mercoledì 25 luglio 2012

Bere al calice del Signore.


Oggi 25 LUGLIO celebriamo la Festa di

SAN GIACOMO, APOSTOLO, per cui v. post seguente:

25 Lug 2011
SAN GIACOMO, APOSTOLO. (+ 42/43). Giacomo, detto «il maggiore», era figlio di Zebedeo e di Salome (Mc 15,40; cf Mt 27,56) e fratello maggiore di Giovanni l'evangelista, col quale fu chiamato fra i primi discepoli da Gesù ...
 



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Di seguito il Vangelo del mercoledi della XVI settimana del Tempo Ordinario, con un commento, una parola di Benedetto XVI e due brevi testi di san Giovanni Crisostomo. Buona giornata.




L'indipendenza è il solo metro con cui si possa misurare l'uomo. 
Ciò che un uomo fa di sé e da sé e non ciò che fa o non fa per gli altri (...)
Il primo diritto dell'uomo è quello di essere se stesso 
e il primo dovere dell'uomo è il dovere verso sé stesso.
Principio morale sacro 
è quello di non trasferire mai sugli altri lo scopo della propria vita.
L'obbligo morale più importante dell'uomo 
è compiere ciò che desidera a condizione, 
prima di tutto, 
che quel desiderio non dipenda dagli altri.

Ayn Rand, La fonte meravigliosa







Mt 13, 1-9

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca; là si pose a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.
Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.
Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda». (*)


IL COMMENTO

Un Agnello immolato. Una Pietra scartata. Un seme gettato sulla strada, tra sassi e spine. E il Golgota. La terra buona dove è apparso il frutto. La terra bella, scandalo e stoltezza di chi ha occhi ma non vede, di chi si crede sapiente ed è incatenato alla carne. La Parabola del Vangelo di oggi ci conduce con Cristo nel Suo pellegrinaggio d'amore. Rifiutato, deriso, accolto con entusiasmo e gettato fuori dalla città carico di una Croce nel volgere di pochi giorni, cinto da una corona di spine, pietre lanciate al suo passaggio, la strada del Supplizio. 


Il seminatore è uscito dal Padre a seminare, incamminato sulla "via crucis" della nostra salvezza. Il suo cammino al fondo dell'abisso, nelle viscere dello Sheol, l'inferno gravido di morte che alberga nei nostri cuori. La Sua Parola, fatta carne viva nella Sua carne traboccante d'amore. La Parola seminata sul tragitto della Via Dolorosa, quella che conduce al fondo del nostro cuore, laddove nascono i frutti velenosi dell'inganno maligno. La semina della Parola, il viaggio di Cristo al fondo del peccato. Il nostro. La nostra vita tappezzata di entusiasmi e fughe, di preoccupazioni pagane per il domani, affanni e alienazioni, paure dinnanzi alle persecuzioni, egoismi, concupiscienze, menzogne, violenze, e molto altro. Il seme indomito del Suo amore, che non ritornerà giammai al Padre senza aver prodotto il frutto per cui è stato seminato. La nostra conversione, il nostro incontro con Lui. Le viscere di peccato delle nostre esistenze confuse, immerse nelle Sue viscere di misericordia. Il Golgota di oggi, il terreno bello per il Più bello tra i figli dell'uomo


Lui, il Signore. E Noi. Oggi. Così come siamo, visitati dal suo folle amore testardo. Lui vede anche oggi, dietro alla strada, dietro ai sassi, dietro alle spine, la terra buona. Lui attraversa la morte della nostra terra infeconda, non si ferma dinanzi alle nostre matrici incapaci di dare vita, Lui va diritto al cuore, laddove il demonio ha deposto il suo seme velenoso, per estirparlo, per guarirci, per seminarvi la Sua vita. La Sua natura. Lui guarda il Suo proprio volto scolpito in noi, deturpato, ferito. La Sua Croce, il balsamo capace di ridar vita a ciò che stava per morire. Che forse era morto. La nostra Croce e la Sua, il terreno bello. Lasciamoci amare, crocifissi con Lui. Il frutto copioso del seme impavido fatto peccato, maledizione per noi, perchè diventassimo, anche oggi, il suo frutto più bello, santi e immacolati nel Suo amore, il Suo profumo sparso in questa generazione.

