occorre che gli
sia impedita la stagnazione e la ripetitività morale e spirituale, ma insieme
occorre che non venga scoraggiato con richieste sproporzionate, senza che gli
siano risparmiate richieste audaci.
E' interessante osservare, a questo proposito, come tanti
precetti morali dell'Antico Testamento, soprattutto nel campo della morale
familiare e sociale, si elevano al di sopra delle richieste dell'ambiente
pagano, ma non al punto da apparire inattuabili o da creare un senso di
frustrazione o di disperazione in colui che è chiamato a osservarli.
Il terzo momento che caratterizza la gradualità di un
cammino, è la capacità di proporre un itinerario. Sarebbe bello rileggere, ad
esempio, l'intero vangelo di Marco come itinerario educativo proposto ai Dodici,
in particolare a Pietro (cf. il mio volumetto: L'itinerario spirituale dei
Dodici, 1981). Essi vengono colti nel loro punto di partenza di pescatori
incolti, con un desiderio intenso ma ancora vago di religiosità, con una certa
attesa di salvezza; di qui vengono portati gradualmente al riconoscimento del
Salvatore, del Messia che deve soffrire, fino all'accoglienza della Croce e
della Risurrezione. La capacità di costituire itinerari per i soggetti da
educare è tipica dell'azione divina nella Scrittura, e deve diventare una
capacità educativa propria di ciascuno.
[10] 10. Ma sarebbe erroneo concepire il cammino educativo
come un semplice processo evolutivo, che va dal meno bene al bene, dal bene al
meglio, in una tranquilla successione di passaggi sempre più esigenti.
In realtà esistono nell'itinerario pedagogico cristiano dei
momenti caratteristici di rottura, senza i quali non si può neppure parlare di
"educazione cristiana", ma di semplice principio evolutivo naturale.
Il momento fondamentale della rottura, che caratterizza il
cammino formativo cristiano, è chiamato la "conversione": "Il tempo è compiuto e
il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo" (Marco 1, 15).
Questa parola di Gesù è decisiva per tutto il processo educativo: non c'è
semplicemente una partenza da zero; c'è un momento di rottura col passato, una
svolta completa.
Senza di esso, l'educazione cristiana non raggiungerebbe la
sua verità.
Tale momento di rottura viene ripreso in momenti successivi,
che allora meglio si caratterizzano come "salti di qualità". L'uomo ricco che si
presenta a Gesù (Marco 10, 17-22), aveva già compiuto un cammino di osservanza
della legge. Gesù gli chiede un salto: Va', vendi quello che hai e dallo ai
poveri. Questo passaggio è decisivo. Gesù non lo risparmia, non lo ribassa, ha
il coraggio di proporlo con fermezza, anche di fronte al rischio di un rifiuto.
La "vocazione" in particolare quella di speciale dedicazione (al sacerdozio,
alla vita religiosa, alla consacrazione secolare...), ha la caratteristica di un
coraggioso "salto di qualità".
Ciò vuol dire che l'itinerario cristiano non è un semplice
cammino in ascesa. Vi sono momenti in cui occorre decidersi per un salto
qualitativo.
Quando avvengono questi salti? come sapere quando è il
momento della rottura e quando, invece, è il momento della continuità?
E' proprio dell'arte educativa cristiana cogliere la
differenza dei due momenti, e la provvidenzialità di ciascuno di essi nella vita
dei singoli e delle comunità.
Al riguardo, le diversità sono grandissime. Basta leggere la
vita dei santi. Per alcuni santi, il momento della conversione è chiarissimo e
può essere determinato quasi cronologicamente.
Così, ad esempio, per s. Agostino o per s. Camillo de' Lellis,
o per s. Ignazio. Il cammino di altri, invece, sembra essere una progressione
tranquilla, come quello di santa Teresa di Gesù Bambino. Ma anche in questo
caso, chi esaminasse attentamente troverebbe che vi sono salti di qualità,
momenti decisivi, senza i quali tutto il cammino successivo verrebbe messo in
forse o reso impossibile.
L'educazione cristiana, dunque, non è attenta soltanto al
processo generale di sviluppo, ma anche ai passaggi difficili e rischiosi, alle
riprese della conversione fondamentale.
Il momento della conversione può essere talora nascosto sotto
un'apparenza di semplice progresso; in realtà, la rottura col passato
peccaminoso e con la concezione puramente naturale di sé e della vita fa parte
di ogni cammino cristiano autentico.
A questo proposito è importante notare come l'età compresa
tra i 12 e i 15 anni costituisca un particolare momento di passaggio e di
rottura per i ragazzi e le ragazze. In esso avviene quella che potremmo chiamare
la presa di coscienza di sé come totalità. La persona si coglie, per la prima
volta, come un tutto, rispetto al quale deve prendere decisioni importanti.
Tutto ciò che è stato assimilato fino a questo momento, deve essere ripreso in
mano personalmente e rilanciato con una forte decisione, che metta ciascuno in
verità davanti a Dio, gli faccia prendere posizione di fronte a Cristo.
Considerare questo periodo difficile come semplice passaggio
in cui basta mettere in pratica le indicazioni avute negli anni precedenti,
potrebbe essere la causa del fallimento educativo.
Guardando alla decisione di Maria nell'Annunciazione,
l'educatore cristiano dovrà continuamente domandarsi qual è il momento in cui
Dio chiede decisioni importanti, preparare a questo momento e accompagnare chi
si trova in situazioni di scelta.
[11] 11. Si consideri, ad esempio, il Salmo 77 (78), ("Popolo
mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento..."). E' una meditazione sul passato
di Israele, in cui si richiamano i benefici fatti da Dio al suo popolo e vengono
espresse le diverse vicende del processo educativo attraverso le quali Israele è
passato: "Diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza, e
le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe,
ha posto una legge in Israele".
Queste vicende non sono unicamente positive: sono anche
vicende negative. Accanto al bene della ubbidienza alla guida paterna, sta anche
la disubbidienza ("Non osservarono l'alleanza di Dio, rifiutando di seguire la
sua legge"). Accanto alle indicazioni positive sta anche il castigo ("All'udirli
il Signore fu adirato; un fuoco divampò contro Giacobbe").
Tutto il cammino di Israele è ritmato da questa perenne
conflittualità.
Il cammino educativo non ha mai uno svolgimento tranquillo: è
segnato dalla resistenza e dalla ribellione.
Si leggano ancora i Salmi: 88 (89); 105 (106); 106 (107),
ecc. Si legga la confessione penitenziale di Neemia (9, 6-37). Dappertutto
appare che la guida del popolo ha richiesto a Dio un'infinita pazienza, una
continua ripresa, una riprogettazione instancabile del cammino. Non di rado il
popolo non capisce l'azione di Dio nei suoi riguardi, e se ne lamenta, come
quando dice a Mosé: "Forse perché non c'erano sepolcri in Egitto, ci hai portati
a morire nel deserto?... Non ti dicevamo in Egitto: Lasciaci stare, e serviremo
gli Egiziani? " (Esodo 14, 11-12; cf . Esodo 16, 3; 17, 3; ecc.).
Soltanto così il processo educativo appare in tutto il suo
realismo. Si legga ancora l'inizio del libro dei Giudici (2, 11-22): propone,
come in altri passi dei libri storici, riflessioni generali, che riguardano le
alterne vicende dell'azione educativa di Dio verso il suo popolo. Appare chiaro
che questa azione non si è svolta in situazioni facili e con esiti sempre
favorevoli, ma è stata coinvolta nella giungla delle vicende storiche più
avverse, ed è stata continuamente insidiata e minacciata dalla fragilità umana.
L'azione educatrice di Dio verso il suo popolo assume così un
realismo impressionante. La sentiamo vicina a tutti i nostri scacchi educativi,
a tutte le nostre lamentele di educatori. Il meditarla ci dà coraggio, in un
tempo in cui educare sembra diventato più difficile.
[12] 12. Vorrei ora esprimere una caratteristica dell'agire
educativo di Dio che sembra essere un po' scomparsa dalla riflessione pedagogica
corrente, almeno nella pratica quotidiana.
La indicherei così: Dio nella storia di salvezza si mostra un
educatore "energico". Non molle o accondiscendente, non rassegnato o fatalista,
ma impegnato, deciso, capace anche di rimproverare.
Se educare vuol dire aiutare ciascuno a trovare la propria
strada, sembra strano che non si debbano effettuare ogni tanto delle "correzioni
di rotta" in un cammino che, altrimenti, diventerebbe deviante. Oggi si tende a
emarginare questa idea: al massimo, si accetta che si debba gentilmente avvisare
qualcuno che forse sta andando fuori strada, lasciando poi a lui di scoprire da
solo le conseguenze disastrose dei suoi atti.
Forse uno dei problemi più spinosi dell'attuale momento
educativo si potrebbe esprimere col seguente dilemma: è giusto impedire a
qualcuno di fare il male, oppure bisogna lasciargli le briglie sciolte finché
lui stesso non sbatta il naso contro il muro e si convinca, forse troppo tardi,
che quella via era senza uscita?
Ascoltiamo anche qui la parola di Dio. Mi limiterò a citare
tre testi del Nuovo Testamento, che riassumono bene 1'antica saggezza di Israele
e la applicano alla lettura del disegno divino nella storia.
Cominciamo dal testo più tardivo: Apocalisse 3, 19. E'
1'ultima delle sette lettere alle Chiese. A colui che è chiamato "angelo della
chiesa di Laodicea" viene fatto un solenne rimprovero: "Conosco le tue opere: tu
non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei
tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca". E,
dopo 1'esposizione delle ragioni di questa irritante "tiepidezza" del
responsabile della comunità di Laodicea (e conseguentemente anche della comunità
nel suo insieme), si enuncia il principio per cui viene fatto un così severo e,
ai nostri orecchi, urtante rimprovero: "Io tutti quelli che amo li rimprovero e
li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti" (Apocalisse 3, 19). La radice
da cui nasce il rimprovero è dunque l'amore: io tutti quelli che amo li
rimprovero! Oggi, non sarà forse uno scarso amore a creare una certa ritrosia al
rimprovero?
Quando si ama poco non si sa rimproverare davvero: ci si
lamenta, si diviene pungenti, si punisce col silenzio o con la recriminazione
astiosa o rassegnata. Ma il rimprovero diretto, franco, preciso non emerge,
perché il cuore è fiacco, oppure gravato lui stesso da sensi di colpa. Come
possono infatti i genitori rimproverare sul serio ai figli cose che essi, in
fondo, non sono capaci di evitare nella loro vita?
"Rimproverare" non è dunque il semplice buttare in faccia le
colpe, quasi scaricandosi di un peso. Il verbo greco usato in Apocalisse 3, 19
significa "confuto, refuto, mostro il torto". Rimproverare è smascherare le
false certezze, smontare le ragioni fasulle, contestare le legittimazioni
improprie, che stanno dietro ai comportamenti sbagliati. Tutto ciò è molto di
più del semplice "rimbrotto" di cui spesso ci accontentiamo, lamentandoci poi
che non ha avuto effetto. Occorrono molto amore, molta intelligenza, anche molta
riflessione per giungere a un rimprovero che abbia il calore e la forza
persuasiva e insieme l'umiltà del rimprovero fatto dal cardinale Federigo a don
Abbondio.
Il testo dell'Apocalisse aggiunge: "Li rimprovero e li
castigo". Il verbo greco qui significa di per sé "educo". E' un richiamo al
principio di Dio educatore, e al fatto che nell'educare Dio non risparmia le
maniere forti.
Splendido è il richiamo all'intimità, che dà calore
all'azione educativa e mette in luce il tono "affettuoso" da cui è avvolto il
rimprovero: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta e mi apre la
porta, io verrò da lui, e cenerò con lui, ed egli con me" (Apocalisse 3, 20).
Il secondo testo, che voglio richiamare è tratto dalla
lettera agli Ebrei (12, 5-7). Esso inizia con una citazione del libro dei
Proverbi, cioè del libro che raccoglieva la saggezza antica di Israele: "Figlio
mio, non dlsprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando
sei ripreso da lui; perché il Signore corregge chiunque egli ama e sferza
chiunque riconosce come figlio" (cf. Proverbi 3, 11-12 nel testo greco). Vi si
sottolinea l'amore paterno che presiede alla correzione, così come in Apocalisse
3. L'autore della lettera agli Ebrei applica il testo alle prove della vita,
esortando a cogliere anche le più dolorose, anche le persecuzioni, come momento
dell'amorosa pedagogia divina: "E' per la vostra correzione che voi soffrite!
Dio vi tratta come figli... Certo ogni correzione sul momento non sembra causa
di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia per
quelli che sono stati addestrati" (Ebrei 12, 7-11).
Infine richiamo una pagina del IV vangelo: "Il padre mio è il
vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che
porta frutto lo pota perché porti più frutto" (Giovanni 15, 1-2).
