domenica 3 giugno 2012

VII Incontro Mondiale delle Famiglie: I discorsi del Papa (2)




Tutto sembra crollare, l’economia, l’Europa, perfino le case, i capannoni. Ma soprattutto crolla la speranza e si abbattono gli animi.
Eppure nel mare della desolazione e dello scoraggiamento generale, c’è ancora una voce, una voce di padre che spalanca i cuori alla grande avventura della vita, alla speranza, alla costruzione del bene e della bellezza per tutti.
Quando ieri, Benedetto XVI a Milano ha detto ai giovani “cari ragazzi, vi dico con forza, tendete ad alti ideali, siate santi”, mi si sono affollate nella mente tante immagini e tanti ricordi.
Ricordi di secoli, di quante volte la nostra terra (con il nostro continente) è stata ricostruita proprio dai santi, a cominciare dai tempi della grande devastazione seguita alle invasioni barbariche, quando i monaci hanno riportato la vita fra le tenebre e le rovine.
Fino agli anni terribili della Seconda guerra mondiale, quando – nella nuova barbarie (e con l’Italia diventata campo di battaglia, lasciata allo sbaraglio) – solo la Chiesa è rimasta a proteggere il popolo. E poi dalla fede della nostra gente è venuta l’energia per ricostruire.
Soprattutto oggi, con la crisi generale e i crolli materiali, il nostro popolo ha bisogno di ritrovare la sua Casa, il luogo dove Dio abita con gli uomini, dove si impara il senso dell’esistenza, del lavoro, dell’amare, del costruire, del soffrire e del gioire, il luogo della misericordia e della speranza.
Ma allo smarrimento generale, stavolta, si aggiunge anche qualcosa che non era previsto e che ha moltiplicato il disorientamento e la sfiducia: pure la casa di Dio scricchiola paurosamente.
Quasi come le chiese emiliane crollate. Un terremoto morale che lascia senza parole.
E non tanto (o non solo) per le lotte, gli errori e le divisioni di Curia che emergono dai documenti pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi (che un noto cardinale ha detto utile conoscere), ma anche per la reazione spropositata ed eccessivamente muscolare della Curia stessa.
Che prima ha dimostrato di essere incapace di governarsi e controllarsi e poi – scappati i buoi – ha esagerato il dramma facendo una straordinaria campagna pubblicitaria al libro di Nuzzi e rischiando di far passare il Vaticano per un posto di gente che si scanna e la Chiesa per un’istituzione oscurantista, intollerante e retriva.
Un cardinale, uno dei più anziani porporati, ha dichiarato di non ritenere tutta questa vicenda un dramma per la Chiesa. Ha ragione. Perché sì, è vero che da quelle carte alcuni curiali fanno una pessima figura, ma i curiali non sono la Chiesa e le loro scartoffie non sono la tragedia della Chiesa.
La tragedia per la Chiesa è ben altro. E’ il fatto che – come ha detto il Papa – Dio oggi è il grande sconosciuto nelle terre d’Europa. E le genti che brancolano nel buio alla ricerca del Salvatore non riescono a incontrarlo e riconoscerlo.
Per questo Benedetto XVI ha voluto l’ “Anno della fede” che inizierà l’11 ottobre prossimo. E’ un appello alla conversione del mondo per ritrovare la speranza ed evitare il baratro a cui ci stiamo avvicinando.
Per quanto riguarda gli uomini di Curia devono anch’essi decidere, come tutti noi, se convertirsi o no. Se aiutare la missione di Pietro o affaticarla, appesantirla, ostacolarla.
Anche fare umilmente un passo indietro può essere un gesto saggio di amore alla Chiesa. Specie quando si sono fatti danni.
Perché certo da posizioni  di responsabilità dentro la Chiesa o la Curia o la Città del Vaticano si può fare molto del bene, ma anche molto del male. Amplificando o l’uno o l’altro.