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Benedetto XVI - Ai partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale (4 luglio 2009)


C’è un’altra parola di Gesù, che utilizza l’immagine del seme, e che si può accostare alla parabola del seminatore: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12,24). Qui il Signore insiste sulla correlazione tra la morte del seme e il “molto frutto” che esso porterà. Il chicco di grano è Lui, Gesù. Il frutto è la “vita in abbondanza” (Gv 10,10), che Egli ci ha acquistato mediante la sua Croce. E’ questa anche la logica e la vera fecondità di ogni pastorale vocazionale nella Chiesa: come Cristo, il sacerdote e l’animatore devono essere un “chicco di grano”, che rinuncia a se stesso per fare la volontà del Padre; che sa vivere nascosto dal clamore e dal rumore; che rinuncia alla ricerca di quella visibilità e grandezza d’immagine che oggi spesso diventano criteri e addirittura scopi di vita in tanta parte della nostra cultura, ed affascinano molti giovani.


San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa

Discorsi 44 sul vangelo di Matteo, 3-4 ; PG 57, 467-469

Nella parabola del seminatore, Cristo ci mostra che la sua parola è destinata a tutti, indistintamente. Infatti come il seminatore della parabola, senza fare nessuna distinzione fra i terreni, semina ai quattro venti, così il Signore non distingue il ricco dal povero, il saggio dallo stolto, il negligente dal diligente, il coraggioso dal vigliacco, ma si rivolge a tutti e, pur conoscendo l’avvenire, fa da parte sua di tutto finché non possa dire : « Che cosa dovevo fare ancora che io non abbia fatto ? » (Is 5,4)…

Inoltre, il Signore dice questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a non lasciarsi abbattere, anche se coloro che accolgono la parola sono meno numerosi di quelli che la sprecano. Così faceva il nostro Maestro che, pur conoscendo l’avvenire, non cessava di spargere il suo seme.

Ma, dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la strada ? Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non avrebbe nessun senso ; ma poiché si tratta delle anime e della Parola, la cosa è degna di elogi. A ragione si rimprovererebbe a un coltivatore di agire così ; il sasso non può diventare terra, la strada non può non essere una strada, né le spine non essere delle spine. Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso : il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente. Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.








San Giovanni Crisostomo (c. 345-407), sacerdote ad Antiochia poi vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa Discorso su Lazzaro § 2

« Chi ha orecchi intenda ! »
        
Un seminatore andò a seminare, e una parte del seme cadde sulla strada, un'altra in un luogo sassoso, un'altra sulle spine, e un'altra sulla terra buona. Tre parti furono perse, una sola diede frutto. Eppure il seminatore non cessò di coltivare il suo campo ; per lui è sufficiente che una parte sia conservata per non sospendere i lavori. In questo momento, è impossibile che il seme che sto lanciando in mezzo a un uditorio così numeroso non germogli. Se non tutti mi ascoltano, un terzo ascolterà. Se non un terzo, almeno un decimo ; se neanche un decimo ascolta, purché ascolti un solo membro di questa assemblea, io non cesserò di parlare.

