lunedì 16 luglio 2012

La fede interessa tutto l'uomo

http://www.ilpiacerediscrivere.it/wp-content/uploads/2012/06/venezia-declino.jpg

Di seguito il testo dell’omelia tenuta ieri sera dal Patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, nella Festa del Santissimo Redentore, che viene celebrata la terza domenica di luglio a memoria del pericolo scampato di una pestilenza che colpì la città lagunare nel 1575.
***
Siamo negli anni 1575-76: la storia narra che Venezia era flagellata dal morbo della peste e che i rimedi umani non riuscivano a venirne a capo. In tale situazione, il popolo cristiano, che sempre partecipa di un soprannaturale senso della fede, invocò la protezione dell’Unico che poteva salvarlo. Anche il Senato della Repubblica decise di affidarsi alla misericordia di Dio con promessa solenne d’edificare una Chiesa al Redentore e “… ogni anno, nel giorno che questa città fosse stata dichiarata libera da contagio, Sua Serenità et li successori suoi anderanno solennemente a visitare predetta chiesa, a perpetua memoria del beneficio ricevuto” (Proprio della Chiesa patriarcale di Venezia, Festa del Santissimo Redentore, 44-45).
Così, il doge Sebastiano Venier avviò l’opera che sciolse il voto solenne - deliberato nel settembre 1576 dal Senato e affidato al predecessore Alvise Mocenigo - che impegnava la Repubblica a costruire il tempio dedicato al Redentore perché intercedesse per la cessazione della pestilenza e il popolo veneziano, accompagnato dai maggiorenti, a recarsi annualmente in pellegrinaggio innanzi al sacro volto. Alla fine della pestilenza, i morti raggiungevano il numero di cinquantamila: un veneziano su tre erano morti per il contagio. La prima pietra del tempio venne posta nel maggio del 1577, mentre la costruzione  terminò quindici anni dopo, nel 1592; da subito, Venezia solennizzò la festa nella terza domenica di luglio.
In questa festa, ogni anno, la storia della città si fa evento e coinvolge non solo i veneziani ma, anche, i numerosissimi turisti che si recano in pellegrinaggio alla Giudecca attraversando il ponte di barche appositamente costruito. E’ un appuntamento in cui la storia di Venezia rivive e in cui la religiosità popolare s’esprime, bisognosa, come ogni movimento di popolo, di discernimento, di purificazione, di sostegno; un momento in cui tutti sono chiamati e coinvolti.
Per i Veneziani del sedicesimo secolo essersi riferiti al Solo in grado di aiutarli, quando ogni altra risposta risulta insufficiente, ha un significato che appartiene all’uomo di ogni tempo che è intrinsecamente segnato da fragilità, debolezze, limiti creaturali a cui si aggiungono quelli che provengono dalla situazione di peccato che - rimosso col battesimo - permane nelle conseguenze come propensione al male.
Certamente quello che poteva essere considerato un ostacolo insormontabile nel passato - ad esempio nel sedicesimo secolo - oppure lo è ancora in una determinata circostanza, può non esserlo più oggi - nel ventunesimo secolo - o in altre differenti circostanze. Secondo l’immagine biblica, l’uomo è simile a un vaso di creta che può sbrecciarsi o frantumarsi in mille pezzi.
Oggi, noi, uomini del terzo millennio che assistiamo, quasi increduli, ai progressi  delle tecno-scienze, portiamo in noi - nonostante i risultati conseguiti  - le nostre tante fragilità, paure e domande che, non di rado, rimangono prive di risposte, anche se il nostro problema, oggi, non è più il contagio della peste.
Attualmente, per noi, costituisce rilevante disagio una società che non riesce più a garantirci un futuro e si qualifica sempre meno con i caratteri della fiducia e della progettualità condivise e sempre più come incerto, un futuro che “viene meno” proprio quando ci interroghiamo su di esso.
Il nostro timore riguarda il non “aver futuro”. Ma non “aver futuro” significa veder precipitare nel non senso anche il proprio presente che smarrisce la sua capacità di interessarci alla vita, al bene comune, all’educazione delle nuove generazioni, nei confronti delle quali siamo chiamati a trasmettere i valori che hanno dato forma alla nostra città, alla sua storia, alla nostra convivenza civile.
Mentre la peste portava lo sfacelo dei corpi, la mancanza di futuro, il senso diffuso della precarietà, dell’incertezza, dell’impotenza, la convinzione che nulla sia più governabile a livello economico e sociale, afferra la vita soprattutto dei giovani, che si sentono “buttati”  nell’esistenza,  non più capaci di solcarla procedendo verso una meta, ma sentendosi sbattuti qua e là dalle onde dell’incertezza.
