domenica 5 agosto 2012

E' bello restare con Cristo!


ANGELO BIANCINI, Marco Evangelista
S. Marco evangelista
scultura policroma di ANGELO BIANCINI


Oggi 6 AGOSTO celebriamo la Festa della
                       TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

Anno B 

Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo  (Nn. 6-10; Mélanges d'archéologie et d'histoire, 67 [1955] 241-244)
Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un'immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28).
L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3).
Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo.
Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo si a nostra guida e battistrada. Con lui saremo circondati di quella luce che solo l'occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata.
Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni.
Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).
Realmente, o Pietro, è davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi è di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce?
Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E' bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l'anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri.


 * * *

Riporto da "Osservatore Romano" di oggi, 6 agosto 2012, di M. Nin.


La Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina

Oggi la natura umana riacquista
la sua antica bellezza


In un tropario l’ufficiatura fa quasi una parafrasi dell’icona, come se l’innografo la leggesse: "Il mistero nascosto dall’eternità è stato negli ultimi tempi manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo dalla tua tremenda trasfigurazione. Essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti, oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accadere. Una voce da parte del Padre dava testimonianza, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo, egli donerà al mondo la grande misericordia".
La liturgia collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua passione: la salita sul Tabor e quella sul Calvario, dove la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione viene smarrita in quella della passione: "Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di fronte ai tuoi patimenti. Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione".
Uno dei tropari del vespro accosta passione e risurrezione, mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e risorto: "Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti trasfiguravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a terra, non sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servizio con timore e tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria".
La presenza di Mosè ed Elia esprime il collegamento con la teofania sul Sinai: "Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono Colui che è, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi preannunciavano il suo esodo tramite la croce e la salvifica risurrezione".
Tre testi veterotestamentari sono presenti come filo conduttore. Il primo è collegato a Mosè: "Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai trasfiguratosi oggi sul monte Tabor". Il secondo (2 Re, 2) a Elia: "Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cristo, l’autore della Legge e dei Profeti e colui che li porta a compimento". Il terzo (Salmi, 88, 12-13) a Davide: "Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davide convocava la creazione alla festa, esclamando profeticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno".
La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la gloria della natura umana rinnovata: "Oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfigurandoti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscuratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità". Infine, il canone del mattutino, opera di san Giovanni Damasceno, avvicina la teofania sul Sinai a quella sul Tabor: "La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo era figura della tua trasfigurazione. Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità".
 In un tropario l’ufficiatura fa quasi una parafrasi dell’icona, come se l’innografo la leggesse: "Il mistero nascosto dall’eternità è stato negli ultimi tempi manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo dalla tua tremenda trasfigurazione. Essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti, oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accadere. Una voce da parte del Padre dava testimonianza, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo, egli donerà al mondo la grande misericordia".
La liturgia collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua passione: la salita sul Tabor e quella sul Calvario, dove la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione viene smarrita in quella della passione: "Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di fronte ai tuoi patimenti. Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione".
Uno dei tropari del vespro accosta passione e risurrezione, mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e risorto: "Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti trasfiguravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a terra, non sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servizio con timore e tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria".
La presenza di Mosè ed Elia esprime il collegamento con la teofania sul Sinai: "Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono Colui che è, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi preannunciavano il suo esodo tramite la croce e la salvifica risurrezione".
Tre testi veterotestamentari sono presenti come filo conduttore. Il primo è collegato a Mosè: "Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai trasfiguratosi oggi sul monte Tabor". Il secondo (2 Re, 2) a Elia: "Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cristo, l’autore della Legge e dei Profeti e colui che li porta a compimento". Il terzo (Salmi, 88, 12-13) a Davide: "Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davide convocava la creazione alla festa, esclamando profeticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno".
La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la gloria della natura umana rinnovata: "Oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfigurandoti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscuratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità". Infine, il canone del mattutino, opera di san Giovanni Damasceno, avvicina la teofania sul Sinai a quella sul Tabor: "La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo era figura della tua trasfigurazione. Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità".
MESSALE
Antifona d'Ingresso  Cf Mt 17,5
Nel segno di una nube luminosa
apparve lo Spirito Santo
e si udì la voce del Padre:
«Questi è il mio Figlio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo».