        Non è poca cosa la salvezza, anche di una sola pecora. Il Buon Pastore lasciò le novantanove per correre dietro a quella perduta (Lc 15, 4). Io non posso disprezzare nessuno. Anche se ce n'è uno solo, questi è comunque un uomo, una persona tanto cara agli occhi di Dio. Fosse anche uno schiavo, non lo disdegnerei ; infatti non cerco la condizione sociale, bensì il valore personale, non il potere o la schiavitù, ma un uomo. Anche se ce n'è uno solo, questi è comunque l'uomo, per il quale il sole, l'aria, le fonti e il mare sono stati creati, i profeti sono stati mandati, la Legge è stata data. È comunque per questa persona che il Figlio unico di Dio si è fatto uomo. Il mio Maestro è stato immolato, il suo sangue è stato versato per l'uomo, e io oserei disprezzare qualcuno ?

        No, non cesserò di seminare la parola, anche se nessuno mi ascoltasse. Sono medico, propongo i miei rimedi. Devo insegnare, mi è stato ordinato di ammaestrare ; infatti sta scritto : « Ti ho posto come sentinella alla casa d'Israele » (Ez 3, 17).


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 APPROFONDIMENTI

1. C. Caffarra. Omelie sulla Parabola del Seminatore

DOMENICA XV per Annum [A]
Loiano-Visita pastorale, 13 luglio 2008

1. La parabola del seminatore, cari fratelli e sorelle, parla in primo luogo di Gesù, il nostro Salvatore. Egli vuole presentarci la sua missione e il senso della sua presenza fra gli uomini mediante il paragone del seminatore.
In un testo precedente a quello appena proclamato, l’evangelista Matteo scrive: "Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno" [9,35].
Gesù dunque vede se stesso come chi è mandato a "predicare il Vangelo del Regno". Quando Gesù inizia la sua attività pubblica – narra l’evangelista Luca – attribuisce a se stesso un testo del profeta Isaia che dice: "Lo Spirito del Signore è sopra di me … e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di grazia del Signore" [Lc 4,17-19]. Gesù afferma che queste parole profetiche si realizzano in Lui: Lui è stato mandato "per annunciare una bella notizia", per "predicare il tempo favorevole". È questo, carissimi, il significato profondo di questa parabola: come un seminatore sparge il seme così Gesù dice a tutti la bella notizia, il lieto messaggio di Dio che salva l’uomo.
Ma perché, ci potremmo chiedere, Gesù paragona la sua parola e la sua predicazione ad un seme? Un testo biblico ci dà la risposta. Esso dice: "la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito … e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" [Eb, 4,12]. La parola di Gesù non è come la nostra, che lascia chi l’ascolta normalmente come lo trova. La parola di Gesù ha in se stessa e per se stessa una forza ed una efficacia che la rende capace di trasformare chi la accoglie. Essa non è una parola meramente informativa, ma anche e soprattutto effettiva. Essa non informa semplicemente l’uomo che Dio intende salvarlo, ma nello stesso tempo in cui lo dice, realizza ciò che dice. Appunto, è come il seme: ha in sé la forza della vita.
2. C’è poi una seconda ragione per cui Gesù paragona la sua parola ad un seme.
Il seme ha in sé la forza della vita, ma per poterla esercitare e produrre il frutto, deve cadere in un terreno adatto, ed il terreno deve essere coltivato. Il seme non deriva la sua forza vitale dal terreno, ma questo è la condizione necessaria perché il seme si sviluppi.
La parola di Gesù "è viva, efficace … essa penetra" fin nelle profondità della nostra persona. Ma se la nostra persona non è ben disposta, non è docile, la parola di Gesù è impedita: non produce alcun frutto. La pagina evangelica, come avete sentito, ci presenta tre figure di indocilità: chi non presta alcuna attenzione; chi non medita la parola ascoltata ed è incostante; chi si lascia soffocare dalla preoccupazione del mondo e dall’inganno delle ricchezze.
Vi dico dunque con la S. Scrittura: "Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente" [Eb 3,12].
3. Carissimi fedeli, il Vangelo non è solo la narrazione di fatti passati. Quanto è narrato in esso, si realizza in sostanza anche fra di voi, oggi. In che modo?
L’apostolo Paolo scrivendo ai suoi fedeli di Tessalonica, dice: "noi ringraziamo Dio continuamente, perché avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete" [1Tess 2,13].
La parola di Dio continua anche oggi ad esservi detta. Il Signore, quando ha lasciato visibilmente la nostra terra, non è diventato muto con l’uomo: continua a parlarci. Come? Nella e colla predicazione dei pastori della Chiesa.
L’Apostolo ci dice che la parola della predicazione è "la parola divina". E come tale deve essere accolta.
Quindi, miei cari, siate fedeli alla partecipazione dell’Eucaristia durante la quale il vostro pastore vi dona "la parola divina della predicazione". Accoglietela "non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete". Curate la vostra istruzione nella fede, mediante la catechesi.
Abbiamo proclamato prima della lettura del Vangelo: "Il seme è la parola di Dio e il seminatore è Cristo: chiunque trova lui, ha la vita eterna".