Ora, il cristiano è plasmato dalla fede che chiama in causa tutto l’uomo; la fede si interessa di tutto ciò che appartiene all’uomo. L’annuncio cristiano, così, riguarda la retta ragione e la legge naturale ma, nello stesso tempo, non si riduce solamente a ciò, essendo, appunto, annuncio di Gesù Cristo e su di Lui. Secondo tale linea, la fede non si pone “accanto” all’umano, giustapponendosi ad esso ma, piuttosto, “intercetta” l’umano e lo porta a “compimento”, incominciando col “sanarlo”. Anche l’umano entra, a pieno titolo, nella salvezza; la fede non si limita, così, a considerare l’apice superiore dell’uomo, disattendendo ciò che viene prima di esso.
La nostra esistenza di ogni giorno caratterizza quindi la vita eterna, il nostro destino ultimo;  consideriamo, per esempio, che l’atto di fede non può esser posto se non  da  una persona che sia libera, conscia, consapevole, padrona di sé. In termini teologici: la grazia suppone la natura, la perfeziona e porta a compimento.
La dottrina sociale della Chiesa, in tal modo, è parte integrante dell’annuncio di fede cristiana ed è a servizio di ogni uomo e di tutto l’uomo; non si può, infatti, pensare che un figlio di Dio, da solo, con le sole sue forze, possa “far sua” tale peculiare condizione che porta a compimento la sua stessa struttura creaturale.
L’enciclica Sollicitudo rei socialis, promulgata da Giovanni Paolo II, in occasione del ventesimo anniversario della Populorum progressio, puntualizza l’esistenza, la natura e il senso della dottrina sociale della Chiesa; essa fa chiarezza e - dopo tante differenti opinioni -, finalmente, con tale enciclica si costituisce un punto di partenza autorevole per ulteriori, successive, riflessioni. L’enciclica di Giovanni Paolo II - scritta nell’anno 1987 - insegna che la dottrina sociale cattolica non può esser considerata o avvicinata a una  «terza via»  tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, oppure, come una risposta in opposizione, seppur non radicale, rispetto alle due precedenti vie.
La dottrina sociale della Chiesa costituisce una categoria a sé; non è, quindi, da inserire tra le ideologie. E’, piuttosto, l’esito dell’accurata formulazione dei risultati e di una riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza umana sia nella società civile sia nel contesto internazionale, nella prospettiva, ovviamente, della fede e della tradizione ecclesiale.
Giovanni Paolo II, infine, spiega: “… scopo principale [della dottrina sociale della Chiesa] è d’interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (Sollicitudo rei socialis, n.41).
La dottrina sociale della Chiesa, attraverso la ragione e la rivelazione -  le due fonti tramite le quali riceve la luce sulla totalità del reale -, è in grado di mettere a fuoco e oggi, in questo tempo di crisi più che mai, le tematiche della polis, vale a dire, del vivere sociale considerando l’uomo secondo la totalità delle sue dimensioni: spirito, anima e corpo e non solo secondo la dimensione economica del vivere il così detto homo oeconomicus.
La dottrina sociale della Chiesa - che, come detto, fa parte della teologia morale - è annuncio di Cristo alla polis; entra, così, in contatto con tutti gli uomini; ora,  per riuscire in ciò deve proporsi a tutti i soggetti che incontra, senza bisogno di porre tra parentesi gli elementi di fede per servirsi solo di quelli di ragione.
Per ciò che riguarda  il suo compito, o funzione “pubblica”, la dottrina sociale della Chiesa lo assolve facendosi spazio di confronti e dialogo tra ragione e fede, nella comunità dei credenti e nella società civile. Lo svolge, ancora, nel rapporto reciproco tra comunità credente e società civile, ossia, per quanto riguarda la proposta culturale o di scelte politiche.
La festa del Redentore è occasione per ribadire il ruolo essenziale della dottrina sociale della Chiesa, in quanto, oggi, più che mai, si attraversa una crisi finanziaria ed economica imponente; tutti siamo chiamati a far in modo che tali crisi non deteriorino ulteriormente il tessuto della società, trasformandosi, appunto, in crisi sociale.