La terribile frase che segue – citata da Gianluigi Nuzzi nel suo libro – è diJoseph Ratzinger e risale al 1977:
“La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non riescono a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo”.
E’ un giudizio tremendo. E’ ovvio che l’allora cardinale Ratzinger, scrivendo queste parole, non condivideva l’idea che la Chiesa fosse questo, cioè “l’ostacolo principale alla fede”.
Ma è anche altrettanto evidente che sapeva quanto la Curia, il mondo ecclesiastico, l’apparato clericale (che non sono la Chiesa), anziché aiutare la missione salvifica della Chiesa, possono essere un ostacolo, perfino devastante.
Quante volte – per esempio – gli ecclesiastici hanno perseguitato quegli uomini di Dio che poi la Chiesa ha proclamato santi? Anche in tempi recenti. I danni sono incalcolabili nell’ordine terreno e in quello soprannaturale.
E’ inevitabile temere che possa essere così anche oggi. Ciononostante, anche oggi la grande, misteriosa presenza di Cristo continua ad affascinare e a raggiungere la vita di tanti.
Nelle forme che tutti noi conosciamo, ma sempre sorprendenti: splendide e semplici comunità cristiane dove fiorisce una vita nuova, preti e missionari meravigliosi, suore che portano la tenerezza materna della Madonna nel mondo, tanti martiri (semplici fedeli, religiosi e vescovi), poi un fiume di carità che abbraccia e lenisce tutte le ferite dell’umanità, tante famiglie semplici e buone che vivono l’eroismo dell’amore e del sacrificio nella vita quotidiana, un esercito di ammalati che offrono la loro sofferenza per il bene e la salvezza dell’umanità, milioni di giovani che vivono la gioia dell’amicizia di Gesù e scommettono la loro vita per Lui.
Questa è la Chiesa. E ieri, mentre il buon vecchio padre, successore di Pietro, a Milano, parlava ai giovani esortandoli a questi grandi ideali, qualcuno – dentro il suo cuore – cantava la bellissima canzone cristiana della Bay Ridge Band, “My Father sings to me”. Che dice così:
“Nel mondo c’è una voce
e canta con una missione.
Nella mia vita c’è una scelta
e io ho scelto di ascoltare
il suono della vita e della libertà,
un grido forte, insistente.
Nel mondo c’è Qualcuno
che mi chiede di chiederGli ‘Perché?’.
Mio Padre mi canta con giubilo infinito.
Lui canta la mia esistenza.
Lui canta la mia salvezza.
Una canzone che è stata scritta in armonia col desiderio”. 
Da qui tutto comincia e sempre ricomincia. (A. Socci)

* * *

Lo criticano, tradiscono la sua fiducia, alcuni danno scandalo con i loro comportamenti, qualcuno propone addirittura le sue dimissioni, ebbene, proprio nel momento che sembra peggiore, il Papa Benedetto XVI ha mostra ai popoli del mondo le ragioni, la bellezza, e la forza rigeneratrice del cristianesimo.
Hanno detto di Lui che è troppo anziano per guidare e rinnovare la Chiesa, che è troppo accademico per farsi capire dalle genti, che è troppo dogmatico per dialogare con la modernità, che è troppo debole per contrastare i tradimenti, la corruzione, la perdita di fede.
Ebbene, proprio come sosteneva san Paolo, “Quando sono debole è allora che sono forte”, il Pontefice Benedetto XVI ha mostrato a Milano al VII incontro mondiale delle famiglie, la rinnovata capacità del cristianesimo di convertire i cuori e ridare speranza ai popoli del mondo.
In un mondo dove tutto sembra crollare, la finanza, le ideologie, gli idoli, i partiti politici, gli edifici pubblici e anche quelli religiosi, il Papa ha riunito ottantamila giovani cresimandi ed i loro educatori allo stadio di Milano, e oltre un milione di famiglie provenienti da tutte la parti del mondo, per dire loro che il futuro è di chi avrà fede in Gesù Cristo.