XV DOMENICA PER ANNUM (A)
Lido Scacchi, Spina, Nazioni
14 luglio 2002

Per tre domeniche, ad iniziare da oggi, il Signore ci dona di ascoltare e meditare le "parabole del Regno". La descrizione cioè di sette [tante sono le parabole] situazioni o fatti che diventano, nella luce di Cristo, simboli/ immagini semplici mediante le quali siamo introdotti nella comprensione di ciò che Dio sta compiendo in mezzo a noi, del suo Regno cioè. Oggi ci viene donato di ascoltare la parabola del seminatore.
Attraverso di essa Gesù vuole donarci un duplice insegnamento: l’uno riguardante l’azione di Dio, l’altro riguardante la risposta dell’uomo. E così questa parabola ci dona una grande luce su come si costituisce l’Alleanza fra Dio e l’uomo: su come accade l’avvenimento della salvezza.
1. "Ecco, il seminatore uscì a seminare". Chi è questo seminatore che "esce" a donare all’uomo l’annuncio vero della salvezza? E’ Gesù stesso che "esce" dalla sua gloria divina e si veste dell’umiltà della nostra condizione umana. Per quale ragione? "a seminare". A spargere cioè nel terreno della storia umana la sua parola: "io come luce sono venuto nel mondo" dice Gesù di sé "perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre". Fra le tante parole umane, dentro al tessuto del discorso umano risuona anche una Parola che non è umana: è di Dio. Scrivendo ai cristiani di Tessalonca, l’apostolo Paolo dice "avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio che opera in voi che credete" [1Tess 2,13]. Carissimi fedeli, attraverso parola umane ogni domenica vi giunge la Parola di Dio: è Dio steso che vi parla. Se vi è difficile essere convinti di questo, sappiate che "è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione" [1Cor 1,21b].
La parabola di Gesù vuole in primo luogo mettere in risalto il primato della iniziativa di Dio nei nostri confronti. Ed anche la paradossalità di questa iniziativa. La parola di Dio è annunciata senza limitazioni: il grano è sparso ovunque. Ed è dotata di una sua propria forza. Dall’altra, questa Parola contiene una promessa, che non dice nulla a colui che è prigioniero della terra; parla in modo tanto semplice che l’uomo orgoglioso la ritiene insignificante.
2. "Voi dunque intendete la parabola del seminatore: …". Inizia così il secondo fondamentale insegnamento datoci dalla parabola: quello riguardante la risposta dell’uomo. La proposta divina non si impone: si propone alla nostra libertà. Ed il Signore prefigura le quattro possibili risposte, perché ciascuno di noi si confronti con questa parola e si specchi in essa.
Quando uno ascolta la proposta cristiana, ma non si sforza neppure di capire di che cosa si tratta e di come la sua persona ne sia interpellata, il maligno ha buon gioco: è semente seminata sulla strada.
Quando uno appare pieno di buona volontà, ma non consente alla proposta cristiana di scendere nel profondo del suo essere, allora, quando arriva il momento serio della vita, quello in cui "giunge una tribolazione o persecuzione", pensa e dice che aveva sì dato il proprio assenso alla fede, ma non pensava che le cose fossero così serie: e se ne va.
Quando la proposta cristiana scende sì nel profondo, ma il profondo è già occupato da altri interessi o legami – Gesù significativamente parla di "preoccupazione del mondo e inganno delle ricchezze" - il Vangelo viene soffocato e vanificato anche in chi aveva ben cominciato.
Alla fine, sta il discepolo vero. Egli è caratterizzato, come avete sentito, da tre fatti: "è colui che ascolta la parola, la comprende e porta frutto". La parola annunciata diventa la sorgente che determina le sue scelte.
Carissimi fedeli, avete sentito la beatitudine dettaci dal Signore: "beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono". Sia nel nostro cuore l’intima gioia di chi credendo ha potuto incontrare Colui che è luce e vita: l’intima consapevolezza che l’essere cristiani è la più grande fortuna che ci sia capitata.