 Dobbiamo far nostra la saggezza antropologica, culturale, sociale e, prima ancora, del vivere che ispira l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa che non offre una ricetta applicativa o indicazioni pratiche da porre in essere a partire dalle necessità del momento presente  ma, piuttosto, mira a fornire un orizzonte di senso e di sapienza per quanto riguarda il rapporto ragione e fede come, pure, all’interno della vita del credente, della comunità ecclesiale e della città, soprattutto in tempo di marcata secolarizzazione.
Attraverso i principi della dottrina sociale cristiana - e questo è il messaggio della festa del Redentore di quest’anno -  noi possiamo fare molto per la nostra città e per la nostra gente. Questo avviene riscoprendo ed educando i giovani a valori che, con troppa disinvoltura, sono stati messi da parte nel vivere sociale e, invece costituiscono vere e proprie linee di cambiamento che dicono quanto sia doveroso l’impegno educativo per la comunità ecclesiale ma anche per quella civile. 
Lasciamo qui parlare gli uomini, con le scelte che li hanno plasmati; è il caso di Giuseppe Toniolo, recentemente annoverato tra i beati della Chiesa; egli ha saputo esprimere la vera laicità in un progetto culturale “compiuto” a servizio dell’uomo. Il primato della persona, l’attenzione al bene comune attraverso i principi di solidarietà e sussidiarietà. Egli sosteneva, con forza, l’intrinseco legame fra etica ed economia: tale legame affonda le sue radici nel Vangelo e, nell’attuale crisi, questo insegnamento oggi mostra tutto il suo valore.
Come la morale cristiana non è costituita solo dall’etica naturale - anche se  non può farne a meno - allo stesso modo, il cristianesimo non è solamente etica, ma annuncio di Cristo; Gesù Cristo, il salvatore, è pure il Logos creatore dal quale provengono tutte le cose. Non è, quindi, possibile separare l’etica sociale dalla legge morale naturale e la fede cristiana; proprio da tale connessione si spiega come Toniolo, a partire dalla fede, abbia pensato un’economia, una politica e una società civile a servizio delle quali si è speso - anche in solitudine - per tutta la vita, nell’ottica del bene comune.
La figura del nuovo beato risulta, oggi, particolarmente attuale; non sfugge, infatti, quanto il suo pensiero sociale sia  una risposta valida nei confronti dell’attuale periodo di crisi. E proprio tale situazione di crisi chiede di ripensare oggi tanti “dogmi” del mondo finanziario, economico e del mercato del lavoro, ad esempio, quello del puro profitto, per aprirsi a un profitto di tipo sociale; più in generale ripensare un welfare che, sempre più, si misuri sulle nuove problematiche della globalizzazione.
L’anno della fede che si aprirà a ottobre - a cinquant’anni dall’inaugurazione del Concilio Vaticano II e a venti dalla promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica - ci richiama a quanto diceva Giovanni Paolo II nella lettera di fondazione del Pontificio Consiglio per la Cultura: “Una fede che non diventa cultura, è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta” (Giovanni Paolo II, Lettera autografa di fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio 1982, AAS (74) 1982, 683-688).
Il Toniolo, quindi, ha saputo tradurre la visione di fede in scelte socio-economico conseguenti, poiché la vera fede non dimentica le sue conseguenze sociali. Col Toniolo ci troviamo di fronte a un alto pensiero, a una coerenza di vita, a un fedele laico cristiano fra i più significativi della fine dell’Ottocento e i primi del Novecento.
In realtà - come ebbi già modo di dire qualche settimana fa a Pieve di Soligo nella messa di ringraziamento per l’avvenuta beatificazione - il Toniolo ha lasciato solamente che il Vangelo diventasse il criterio della coscienza morale nell’economia e nella politica; in lui troviamo il pensiero sociale cristiano, ossia, il Vangelo come riferimento etico imprescindibile; questa è la grande lezione che lascia al nostro tempo chiamato a compiere scelte coraggiose.
Con lui viene indicata una strada che, soprattutto oggi, va percorsa senza timori; si tratta di rispondere alle questioni che la modernità ha posto – in questi decenni - e che la contemporaneità porrà sempre più in quelli a venire.
Vi è grande sintonia fra il pensiero del Toniolo e quello di Benedetto XVI, il quale - nella Deus caritas est - al numero 28 dell’enciclica afferma: “Il giusto ordine della società e dello stato è compito centrale della politica. Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri… La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica… lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora?” (Deus Caritas est, n.28).