Colletta

O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore, hai confermato i misteri della fede con la testimonianza della legge e dei profeti, e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, fa' che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio per diventare coeredi della sua vita immortale. Egli è Dio...

 

LITURGIA DELLA PAROLA

 
Prima Lettura  Dn 7,9-10.13-14
La sua veste era candida come la neve.

Dal libro del profeta Daniele
Io continuavo a guardare,
quand’ecco furono collocati troni
e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
Un fiume di fuoco scorreva
e usciva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.
 

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 99
Il Signore regna, il Dio di tutta la terra.
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sostengono il suo trono.

I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
Annunciano i cieli la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria.

Perché tu, Signore,
sei l’Altissimo su tutta la terra,
eccelso su tutti gli dèi.
 
   

Seconda Lettura
  2 Pt 1,16-19
Questa voce, noi l'abbiamo udita scendere dal cielo.

Dalla seconda lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.
E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.
  
Canto al Vangelo
   Mt 17,5c
Alleluia, alleluia.

Questi è il Figlio mio, l’amato:
in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo.

Alleluia.


 
Vangelo  Mc 9, 2-10
Questi è il Figlio mio, l'amato. 

Dal van
gelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbi, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. Parola del signore.

COMMENTI

Bose, 5-6 agosto 2012
Omelia di ENZO BIANCHI   
Professione monastica definitiva 
di sr. CHIARA CANEPA e sr. SARA LATTUADA

Cari fratelli e sorelle,
ancora una volta siamo in veglia, ben desti in questa notte, siamo insieme, radunati nello stesso luogo per contemplare Gesù Cristo, l’uomo Gesù che ci ha raccontato Dio (cf. Gv 1,18) e l’ha potuto fare vivendo pienamente da uomo, uomo come noi e come ciascuno di noi. Noi guardiamo a Gesù, cerchiamo il suo volto, teniamo fissi gli occhi su di lui (cf. Eb 12,2), gli occhi del cuore certamente, perché in questo nostro sguardo la nostra ragione e il nostro cuore, la nostra intelligenza e il nostro sentimento trovano un punto, focalizzano un centro al quale noi sentiamo di affidarci, di consegnarci totalmente. In questo centro sentiamo che le nostre vite possono avere senso, possono essere salvate, potremmo dire. È guardando a Gesù Cristo che la nostra razionalità e la nostra affettività si integrano, per rendere possibile un’esperienza spirituale che ci edifica come uomini, uomini che devono essere sempre di più uomini veri, uomini autentici. È proprio guardando a Gesù, con gli occhi del nostro cuore, che impariamo da lui uno stile, una postura, nella quale gli altri possono trovare con ogni probabilità un riflesso di quella presenza buona, accogliente che aveva Gesù.
Questa contemplazione di Gesù tentiamo di viverla attraverso il vangelo di Marco che abbiamo ascoltato come parola che Dio rivolge a noi, qui, ora. Marco ha inserito il racconto della trasfigurazione di Gesù – ed è importante che notiamo questo, perché è Marco che ha creato il racconto del vangelo – dopo l’annuncio della passione e prima dell’annuncio del ritorno di Elia. Conosciamo bene l’incipit di questa sezione: «Gesù cominciò a insegnare», «érxato didáskein» (Mc 8,31), cominciò, incominciò. Quell’insegnamento è nuovo per i discepoli: è un insegnamento che urta contro tutto quello che Gesù aveva fatto e detto; è un insegnamento in cui Gesù dice che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molte cose» (cf.ibid.). E a questo inatteso, nuovo insegnamento di Gesù sulla necessità di soffrire molte cose, Pietro reagisce rimproverando Gesù (cf. Mc 8,32). Ma Gesù dà una lezione pubblica a quel suo discepolo che lo aveva preso in disparte (cf. Mc 8,33); Gesù che parla sempre chiaramente e non ha nulla da dire ad un discepolo personalmente, chiama a sé la folla e tutti gli altri e dice con voce molto alta: «Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).
È una parola per ciascuno di noi, una parola di fronte alla quale possiamo anche sentirci inadeguati, ma è una parola che non dobbiamo annacquare, indebolire. Chi vuole stare alla sequela di Gesù e vuole essere suo discepolo, deve smettere di guardare a se stesso – questo è il vero senso del «rinnegare» –, deve smettere di riconoscere solo se stesso; e in questa operazione di non guardare a se stesso, di smettere di riconoscere se stesso, con tutte le forme di narcisismo e di egoismo che sono connesse allo sguardo su se stessi, occorre arrivare anche a perdere la propria vita. Ma questa, dice Gesù, è la condizione per essere riconosciuti dal Figlio dell’uomo quando verrà nella sua gloria con i suoi angeli (cf. Mc 8,38). Questa è la condizione per vedere il Regno di Dio che viene con potenza anche prima di morire (cf. Mc 9,1). Queste parole di Gesù devono apparirci decisive: o uno smette di guardare a se stesso per guardare a Gesù, e in Gesù guardare agli altri, oppure continua a guardare se stesso, e allora resta incapace di vedere il Regno che viene con potenza e non potrà essere riconosciuto dal Figlio dell’uomo, quando egli verrà.