Agli amministratori, il Vescovo di Roma ha spiegato che per vincere la crisi “c’è bisogno non solo di scelte tecnico-politiche coraggiose ma di quella ‘gratuità’ che deve animare le scelte dei cristiani”.
“Contro la crisi – ha sottolineato - la giustizia non basta se non si accompagnata all’amore della libertà” ed è in questo contesto che la politica deve diventare “una elevata forma di amore” per le persone e per il bene comune.
Ai giovani che hanno riempito lo stadio ‘Giuseppe Meazza’ il Pontefice ha indicato la santità come “la va normale del cristiano”, ed ha invitato ad essere “disponibili e generosi verso gli altri perché l’egoismo è nemico della vera gioia”
“Siate aperti a quello che suggerisce il Signore – ha sottolineato - e se vi chiama a seguirlo non ditegli di no! perché “Gesù vi riempirà il cuore per tutta la vita!”.
Alle famiglie, Benedetto XVI ha ribadito che sono “la risorsa primaria di ogni società”,
“Cari sposi,- ha sottolineato il Papa - nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare”.
Il Pontefice ha spiegato che il matrimonio tra un uomo e una donna “è fecondo nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente”.
“E’ fecondo per la società, - – ha rilevato - perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione”.
Nel contesto di bagno di folla e di incontri a Milano, Benedetto XVI ha mostrato la sua serena e fortissima determinazione nel guidare la ‘barca di Pietro’ illuminando e scaldando la mente ed i cuori del mondo intero.
Quando fu eletto, il 19 aprile 2005, il pontefice disse che sarebbe stato “un umile lavoratore della vigna”. Finora ha mantenuto le sue promesse, Egli sta potando la vigna, rendendola più libera e forte da tentativi di condizionamenti e inquinamento.
Papa Ratzinger è anziano e sembra fragile nel corpo, ma la maniera con cui sta pulendo la casa di Pietro, rendendola trasparente e aperta, è qualcosa di straordinariamente eroico.
Nessun Pontefice è riuscito in così poco tempo a tagliare le parti secche, liberare i tralci da impedimenti e far crescere la vigna in mezzo a mille difficoltà.
Per i cattolici e per il monde il Papa assume sempre più la dimensione della “benedizione di Dio”. (A. Gaspari)

* * *

  Di seguito il fondo sul messaggio del VII Incontro Mondiale delle Famiglie che monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto (in Abruzzo), ha pubblicato oggi sul quotidiano Il Sole 24 Ore. Il presule ha partecipato al raduno milanese con una folta delegazione.

***
Benedetto XVI concluderà oggi a Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie sul tema “La famiglia, il lavoro, la festa” (30 Maggio - 3 Giugno 2012). È un evento dal messaggio forte e quanto mai attuale. Per coglierlo, parto da alcune frasi della lettera con cui il Santo Padre lo aveva convocato: “Ai nostri giorni l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico.
Occorre perciò promuovere una riflessione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, specialmente della domenica, giorno del Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà”. Queste parole sottendono una visione alta del valore e del ruolo della famiglia: gli sposi uniti nel sacramento del matrimonio sono immagine della Trinità divina, del Dio, cioè, che è amore e perciò relazione e unità del Padre, che eternamente ama, del Figlio, eternamente amato, e dello Spirito, vincolo dell’amore eterno. In questa profondissima unità ciascuno è se stesso, mentre accoglie totalmente l’altro. Alla luce di questo modello, la vocazione matrimoniale è vista come unità piena e fedele dei due, comunione responsabile e feconda di persone libere, aperte alla grazia e al dono della vita agli altri.
Grembo del futuro, la famiglia è scuola di vita e di fede, nella quale i bambini, i ragazzi e i giovani possono imparare ad amare Dio e il prossimo, e gli anziani, preziosa radice, possono a loro volta sentirsi amati. La famiglia è, così, soggetto attivo nel cammino della comunità cristiana e della società civile, non solo destinataria di iniziative, ma protagonista del bene comune in ciascuno dei suoi componenti.