Ora se l’affermazione di Benedetto XVI, formulata a proposito della politica, la confrontiamo col cuore del pensiero economico del Toniolo si coglie facilmente la profonda sintonia tra le due posizioni. La tesi del Toniolo era: l’elemento etico è fattore intrinseco dell’economia. D’altra parte, politica ed economia hanno, fra loro, uno stretto rapporto. La politica economica è sempre frutto di scelte e decisioni non casuali; uno degli atti politici più rilevanti di un governo è proprio l’approvazione della  Legge Finanziaria.
I primi anni di docenza del Toniolo coincidono con l’inizio del pontificato di Leone XIII; il magistero di questo Papa era tutto rivolto all’incontro col mondo moderno che si era allontanato dalla Chiesa. Il Toniolo fu - per la sua competenza in ambito sociale ed economico - fra i collaboratori più stretti del Papa nella stesura dell’enciclica Rerum novarum.
Nel 1906, il nuovo papa, Pio X - come il Toniolo di origine trevigiana - lo chiamò ad organizzare le file del movimento cattolico; si avvertiva il bisogno di nuove prospettive dopo che era stato deciso lo scioglimento dell’Opera dei Congressi. Egli, quindi, diede vita a un laicato cattolico in grado d’esprimersi in ambito sociale a servizio della persona e del bene comune; fu questa un’opera decisiva per gli anni successivi in cui i cattolici dovranno passare dall’ambito sociale a quello politico, attraverso un progressivo coinvolgimento del laicato cattolico a partire proprio dall’esperienza amministrativa.
Come prima aveva partecipato all’Opera nazionale dei Congressi - movimento cattolico in cui confluivano tutte le forze impegnate in ambito sociale -, ora, si adoperava a far muovere i primi passi alle nuove forme di aggregazioni laicali; si tratta dell’Unione Economica, dell’Unione Elettorale, della Gioventù Cattolica Italiana e anche dell’Unione Popolare di cui fu il primo presidente.
Fondamentale, nel pensiero di Toniolo, è il termine democrazia che egli declina nei differenti ambiti del vivere sociale, poiché non risuoni come vuota parola e, invece, risulti ricca di contenuti nell’ambito dell’umana convivenza e possa esprimere, realmente, la vita di una comunità che, prima d’appartenere alla politica, appartiene alla società civile che precede quella politica.
Così - per Toniolo - la democrazia è, essenzialmente, svolgimento sociale e politico delle realtà spirituali che accompagnano il cristianesimo: una realtà fondante l’intero discorso sociale cristiano, un impegno di vita che nasce dal Vangelo, dalla persona di Cristo, dall’uso della retta ragione.
Per democrazia cristiana, il Toniolo intende la realizzazione dell’ordine etico e sociale ispirato al cristianesimo; un ordinamento giuridico e politico al quale appartengono tutte le classi, anche la più fragile che, quindi, viene riconosciuta e rappresentata in tale ordinamento.
Una tale idea di democrazia cristiana - che nulla ha a che fare con un partito politico, è bene sottolinearlo - indica, invece, l’impegno di vita all’interno di una comunità che trae la sua ispirazione dal Vangelo e dalla vita di Cristo.
Seppur con linguaggi e in contesti differenti, appare lo stretto legame con l’insegnamento di Benedetto XVI nella Deus caritas est che - al n. 28 -, così si esprime: “Lo Stato si trova di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui e ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radicale: che cosa è la giustizia? In questo punto politica e fede si toccano… la fede ha la sua specifica natura d’incontro col Dio vivente… Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa… la libera di suoi accecamenti e perciò l’aiuta ad essere meglio se stessa… ” (n.28).
Si percepisce, in tal modo, il legame - al di là dal differente linguaggio - tra il pensiero di Toniolo - quando l’economista veneto parla di impegno di vita attuato all’interno della comunità, ispirato al Vangelo e alla stessa vita di Cristo - e quello di Papa Benedetto. L’attualità del pensiero del Toniolo viene così affermata e già questo, pur in un mutato contesto storico, dice ancor più il valore di uno dei massimi maestri del cattolicesimo sociale moderno.
Il messaggio di questa festa del Redentore 2012 è, in estrema sintesi: guardare tanto ai grandi temi della dottrina sociale cristiana che permettono d’affrontare, con prospettiva nuova, la difficile situazione che lavoratori, famiglie, società stanno vivendo, ormai da troppo tempo. E guardare tanto anche a quelle persone - come il beato Giuseppe Toniolo - che, con le loro scelte, hanno visto e indicato, con lungimiranza, delle prospettive che pongono al centro la persona e non il profitto fine a se stesso.