Quest'ultimo testo esprime l'azione educativa di Dio sotto la
metafora del contadino paziente e tenace. In un primo tempo, ispirandomi proprio
al brano evangelico di Giovanni, avevo pensato di intitolare così questa lettera
sull'educazione: "Perché portiate più frutto!".
Mi era sembrato di cogliere qui un punto fondamentale
dell'impegno educativo: non accontentarsi cioè di una qualsiasi risposta, di un
cammino mediocre, di "evitare il peggio"; ma chiedere molto ai ragazzi e ai
giovani, impegnarli fortemente, non risparmiare loro il sacrificio, essere gli
agricoltori che potano i tralci della vite perché portino più frutto. Così Dio
agisce con coloro che ama!
[13] 13. I tre testi biblici richiamati si presterebbero a
ulteriori considerazioni, alcune delle quali superano l'ambito di questa
lettera, perché entrano nel tema dei diversi metodi educativi, del passaggio dai
sistemi "repressivi" a quelli "preventivi", di cui è maestro s. Giovanni Bosco.
Per il nostro scopo basta che io ricordi alcune conclusioni generali.
1. Educare non vuol dire accontentare sempre.
Bisogna avere il coraggio di fare affrontare delle sofferenze
a chi viene educato.
2. Educare non vuol dire approvare sempre, dissimulare lo
scontento, incoraggiare soltanto. Bisogna avere il coraggio della verità, pur
rispettando la gradualità.
3. Un'educazione realistica della persona umana esige anche
l'intervento correttivo, proprio perché nessun uomo nasce perfetto. Tutti siamo
un po' egoisti e avidi fin dalla nascita. Il terreno deve essere dissodato e
lavorato (cf. Luca 13, 8), l'amministratore controllato e corretto (cf. Luca 16,
2).
Educare significa talora anche "contrariare". Permettere o,
peggio, favorire la crescita incontrastata degli istinti negativi della persona,
non frenare i capricci, l'aggressività distruttiva e i vizi che la disumanizzano,
non correggerne i difetti e le pulsioni egoistiche significa rinunciare alla sua
educazione.
Occorre trovare il modo giusto, ma non rinunciare alla
correzione.
4. La verità che non viene dall'amore non educa, ma esaspera.
Solo da un grande amore paterno e materno nasce anche la saggezza di
rimproverare nei tempi e nei modi debiti.
5 Correggere non è soltanto dire "hai sbagliato", ma mostrare
le ragioni ("confutare", "convincere" di Apocalisse 3, 19). Ciò nasce da un
amore intelligente, che pensa e riflette prima di rimproverare, che ha sempre in
mente il fine da raggiungere, che ricorre alla discrezione de] dialogo a tu per
tu prima che a interventi in pubblico. Volesse il cielo che anche la "correzione
fraterna" tornasse di nuovo in onore in mezzo a noi, così come accadeva nelle
primitive comunità! (cf. Matteo 18, 15; Galati 2, 14).
[14] 14. Dio non educa "a casaccio", cioè con interventi
educativi saltuari o sconnessi. L'azione educativa nella storia è sempre
"mirata", anche se non è facile cogliere ogni volta il senso di un singolo
intervento. Così dovrà essere anche nell'educazione umana, dove la progettualità
non significhi far entrare tutto in uno schema rigido, ma avere il senso del
fine e delle mete intermedie, e operare con elasticità ed equilibrio, per tenere
o riportare in tensione verso il fine i diversi momenti.
Il "fine ultimo" dell'educazione non può essere descritto
come una figura geometrica, perché è una realtà vivente: è la maturità del
singolo e dell'intero popolo di Dio.
Vi sono pero ogni tanto nella Scrittura pagine che evocano,
richiamano, descrivono qualcosa del "sogno di Dio", di ciò che l'azione
educativa divina persegue nella storia. E' il renderci "santi e immacolati al
suo cospetto nella carità... a lode e gloria della sua grazia... per
ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra"
(cf. Efesini 1, 5-10). E' il "giungere tutti all'unità della fede e della
conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che
conviene alla piena maturità di Cristo" (Efesini 4, 13). E' il farci passare
dall'essere "predestinati" ad essere "conformi all'immagine del Figlio suo", dal
sentirci "chiamati" all'essere "giustificati" e "glorificati" (cf. Romani 8,
29-30). E' il realizzare in pienezza quella "immagine di Dio", secondo la quale
sono stati creati l'uomo e la donna (cf. Genesi 1, 26-27). E' farci "diventare
figli di Dio"... "da Dio generati" (Giovanni 1, 13) "partecipi della natura
divina" (2 Pietro 1, 4).
In queste e in molte altre pagine viene descritto l'insieme
di un progetto che appare sempre grandioso ed entusiasmante. Si tratta di
giungere a quella autenticità e pienezza personale che risplende nella vita e
nella morte di Gesù, uomo perfetto. Si tratta di divenire tutti insieme quella
città splendida, la "nuova Gerusalemme" che scende "dal cielo, da Dio", in cui
"non ci sarà più la morte, né lutto, né lamenti, né affanno" (Apocalisse 21,
2.4).
Altre pagine descrivono quella che potremmo chiamare la
"delusione educativa" di Dio: così, ad esempio, il capitolo 3 della Genesi, i
capitoli 1 e 2 della lettera ai Romani. In esse si vede come Dio affronta
l'insuccesso educativo, non se ne lascia scoraggiare, ma riprende e ripropone il
suo piano fondamentale, addirittura con delle aperture che il processo educativo
non avrebbe avuto senza queste delusioni.
Dalla riflessione su queste pagine "progettuali" della
Scrittura ricaviamo, anzitutto, che vi è un rapporto profondo tra "educazione" e
"verità", e che la forza dell'azione educativa e del personale cammino verso la
maturità è proporzionata all'attenzione con cui assimiliamo e ci lasciamo
illuminare nel profondo dal disegno di Dio sull'uomo.
Inoltre, in senso più limitato e per analogia, da queste
pagine bibliche viene stimolato in noi il coraggio di delineare "progetti" che -
senza troppa rigidità e senza pretese di precisione geometrica - indichino le
mete e le tappe del cammino educativo di una persona, di un gruppo, di una
parrocchia, di un Oratorio, di un popolo, ispirandosi al progetto divino e alle
sue tappe. Nella lettera del prossimo anno "Itinerari educativi" ritorneremo su
questo tema. Ma già fin da ora, riflettendo sulle costanti dell'educare di Dio,
sarà possibile abbozzare o ri vedere i nostri programmi.
Nel tracciare questi progetti ci si può utilmente ispirare a
come il card. Giovanni Colombo risponde alla domanda "chi è l'uomo adulto in
Cristo", indicando poi alcune tappe verso la maturità cristiana.
Egli sottolinea che l'uomo adulto è contraddistinto da una
"profonda unità interiore, che consegue al sicuro possesso della verità"; da una
"convinta e generosa oblatività", frutto del superamento di ogni forma di
ripiegamento su se stessi; dalla "fortezza, che vince le multiformi pressioni
ideologiche, i condizionamenti culturali e sociali, le sollecitazioni ai
compromessi morali".
"Si è adulti in Cristo quando egli è stato accolto quale
principio di unità interiore, di fortezza e di perseveranza" (cf. "Piano
pastorale 1977-78", riportato in "Voce e storia della Chiesa ambrosiana", vol.
III, p. 306. Alle pp. 311-313 vengono richiamate alcune tappe essenziali verso
la maturità, sottolineando il momento della "professione di fede" e della scelta
vocazionale).
I "programmi pastorali" annuali o pluriennali della
Conferenza Episcopale Italiana e della nostra Diocesi, insieme con quegli altri
elementi di carattere permanente che fanno parte del "piano pastorale" (come le
disposizioni del nostro Sinodo 46°) costituiscono a loro modo un "progetto
educativo" per il cammino della nostra comunità diocesana, a cui occorre
ispirarsi per tracciare programmi educativi .
Il modello di "Dio educatore" ci insegna anche a non
scoraggiarci qualora un determinato programma pastorale non venisse accolto per
intero o fosse superato dagli eventi; insegna a rilanciare con pazienza una
nuova e più coraggiosa proposta, che tenga conto anche degli insuccessi
precedenti e sia sostenuta da una più ardente speranza nell'azione educativa di
Dio nel cuore nostro e dei nostri fratelli. Anche con gli insuccessi pastorali
il Signore ci educa con amore.
[15] 15. Il progetto di Dio è liberante. La scoperta della
vera libertà è determinante per lo sviluppo del la persona e di una comunità di
persone. Il cammino educativo che Dio fa percorrere all'uomo tende a fargli
gustare la libertà autentica. Dio "fa uscire" (= Esodo) il suo popolo dalla
terra della schiavitù per farlo entrare in quello della libertà. La Bibbia
riprende continuamente questo tema dell'Esodo.
Molti oggi ambiscono tutto ciò che ha parvenza di libertà:
vorrebbero essere liberi dall'autorità di altri, da responsabilità
predeterminate, da condizionamenti familiari e sociali, da norme morali e
civili, da dipendenze economiche e culturali.
Ma, a conti fatti, questi tali risultano le persone più
dipendenti e condizionate dalla società e dalle sue imposizioni di mode e
consumi.
Gesù dichiara con autorevolezza che soltanto la verità ci può
rendere veramente liberi (cf. Giovanni 8, 31).
"Che cosa significa essere liberi? Significa saper usare la
propria libertà nella verità" (Giovanni Paolo II, Lettera ai giovani e alle
giovani del mondo, nella Domenica delle Palme 1985).
Questa "verità" è il piano divino di salvezza. E' libero chi
accoglie con fiducia il disegno di Dio, chi sa e accetta che la sua vita gli è
donata, che Dio lo ama e lo chiama a realizzarsi in pienezza a imitazione di
Gesù, uomo perfetto. E' libero e felice chi percorre i sentieri della legge di
Dio, come ci ricorda il lungo Salmo 118 (119): "Beato l'uomo di integra
condotta, che cammina nella legge del Signore... Nel seguire i tuoi ordini è la
mia gioia... Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio
cuore... Gioirò per i tuoi comandi, che ho amati... Lampada per i miei passi e
la tua parola... Grande pace per chi ama la tua legge".
E' libero, dunque. chi non è dominato dall'orgoglio, chi non
è posseduto dalla ricchezza e dall'ossessione del consumo, chi non ha bisogno di
sudditi per sentirsi importante, chi non teme di assumersi le proprie
responsabilità: "Beati i poveri in spirito... Beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia... Beati i puri di cuore . Beati gli operatori di pace... Beati
i perseguitati per causa della giustizia" (Matteo 5, 3-10).
Il contrario è paura della libertà, rinuncia alla libertà:
anzi fuga dalla libertà.
Dio educatore conduce alla libertà vera.
[16] 16. L'azione educativa di Dio in favore del suo ,popolo
non è come qualcosa che cade dall'alto, una serie di principii pedagogici
generici, un comandare astratto, un'istruzione proposta in maniera puramente
didascalica.
Essa è invece sommamente concreta, inserita nella storia di
ogni giorno capace di stimolare l'uomo dall'interno.
Inoltre Dio, che conosce la verità profonda dell'uomo, non
assomiglia a quei maestri che istruiscono unicamente con le parole. Accanto alle
parole ci sono le cose, e le cose sono anzitutto eventi. Sono gli eventi della
storia, eventi buoni e cattivi, incoraggianti e minacciosi, prosperi o
sfavorevoli. Gli eventi richiamano le parole, le quali ne esprimono il
significato, e le parole trovano negli eventi la concretizzazione, la
realizzazione e la conferma (cf. Dei Verbum, cap. I, n. 2: "Questa economia
della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi " ).
L'educazione di Dio è, dunque, insieme un'educazione di
parole e di fatti, di detti e di azioni, di promesse e di adempimenti, di
comandamenti e di correzioni. E' un'educazione nella storia.
Anche oggi si educa nella vita, con eventi e parole, nel
vissuto quotidiano.
La realtà è un fattore educativo di grande importanza.
Prendendone coscienza, eviteremo di educare a forza di principii astratti e di
ragionamenti puri. La nostra azione educativa non si fonderà su una ideologia
sia pure bene articolata e seducente.
La realtà fatta di persone vive, di cose concrete, di
situazioni quotidiane, di motivazioni ed esigenze realistiche, di rapporti
inevitabili, di lavoro faticoso e dinamico, di comunità pluralistica e in
evoluzione e di spirito animatore sapiente e volitivo, è sempre stata la
migliore formatrice dell'uomo.
Togliere le persone dalle realtà per introdurle in un mondo
irreale, in uno spazio di idee pure o di sentimentalismi patetici, è certamente
antieducativo.
Non si tratta di educare angeli o bambini nati santi, ma
uomini e donne con le loro doti, con i loro limiti (aggressività, difficoltà,
fatiche, fallimenti, frustrazioni, errori...).
