“Albero di Jesse – da Davide a Gesù”,
Pergamena fine XII secolo
Questo re che è alla destra di Dio
e partecipa della sua Signoria,
non è uno di questi uomini successori di Davide,
ma solo il nuovo Davide,
il Figlio di Dio che ha vinto la morte
e partecipa realmente alla gloria di Dio.
E' il nostre re, che ci dà anche la vita eterna.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Marco 12,35-37.
Gesù continuava a parlare, insegnando nel tempio: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? Davide stesso infatti ha detto, mosso dallo Spirito Santo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi.
Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?». E la numerosa folla lo ascoltava volentieri.
IL COMMENTO
Una domanda del Signore, apparentemente oscura, per svelare inganni e superbia. "Come mai gli scribi dicono che...", questa domanda è oggi rivolta a tutti noi. E verte sulla figura del Messia; come al solito è Gesù il centro di ogni questione. Come può essere Figlio di Davide? Se è incommensurabilmente più grande di Davide.... Che idea ci siamo fatti del Signore, anche partendo dalla Scrittura per carità? Chi pensiamo che sia, e come interpretiamo la Parola che si riferisce a Lui? Domande capziose pensiamo, per teologi ma non certo per tutti noi alle prese con la spesa, con la suocera, con lo studio, con i figli, con i fidanzati, con le tentazioni, con il lavoro e il condominio.
E invece no, perchè non a caso Gesù cita il Salmo 110, messianico per eccellenza. E non a caso parla di nemici messi a sgabello dei piedi del Signore. Gesù è il Messia proprio perchè è Kyrios, Signore di ogni cosa, e oggi siede alla destra del Padre sino a che ogni suo nemico non gli sia sottomesso, come sgabello ai suoi piedi. I suoi nemici sono i nostri, quelli che incontriamo ogni giorno e che attentano alla nostra vita. Gli stessi che ha combattuto Davide per intronizzare l'Arca in Gerusalemme e per difendere il Regno. Gesù è Figlio di Davide perchè compie in pienezza quello che nel Re era stato solo adombrato. Gesù, della discendenza di Davide, vincendo ogni nemico, il peccato e la morte, introduce l'Arca nel Santuario, la sua umanità alla destra di Dio. E, con la sua umanità, anche la nostra così che, come scriverà San Paolo, già oggi noi, in Cristo, siamo alla destra di Dio. Regniamo nella vita e nella storia con Lui. Non più schiavi del peccato possiamo affrontare ogni evento, ogni relazione, ogni sofferenza. In virtù di Lui che ci ama, ogni nemico ci è sottomesso, giorno dopo giorno. Esattamente nelle vicende di cui sopra, dalla spesa al mercato al cancro terminale, in tutto siamo più che vincitori, in tutto portiamo il seme di Vita eterna che ci accomuna al Messia. Siamo figli di Davide anche noi che, in Gesù, siamo figli di Dio.
Commentando il Salmo 110, Sant'Agostino afferma che "era necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato, doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto accettato con fede, gioia ed atteso" (S. Agostino, Commento ai salmi). Con le parole del Vangelo di oggi la Chiesa ci "preannuncia" Colui che viene alla nostra vita per strapparci dal potere del demonio. Ma può capitare, come spesso accade, di spaventarci di fronte al potere del Signore, allo sconvolgimento provocato dalla sua "signoria". Come Erode siamo gelosi del nostro potere, e non desideriamo condividere la regalità con nessuno... Stretti nelle catene dell'orgoglio, dell'egoismo, della concupiscenza, della menzogna e dell'ipocrisia, soffriamo, ma, paradossalmente, preferiamo questa sofferenza, alla precarietà che significherebbe la libertà. Temiamo di vedere sbriciolarsi le nostre certezze, anche quelle dolorose, per non dover lasciare la vita nelle mani di un altro. La libertà ci fa paura, perchè siamo stati sedotti dall'inganno demoniaco che ci ha insinuato il dubbio circa l'amore di Dio. Siamo persuasi che obbedire significherebbe perdere la propria identità e la propria autonomia. Crediamo di regnare nella nostra vita, di poter gestire affetti e situazioni, e non ci rendiamo conto che tutto ci sfugge dalle mani. Ma oggi il Signore viene ad annunciarci ancora una volta la Verità, il suo amore più forte di tutto, l'unico nel quale poter regnare davvero nella vita, senza essere schiavi delle opinioni, degli affetti, della carne e del mondo. Il Messia vincitore e fatto Re e Signore viene a cercarci per issarci con Lui sul suo trono, la sua Croce gloriosa, dalla quale regnare liberi nel dono totale di se stessi. E' necessario conoscere l'unico figlio di Dio sulla croce di ogni giorno, perchè sia accettato con fede, gioia ed atteso... La Croce, il trono sul quale amare, sempre e ovunque: "L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince con il suo amore" (Benedetto XVI, Catechesi di Mercoledì, 16 novembre 2011).