Perché questo avvenga, il patto coniugale, che è alla base della famiglia, va vissuto secondo alcune regole fondamentali: il rispetto della persona dell’altro; lo sforzo di capirne sempre le ragioni; il saper prendere l’iniziativa di chiedere e offrire perdono; la trasparenza reciproca; il rispetto dei figli come persone libere e la capacità di offrire loro ragioni di vita e di speranza; il lasciarsi mettere in discussione dalle loro attese, sapendole ascoltare e discutendone con loro; la preghiera, con cui chiedere ogni giorno a Dio un amore più grande, cercando di essere l’uno per l’altro e insieme per i figli dono e testimonianza di Lui.
Un simile stile di vita non è né facile, né scontato, e spesso le condizioni concrete dell’esistenza tendono a minarlo: si pensi alla fragilità psicologica e affettiva possibile nelle relazioni fra i due e in famiglia; all’impoverimento della qualità dei rapporti che può convivere con “ménages” all’apparenza stabili e normali; allo stress originato dalle abitudini e dai ritmi imposti dall’organizzazione sociale, dai tempi di lavoro, dalle esigenze della mobilità; alla cultura di massa veicolata dai media che influenza e corrode le relazioni familiari, invadendo la vita della famiglia con messaggi che banalizzano il rapporto coniugale.
Senza un continuo, reciproco accogliersi dei due, aprendosi al dono dall’alto, non ci potrà essere fedeltà duratura né gioia piena: “Il fiore del primo amore appassisce, se non supera la prova della fedeltà” (Søren Kierkegaard). Diventa allora più che mai vitale coniugare l’impegno quotidiano in famiglia a condizioni che lo sostengano nell’ambito del lavoro e nell’esperienza della festa.
Ogni lavoro - manuale, professionale e domestico - ha piena dignità: perciò è giusto e doveroso rispettare ognuna di queste forme, anche nelle scelte di vita che gli sposi sono chiamati a fare per il bene della famiglia e in particolare dei figli. Contribuisce al bene della famiglia tanto chi lavora in casa, quanto chi lavora fuori! Certo, il lavoro presenta spesso aspetti di fatica, che - secondo la fede cristiana - il Figlio di Dio ha voluto far propri per redimerli e sostenerli dal di dentro, come ricorda in una pagina bellissima il Concilio Vaticano II: egli “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et Spes, 22).
Ispirandosi al Vangelo, è possibile, allora, formarsi come uomini e donne capaci di fare del proprio lavoro una via di crescita per sé e per gli altri, nonostante ogni sfida contraria. Ciò richiede di vivere il lavoro da una parte con piena responsabilità verso la costruzione della casa comune (lavorare bene, con coscienza e dedizione, quale che sia il compito che si ha); dall’altra, in spirito di solidarietà verso i più deboli, per tutelare e promuovere la dignità di ciascuno. In questa luce, si comprende pienamente come la mancanza di lavoro sia una ferita grave alla persona, alla famiglia e al bene comune, e perché la sicurezza e la qualità delle relazioni umane sul lavoro siano esigenza morale da rispettare e promuovere da parte di ognuno, a cominciare dalle istituzioni e dalle imprese.
A proposito della festa, infine, va evidenziato quanto essa aiuti la crescita della comunione familiare: nascendo dal riconoscimento dei doni ricevuti, che abbracciano i beni della vita terrena, le meraviglie della grazia accolta dall’alto e il continuo rinnovarsi dell’amore reciproco, la festa educa il cuore alla gratitudine e alla gratuità. Dove non c’è festa, non c’è gratitudine, e dove non c’è gratitudine, il dono è perduto! Occorre imparare, allora, a rispettare e celebrare la festa anzitutto come tempo del perdono ricevuto e donato, della vita resa nuova dalla meraviglia grata, fino a divenire capaci di vivere i giorni feriali col cuore della festa.