Forse tanta fragilità psicologica e spirituale riscontrabile
in alcune generazioni è da attribuire ad una "educazione irreale", chiusa,
idealistica, sentimentale.
Gesù, per educare i suoi discepoli, ha praticato il metodo
della realtà, fatta di verità e di prassi, di Tabor e di Calvario. Il suo stesso
parlare era di una concretezza sorprendente: usava continuamente paragoni,
immagini, simboli, esempi presi dalla vita naturale, familiare e sociale;
metteva i suoi ascoltatori nella situazione; li coinvolgeva profondamente,
provocandone le reazioni e lasciandoli liberi di accettarlo o rifiutarlo;
scacciava le loro paure e ricercava sempre, fino alla fine, tutti quelli che
avevano bisogno di lui perché in essi vi fosse la vera gioia; li inviava nella
realtà quotidiana a compiere quello che avevano appreso; li mandava anche in
mezzo ai lupi.
[17] 17. Leggiamo nel Salmo 126 (127), 2: "Se il Signore non
costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori"; e in san Paolo: "Io ho
piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1 Corinti 3, 6).
E' dunque Dio l'attore principale del processo educativo. Ma
ciò non esclude, anzi esige il lavoro dei costruttori e degli agricoltori. "Chi
sono coloro che lavorano per costruire?", si domanda sant'Agostino nel suo
commento al Salmo 126. E risponde: "Tutti coloro che nella Chiesa predicano la
parola di Dio, i ministri dei sacramenti di Dio. Tutti corriamo, tutti ci
affatichiamo, tutti ora costruiamo. E prima di noi altri hanno corso, faticato,
costruito. Ma "se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i
costruttori"".
Dio svolge la parte essenziale, quella che riguarda il
divenire dell'uomo in quanto tale, la sua crescita e la sua maturazione nello
spirito e nella libertà.
In questa azione educativa egli si mostra anzitutto Padre.
Padre nel dono della vita, nella preveggenza educativa, nella pazienza, nella
capacità di programmare e dosare gli interventi, nella forza con cui corregge e
guida.
Nell'azione educativa si impegna anche totalmente nella
persona del Figlio. Una rilettura dei Vangeli, che colga l'azione educativa di
Gesù verso i suoi, dà ancora oggi grande conforto ed incoraggiamento.
Nell'azione educativa Dio si dona infine nella persona dello
Spirito santo. Egli tocca immediatamente il cuore dell'uomo, lo dirige come
"maestro interiore". Le parole e i fatti che risuonano al di fuori sono così
accompagnati da una continua azione interiore, mediante la quale Dio raggiunge
il cuore. Per questo, nell'uomo interiore avvengono le scelte decisive.
Senza una continua riflessione sul mistero dello Spirito
santo non è possibile cogliere il significato dell'educazione cristiana; le vite
stesse dei santi sembrano un enigma indecifrabile.
Il cammino educativo è tuttavia affidato nella storia anche
ad altri agricoltori e costruttori. Essi sono anzitutto i Profeti, gli Apostoli,
i primi evangelizzatori. Esaminando le loro figure, da quella di Mosé a quella
di Paolo, da quella di Abramo a quella di Timoteo, da quella di Giacobbe a
quella di Barnaba, possiamo cogliere momenti e indicazioni educative capaci di
aiutarci, confortarci, istruirci.
Tutti questi educatori costituiscono un insieme educativo,
che agisce come soggetto strumentale fondamentale. Nell'Antico Testamento è
l'intero popolo di Israele. Nell'economia definitiva di salvezza è la Chiesa.
La Chiesa è la prima e la fondamentale educatrice del
cristiano. La Chiesa è madre: essa genera alla fede ed educa nella fede. Nel suo
seno si muove ed opera ogni altro soggetto educativo cristiano.
Faccio seguire qualche considerazione su Gesù educatore e
sull'azione dello Spirito santo, lasciando alla ricerca personale e al lavoro
dei gruppi la riflessione su altri " attori " del processo educativo nella
Bibbia.
[18] 18. Su Gesù educatore ci sarebbe tantissimo da dire. Mi
accontento di qualche cenno, per invogliare ciascuno alla rilettura dei vangeli
sotto questa luce.
E' stato detto giustamente che nei quattro vangeli si possono
trovare esempi e situazioni di educazione personale occasionale ed esempi di
educazione sistematica (cf. R. Corti in "La direzione spirituale oggi", Milano
1982, pp. 78-87).
Appartengono al primo tipo gli "incontri" e i "dialoghi" di
Gesù. Specialmente gli incontri narrati dall'evangelista Luca sono ricchi di
spunti educativi.
Ad esempio: Gesù dodicenne al tempio, e il suo modo di
rapportarsi con i maestri della legge e i genitori (Luca 2, 41-52); il dialogo
di Simone il fariseo a proposito della peccatrice (Luca 7, 36-50); il dialogo
con Marta e Maria in Betania (Luca 10, 38-42); l'incontro con il ricco (Luca 18,
18-23); l'incontro con Zaccheo (Luca 19, 1-10); l'incontro con i discepoli di
Emmaus (Luca 24, 13-35).
Meditando su questi episodi ne potremo dedurre che non si può
parlare di vero incontro educativo se non vi sono da una parte l'accoglienza
della persona che deve venire educata, e dall'altra una qualche "manifestazione"
anche implicita (nel modo di fare, di presentarsi) della persona che educa. Non
si tratta di confidenze personali, ma dell'esigenza che nell'incontro si
manifesti ciò che l'educatore è nel profondo, ciò in cui crede, ciò a cui dà
importanza: insomma ciò che consente di dire che si è incontrata una persona
vera.
Gesù sceglie un ritmo e impronta gli incontri di uno stile
che sa rapportarsi alla situazione delle persone con cui stabilisce il contatto.
Con i discepoli di Emmaus delusi e amareggiati Gesù assume un atteggiamento
insieme paziente e stimolante. Con Simone il Fariseo, che si sta illudendo, Gesù
scende gradualmente dal velo della parabola al rimprovero diretto.
Molte altre pagine del vangelo ci presentano Gesù educatore
non solo in incontri o dialoghi occasionali, ma in maniera sistematica. Ciò
avviene anzitutto nell'educazione dei Dodici. Gesù la inquadra in un progetto
comunitario, inteso come qualcosa da attuare sulla lunga distanza. Mostra di
sapere bene che nulla si improvvisa. Invita coloro che chiama a un lungo cammino
di purificazione. Chiede pazienza e dà egli stesso esempi di pazienza (si pensi
a tutte quelle volte che gli apostoli non capiscono o capiscono in maniera
errata). Gesù educa pazientemente a superare l'integrismo e lo zelo autoritario
(Marco 9, 38-39; Luca 9, 52-56), o il morso dell'ambizione (Marco 10, 35-41),
senza scomporsi e senza stupirsi troppo di tali atteggiamenti. Educa Pietro a un
perdono generoso (Matteo 18, 21 ss ), al superamento della presunzione (Giovanni
13, 37-38), a vigilare e a pregare (Marco 14, 37), a dare più importanza al
vincere se stesso che non a vincere gli altri (Giovanni 18, 10-11), a sapersi
ricuperare anche dopo la constatazione della vergognosa debolezza e della caduta
(Marco 14, 71; Luca 22, 61ss).
Gesù intende affidare ai discepoli responsabilità molto
grandi. Perciò non li mantiene in una condizione di pura dipendenza, ma li
costringe a diventare adulti: li getta nella missione, dopo aver mostrato loro
come dovranno comportarsi (Matteo 10; Luca 9,1-8;10,1-21).
Un altro elemento caratteristico della formazione attuata da
Gesù nei confronti dei discepoli è stata la convivenza. Gesù aveva scelto i
Dodici "perché stessero con lui" (Marco 3, 14). La storia evangelica mostra la
vita comune di Gesù e degli apostoli come un fatto stabile: essa appare nei
giorni lieti, come quello di Cana (Giovanni 2, 2), nei momenti di sosta e di
pace (Marco 6, 31 ) e nei giorni duri dell'incomprensione (Giovanni 6, 68; Luca
22, 28).
Infine non si può fare a meno di notare che Gesù ha
sperimentato di persona che cosa vuol dire fallire come guida spirituale. Spesso
deve ammettere che non è riuscito a farsi capire dai suoi discepoli (Marco 4,
13; 4, 40; 7, 18; 8, 16-21). In particolare deve scontrarsi col fatto che
nemmeno la sua parola, la sua cura personale, tutto il suo amore sono bastati
per evitare che Giuda Iscariota divenisse quello che è divenuto: il suo
traditore (Marco 14, 43).
[19] 19. Sarebbe qui il luogo per riflettere sullo Spirito
santo educatore. Mi limiterò a due osservazioni.
La prima riguarda l'universalità dell'azione dello Spirito
santo: "Lo Spirito del Signore riempie l'universo, abbracciando ogni cosa,
conosce ogni voce" (Sapienza 1, 7).
Non c'è cuore umano, non c'è ambiente o realtà in cui lo
Spirito di vita e di conversione, donato da Gesù dall'alto della croce, non sia
all'opera per rimordere la coscienza, convincere, esortare, confortare, spingere
alla santità. Prima ancora che arrivi la nostra parola o il nostro esempio, lo
Spirito è già là.
Abbiamo dunque un alleato formidabile nell'azione educativa.
Noi dobbiamo aiutare gli altri a percepire la voce di questo Spirito, fargli
spazio nel cuore degli uomini, accompagnare la sua azione.
Per questo si può dire che non c'è nessun caso irreparabile,
perché lo Spirito non ha ancora abbandonato nessun uomo su questa terra. Il caso
più drammatico è naturalmente quello di colui che deliberatamente gli si oppone:
è il peccato contro lo Spirito santo. Di esso ha parlato con parole gravi
Giovanni Paolo II nella Enciclica Dominum et vivificantem (nn. 46-47).
Per aiutare il lavorio dello Spirito negli altri, occorre
anzitutto che noi per primi siamo sensibili a ciò che egli compie nel nostro
cuore. Occorre cioè esercitarsi nel "discernimento" (cf. Romani 12, 2; Filippesi
1, 10; ecc.).
Chi non discerne dentro di sé l'azione dello Spirito, chi non
si lascia condurre da lui (cf. Romani 8, 14) non sarà capace di essere un
educatore cristiano. Pur avendo doti educative naturali, rischierà di imporre le
sue idee personali, al limite di plagiare, ma non di educare alla libertà (cf. 2
Corinti 3, 17; Galati 5, 1).
La seconda osservazione è che lo Spirito è colui che "ha
parlato per mezzo dei profeti", che ha ispirato la Scrittura. Un'educazione
all'ascolto del maestro interiore passa dunque per l'esercizio della lectio
divina, della meditazione orante sulla Parola di Dio.
Per questo le scuole della Parola sono un aiuto pratico agli
educatori, e fanno da modello e da riferimento per un'azione educativa
autentica. Oggi un cristiano non può diventare adulto nella fede, capace di
rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo, se non ha imparato a fare in
qualche modo la "lectio divina" (cf. Vaticano II, Dei Verbum n. 25).
Il silenzio, le giornate di ritiro e gli esercizi spirituali
in cui si impara ad ascoltare il maestro interiore, sono momenti di grande
importanza, anzi di pratica necessità per chiunque compie un cammino educativo.
[20] 20. Dio ha educato Maria.
Seguendo l'Enciclica Redemptoris Mater ( = RM) è possibile
cogliere che Maria ha percorso un itinerario di fede, si è lasciata educare dal
Signore, dalla sua parola, dai suoi interventi, dagli avvenimenti della vita di
Gesù. Ricordiamo qui alcune caratteristiche di questo cammino.
1. L'itinerario di Maria ha avuto salti di qualità e momenti
risolutivi.
Momento decisivo è quello dell'Annunciazione. Il cammino di
fede di Maria è segnato dal suo affidamento obbediente e fiducioso alle
indicazioni di Dio: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola
del Signore" (Luca 1, 45; cf. RM nn. 12-19).
2. Giovanni Paolo II sottolinea, con riferimento ad Abramo (cf.
RM n. 14), che il cammino di Maria è avvenuto in mezzo a difficoltà e che
proprio tali circostanze hanno evidenziato il significato profondo del credere:
"Credere vuol dire "abbandonarsi" alla verità stessa della parola del Dio vivo,
sapendo e riconoscendo umilmente quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e
inaccessibili le sue vie... Maria vi si conforma nella penombra della fede" (cf.
RM n.n. 14; cf. anche n. 17, dove il Papa parla di "particolare fatica del
cuore, unita a una sorta di notte della fede").