Questo è quello che ci dice Marco, preparandoci così all’evento della trasfigurazione. Marco continua: ed ecco, «sei giorni dopo» (Mc 9,2), sei giorni dopo questa parola, questo nuovo insegnamento di Gesù, ecco la realizzazione di questa promessa, non per tutti i Dodici, non per tutti i discepoli, ma per almeno tre, Pietro, Giacomo e Giovanni. Gesù prende con sé questi tre, che non erano i più amati da lui: guai se diciamo che erano prediletti, come diciamo del discepolo amato da Gesù nel quarto vangelo; erano amati, amati in modo diverso e soprattutto amati in forza del grado della fede che avevano e del coinvolgimento che avevano saputo avere con la vita di Gesù. Gesù «li conduce in disparte, soli» («kat’ idían mónous»: ibid.), e mentre gli altri stavano a valle, mentre gli ebrei festeggiavano vestiti di bianco la festa dell’Hoshannà rabbà, del grande Osanna, Gesù e i suoi sono in disparte, soli, su un alto monte.
E qui avviene una trasformazione, una metamorfosi, certamente di Gesù e forse anche dello sguardo dei discepoli. Sappiamo bene che su questa trasformazione si sono soffermati soprattutto i padri greci, dando alcune risposte che portano un sapore monofisita: quasi per non riconoscere ciò che in Gesù era veramente umano, finiscono per dire che Gesù era sempre trasfigurati e che qui si è trasfigurato soltanto lo sguardo dei discepoli. Sant’Andrea di Creta dice che Cristo non si è trasfigurato, è restato quello che era, ma è lo sguardo dei discepoli che è mutato, che è diventato capace di vedere ciò che prima non vedeva. Noi che non abbiamo la grazia e l’intelligenza di questi padri, preferiamo accogliere il testo evangelico il quale ci dice che il corpo di Gesù, quel corpo di uomo nato da donna, quel corpo di miseria, quel corpo «è stato trasfigurato» («metemorphóthe»: ibid.). Crediamo anche però che lo sguardo dei discepoli diventò capace di vedere «il sôma pneumatikón», «il corpo spirituale» (1Cor 15,44) del Figlio di Dio.
Poveri discepoli! Pietro che non capiva la necessità del patire molte cose da parte del Figlio dell’uomo, Pietro e gli altri che dopo questo evento, questa esperienza evento di fede continuano a domandarsi: «Ma che cosa significa risorgere dai morti?» (cf. Mc 9,10). Poveri discepoli, immagine di tutti noi, immagini delle nostre chiese, immagine delle nostre comunità intontite, che non capiscono: siamo noi, ciascuno di noi in questa condizione. Però sul monte Gesù è stato visto da questi discepoli così inadeguati, in altra forma, nella forma della gloria, splendente e luminoso come l’Elohim del salmo 76 che abbiamo cantato nei vespri: «Splendente di luce sei tu e magnifico nell’alto delle montagne eterne» (Sal 76,5). Ma in quel momento la voce del cielo lo chiama Figlio amato, cui deve andare l’ascolto dei discepoli: «Ascoltatelo!» (Mc 9,7). Certamente per vedere Gesù nella gloria, per sentire questa voce del Padre, i tre discepoli avevano perlomeno predisposto tutto perché in loro potesse operare la grazia; non erano capaci di capire, ma erano capaci di accogliere il dono del vedere, e del vedere ciò che occhio d’uomo non vide (cf. 1Cor 2,9), non può vedere.