XVI DOMENICA PER ANNUM (A)
18 luglio 1999

Domenica scorsa, colla parabola del seminatore, Gesù ha cominciato, a narrare la sorte che tocca al suo Vangelo annunciato all’uomo, la storia della sua proposta di vita quando viene ascoltata dagli uomini.
La pagina del Vangelo di oggi suppone dunque che l’annuncio evangelico sia già avvenuto dentro al mondo, e si chiede: in quale condizione viene a trovarsi dentro alla storia ed alla società degli uomini? E risponde con tre parabole: una più sviluppata, le altre due più brevi.
1. "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon grano nel suo campo". Se avete seguito attentamente, avrete notato che la parabola di Gesù si basa su una serie di antitesi: il proprietario del campo ed il suo avversario, il grano e la gramigna, il tempo presente della semina dei due e il tempo futuro della mietitura, infine il granaio dove finisce il grano e il fuoco dove è bruciata la gramigna.
Attraverso questo procedimento letterario, il Signore ci guida ad una precisa comprensione della storia umana. Essa è come un tessuto intrecciato da tre libertà: la libertà del Padre che in Cristo propone all’uomo il suo progetto di salvezza: la libertà del Satana che menzognero ed omicida fin dal principio propone all’uomo il suo contro-progetto; la libertà dell’uomo che è chiamata a rispondere alla proposta evangelica e alla contro-proposta satanica. La storia umana è dunque una vicenda drammatica [non comica! non tragica!] narrata e rappresentata da tre attori: Cristo, Satana, l’uomo.
Quale è il "luogo" in cui queste tre libertà si incrociano? Il "palcoscenico" in cui questo dramma viene recitato? Leggendo con molta attenzione la pagina evangelica, possiamo dire- almeno a prima vista – che sono tre.
E’ il cuore di ciascuno di noi: il cuore di ciascuno di noi è abitato dalla luce del Cristo "che illumina ogni uomo" ed è sollecitato dalle suggestioni e dall’inganno della propria concupiscenza, del mondo in cui vive, e dalle tentazioni sataniche. Questa condizione dell’uomo è ben descritta dall’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: "io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto … Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rom 7,15-19).
Gesù dice: "il campo è il mondo", indicandoci così un secondo luogo in cui le tre libertà si incrociano. Esistono persone che seguono il Cristo nella loro esistenza; esistono persone che si chiudono al messaggio evangelico [ricordate, domenica scorsa, le varie classi di persone]. Esse convivono, non nel senso di una contiguità fisica: in un senso più profondo! Esse convivono nel senso che assieme – cioè nello stesso campo che è questo mondo – costruiscono due civiltà o culture che pur mescolate inestricabilmente, sono essenzialmente diverse. L’una infatti è frutto del buon seme seminato dal Cristo, l’altra della gramigna seminata nel cuore umano dal Satana. E il mondo è questo incrociarsi, questa profonda coabitazione della cultura della verità e dell’amore colla cultura dell’errore e dell’egoismo, in conflitto fra loro. "Ma non immaginiamo una simile opposizione come un’opposizione visibile tra due gruppi di uomini o di popoli … Ognuno di noi può essere di volta in volta abitante dell’uno o dell’altra città? In ognuno di noi le due città si combattono" (H. De Lubac).