3 Possiamo ancora notare, in correlazione all'incontro con il
vecchio Simeone nel Tempio, che il cammino di fede di Maria è totalmente segnato
dal coinvolgimento nell'opera di Gesù, "luce delle genti" e "segno di
contraddizione": le incomprensioni e i dolori di Gesù, fino alla croce sul
Calvario, trafiggeranno il cuore di Maria; eppure, proprio in questa
condivisione del rischio della missione di Gesù, Maria cresce nella fede (cf. RM
nn. 16.18).
Non diversamente avverrà per la Chiesa.
4. E così, vivendo "ogni giorno il contenuto delle parole a
lei dette" (RM n. 17 ), Maria cammina verso la maturità della fede. Ma, come
osserva ancora il Papa, Maria è grande perché, in realtà, è la prima dei
"piccoli" ai quali è rivelato il mistero di Dio, è la prima tra coloro ai quali
il Padre ha voluto rivelare il Figlio (cf. Matteo 11, 25-27; 1 Corinti 2, 11 ) .
Maturità e piccolezza stanno insieme perché, come spiega
Paolo, la maturità della fede consiste precisamente nella sapienza della croce (cf.
1 Corinti 1-3), la maturità morale (e la sintesi dei dieci comandamenti) è la
carità (cf . 1 Corinti 8, 12-14 ) e la maturità della speranza consiste nel
rimanere in cammino, nella lotta e in costante rinnovamento, fino
all'adempimento finale (cf. Filippesi 3, 12-15).
5. Accanto alla "piccolezza" dovremmo porre anche la
"povertà": Maria va verso la maturità della fede rimanendo in stretta consonanza
con coloro che il vangelo chiama "poveri". Essa ci insegna 1'importanza di
questa condizione per ogni cammino di sincero ascolto della Parola.
Non c'è vera educazione senza una qualche esperienza di
povertà.
Sono questi alcuni dei più significativi motivi che rendono
Maria, per tutto il popolo di Dio, madre dell'educazione.
A lei affidiamo, dunque, questa nostra Lettera pastorale e
tutto il cammino educativo della nostra Diocesi.
Conclusione: quale Chiesa è educatrice?
[21] 21. L'affresco biblico fin qui abbozzato permette di
raccogliere alcuni criteri ai quali la Chiesa deve ispirarsi per capire e ben
praticare il suo compito educativo.
Ci limitiamo a qualche spunto, che riferiamo alla Chiesa in
generale per rimanere nell'ambito vasto del nostro discorso: ma quanto vien
detto può essere applicato proporzionalmente alle altre comunità educative,
anzitutto a quella fondamentale della famiglia.
1. Dio è il grande educatore. Perciò nessun altro è
protagonista. Anche la Chiesa deve leggere se stessa come realtà a servizio di
Dio. Anzi, la prima maniera di vivere questo servizio è quella di testimoniare
che essa stessa si lascia educare, che è docile, attenta e ubbidiente a Dio.
Come Maria, con la stessa umiltà, sicurezza, pace interiore.
2. L'intenzione di fare dell'uomo la sua immagine e
dell'umanità il suo popolo, ha condotto Dio a rivelarsi e, addirittura, a
incarnarsi in Gesù e a effondere il suo Spirito. La fede in questo Dio così
impegnato a far crescere l'uomo non può non contagiare il credente e la Chiesa
intera, e far nascere nel cuore il senso vivo dell'urgenza di educare e il gusto
di cooperare con Dio in una impresa di grande bellezza, come quella di rendere
1'uomo pienamente uomo.
3. Dio è cos'ì coinvolto nel suo impegno per 1'uomo che la
Bibbia non teme di indicare il suo amore con il termine gelosia (cf. Esodo 32,
12; 36, 22; Isaia 48, 11); Gesù conosce l'esultanza (cf. Luca 19, 41); Paolo non
ha vergogna di dare 1'ultimo saluto ai suoi ricordando fatiche e lacrime per
l'annuncio del vangelo (cf. Atti 20, 17ss).
Quale Chiesa potrà educare, se non una Chiesa appassionata,
che non si lascia "tagliare le gambe" dalle delusioni, che non "smonta mai" dal
suo turno di lavoro, che di fronte agli indifferenti non riesce a dire "si
arrangino"? Quale Chiesa potrà formare persone e comunità, se non quella che
conosce l'attesa, l'angustia, il tormento, l'esultanza, la pace dell'apostolo?
4. Dio ha un progetto sull'uomo e tale disegno chiama in
causa, oltre alla sua, la libertà dell'uomo. Perciò, se noi pensassimo al
progetto trascurando il fattore libertà, ci esporremmo al rischio
dell'astrattezza; se pensassimo alla libertà dimenticando il progetto finiremmo
nella inconcludenza. L'arte di educare è propria di chi sa far convivere
progetto e libertà. A questo è chiamata la Chiesa educatrice.
5. Dio non ha voluto evitare al suo popolo esperienze di
povertà come quella del deserto, ma ve l'ha condotto e gliel'ha fatto
attraversare. Cos'ì 1'ha svezzato e gli ha dato coscienza della propria
identità. E nella vicenda personale di Gesù, da Betlemme al Calvario, è chiaro
che Dio ritiene necessaria la povertà del suo Figlio che, da ricco che era, si
fece povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf.
2 Corinti 8, 9).
Potrà essere un altro lo stile dei collaboratori di Dio e di
Cristo?
6. Dio s'immerge nel fiume della storia scontrandosi con le
mille contraddizioni e le tante fatiche e debolezze dell'uomo. Ama, d'amore
preveniente e paziente, ma nello stesso tempo esprime con forza la sua
correzione.
Educa dunque una Chiesa misericordiosa, che sente risuonare
per se stessa l'invito: "Consolate, consolate il mio popolo" (Isaia 40, 1); e
una Chiesa che si converte, e può così proclamare alto il grido: "Convertitevi e
credete al vangelo" (Marco 1, 15).
7. Mettiamoci dunque di fronte alla comunità divina, al Dio
Trinità, primo soggetto unico e plurimo dell'educazione. Osserviamo - vangelo
alla mano - la cura con cui Gesù educa il gruppo dei discepoli e lo carica della
responsabilità comunitaria di andare ad annunciare e a battezzare.
Prenderemo coscienza che ]o strumento storico essenziale di
cui Dio si serve per educare i suoi figli non potrà essere che quel fiume
ininterrotto della tradizione vivente, che si chiama Chiesa. Ci disporremo a
praticare l'educazione cristiana, anche quella che vede in campo il singolo
apostolo nell'incontro con il singolo possibile discepolo; essa è - sempre e in
mille modi -1'educazione della Chiesa, che fa la Chiesa.
Ciò esclude individualismi e personalismi, ma non tollera
nemmeno - pena lo snaturamento dell'educazione cristiana - disattenzioni nei
confronti dell' opera primaria del maestro interiore e della irrepetibilità di
ogni persona.
[22] 22. "Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e
che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio
non ce ne insegna l'arte, e non ce ne mette in mano le chiavi".
Queste parole del grande educatore san Giovanni Bosco, di cui
celebriamo nel 1988 il centenario della morte, riassumono quanto abbiamo detto
nella prima parte e ci introducono a una riflessione su alcuni imperativi che
derivano da quanto fin qui detto per la nostra azione educativa.
Abbiamo, infatti, ascoltato la parola della Scrittura e
contemplato Dio educatore nella storia della salvezza. Dobbiamo ora volgere lo
sguardo alla nostra situazione: non per un'analisi esaustiva né al fine di
enunciare principi pedagogici scientifici, ma semplicemente per trarne qualche
motivo e linea di impegno, che incoraggi e stimoli i nostri educatori a offrire
con fiducia la loro collaborazione a Dio, educatore del suo popolo.
Procederemo esprimendo alcune tesi, che ci aiuteranno a
raccogliere e a collegare le idee:
1. educare è difficile;
2. educare è possibile;
3. educare è prendere coscienza della complessità;
4. educare è cosa del cuore;
5. educare è bello.
2. educare è possibile;
3. educare è prendere coscienza della complessità;
4. educare è cosa del cuore;
5. educare è bello.
Si tratta, cioè, di partire dal riconoscimento delle
difficoltà attuali dell'impegno educativo, per affermare che anche di fronte ai
problemi odierni l'educazione rimane possibile. Occorre però prendere coscienza
della molteplicità e complessità delle spinte educative che oggi premono sui
ragazzi in sensi opposti, per distinguere gli alleati dagli avversari, e
percepire con acuta sensibilità e cuore disponibile i veri bisogni, soprattutto
affettivi, in particolare degli adolescenti. Chi sa educare così troverà che
fare l'educatore è bello, è affascinante, dilata lo spirito, ci rende simili a
Dio.
1) Educare è difficile
[23] 23. Oggi non pochi hanno la sensazione di essere
educatori impotenti e inutili.
Molti genitori e formatori si sentono sviliti, contestati e
bocciati. Si accorgono che i tempi sono cambiati e insieme è cambiata la
società: vengono cioè proposti valori nuovi e deprezzati quelli vecchi;
coscienza e costume sociali si sono modificati notevolmente; alcune certezze si
sono trasformate in dubbio. Si insegna più facilmente ad occupare i primi posti,
a guadagnare di più, a essere più spettacolari degli altri, piuttosto che a
considerare gli altri parte essenziale e integrante del proprio cammino.
La pressione sociale spinge a fare del proprio figlio e della
propria figlia personaggi di spicco, atleti, uomo e donna di successo,
competitivi nella società del benessere. E ci si dimentica di aiutarli ad
acquisire le virtù che li rendono veramente umani: la lealtà, l'onestà, la
giustizia, la fede, la sobrietà, la fortezza, la bontà.
Dunque, rispetto al passato, gli educatori oggi incontrano
difficoltà nuove dovute proprio a una società in trasformazione:
- è cambiata la famiglia patriarcale che imponeva il valore
autocratico dell'uomo e la sottomissione indiscussa della donna e dei figli; sta
pure cambiando la famiglia nucleare, a circuito chiuso, fondata sulla
comprensione, l'affetto e la convivenza di coniugi e figli.
Si nota da una parte un certo rifiuto della famiglia, a
favore di una maggiore libertà in tutti i sensi, e dall'altra un grande bisogno
della famiglia, vista almeno come protezione di fronte alle difficoltà
economiche.
- E' cambiato il rapporto giovani-adulti in favore di una
maggiore uguaglianza prodotta non soltanto da una conoscenza più ampia dei
giovani (la maggioranza di essi oggi ha studiato più dei genitori), ma anche da
una varietà di esperienze da essi vissute al di fuori della famiglia.
Molti giovani sono poi diffidenti nei confronti degli adulti
e non li accettano più come maestri, ritenendo che essi hanno sbagliato strada
per sé.
- E' cambiato il valore delle istituzioni tradizionali
(stato, partiti, giustizia, scuola, lavoro): per diversi aspetti, appaiono meno
credibili e affidabili; d'altra parte. c'è chi sente il diritto di
appropriarsene per amministrarle secondo criteri personali e interessati .
- Anche il valore sociale della religione ha subito
cambiamenti non indifferenti dal punto di vista della quantità delle persone che
lo sentono; tuttavia si nota un risveglio religioso rilevante nella qualità
delle adesioni, più coscienti e intense.
- I modelli di vita di una volta sono stati sostituiti da
altri, pubblicizzati dai mass-media con insistenza secondo criteri ben
finalizzati. Spesso ho sentito dai giovani il lamento: "non abbiamo modelli
adulti credibili!".
[24] 24. Dinanzi a tale molteplice trasformazione,
l'educatore sarà molto aiutato dal confronto con l'azione educativa di Dio che,
secondo il racconto biblico dell'Antico e del Nuovo Testamento, ha attraversato
cambiamenti e sommovimenti di ogni genere. Sarà condotto a capire che, nell'arco
della vita umana, che va dal concepimento alla morte, ogni persona è sempre
educabile: capace di crescere, di migliorare il proprio potenziale umano, di
sviluppare le proprie capacità e attitudini personali, di modificare relazioni e
prospettive, di scoprire e proporsi nuovi significati e valori.
Leggendo il vangelo, I'educatore noterà che Gesù Figlio di
Dio, paragona l'uomo al terreno, a un seme, a una pianta, a un capitale da
amministrare: cioè a realtà dinamiche, in evoluzione, con la possibilità
concreta e quotidiana di crescere, al trenta, al sessanta, o al cento per uno.
Gesù ha sempre manifestato fiducia nell'uomo. E' convinto che
in coloro che compiono il bene, sperano e sopportano, lo sappiano o no, opera
sempre anche lo Spirito di Dio, l'Onnipotente, il Salvatore, il Santificatore
dell'uomo. Sa inoltre, che i frutti non si raccolgono subito e che, non di rado,
chi semina non raccoglie (cf. Giovanni 4, 37-38).
Per questi e altri motivi l'educatore non dovrà mai dire,
nemmeno di fronte al caso difficile o umanamente impossibile: "non c'è più nulla
da fare!", "è irrecuperabile!".