Sappiamo tutti che la capacità dell’occhio di svolgere la sua funzione si regge sulla sua incapacità di percepire se stesso, di guardare a se stesso. È la legge dei nostri occhi: noi vediamo perché l’occhio non vede se stesso. Ma così è anche del nostro occhio spirituale: per vedere Cristo un discepolo non deve guardare a se stesso ma guardare a Cristo, guardare all’altro, agli altri. Gesù con quella sua predizione della passione aveva invitato i discepoli a guardare in modo diverso a lui, ad assumere quel nuovo insegnamento che dava un altro sguardo, un’altra ottica; ma soprattutto aveva insegnato, se leggiamo bene il vangelo, a non guardare a se stessi e neppure a guardare a Gesù pensando come si pensa a se stessi, perché anche questo può accadere purtroppo! Chi infatti guarda troppo a se stesso si perde. Solo chi guarda, pensa, ha cura degli altri salva la sua vita e continua a guardare vedendo, altrimenti guardando a se stesso guarda senza vedere. Vedere con altri occhi, andare avanti cercando di vedere l’invisibile (cf. Eb 11,27), questa è la nostra vita dietro a Gesù, questa è la nostra scommessa. Pietro il Venerabile dice che noi monaci dovremmo essere dediti all’arte della perscrutatio, del vedere in profondità, del vedere oltre, del vedere sempre l’altro: l’Altro con la «a» maiuscola, Dio, l’altro che nel quotidiano è semplicemente chi incontro ed è sempre un mio fratello. È con uno sguardo altro che i tre discepoli hanno potuto vedere nella trasfigurazione la passione, di cui parlano Gesù, Mosè ed Elia (cf. Mc 9,4), e più tardi hanno potuto vedere nella passione la trasfigurazione.
Questa lettura della trasfigurazione vuole essere un invito a non guardare a noi stessi, altrimenti la nostra vita monastica può diventare una vita non cristiana. Non dimentichiamocelo: gli altri sono richiamati dalla realtà dei figli, sono richiamati dalla realtà dell’amore di un amante. Noi che non siamo richiamati da queste cose rischiamo di guardare a noi stessi, e sovente nella vita monastica il celibato è un narcisismo, né più né meno, che impedisce di vivere ciò che il Signore chiede da una vita monastica: non guardare a se stessi, andare avanti, guardare a Cristo. Ammiro quei monaci che arrivano nell’anzianità ad avere anche una fede scarsa, ma che sanno mantenere l’amore per il Signore Gesù e continuano a guardare a lui, e non a guardare a se stessi.
Ecco, mi rivolgo con queste parole a Chiara e a Sara, non ho altre parole da rivolgere loro, perché Chiara e Sara possano vedere altrimenti, vedere con il cuore, vedere le realtà invisibili che non passano (cf. 2Cor 4,18) e che dunque sono decisive per noi, decisive per la morte o per la vita. Chi perde la sua vita per gli altri, anche se magari la perde male, in verità la perde per Dio e in Dio, e dunque la salva, anche se apparentemente sembra essere più perduto degli altri. Dopo questi tanti anni, ben più di sette, Chiara e Sara attraverso una lotta spirituale sono giunte all’ora dell’impegno definitivo davanti al Signore e alla chiesa. Entrano nella nostra alleanza e sono portate a un primo adempimento della vocazione cristiana che è stata data loro nel battesimo. È un primo compimento, ma questo è un nuovo inizio, perché la vita cristiana è «un ricominciare sempre di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine» – ci ricorda Gregorio di Nissa –, è un riprendere la sequela in una nuova condizione. Chiara e Sara, cercate di perseverare, per giungere all’ora in cui il Signore compirà totalmente in voi ciò che da sempre ha preordinato: lo compirà lui, voi vi accorgerete che non riuscite a compiere nulla, ma il Signore porterà a quel compimento (cf. Fil 1,6), accogliendovi nel Regno eterno. Lì si misura la propria salvezza, lì si misura il senso della propria vita.
* * *