Questo è possibile, se si comincia dall’attenzione alle feste che scandiscono il “lessico familiare” (compleanni, onomastici, anniversari…), fino a celebrare fedelmente come famiglia l’incontro con Dio la domenica, giorno del Signore, incontro di grazia capace di produrre frutti profondi e sorprendenti. Chi vive la festa, è stimolato a esercitare la gratuità, sperimentando come sia vero che c’è più gioia nel dare che nel ricevere! La festa ci insegna come amare sia vivere il dono di sé tanto nelle scelte di fondo dell’esistenza, quanto negli umili gesti della vita quotidiana, imparando a dire parole d’amore e a compiere gesti corrispondenti, che sgorghino da un cuore grato e gioioso.
La negazione della festa, in particolare della domenica, è perciò un attentato al bene prezioso dell’armonia e della fedeltà coniugale e familiare: ed è significativo che questo messaggio risuoni da Milano, capitale vitale e laboriosa dell’economia e della produzione del Paese. Scommettere sulla famiglia fondata sul matrimonio e aperta al dono dei figli e impegnarsi a promuovere le condizioni di lavoro e di rispetto per la festa, che ne aiutano la serenità e la crescita, è contribuire al bene di tutti, liberandosi da logiche spesso riduttive e confuse riguardo al suo valore di cellula decisiva della società e del suo domani. È il messaggio che da Milano parte oggi per l’Italia e il mondo intero!

* * *

Di seguito il dialogo del Papa con le famiglie, avvenuto ieri sera nel Parco Nord di Milano-Aeroporto di Bresso durante la Festa delle testimonianze e il testo dell'omelia tenuta durante la Celebrazione Eucaristica conclusiva del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si è svolta questa mattina nel Parco Nord di Milano-Aeroporto di Bresso.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Papa ha guidato la recita dell’Angelus con i fedeli.

***
DIALOGO DEL SANTO PADRE CON LE FAMIGLIE
1. CAT TIEN (bambina dal Vietnam):
Ciao, Papa. Sono Cat Tien, vengo dal Vietnam.
Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan e la mia mamma si chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh.
Mi piacerebbe tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri piccolo come me…
SANTO PADRE: Grazie, carissima, e ai genitori: grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche cose. Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo. E poi a casa era importante, naturalmente, il grande pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili. Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino ad un bosco e così camminare nei boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola, con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose. Mi sembra che questo fosse molto importante: che anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero di andare «a casa», andando verso l’«altra parte del mondo».
2. SERGE RAZAFINBONY E FARA ANDRIANOMBONANA (Coppia di fidanzati dal Madagascar):
SERGE: Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar.
Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente, anche attraverso la nostra professione.
FARA: I modelli famigliari che dominano l'Occidente non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo superati. Ci sentiamo fatti l'uno per l'altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai valori del Vangelo.
Ma parlando di matrimonio, Santità, c'è una parola che più d'ogni altra ci attrae e allo stesso tempo ci spaventa: il «per sempre»...
SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo cammino di fidanzamento e spero che possiate creare, con i valori del Vangelo, una famiglia «per sempre». Lei ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il «mariage coutumier» dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, per dire la verità, fino all’Ottocento, c’era un altro modello di matrimonio dominante, come adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi. Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale sono andato a scuola, era in gran parte ancora così. Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta; precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e quindi matrimonio. In quel tempo tutti eravamo convinti che questo fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il «sempre», perché l’amore è assoluto, vuole tutto e quindi anche la totalità del tempo: è «per sempre». Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre. Auguri a voi!
3. FAMIGLIA PALEOLOGOS (Famiglia greca)
NIKOS: Kalispera! Siamo la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due figli, Pavlos e Lydia.
Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che avevamo, abbiamo avviato una piccola società di informatica.
Al sopravvenire dell'attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa bassa; nessuno ha più fiducia di  nessuno, manca la speranza.