Se egli ama alla maniera di Dio, non lo dirà mai per nessuno,
come quelle madri e quei padri che non si danno mai per vinti di fronte alla
insensibilità, alla ribellione o anche ai rottami del proprio figlio.
So di una madre che è partita da Milano per andare a cercare
il figlio dato per morto dalle autorità di un paese. Non c'è guaio al mondo
dentro al quale non si sia messo quel figlio. Dopo diversi, anni, quel giovane,
creduto morto, è ritornato in vita. Adesso fa l'educatore.
Non è certo l'unico caso e tutti ne possiamo raccontare
almeno uno.
Un impegno educativo aperto e fiducioso coglierà anche in
questo nostro tempo alcuni valori che, nonostante le rivoluzioni culturali,
politiche ed economiche, vengono ancora riconosciuti e accettati dalla gente se
presentati con verità, convinzione e coerenza: la dignità della persona umana; i
suoi profondi bisogni esistenziali; la solidarietà umana che ci lega gli uni
agli altri.
L'educatore poi ricorderà che l'uomo non deve essere educato
per una società ideale, ma per la società reale nella quale è destinato a vivere
e a collaborare per la promozione propria e altrui. Sarebbe anacronistico
formare i giovani per un mondo identico a quello in cui vissero i nostri nonni.
Anche i giovani d'oggi non rifiutano gli educatori, ma li
cercano quando comprendono che li vogliono aiutare ad essere uomini veri e a
vivere bene in questo nostro tempo.
[25] 25. Vogliamo ora considerare la condizione sul fronte
degli educatori.
La domanda, semplice, potrebbe essere: da chi e da che cosa
viene educato l'uomo oggi? Tenuto conto che Dio è, anche oggi, protagonista
dell'educazione, e che noi ne siamo collaboratori, ci dobbiamo porre la domanda
sul modo con cui oggi l'uomo è sottoposto a messaggi educativi o diseducativi, e
sull'intrico che ne nasce.
Non bisogna aver timore di guardare dentro a questa "selva
oscura". Chiudere gli occhi non serve che a fomentare tutte le forme
paralizzanti del pessimismo educativo. Viviamo in una "società complessa", e
questo tocca anche la situazione educativa. Chi non sa prenderne coscienza, si
troverà smarrito nell'educare.
Chi guarderà in faccia alla situazione, saprà esorcizzarla.
E' necessario dunque prendere coscienza dell'intrico di messaggi in cui si
muovono i nostri ragazzi, discernere le influenze positive da quelle negative,
per favorire le prime e neutralizzare o contrastare le seconde. Occorre
comportarsi come la madre che valuta istintivamente i diversi fattori fisici,
psichici e sociali che toccano la vita quotidiana del suo bambino, e lo espone a
quelli favorevoli mentre lo protegge o lo mette in grado di proteggersi da
quelli nocivi.
Domandiamoci dunque: da chi viene "educato" l'uomo oggi?
C'è l'intervento dell'individuo: i genitori, fratelli, nonni,
insegnanti, sacerdoti, amici...; e l'intervento della società attraverso le sue
espressioni e istituzioni sociali: scuola, partito, gruppo, parrocchia,
Oratorio, città, mass-media, divertimenti, ecc.
I due tipi di intervento alle volte sono in armonia, altre
volte in contraddizione, non di rado si misconoscono. In ogni caso tutte queste
presenze esprimono ciò che sono, nel bene o nel male. Per parte nostra,
l'impegno educativo sarà quello che, mentre ci chiama in causa per la nostra
personale responsabilità, ci spinge a misurarci con la molteplice realtà che si
esprime come "soggetto educante".
Una società (e ogni comunità) influisce positivamente sugli
individui quando è animata dal senso del bene comune; quando riconosce e
valorizza la presenza e il lavoro di tutti i suoi membri, secondo i singoli
ruoli; quando si propone continuamente degli obiettivi comuni. Occorre dunque
promuovere in ogni campo una comunione di ideali, di responsabilità sociali, di
beni, di tradizioni, di amicizie.
Una società così fatta non è più massa umana, assembramento o
coacervo di partiti e fazioni antagonisti, in lizza tra di loro, ma diventa
"popolo". Addirittura popolo di Dio, se lo riconosce come Padre, Salvatore e
Unificatore; se accetta come capo Gesù Cristo; se pone come condizione
fondamentale la dignità e la libertà dei figli di Dio; se ha per legge il
comandamento nuovo dell'amore. Una tale comunità ha una forza educativa enorme.
L'uomo viene educato anche dal singolo, da ciascun uomo o
donna che incontra, con cui si mette in comunione ideale e affettiva, accanto a
cui vive e lavora.
E' necessario prendere coscienza di questo fatto: noi siamo
sempre educatori in ogni singolo incontro, responsabili dello sviluppo e della
crescita di coloro che incontriamo.
Non è possibile esonerarci mai dal lavoro educativo. Se in
tutti questi incontri porteremo il cuore di Dio e la ricchezza di umanità
testimoniata da Gesù, contribuiremo a rendere sano e fecondo (appunto
"educativo") quell'intrico vitale fatto di mille legami, che caratterizza la
condizione umana.
[26] 26. Dice ancora don Bosco: "L'educazione è cosa del
cuore... chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente
dai giovani... i cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i
loro difetti". E ancora: "Se sarete padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne
abbiate anche il cuore... La carità che vi raccomando è quella che adoperava san
Paolo verso i suoi fedeli".
Carità, cuore paterno, amorevolezza esigono anzitutto la
conoscenza dei bisogni profondi dei ragazzi. Senza capirne i bisogni non si può
instaurare un dialogo educativo.
La carità educativa esige in secondo luogo che gli educatori
rappresentino per i ragazzi vere figure paterne e materne, che cioè considerino
i ragazzi come molto importanti e facciano loro sperimentare la gioia di essere
amati.
Parliamo dunque a) dei diversi bisogni, per meglio
comprendere b) quelli più propriamente umani e affettivi.
a) Oggi i bisogni dell'uomo, particolarmente quelli dei
ragazzi e degli adolescenti, si esprimono in messaggi quanto mai complessi e
anche apparentemente contraddittori. Dalla comprensione del senso di questi
messaggi dipende l'operazione educativa dei genitori, degli insegnanti e degli
educatori.
Non diamo per scontato di conoscere veramente ciò di cui
hanno bisogno i nostri ragazzi. Anche perché solitamente la loro domanda viene
espressa in codice. Talora i loro "no" vogliono dire "sì" e con i "sì" intendono
dire "no". C'è il soggetto che piange apparentemente senza motivo. C'è quello
che si chiude in un silenzio angosciante e inspiegabile. C'è chi fugge da
qualsiasi compagnia, chi si chiude dentro una stanza o scappa da casa. Altri
diventano affabili e servizievoli inaspettatamente...
Per capire i loro bisogni dobbiamo dunque imparare i loro
linguaggi.
E i bisogni sono differenti per qualità, peso e valore. Si va
dai bisogni essenziali e positivi (quelli autentici, richiesti dalla natura
umana e dallo sviluppo della persona) a quelli "surrogati", indotti da false
abitudini (mangiare dolci di continuo, vedere la TV per ore, uscire sempre di
casa...), fino ai bisogni vizi (droga, alcool, gioco di azzardo...).
Mi soffermo soltanto sui più essenziali, che possiamo
chiamare i bisogni-diritti; da questi infatti riusciremo a capire e a valutare
meglio anche gli altri.
I bisogni-diritti fondamentali, bisogni che causano sempre
sofferenza se non vengono appagati, sono quelli fisiologici e psicologici. Si
tratta di bisogni presenti in ogni tipo di cultura e in ogni livello di civiltà.
Non variano con l'età, il sesso, la classe sociale, la razza, la condizione
economica.
[27] 27. b) Se restringiamo ulteriormente l'obiettivo sui
bisogni-diritti psicologici, decisamente umani, che hanno riferimento alla
natura della persona, pur riconoscendo che anche quelli fisiologici meritano di
essere presi in considerazione e approfonditi (le violenze sui minori e alcuni
casi di inimmaginabili trascuratezze nei confronti dei bambini ci interpellano
infatti dolorosamente), vediamo che alla base di tutto sta il bisogno di una
figura paterna e materna, il bisogno di sentirsi presi sul serio, il bisogno di
affetto.
l. I ragazzi hanno bisogno di figure paterne e materne. In
ogni momento della nostra vita abbiamo bisogno di persone che si interessino
veramente di noi, di cui noi stessi ci interessiamo.
Abbiamo bisogno di persone prima che di cose. Non di persone
qualsiasi, ma di persone che sentiamo "vive per noi", che abbiano un forte
sentimento della nostra esistenza e avvertano come indispensabile la loro
esistenza per noi.
Oggi questo "sentire" è raro: infatti viviamo in una società
in cui i figli sono considerati un peso, un lusso, un incomodo, un problema,
perché condizionano la libertà dei genitori, la loro economia e felicità.
E' chiaro che tale modo di pensare è avvertito dolorosamente
dai bambini e dai ragazzi.
Il bisogno primario che i figli hanno riguardo ai loro
genitori è che questi si amino, vadano d'accordo, siano uniti, siano cioè
contenti della loro vita di genitori e abbiano appagati i loro stessi bisogni
essenziali.
Quando un vostro figlio perderà la convinzione che voi, così
essenziali per 1ui, vi preoccupate della sua esistenza, comincerà a fuggire
dalla realtà quotidiana, non si sentirà più appagato negli altri suoi bisogni
pure essenziali, diventerà un disadattato, talora addirittura desidererà di
morire.
La presenza dei genitori è determinante per la crescita
positiva dei figli, perché dà incoraggiamento, infonde la forza di far fronte
alla realtà, è compagnia nel cammino della vita.
Senza l'affetto dei genitori (o di persona sostitutiva), i
figli cercheranno disperatamente di appagare questo bisogno in maniere false, in
modi per nulla realistici. Da qui nascerà l'ansia, l'angoscia, la nausea.
Persino l'uomo relegato nella cella di isolamento di un
carcere può essere capace di soddisfare i suoi bisogni, abbastanza da
sopravvivere, se sa che c'è qualcuno, alla pari del padre e della madre, che si
interessa di lui e della sua condizione, oppure quando lui stesso sente dentro
di sé ancora la voglia di interessarsi di qualche persona e di esserle in
qualche modo utile.
2. I nostri ragazzi hanno bisogno di sentire che sono un
valore per quello che sono, non per quello che fanno; che sono un valore per se
stessi (stima di sé) e per gli altri (per i genitori almeno).
Le azioni compiute dai figli hanno bisogno di essere
oggettivamente valutate: definite buone o cattive, giuste o ingiuste. Anch'essi
infatti sanno distinguere tra bene e male, e il giorno in cui ricevessero il
premio nonostante che la loro azione non lo meriti, si convincerebbero di non
essere capaci di fare azioni di valore.
I ragazzi avvertono istintivamente che per aumentare il loro
valore devono tenere una condotta buona, soddisfacente, arricchente. A questo
punto impareranno a correggersi quando sono in torto e a riconoscere il merito
se si comportano bene.
Se un ragazzo o una ragazza non si sentono valutati nel loro
comportamento dai genitori ed educatori, o non sono stimolati a correggersi da
un difetto, incominceranno a sentirsi insoddisfatti interiormente: il loro
bisogno di essere un valore non verrà appagato ed essi ne soffriranno
moltissimo.
Le norme, i valori morali, la condotta buona o cattiva sono
in relazione stretta con l'appagamento del bisogno fondamentale di sentire
rispetto per noi stessi, di sentirci soddisfatti.
3. I nostri ragazzi hanno bisogno di amare e di essere amati.
Nell'intero arco della vita umana questo bisogno vuole essere
soddisfatto in tutte le sue forme e possibilità: dall'amore filiale all'amore
materno e paterno, da quello amicale all'amore sponsale. Dentro ogni persona c'è
la capacità potenziale e l'esigenza di amore filiale, fraterno, coniugale,
materno o paterno.
Questo bisogno tiene continuamente in azione, fa vivere, è
necessario dall'infanzia alla vecchiaia.
La salute e la felicità dipendono moltissimo dalla capacità e
dalla possibilità di donare amore e di riceverlo. I figli non possono essere
soddisfatti soltanto dell'amore che si dà loro; hanno assolutamente bisogno
anche di amare. Se non potranno soddisfare questo duplice bisogno d'amore non
saranno contenti, diventeranno tristi, reagiranno persino con maniere forti, con
la fuga, la ribellione, la depressione, l'angoscia, la violenza, il furto. E
soffriranno molto.
Se l'educazione è cosa del cuore, occorrerà dilatare il cuore
nostro e dei nostri ragazzi, perché si stabilisca un vero flusso educativo.