L. Manicardi
La prima e la seconda lettura presentano un messaggio ancillare nei confronti del vangelo che narra la trasfigurazione di Gesù davanti a testimoni della prima e della nuova alleanza. La visione di uno simile a un figlio d’uomo che riceve gloria e regno da Dio ne è profezia (I lettura); la narrazione della visione (1Pt 1,16) di cui Pietro ha beneficiato “sul santo monte” ne è testimonianza (II lettura).
La trasfigurazione mostra che nel corpo umano di Gesù si manifesta la gloria di Dio. Il Dio “che abita una luce inaccessibile” (1Tm 6,16) comunica agli uomini la sua luce nella carne di Gesù di Nazaret. Sì, i cristiani conoscono Dio solo attraverso Cristo e Gesù è la piena e definitiva narrazione del volto di Dio. Ma se Gesù, alla trasfigurazione, si manifesta come “luce del mondo” (Gv 8,12), come colui sul cui volto rifulge lo splendore della gloria divina (cf. 2Cor 4,6), tale luminosità non può non irradiare sui discepoli che lo seguono, sui cristiani. Il cristianesimo è esperienza di luce. Non è consueto parlare in termini così impalpabili del cristianesimo, ma se “Dio è luce” (1Gv 1,5), se Gesù è luce del mondo (cf. Gv 8,12), se lo Spirito è lumen cordium e se il battesimo stesso è chiamato “illuminazione” dal Nuovo Testamento (Eb 6,4; 10,32), allora la fede non può che condurre il cristiano a partecipare a questa luce: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14).
Se la luce del Trasfigurato esprime la presenza del mistero divino in Gesù, la luce dei cristiani si manifesta come bellezza che riflette la luminosità di colui che narra “l’autore stesso della bellezza” (Sap 13,3). La trasfigurazione è esperienza di bellezza (cf. Mc 9,5) e la bellezza cristiana è relazione con il Signore e comunione fraterna, non è un dato statico, ma una realtà in divenire, non è possesso, ma promessa di beatitudine. Ecco il cristianesimo come filocalia (amore della bellezza). Tra Mosè, Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni si stabilisce una misteriosa comunione in Cristo, una comunione di santi che proclama che Gesù non è solo e che i santi vivono nel mistero della comunione che in lui ha il suo centro. La cattedrale di Chartres presenta i santi dell’Antico e del Nuovo Testamento radunati attorno al Beau Dieu, quasi fossero tanti raggi che provengono dall’unico sole, dall’unica fonte di luce e bellezza. La bellezza cristiana è evento di relazione e di comunione, è celebrazione di volti e di nomi personali chiamati alla santità. Bellezza, nell’esperienza cristiana, è sinonimo di santità. Dalla trasfigurazione discende dunque per i cristiani il compito della bellezza: una bellezza che impregni le vite e le relazioni, il corpo e lo spirito, fino a rendere la vita del credente un capolavoro umano e spirituale.