Ma è anche vero, e l’evangelista Matteo ha compreso la parabola di Gesù anche in questa prospettiva, che anche la Chiesa è il luogo in cui convivono buon seme e gramigna. E’ questo un punto che dobbiamo chiarire bene.
Quando facciamo la nostra professione di fede, noi diciamo: "Credo la Chiesa una, santa…". Ed infatti, la parola di Dio al riguardo non lascia adito a dubbi: "Cristo" dice l’apostolo "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei per renderla santa … vuole che la Chiesa compaia davanti a Lui tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché, ma santa ed immacolata" (Ef 5,25-27).
Ma se la Chiesa è santa, non ne deriva che chi ne fa parte sia sempre senza debolezze e senza peccati: al riguardo ancora, la parola di Dio non lascia dubbi. Forse, fratelli e sorelle, vi chiederete: "come fa ad essere santa, una società umana che si compone di uomini che sono tutti, più o meno, peccatori?"
La prima risposta data a questa domanda è la proposta fatta dagli apostoli: "vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?" cioè: è la proposta di chi pensa che la vera Chiesa sia solo quella dei "santi", dei "puri". In fondo, chi si scandalizza per i peccati degli uomini della Chiesa e non tollera – nel suo riguardo – che ciò avvenga, ha nel suo cuore la più antievangelica delle eresie.
La seconda risposta è di chi pensa e dice che la Chiesa non è santa, ma peccatrice, per cui si dovrebbe dire: "Credo … la comunione dei peccatori".
In realtà "tutte le contraddizioni scompaiono, se si comprende che i membri della Chiesa peccano, ma in quanto tradiscono la Chiesa: la Chiesa non è senza peccatori, ma è senza peccato. La Chiesa come persona prende la responsabilità della penitenza [per i suoi figli peccatori], non prende la responsabilità del peccato [dei suoi figli peccatori] ". (Ch. Journet, Théologie de l’Eglise, Paris 1958, pag. 235, […] aggiunta mia).
2. Ecco questa è la condizione in cui versa l’avvenimento cristiano dentro alla storia. Per concludere, come dobbiamo vivere questa condizione?
- Nessuno di noi si senta sicuro! Né il buon grano è assicurato di non tradire, diventando gramigna né la gramigna rinunci alla conversione. Nessuna frontiera invalicabile fissa per sempre una persona, prima della morte, in una parte o nell’altra: essere mescolati nello stesso campo significa paradossalmente poter cambiare nel cuore, convertirsi o pervertirsi (cfr. Agostino, PLS2,422: hic in agro fit aut de zizaniis triticum, aut de tritico zizzania).
- La pazienza magnanima è attitudine fondamentale in questa situazione: di chi sa che il giudizio di Dio sta già operando, poiché nei cuori di ogni vero credente "lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili … perché Egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio".

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(*): Sul Vangelo di oggi, v. in questo blog anche i post segg.:

20 Lug 2011
Alla parabola del seminatore, che è la principale parabola del Vangelo di Marco, dedicò molta attenzione e molta riflessione il pittore olandese Vincent van Gogh. Il quale realizzò sul soggetto diversi disegni e tele. Van Gogh ...

17 Giu 2012
Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mc 4,1-20) in cui si afferma che “il seminatore semina la parola” (Mc 4,14), si comprende che Gesù qui sta parlando dell'efficacia della parola di Dio. Il seme seminato germoglia e ...
10 Lug 2011
Voi dunque intendete la parabola del seminatore: tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la ...