Il cuore di Cristo squarciato sulla croce è il simbolo di
questo amore che dal Padre si diffonde su di noi e ci rende capaci di amore.
[28] 28. Quando si vive realmente "in comunione" e si gusta
come proprio il bene e la riuscita degli altri, allora diventa bello e piacevole
educare.
L'educazione è un'arte gioiosa; non può essere un lavoro
forzato. Nemmeno può essere motivata in se stessa da un fine di lucro, ma
soltanto dalla creazione armoniosa e felice il più possibile di una persona
umana.
La soddisfazione e 1'appagamento primo e sommo sono dati a un
vero artista dal capolavoro uscito dalle sue mani.
L'educazione, come ogni vera arte, non tollera ricette,
formule, cliché.
Esige nell'educatore originalità e individualità: chiede che
si educhi con gioia. Insieme esige un grande rispetto dell'individualità e
originalità della persona da educare in un'atmosfera di autenticità e di
serenità.
Per stimolare le nostre soggettive qualità educative propongo
alcuni spunti da meditare, approfondire, verificare.
l. Se l'intervento educativo è un aiuto, personale e
qualificante, dato a chi ha bisogno di promuovere umanamente la formazione
completa della sua personalità, l'educatore sarà in grado di darlo nella misura
in cui egli stesso avrà raggiunto, o intende raggiungere, la propria maturità,
identità e integrazione. La bocca parla dalla pienezza del cuore.
Se non si è ancora uomini veri, per avere il diritto di
intervenire su altri, diventa necessario vivere in stato di permanente
educazione, nello sforzo quotidiano di progredire insieme con gli altri verso la
realizzazione integrale della propria umanità. Quando pretendiamo di fare gli
educatori con la presunzione di essere uomini arrivati che non hanno più bisogno
di essere educati dalla vita, diventiamo ipocriti. Colui che non ha scoperto il
senso e il valore della propria vita non può indicarli agli altri. Come possiamo
dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, quando
non vediamo la trave che è nel nostro? Può forse un cieco guidare un altro
cieco? Non cadranno tutti e due in una buca? (cf. Luca 7, 39-45).
2. E' indispensabile creare fin dall'inizio un forte e sano
rapporto affettivo con chi deve imparare a costruire rapporti.
Se la motivazione prima e radicale dell'azione educativa non
fosse il vero bene dell'educando, il suo interesse, la soddisfazione dei suoi
bisogni fondamentali, ma un'altra motivazione sia pure inconscia, l'educatore
dovrà constatare e collezionare non pochi fallimenti: ogni persona cerca
disperatamente e anzitutto chi condivida la sua vita fino in fondo, chi stia con
lei coinvolto dalla sua storia.
L'amore preveniente, simile a quello di Dio (Romani 5, 8),
oltre a essere punto di partenza nell'educazione, è anche forza esplosiva che
sprigiona e crea le energie positive della persona, ragazzo o adulto che sia,
rimaste latenti, bloccate o deviate. Tale amore è gratuito, non condizionato
dalle qualità dell'educando, né dai suoi comportamenti.
E' un amore sempre vivo e attivo, paziente e fiducioso,
costantemente teso verso il bene completo e la felicità dell'altro. Immerso in
questo amore preveniente, materno, paterno, fraterno, difficilmente l'uomo si
lascerà vincere dal male, perché è proprio l'amore il miglior immunizzante. Non
è la presenza dell'educatore-poliziotto ad impedire al ragazzo di sbagliare.
L'amore preveniente trova anche sempre il momento adatto per
manifestarsi, i gesti e le espressioni per incarnarsi. Ne indichiamo alcuni:
- la simpatia, o compassione, per chi ha bisogno di aiuto è
il sentimento primario dell'amore che si trasforma successivamente in
coinvolgimento e impegno personale e fedele.
- L'accettazione e l'accoglienza della persona da aiutare,
così com'è, per quello che è e che può essere. Per fare questo senza troppe
resistenze psicologiche o sociali, diventa importante imparare a distinguere la
persona dalle sue azioni, a non confondere il peccatore con il peccato,
soprattutto a mettersi nei panni dell'altro, e a saper cogliere come l'altro ci
vede.
- La conoscenza affettiva, approfondita e realistica delle
persone che si vogliono educare, dei loro bisogni ed aspirazioni, problemi e
difficoltà.
- L'offerta ad esse della disponibilità e del servizio deve
essere qualificata da una sincera e convinta umiltà, non garantita da parole di
abitudine o da gesti convenzionali, per non dire falsi, ma dalla donazione
generosa.
3. Un'altra virtù essenziale per chi vuole educare è la
speranza paziente. L'educatore deve sapere che 1'evoluzione psicologica e morale
della persona è paragonabile alla sua crescita fisica ed organica. Gesù dice che
l'uomo è come il seme che cresce da sé, ma che ha bisogno di ambiente, persone e
tempo.
Bisogna saper attendere pazientemente, con l'animo del
contadino che semina generosamente, sopporta con resistenza le fatiche del
travaglio educativo, e rinvia sempre la decisione di tagliare la pianta
infruttuosa o di sradicare la gramigna.
L'uomo paziente è ottimista: crede nella bontà della persona
e nelle risorse della natura nonostante i limiti e gli errori, e spera senza
delusioni nell'aiuto di Dio che si preoccupa prima e più di lui della salvezza e
della felicità dei suoi figli.
La speranza dell'educatore deve poi contagiare l'educando:
senza questa speranza egli troverebbe inutile o assurdo impegnarsi e collaborare
con l'educatore. Il ragazzo deve avere fiducia che l'esperienza del suo
educatore lo aiuterà a imparare modi migliori di comportamento, a trovare
risposte soddisfacenti alle sue domande, soluzioni-adeguate ai suoi problemi.
Soprattutto deve convincersi che, anche se a piccoli passi,
può arrivare al traguardo del vero uomo, quello redento.
L'educatore responsabile, amorevole, ottimista, diventa così
modello e ideale di vita. Bambini, ragazzi e giovani imparano a vivere da chi sa
vivere, tramite un rapporto affettuoso.
Tutto questo suscita un'atmosfera contagiosa di gioia e di
entusiasmo: educare è bello!
[29] 29. I suggerimenti pratici di questa terza parte della
lettera obbediscono alla scelta di distendere sull'arco di un biennio il
programma pastorale e di privilegiare, nel primo anno, un lavoro di carattere
fondamentale.
Che fare, dunque, nell'anno pastorale 1987-88?
1. La prima proposta è di far diventare la parte
biblico-teologica di questa lettera un'articolata gamma di contemplazione del
Dio educatore.
Riprendendo piano piano, a una a una, le molte pagine citate
e brevemente commentate, si imparerà il modo divino di educare, si sperimenterà
un senso di respiro e di forza e si ritroverà una nuova capacità di non
lasciarsi schiacciare dai problemi connessi con la responsabilità educativa.
Si ricorda che la meditazione su "Dio educatore" potrà essere
straordinariamente illuminata dall'esempio di Maria e del suo cammino di
crescita nella fede, quale è indicato dal vangelo e che il papa Giovanni Paolo
II ha voluto illustrare, con trasparente profondità, nella recente Enciclica
Redemptoris Mater.
Si suggerisce che, per questa meditazione, vengano
utilizzati, in particolare, i tempi liturgici di Avvento e di Quaresima. Anzi,
poiché nell'Anno Liturgico "B" si leggerà il vangelo di Marco, ci si affiderà
con frutto al suo itinerario educativo proposto ai Dodici, in particolare a
Pietro.
2 La seconda proposta è un invito a riflettere sulle
condizioni odierne del lavoro educativo.
Si veda la seconda parte di questa lettera, che può diventare
strumento di dialogo e di confronto tra gli educatori stessi.
3 Infine, si suggerisce di considerare con particolare
attenzione alcuni punti che verranno ora brevemente illustrati. Essi possono
essere espressi sinteticamente cosi
a ) verifica;
b) concentrazione;
c) educare attraverso;
d) formazione permanente.
b) concentrazione;
c) educare attraverso;
d) formazione permanente.
Si tratta, cioè, di studiare:
a) la verifica della valenza educativa di tutto il nostro
agire pastorale letto nel suo insieme;
b) la concentrazione del nostro impegno educativo sul fronte delle persone, e cioè degli educatori;
c) l'approfondimento di un aspetto del metodo educativo: quello dell'educare attraverso l'esperienza;
d) la messa a fuoco della questione educativa a proposito degli adulti.
b) la concentrazione del nostro impegno educativo sul fronte delle persone, e cioè degli educatori;
c) l'approfondimento di un aspetto del metodo educativo: quello dell'educare attraverso l'esperienza;
d) la messa a fuoco della questione educativa a proposito degli adulti.
I "luoghi" nei quali attuare questo lavoro sono molti. Si
raccomanda che lo siano in particolare, in modo attento e costruttivo, i
Consigli Pastorali e gli incontri del Clero nei Decanati, a partire da "ordini
del giorno" opportunamente predisposti.
Le spiegazione riguardanti questi quattro obiettivi pratici
sono date più avanti (nn. 32-35).
Appuntamenti per ragazzi e giovani
[30] 30. Conviene qui anticipare anche qualche previsione di
massima su particolari iniziative del biennio pastorale 1'87-89, che
interesseranno soprattutto I giovani e i ragazzi.
- Dal novembre 1987 al giugno 1988 verranno riproposti ai
giovani, nelle zone pastorali, gli incontri mensili detti "Scuola della Parola".
Essi potranno utilmente assumere come tema quello delle decisioni fondamentali a
cui i giovani sono chiamati; potranno privilegiare, tra le pagine bibliche su
cui fare la "lectio divina", quella dell'incontro di Gesù con l'uomo ricco
(Matteo 10 e paralleli) riferendosi all'ampio commento che ne ha fatto il papa
Giovanni Paolo II nella lettera apostolica indirizzata "Ai giovani e alle
giovani del mondo" nella Domenica delle Palme 1985;
- nella Quaresima 1988 l'Arcivescovo guiderà, in Duomo, un
corso di Esercizi Spirituali serali per giovani, intendendo in particolare
ricordare il centenario della morte di don Bosco (1888);
- nel mese di maggio o di giugno 1988, i giovani saranno
chiamati a una grande "camminata" che si concluderà a un Santuario Mariano;
- verso la conclusione del biennio pastorale si pensa di
convocare una grande assemblea giovanile
- formata da delegati provenienti da tutte le nostre
Parrocchie e rappresentanti l'intero tessuto della nostra Chiesa diocesana che
potrebbe avere come modello il convegno di Assago "Farsi prossimo";
-per i ragazzi si realizzeranno pellegrinaggi e settimane
estive che, come già negli Esercizi Spirituali proposti ai giovani in Duomo,
daranno evidenza alla figura di san Giovanni Bosco e alle intuizioni
straordinarie che egli ha consegnato alla Chiesa.
Quelli indicati sono soltanto alcuni cenni del calendario.
Più avanti, con l'apporto di tutte le forze vive della nostra Diocesi, si
approfondirà e si preciserà il programma che vedrà, al esempio, il 30/X1/XI 1987
un Convegno di studio promosso dalla FOM per rileggere l'impegno educativo degli
Oratori lungo questo secolo e familiarizzarsi, in tal modo, con la passione
educativa costantemente presente nella nostra comunità diocesana.
[31] 31. La verifica dovrà rispondere ad almeno tre domande
che, a modo di esame di coscienza personale e comunitario, attendono da noi una
seria considerazione. In questo lavoro di revisione andrebbe analizzato tutto il
vivere e l'operare di noi cristiani --come singoli, come famiglia, come
responsabili della testimonianza cristiana nei vari ambiti della vita umana,
come Associazioni, movimenti e gruppi, come comunità piccole e grandi, come
Chiesa particolare.
Si tratta di rileggere, con particolare attenzione, la
capacità educativa di ciò che potrebbe essere denominato l'agire pastorale della
nostra Chiesa.
1) Uno sguardo globale
La prima domanda riguarda ciò che si fa.
- Qual è la valenza educativa di tutto l'attuale nostro agire
pastorale? che cosa "passa" nella gente?
- L'impostazione generale del nostro complesso e vario
impegno pastorale e lo stile quotidiano con cui attuiamo tutto questo
obbediscono ed esprimono una sincera, forte e perseverante esigenza educativa?
-Detto negativamente: non dobbiamo, forse, ammettere che,
talvolta, e magari in ambiti non affatto secondari, "giriamo a vuoto"? Vogliamo
dare un nome a queste situazioni negative per individuarle e trasformarle, per
uscire dalla impasse, per non perdere tempo e per non trascurare occasioni forse
irrepetibili?
2 ) I "vuoti"
La seconda domanda verte su ciò che non si fa.