PANIA: Anche noi, pur continuando a credere nella provvidenza, facciamo fatica a pensare ad un futuro per i nostri figli.
Ci sono giorni e notti, Santo Padre, nei quali viene da chiedersi come fare a non perdere la speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente, a queste persone e famiglie senza più prospettive?
SANTO PADRE: Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare qualcosa di concreto. Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che politica è sempre anche responsabilità umana, morale davanti a Dio e agli uomini. Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire: cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti. Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è la mia questione, in questo momento. Io penso che forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie, potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso, una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità di aiutare un’altra famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso concreto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi, e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore vi aiuti sempre! Grazie.
4. FAMIGLIA RERRIE (Famiglia statunitense)
JAY: Viviamo vicino a New York.
Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e faccio il contabile.
Lei è mia moglie Anna ed è insegnante di sostegno.
E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai 2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, Santità, che la nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati...
Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari,  e spesso a rimetterci sono proprio le relazioni famigliari.
ANNA: Certo non sempre è facile... L'impressione, Santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia. 
Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo.
Ha qualche consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa secondo il cuore di Dio?
SANTO PADRE: Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di dare qualche consiglio. Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno, eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere conciliate. Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile. Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione delle due priorità. E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche "giorno dell’uomo", perché siamo liberi. Questa era, nel racconto della Creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie.
5. FAMIGLIA ARAUJO (Famiglia brasiliana di Porto Alegre)
MARIA MARTA: Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare.
Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo. Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche per i figli che nascono dalla nuova unione.
MANOEL ANGELO: Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si vedono rifiutare i Sacramenti la loro delusione è grande. Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.
Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del mondo, e sono ferite anche nostre, dell'umanità tutta.
Santo Padre, sappiamo che queste situazioni e che queste persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e quali segni di speranza possiamo dare loro?
SANTO PADRE: Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario. Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti. In realtà, questo problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio. Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente, la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre, l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino. E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire – come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono «fuori» anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucaristia: devono vedere che anche così vivono pienamente nella Chiesa. Forse, se non è possibile l’assoluzione nella Confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote, con una guida dell’anima, è molto importante perché possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è anche molto importante che sentano che l’Eucaristia è vera e partecipata se realmente entrano in comunione con il Corpo di Cristo. Anche senza la ricezione «corporale» del Sacramento, possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo Corpo. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la Parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore, del Matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede. Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore della Chiesa. Grazie per il vostro impegno.
*
SALUTO DEL SANTO PADRE AI TERREMOTATI DELL’EMILIA
Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas, tutte le organizzazioni della Chiesa, lo Stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi aiuti, ci aiuti tutti! Auguri a voi, il Signore vi benedica!
***
OMELIA DEL SANTO PADRE (Parco Nord di MIlano - Aereoporto di Bresso)
Venerati Fratelli,
Illustri Autorità,
Cari fratelli e sorelle!
E’ un grande momento di gioia e di comunione quello che viviamo questa mattina, celebrando il Sacrificio eucaristico. Una grande assemblea, riunita con il Successore di Pietro, formata da fedeli provenienti da molte nazioni. Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione, che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi Apostoli: andare e fare discepoli tutti i popoli, «battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19). Saluto con affetto e riconoscenza il Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, e il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, principali artefici di questo VII Incontro Mondiale delle Famiglie, come pure i loro Collaboratori, i Vescovi Ausiliari di Milano e tutti gli altri Presuli. Sono lieto di salutare tutte le Autorità presenti. E il mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!
Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha ricordato che nel Battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, il quale ci unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al Padre come figli, così che possiamo gridare: «Abbà! Padre!» (cfr Rm 8,15.17). In quel momento ci è stato donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere fino al compimento definitivo nella gloria celeste; siamo diventati membri della Chiesa, la famiglia di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, «popolo che – come insegna il Concilio Vaticano II – deriva la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Cost. Lumen gentium, 4). La solennità liturgica della Santissima Trinità, che oggi celebriamo, ci invita a contemplare questo mistero, ma ci spinge anche all’impegno di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati ad accogliere e trasmettere concordi le verità della fede; a vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere la bellezza della Trinità e di evangelizzare non solo con la parola, ma direi per «irradiazione», con la forza dell’amore vissuto.