Al cuore di questa avventura di relazione e comunione vi è l’ascolto. La trasfigurazione può anche essere colta come esperienza di ascolto della parola di Dio nelle Scritture: queste, infatti (Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti), si sintetizzano in Cristo e conducono a lui. Ed è lui, il Figlio amato del Padre, che va ascoltato (cf. Mc 9,7) attraverso le Scritture. La frequentazione cristiana delle Scritture non si riduce a lettura di pagine antiche, ma diviene ascolto di una parola vivente di Dio (cf. Mc 9,7) ecomunione personale con i protagonisti della storia di salvezza (cf. Mc 9,4).
La straordinaria esperienza della trasfigurazione, di cui hanno beneficiato i tre discepoli prediletti, non ha significato né la loro piena comprensione del mistero né la fine della loro ricerca né il raggiungimento di una meta spirituale che li esimesse dal proseguire il cammino di sequela o che li preservasse dalla caduta e dal fallimento (i tre non riusciranno a vegliare con Cristo al Getsemani). Essi, scendendo dal monte, si chiedevano “che cosa volesse dire risuscitare dai morti” (Mc 9,10). Anche la visione della “grandezza” (2Pt 1,16) di Cristo rinvia a un proseguimento della sequela fatto di ascolto quotidiano della parola di Dio e di quotidiano rinnovamento della fede. Nessuna esperienza spirituale straordinaria può esonerare dalla quotidiana fatica della fede e della sequela
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Altra omelia di E. Bianchi sulla Trasfigurazione del Signore
Subito dopo aver annunciato ai suoi discepoli la necessità della sua morte e resurrezione (Mc 8,31), Gesù, sul monte alto (il Tabor secondo la tradizione), conosce un’esperienza di comunione con Dio che ha come testimoni i tre discepoli più intimi: Pietro, Giacomo e Giovanni. La Trasfigurazione avviene nella carne umana di Gesù e, a differenza della resurrezione, ha testimoni oculari. Essa appare un’esperienza che ha Dio come autore (come indica la forma passiva “fu trasfiguratodavanti a loro”): si tratta quindi del sì di Dio all’uomo Gesù, al suo ministero, al cammino che egli sta compiendo verso Gerusalemme.
Gesù, come tante altre volte nel suo itinerario storico, “prende con sé” alcuni discepoli e li porta in disparte, per introdurli alla conoscenza del mistero della sua persona e all’arte della relazione con Dio. Nella solitudine e nel silenzio di quel “ritiro” avviene qualcosa di divino: la luce che avvolge Gesù svela la qualità divina che abita nell’uomo Gesù. L’esperienza di luce, come sempre nella Scrittura, è suscitata dalla parola di Dio: Elia e Mosè, ovvero i Profeti e la Legge, dialogano con Gesù. La Scrittura conduce a Cristo. E non a caso al cuore della Trasfigurazione vi è la voce dall’alto che invita all’ascolto: si tratta di ascoltare il Figlio ascoltando le Scritture, l’Antico e il Nuovo Testamento. Del resto, se Elia e Mosè rinviano all’Antico Testamento, Pietro, Giacomo e Giovanni rappresentano i Dodici e la nuova alleanza. Nella vita spirituale cristiana Gesù non può mai essere separato dalle Scritture che parlano di lui, altrimenti finiremmo per rivolgerci non al Signore rivelato dal disegno di Dio, ma a una proiezione delle nostre immagini. Senza le Scritture, noi rischiamo di ridurre a Gesù a maestro, guru, profeta, liberatore politico e, pertanto, di non coglierlo nella sua autentica dimensione salvifica: quella di Signore.
Nella Trasfigurazione, la Parola della Scrittura lungamente ascoltata e meditata da parte di Gesù, diviene esperienza di comunione vivente. Non lettura di pagine, ma dialogo con viventi: Elia e Mosè sono viventi in Dio e Gesù sta conoscendo un’esperienza di comunione dei santi.

A questa comunione partecipano in certa maniera anche i tre discepoli, che per bocca di Pietro, dicono labellezza del loro stare sul monte con Gesù. Tuttavia l’esperienza spirituale non si esaurisce in una dimensione estetica o emozionale, e proprio Pietro, che non aveva voluto ascoltare Gesù quando aveva preannunciato la sua passione e morte (Mc 8,32-33), viene richiamato dalla voce divina alla necessità dell’ascolto delle parole di Gesù. L’ascolto della parola può ricondurre all’oggettività un Pietro che, affascinato e intimorito, è preda dell’estasi e della paura e “non sa che cosa dire”. Senza l’ascolto della parola del Signore, Pietro, e con lui ogni cristiano, non sa cosa dire e non ha nulla da dire, anzi rischia di dire cose vacue e di annunciare non Cristo ma se stesso.
La vera bellezza che emerge dall’esperienza della Trasfigurazione è quella della comunione: una comunione non psicologica o affettiva, ma fondata su Cristo e che ha in Cristo, definitivo rivelatore del volto del Padre, il suo centro. Questa comunione bella la possiamo anche chiamare santità. Si tratta quindi di comunione e bellezza in divenire, non statiche, non fisse, ma dinamiche. E mosse da quella forza dello Spirito santo a cui fa allusione la “nube” che trasmette la parola di Dio e che avvolge anche i discepoli.
Il dinamismo dell’azione santificante dello Spirito richiede allora che i discepoli scendano dal monte e ritornino al quotidiano, perché quello è il luogo della santificazione. E la contemplazione del Cristo trasfigurato sarà per i discepoli caparra della sua resurrezione. Il Trasfigurato annuncia il Risorto. Annuncia la grande vittoria della comunione, dell’amore e della bellezza sull’isolamento e la morte. Annuncia il Regno di Dio, quel Regno di salvezza universale che i discepoli hanno potuto contemplare nell’uomo Gesù, colui che ha saputo far regnare Dio su di sé integralmente, totalmente.

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