Una domanda di questo genere richiede, per avere una onesta
risposta, libertà interiore, fantasia, attenzione alle circostanze. Essa
potrebbe essere soffocata sia dal rimando a un quadro di lavoro ritenuto, non
fondatamente, chiaro e ben consolidato, sia dall'immediato e affannoso conteggio
delle forze e del tempo di cui disponiamo.
- Chiediamoci, dunque, se sono "coperti" tutti gli spazi che
attendono un lavoro educativo, oppure no;
- individuiamo i "vuoti" più preoccupanti;
- riflettiamo con pacatezza sui dati del problema, senza
pretendere di vedere immediatamente una persuasiva soluzione, e ben decisi però
a trovarla.
3) Una visita al cantiere
La terza domanda riguarda il bene che c'è.
La verifica, proprio mentre vuol essere rigorosa, corre un
altro rischio: quello di scivolare nella cronaca - magari impietosa - di errori,
inadempienze, inadeguatezze nostre e altrui. Col possibile risultato di
demoralizzarci e immobilizzarci. Perché questo non avvenga e, d'altra parte, non
ci si consoli chiudendo gli occhi sulla realtà, è necessario aprire gli occhi e
contemplare il bene che si fa.
Più precisamente, dobbiamo guardarci attorno e scoprire
persone, luoghi e modi particolarmente significativi quanto all'impegno di
educare.
Da questi testimoni potremo essere aiutati a capire meglio
quel che stiamo facendo; a scoprire strade valide e, per noi, nuove; ad essere
incoraggiati e sostenuti mentre sperimentiamo gravi difficoltà.
La nostra Diocesi è un cantiere, anche da questo punto di
vista, vivacissimo; ma si tratta di un cantiere da visitare attentamente, nel
confronto e nell'ascolto vicendevole, senza pregiudizi, chiusure, fatuo
orgoglio, raggelante scetticismo.
[32] 32. Con questo termine, a prima vista strano, si vuol
invitare a riflettere sugli educatori.
Più precisamente ci si vuol riferire all'esigenza di dare,
nella nostra Diocesi;, una forte spinta perché cresca una decisa disponibilità
delle persone a dedicarsi al lavoro propriamente educativo; e, ancor più, perché
coloro che ritengono di potersi chiamare educatori lo siano effettivamente, e
sempre più, "concentrandosi" generosamente su questo lavoro.
Ecco alcune esigenze alle quali badare.
1 ) Dispersione
Il contrario del]a concentrazione è la dispersione.
L'esperienza comune dice quanto sia facile essere sospinti
dalla "ressa" di mille occupazioni e richiami, da una mancanza di ordine e di
chiare priorità e dalla miseria di una vita senza qualità, a sciupare la propria
presenza in una comunità, la partecipazione all'incontro con un gruppo, il
dialogo o colloquio con una singola persona, ecc.
Il risultato è che l'educatore finisce per essere, in quanto
tale, più un fantasma c'è un reale e significativo interlocutore; che il lavoro
educativo finisce nella inconcludenza o nel nulla; e che anche le occasioni più
opportune vengono sciupate, se non addirittura ignorate, perché non percepite e
non viste.
Ci domandiamo:
-Dove siamo e come siamo?
-E' giusto lamentarci perché siamo in pochi nell'area del
lavoro educativo, o è ancor prima urgente valorizzare le possibilità esistenti,
difendendole dal pericolo, tutt'altro che ipotetico, della neutralizzazione e
dell'insignificanza?
2) Vegliare, scoprire e formare
In termini positivi la concentrazione educativa rimanda ad
almeno due esigenze.
a) La prima è lo stato di "veglia" che permette
all'educatore, come alla sentinella (o anche alla madre), di percepire quel che
avviene e di intervenire a tempo e nei modi appropriati.
Solo l'educatore che guarda negli occhi e nel cuore e che
decifra il linguaggio dei segni, anche quando non diventano parole, sarà capace,
in modo particolare, di cogliere e di affrontare i momenti tipici
dell'educazione, quei due o tre "sì" o "no" della
fanciullezza-adolescenza-giovinezza che decidono di tutto il resto della vita e
che costituiscono i grandi nodi di quella che chiamiamo "pastorale giovanile".
Si pensi, ad esempio, da questo punto di vista (con
riferimento a quanto già proponeva il card. Giovanni Colombo nel programma
pastorale 1977-78: cf. Rivista Diocesana Milanese, pp. 771-805, ai nn. 32-36):
- quanta nostra concentrazione educativa accompagna ragazzi e
ragazze dodicenni (post-cresima)?
- e gli adolescenti di III media/I superiore (professione
solenne di fede)?
- e i diciottenni (fine della scuola superiore, scelta
vocazionale e professionale)?
b) La seconda esigenza tocca la scoperta e la formazione
degli educatori.
Si vuol dire che:
- va compiuto un investimento generoso, in termini di tempo e
di uomini, per la formazione di educatori in tutte le nostre comunità e per i
fondamentali ambiti della vita umana. E' questo un compito per cui contiamo
particolarmente sull'Azione Cattolica;
- occorre domandarsi chi, tra noi, potrebbe diventare
educatore e rivolgere una esplicita e pressante chiamata a queste persone;
- vanno rilette le iniziative esistenti e meritoriamente
sostenute da vari soggetti ecclesiali: quanto e come sono presenti sul
territorio della nostra Diocesi? vengono attuate sui tempi lunghi, nel contesto
di una razionale programmazione e con il sostegno di giuste e possibili
collaborazioni? obbediscono a un "progetto educativo", evidentemente
indispensabile per la maturazione di veri, futuri educatori?
[33] 33. L'avverbio "attraverso", aggiunto al verbo
"educare", va inteso ricordando che, di solito e giustamente, a questo verbo
segue o il complemento oggetto che indica colui che si intende educare, oppure
la preposizione "a": "educare a...", col riferimento evidente ai "fini"
educativi. La domanda che si vuol invitare a non sottovalutare, in questo
momento, è quella dei "mezzi".
1) Primo livello
Il senso più ovvio della domanda è quello che sospinge a
prendere in esame strumenti e metodi del lavoro educativo.
Il nostro programma pastorale biennale sul tema "educare"
vorrà dilatarsi moltissimo, nel secondo anno, precisamente su tali questioni.
Ma già ora esse vanno poste, almeno nei loro termini
sostanziali:
- quali sono gli strumenti educativi più efficaci? a quali
condizioni? con quali complementarità?
- quali sono i metodi più idonei? e i modelli più
significativi attualmente esistenti?
2) Secondo livello
Ma vi è un altro livello al quale leggere, soprattutto nel
primo anno del nuovo biennio pastorale, I'"educare attraverso".
E' quel]o che si scopre stabilendo una esplicita connessione
tra il nuovo passo del nostro cammino pastorale e quelli che abbiamo già
compiuto negli scorsi anni guidati dalle lettere pastorali che vanno da "La
dimensione contemplativa della vita" fino a quella sul "Farsi prossimo".
Si vuol dire che, se è giusto educare all'ascolto della
Parola, alla missione, alla carità, ecc. (nel senso di condurre al
raggiungimento degli obiettivi così indicati), è non meno vero che si può e si
deve educare mediante l'ascolto della Parola, l'Eucaristia, l'azione
missionaria, il farsi prossimo, ecc.
Per fare un esempio, si tratta di rileggere il rapporto tra
il programma pastorale "Educare" e l'impegno pastorale "Farsi prossimo", non
solo come risposta alla domanda: "Come educare alla carità?", ma ancor più
profondamente: "Come educare attraverso la carità?"; si tratta cioè, ancor più
concretamente, di cogliere, per esempio, la valenza "pedagogica" dei
suggerimenti dati dalla Caritas quanto al farsi prossimi nei confronti degli
ultimi (sul volontariato, sull'affido familiare, sull'impegno chiesto persino ai
bambini in ordine alla carità, ecc.).
3) Esperienza e trascendenza
Il significato complessivo di queste indicazioni a "educare
attraverso" è duplice.
Si vuole, anzitutto, riaffermare la forza educativa
dell'esperienza: gli atti educano; le parole, che pure occorrono, non bastano e
spesso illudono; il pagare di persona - in termini di tempo, di fatica, di
disponibilità e di ricerca - fa assimilare i valori ed è un grande aiuto a
capire le cose in profondità.
Il significato dell'"educare attraverso" è però anche un
altro, quello che viene illustrato da tutta la prima parte di questa lettera
pastorale: le vie di Dio sono imperscrutabili; il cammino educativo non è da
affrontare semplicemente come qualcosa di deducibile; esso viene esaurientemente
espresso da un approccio non puramente antropologico, ma propriamente teologico,
perché l'educazione è via e azione di Dio.
E potremmo anche dire: la parola di Dio è più grande della
nostra vita, la comprende, la avvolge e la interpreta; la carità evangelica è
rettamente intesa e praticata se ha la profondità e la complessità della carità
verso il Padre e verso gli uomini vissuta da Gesù, soprattutto nella sua
passione e morte; la celebrazione dell'Eucaristia ha una sua forza per la verità
della celebrazione stessa che introduce alla carità pasquale di Cristo; ecc. Si
tratta insomma, di tener conto che gli orizzonti del nostro cammino educativo e
della nostra crescita fino alla maturità di Cristo sono dischiusi da Dio.
Lasciarci "educare attraverso" è un modo per riconoscere questa nostra singolare
e fortunata condizione.
La domanda conclusiva e semplice è perciò la seguente: quanto
e come stiamo attuando, senza dimenticarla né accantonarla, la proposta
pastorale degli scorsi sette anni, intesa come reale luogo e strumento
educativo?
[34] 34. Tutta questa lettera pastorale, per quanto tenga
presenti anzitutto i ragazzi e i giovani, si applica anche agli adulti e alla
responsabilità che essi hanno verso se stessi in un cammino di costante
formazione.
Qui si vogliono perciò sinteticamente richiamare i vari modi
e le diverse iniziative secondo le quali è attuabile tale impegno; si vuole
suggerire un atteggiamento fondamentale, che è quello di sapersi porre alcune
semplici domande; si vuole far notare che, anche a proposito di iniziative e
strumenti, vi è spazio per un continuo rinnovamento; e si vuole, infine, dire
una parola specifica sulla formazione permanente dei presbiteri.
1 ) Iniziative
In questo quadro trova spazio anzitutto un attento inventario
di tutto ciò che, nella nostra Diocesi, intende offrire uno stimolo e un aiuto
per la freschezza del cammino degli adulti:
-si pensi alle iniziative formative ad alcuni capitoli
particolari della responsabilità degli adulti (nella famiglia, nella società,
nella Chiesa);
- si pensi anche alle occasioni di formazione fondamentale
degli adulti, all'interno di una esperienza di incontro e convivenza in gruppi
di adulti, attraverso la catechesi per gli adulti, ecc.;
- si pensi a quello sforzo di formazione permanente che, con
l'uso di strumenti vari, tende a garantire nella vita dell'adulto un continuo
rinnovamento e una costante trasformazione di sé, nel mantenimento e nella
affermazione della propria identità personale.
2) Alcune semplici domande
Quest'ultimo aspetto è quello che merita particolare
attenzione.
In realtà, tutte le iniziative per gli adulti mancano allo
scopo se, mentre vengono messe in atto, non chiamano in causa gli aspetti più
profondi della persona e non mirano a favorire la sua autenticità e pienezza.
-Badare a questa dimensione educativa dell'adulto significa
interrogarci sulle condizioni, lo stile e le qualità della sua vita quotidiana:
qui infatti possono annidarsi le cause del graduale degrado della vita degli
adulti, qui va assicurata la presenza di una specie di "principio genetico" (si
pensi, ad esempio, al DNA) per un costante rinnovamento dell'adulto.
- Può essere di aiuto in questo impegno di autoformazione il
porsi ogni giorno domande apparentemente piccole ma fondamentali per il
"check-up" della nostra esistenza personale sotto il profilo delle relazioni
interpersonali, della vita spirituale, della fedeltà vocazionale, della
sensibilità culturale, ecc. Per esempio: quando prego? come tratto quelli di
casa? cosa leggo,. mi impongo delle scelte a proposito della televisione ?...
- E può risultare illuminante l'incontro, il confronto e
l'approfondimento delle esperienze di vita adulta pienamente riuscita: si pensi
ai "grandi vecchi", rimasti sempre giovani, si pensi ai grandi santi, che non
hanno mai smesso di convertirsi e perciò di trasformarsi e crescere.
3 ) Ri-formare gli strumenti
Il tema dell'educazione permanente può essere affrontato
anche da un altro punto di vista: quello del costante rinnovamento ad opera
soprattutto degli adulti delle iniziative , degli strumenti, in vista di un
valido lavoro educativo
Qui il contrario di quel che si sta dicendo sarebbe
l'atteggiamento, purtroppo non così raro, per cui o ci si ripete stancamente o
ci si lamenta sterilmente per il fatto che "le cose non vanno". Un simile modo
di affrontare la vita e il lavoro, per quanto spiegabile in presenza di disagi o
delusioni o stanchezze, è una spia per avvertire che noi, come adulti, ci siamo
forse "seduti", abbiamo tirato i remi in barca, ci confessiamo vecchi o fuori
giuoco, giudichiamo con amarezza e senza speranza la storia presente e il futuro
che si prospetta.