Chiamata ad essere immagine del Dio Unico in Tre Persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28). Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità di amore e di vita. L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità, immagine di Dio. Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. E’ fecondo poi nella procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. E’ fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Cari sposi, abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nella fragilità. Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i vostri genitori, e anche le relazioni tra fratelli e sorelle siano opportunità per crescere nell’amore.
Il progetto di Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù Cristo, che ha elevato il matrimonio a Sacramento. Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo, Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele e totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando ogni giorno, con fede, il vostro «sì», con la forza che viene dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia vivrà dell’amore di Dio, sul modello della Santa Famiglia di Nazaret. Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo. Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il dialogo, rispettare il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere perdono, superare con intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordare gli orientamenti educativi, essere aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili nella società civile. Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia. Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica (cfr Esort. ap. Familiaris consortio, 49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza.
Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo progetto (cfr 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della Sacra Scrittura possiamo leggere il compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio anche in questa opera preziosa, che devono compiere con lo stesso amore del Creatore. Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche, prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro, della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto quella che può concorrere ad uno sviluppo armonico, al bene della famiglia e ad edificare una società giusta, perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi, disagio nelle famiglie. Anzi, la mentalità utilitaristica tende ad estendersi anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e minando la solidità del tessuto sociale.
Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine di Dio, è chiamato anche al riposo e alla festa. Il racconto della creazione si conclude con queste parole: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (Gen 2,2-3). Per noi cristiani, il giorno di festa è la Domenica, giorno del Signore, Pasqua settimanale. E’ il giorno della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno alla mensa della Parola e del Sacrificio Eucaristico, come stiamo facendo noi oggi, per nutrirci di Lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore. E’ il giorno dell’uomo e dei
suoi valori: convivialità, amicizia, solidarietà, cultura, contatto con la natura, gioco, sport. E’ il giorno della famiglia, nel quale vivere assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa. Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! E’ come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio.
Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità e la maternità, il lavoro e la festa, è importante per costruire società dal volto umano. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere. Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in un Noi, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia "tutto in tutti" (1 Cor 15,28)» (Enc. Deus caritas est, 18). Amen.
*
LA RECITA DELL’ANGELUS AL PARCO DI BRESSO
[Prima della preghiera mariana:]
Cari fratelli e sorelle!
Non trovo parole per ringraziare per questa Festa di Dio, per questa comunione della Famiglia di Dio che noi siamo. Alla fine di questa celebrazione, un grande grazie a Dio che ci ha donato questa grande esperienza ecclesiale. Da parte mia, rivolgo un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno lavorato per questo evento, a partire dal Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia - grazie, Eminenza! -, e dal Cardinale Angelo Scola, Arcivescovo di Milano - grazie! Anche per questo bel tempio di Dio che ci ha donato. Ringrazio tutti i responsabili dell’organizzazione e tutti i volontari. E sono lieto di annunciare che il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie avrà luogo nel 2015, a Filadelfia, negli Stati Uniti d’America. Saluto l’Arcivescovo di Filadelfia, Mons. Charles Chaput, e lo ringrazio fin d’ora per la disponibilità offerta.
[Rivolgendosi ai milanesi, ai lombardi e agli italiani ha detto:]
Care famiglie milanesi, lombarde, italiane e del mondo intero! Vi saluto tutte con affetto e vi ringrazio per la vostra partecipazione. Vi incoraggio ad essere sempre solidali con le famiglie che vivono maggiori difficoltà, penso alla crisi economica e sociale, penso al recente terremoto in Emilia. La Vergine Maria vi accompagni e vi sostenga sempre! Grazie!