4) Formazione permanente del Clero
Tra gli adulti vanno ricordati, in modo particolare, i
presbiteri, che tanta responsabilità portano nel cammino delle nostre comunità
(cf.
Presbyterorum Ordinis n. 6: I Presbiteri, educatori del popolo di Dio) e per i
quali vi è quindi una motivazione specifica di formazione personale permanente.
Come dice la CEI, "I'obiettivo più importante dovrebbe essere
quello di stimolare ad una costante verifica di sé e della propria attività di
ministero nel confronto con gli altri e con la situazione; di sviluppare una
capacità di ascolto, di comprensione e di collaborazione con gli altri
presbiteri, con i Religiosi e I laici; di far superare quei diaframmi che troppo
spesso dividono generazioni e mansioni diverse (giovani e anziani, parroco e
cooperatori ecc.). Per ottenere questi scopi sembrano necessarie iniziative e
strutture: corsi e lezioni di aggiornamento teologico-pastorale; riflessione
sull'azione pastorale; riflessioni e attività spirituali, come Ritiri ed
Esercizi" (cf. La formazione dei presbiteri nella Chiesa Italiana, appendice,
nn.
1 3-1)
Nei confronti di tutto questo, già i preti giovani possono
porsi una domanda: - quale uso fanno dell'ISMI (Istituto Sacerdotale Maria
Immacolata)? di quale fedeltà e partecipazione danno prova?
Una seconda domanda se la può porre tutto il Clero, dal
termine del 5° anno di sacerdozio in avanti: se rileggiamo gli anni o i decenni
che abbiamo già trascorso, quale impegno personale di fatto constatiamo per la
nostra formazione permanente? quale utilizzazione delle iniziative diocesane
appositamente organizzate?
E guardando al futuro: come intendiamo usufruire di quanto,
con l'aiuto dell'Istituto Lombardo di Pastorale avente sede a Milano in c.so
Venezia, verrà proposto dalla Diocesi ai sacerdoti, anche con forme parzialmente
nuove, proprio a partire dall'anno pastorale 1987-88?
[35] 35. Se tutto quanto è stato indicato come programma di
lavoro in questa terza parte della lettera pastorale toccherà realmente le
nostre Comunità Cristiane, si può aver fiducia che, col tempo, si potrà ottenere
un duplice risultato:
- un'efficace assimilazione dei principii dell'educazione
cristiana (favorendo lo stagliarsi nitido, di fronte alla coscienza, del profilo
autentico del cristiano maturo; garantendo inoltre la capacità di identificare,
per evitarle, quelle che potrebbero essere chiamate "scorrettezze" educative);
- un serio approfondimento dei "nodi" più difficili, e però
inevitabili, del compito educativo e della perenne autoformazione: sviluppo e
conversione; mistagogia e pedagogia; adolescenza e giovinezza come occasioni
irrepetibili per introdursi nel mistero del vivere in Cristo; tappe fondamentali
dell'educazione e dell'autoformazione; rapporto tra libertà, verità e carità;
ecc.
Resterà poi un amplissimo programma da svolgere, che troverà
più esplicata attenzione nel secondo anno di questo biennio 1987-89 (anche se
verrà giustamente almeno già sfiorato nel primo).
- Si pensi, per esempio, alla Famiglia e al suo ruolo
educativo; alla Scuola e alla sua tipica responsabilità (e, in questo contesto,
alla Scuola Cattolica, all'Insegnamento della Religione Cattolica nella Scuola
di Stato).
- Si pensi alla Parrocchia e ad alcuni suoi tipici strumenti
educativi.
Oltre che, naturalmente, al "luogo" assolutamente primario
che si chiama "Liturgia", l'attenzione dovrà volgersi all'Oratorio, alle
Associazioni (e, in particolare, all'A.C.), ai Gruppi, ai Movimenti Ecclesiali
presenti e operanti, alla impostazione di rapporti costruttivi con i soggetti
educativi sopra ricordati (Famiglia e Scuola).
- E si pensi alla Chiesa particolare (Diocesi) in tutta la
sua ampiezza e alle sue responsabilità educative.
Essa deve interrogarsi sui suoi strumenti e sulle sue scelte
qualificanti in favore della educazione dei giovani e per un reale sostegno agli
adulti; deve proporsi una significativa vicinanza alle migliaia di persone
attive sul fronte educativo e alle tante realtà ecclesiali di base sparse sul
territorio; deve mostrare accoglienza e armoniosa valorizzazione di tutti i
germi e di tutte le forze che si dimostrano capaci di dare nuovo impulso
all'impegno educativo odierno; deve interrogarsi sulle nuove condizioni di vita
offerte e spesso imposte dalla società tecnologica e telematica, così da saper
adottare scelte educative che tocchino validamente il mondo delle comunicazioni
sociali e, naturalmente, tutto il mondo del lavoro.
Come si vede, di strada da percorrere ve n'è molta.
Riecheggiano per noi le parole di Paolo: "Finché abbiamo
tempo, operiamo il bene" (Galati 6, 10).
[36] Nel libro VIII delle Confessioni Agostino descrive la
propria esperienza spirituale che, come in tutto il resto del libro, prende la
forma del dialogo con Dio: "Dio mio, fa' ch'io ricordi per ringraziartene e
ch'io confessi gli atti della tua misericordia nei miei riguardi... Hai spezzato
i miei lacci... da te assediato da ogni parte... si era dissipato dalla mia
mente ogni dubbio" (VIII, 1 1). In questo modo egli dà evidenza al fatto che Dio
è stato Colui che l'ha liberato, illuminato, assediato, messo alla prova, e,
dunque, educato.
Ma la stessa pagina del libro delle Confessioni racconta
l'incontro prolungato con Simpliciano.
Questo uomo saggio è stato importante, come "buon servitore"
e strumento di Dio, per il cammino di Agostino: "Allora m'ispirasti il pensiero,
apparso buono ai miei occhi, di far visita a Simpliciano... In lui riluceva la
tua grazia. . Era mio desiderio conferire con lui sui miei turbamenti, affinché
mi riferisse il metodo adatto a chi si trova nel mio stato per avanzare sulla
tua via" (VIII, 1, 1).
E' molto istruttivo ripercorrere le tappe del cammino di
Agostino per toccare con mano i passi compiuti, la reale conversione, i
superamenti dolorosi.
E sarebbe pure affascinante studiare gli strumenti di cui Dio
si è servito per il cammino di Agostino. Oltre a Simpliciano ve ne sono infatti
molti altri, tra cui eccelle s. Ambrogio. Ci si dovrebbe chiedere: come hanno
agito, con quale stile, con quali scelte, con quali sottolineature e con quale
metodo?
Voglio almeno ricordare brevemente, a conclusione di questa
lettera, e nell'anno centenario non solo del battesimo di Agostino (notte di
Pasqua del 387), ma anche della morte di santa Monica (estate del 387), la
figura di questa grande madre educatrice.
S. Agostino ci racconta lui stesso come la madre accolse
l'annuncio della sua definitiva conversione: "Immediatamente ci rechiamo da mia
madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo
svolgimento dei fatti; esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi fare
più di quanto chiediamo o comprendiamo. Vedeva che le avevi concesso a mio
riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto per tutti i suoi gemiti e le sue
lacrime pietose" (Confessioni VIII, 12, 30). E rievocando gli ultimi momenti
passati con la madre così riferisce le sue parole: "Figlio mio, per quanto mi
riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me... Una sola
cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il
vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta
ampiamente..." (Confessioni IX, 10, 26).
Questa madre, come già la vedova di Naim in pianto per
l'unico figlio (Luca 7, 11-13), è immagine e simbolo di tutte le madri, di tutti
i genitori cristiani, della Chiesa educatrice e di ogni educatore che ama
profondamente.
Ci conceda il Signore, nell'anno centenario di santa Monica e
in quello della morte di s. Giovanni Bosco (1888), di rinnovarci nella passione
educativa e doni a tutti gli educatori della nostra Diocesi, genitori,
insegnanti, preti, religiosi e religiose, catechisti, volontari, il centuplo
della riconoscenza per la loro dedizione e il loro coraggio.
Vi benedico tutti,
CARLO MARIA MARTINI Cardinale Arcivescovo
Tutta la liturgia, essendo riflesso del mistero di Dio e
strumento della sua azione salvifica verso d suo popolo, è educativa e contiene
spunti educativi ricchissimi.
Perciò sarebbe possibile riprendere la tematica della lettera
analizzandola sotto il profilo liturgico, considerando i gesti, i tempi, i testi
della liturgia e vedendone l'incidenza sull'educazione della persona (ct. i
libri classici di Dietrich von Hildebrand, ..Liturgia e personalità" e Romano
Guardini, "Lo spirito della liturgia").
Qui ci limitiamo, per stimolare questo lavoro, a riportare
alcuni testi più specifici dalle "Messe e orazioni per varie necessità" del
"Messale ambrosiano", che possono servire anche per accompagnare le riflessioni
comunitarie sulla lettera pastorale.
Orazione inizio assemblea (per gli educatori)
Dio, sorgente di vita e di grazia dona agli educatori di
collaborare al compimento del tuo disegno d'amore nei giovani perché si formino
alla scuola di Cristo, tuo Figlio, che è modello perfetto dell'uomo.
Orazione a conclusione della liturgia della parola (per i
giovani)
Concedi ai giovani, o Dio, una vita di fede e un servizio di
amore per te e per il prossimo, nella società e nella famiglia; apri il loro
animo all'ascolto docile della tua parola che li chiama a donarsi ai fratelli
nella libertà e nella gioia dello spirito.
Prefazio
La tua potenza ha creato l'uomo a immagine di Cristo, sublime
modello della nostra vita. In lui la nostra umanità deve rinascere perché,
liberata dal male, possa dare pieno compimento al mistero del tuo amore paterno
che tutti ci ha chiamato alla vita immortale. Tu hai mandato il Figlio tuo,
cresciuto nell'affetto di una famiglia umana, perché fosse luce e sostegno a
ogni missione educatrice e ai nostri giovani donasse desiderio e forza di
crescere come lui, in sapienza e grazia.
2. Per la professione di fede degli adolescenti
Orazione inizio assemblea
Dio onnipotente ed eterno, che in questa assemblea vuoi
illuminare la nostra vita con la tua parola di salvezza, guidaci con mano
paterna sul nostro cammino perché, alla scuola del vangelo, diventiamo amici
fedeli di Cristo.
Prefazio
Tutti per nome ci hai chiamato alla vita con amore di Padre,
affidando a ciascuno una propria missione. Incontro, sul nostro cammino, ci hai
mandato il tuo Figlio unigenito che a noi mirabilmente si unisse in un vincolo
di eterna amicizia. Hai voluto associare il nostro destino alla storia della sua
redenzione e ci hai reso figli della Chiesa perché fossimo solerti operatori di
pace e coraggiosi annunciatori del vangelo nel mondo.
3. Per la terza età
Orazione inizio assemblea
O Dio eterno, che per compiere il tuo disegno d'amore,
concedi lunghezza di giorni e di anni, dona a questi tuoi fedeli di crescere
senza interruzione e senza stanchezza nell'intelligenza docile della tua parola
e nel servizio paziente e generoso dei fratelli.
Orazione a conclusione della liturgia della parola
Dio onnipotente e buono, che a tutto il tempo della nostra
vita dai valore ed efficacia di grazia, fa' che questi tuoi figli ti cerchino
con animo più libero, riconoscano più profondamente la vanità del mondo e,
maturando nella sapienza del cuore, possano edificare la comunità cristiana con
le parole e con le opere che vengono da uno spirito colmo di serenità e di
speranza.
Prefazio
E' veramente cosa buona e giusta celebrarti, Padre
onnipotente, per i molti giorni di vita che ci fai trascorrere. Anch'essi sono
segno del tuo amore: tu ci doni il tempo che passa perché sappiamo meritare
l'eternità che rimane. Lungo la nostra esistenza ci accompagni con la grazia di
Cristo, nel quale ci hai creato e salvato, e ci inviti a rispondere pienamente
alla divina chiamata, crescendo nella tua carità, e a restare fedeli al tuo
misterioso disegno. Se le forze del corpo vengono meno, non diminuisce la tua
bontà che perdona e rinnova, elargendo più abbondanti i doni dello Spirito
santo. Così, nella serenità dell'anima, ci avviciniamo a te che non deludi la
nostra speranza nelle tue promesse, ma ci attendi nella gioia eterna dove
canteremo senza fine l'inno della tua lode.