E' questa la buona notizia di oggi, l'intimità con il Signore che ci fa vittoriosi in questa vita, capaci di lottare contro le passioni, le tentazioni, gli attacchi violentissimi dei nemici, che non sono di carne e di sangue, ma che sono il demonio e le sue legioni. Vincitori per condurre al Cielo questa generazione, come segno, all’interno del popolo, della presenza potente e provvidente di Dio. Anche noi, in Maria, Madre di Gesù e della Chiesa, siamo adottati e accolti nella famiglia dei santi, e diveniamo discendenti di Davide; il Re più grande, l'uomo secondo il cuore di Dio, chiama anche noi, in Cristo, suoi Signori. Sì, siamo nati per regnare, e non per essere schiavi! "L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di obbedienza e di amore portato “fino alla fine”. Pregando con questo Salmo, chiediamo dunque al Signore di poter procedere anche noi sulle sue vie, nella sequela di Cristo, il re Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa», potremo attingere con gioia alle sorgenti della salvezza e proclamare a tutto il mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa»" (Benedetto XVI, Catechesi di Mercoledì, 16 novembre 2011).
Catechismo della Chiesa cattolica
§ 446-451
§ 446-451
Nella traduzione greca dei libri dell'Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con Kyrios (« Signore »). Da allora Signore diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di « Signore » per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio. Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute con i farisei sul senso del salmo 110 (Mc 12,36), ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli (Gv 13,13). Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità divina.
Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo « Signore ». Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il riconoscimento del mistero divino di Gesù. Nell'incontro con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: « Mio Signore e mio Dio! » (Gv 20,28). Assume allora una connotazione d'amore e d'affetto che resterà peculiare della tradizione cristiana: « È il Signore! » (Gv 21,7).
Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall'inizio, che la potenza, l'onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di « natura divina » (Fil 2,6) e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria. Fin dall'inizio della storia cristiana, l'affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia comporta anche il riconoscimento che l'uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è « il Signore »... La preghiera cristiana è contrassegnata dal titolo « Signore », sia che si tratti dell'invito alla preghiera: « Il Signore sia con voi », sia della conclusione della preghiera: « Per il nostro Signore Gesù Cristo », o anche del grido pieno di fiducia e di speranza: «Amen, vieni, Signore Gesù! » (Ap 22,20).
San Leone Magno ( ?-circa 461), papa e dottore della Chiesa
Discorso 1 per la Natività del Signore
E' scelta una vergine regale, appartenente alla famiglia di David, che, destinata a portare in seno tale santa prole, concepisce il figlio, Uomo-Dio... Dunque il Verbo di Dio, Dio egli stesso e Figlio di Dio, che "era in principio presso Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza del quale neppure una delle cose create è stata fatta" (Gv 1,1-3), per liberare l'uomo dalla morte eterna si è fatto uomo. Egli si è abbassato ad assumere la nostra umile condizione senza diminuire la sua maestà. E' rimasto quel che era e ha preso ciò che non era, unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tale che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore, né l'assunzione ha sminuito la natura superiore.
Perciò le proprietà dell'una e dell'altra natura sono rimaste integre, benché convergano in una unica persona. In questa maniera l'umiltà viene accolta dalla maestà, la debolezza dalla potenza, la mortalità dall'eternità. Per pagare il debito, proprio della nostra condizione, la natura inviolabile si è unita alla natura che è soggetta ai patimenti, il vero Dio si è congiunto in modo armonioso al vero uomo. Or questo era necessario alle nostre infermità, perché avvenisse che l'unico e identico «Mediatore di Dio e degli uomini» (1 Tm 2,5) da una parte potesse morire e dall'altra potesse risorgere....
Tale natività, dilettissimi, si addiceva a Cristo, "virtù di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1,24); con essa egli è uguale a noi quanto all'umanità, è superiore a noi quanto alla divinità. Se non fosse vero Dio non porterebbe la salvezza, se non fosse vero uomo non ci sarebbe di esempio.
San Cirillo di Gerusalemme (313-350), vescovo di Gerusalemme, dottore della Chiesa
Catechesi battesimale 10, 2,4,5 : PG 33, 662.663-667
« Il suo nome è Re dei re e Signore dei signori » (Ap 19,16)
Chi vuole onorare Dio, si prosterni davanti a suo Figlio. Altrimenti, il Padre non accetta di essere adorato. Dall'alto del cielo, il Padre ha fatto udire queste parole : « Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto » (Mt 3, 17). Il Padre si è compiaciuto nel Figlio, …chiamato « Signore » (Lc 2, 11) non impropriamente come lo sono i signori umani, bensì perchè la signoria appartiene a lui per natura, da sempre…
Pur rimanendo se stesso e conservando veramente la gloria immutabile del suo essere Figlio, si aggiusta alle nostre debolezze, come un medico abilissimo e un maestro compassionevole. E tutto ciò, l'ha fatto mentre era realmente Signore, senza dover a nessun avanzamento il suo potere ; infatti la gloria della signoria era sua per natura. Non era Signore alla maniera dei signori umani ; era Signore in tutta verità, esercitando la signoria sulle proprie creature con il consenso del Padre. Noi, infatti, possiamo esercitare un dominio su uomini che sono i nostri pari, sia in dignità che nelle sofferenze, anzi sovente che ci sono superiori. Invece, la signoria di Nostro Signore non è di questa natura : egli è innanzi tutto Creatore, e in secondo luogo Signore. Ha creato tutto secondo la volontà del Padre, ora esercita la signoria su quanto esiste solo per mezzo di lui.
Benedetto XVI. Il Re Messia, Salmo 110
Catechesi di Mercoledì, 16 novembre 2011
Cari fratelli e sorelle,
vorrei oggi terminare le mie catechesi sulla preghiera del Salterio
meditando uno dei più famosi “Salmi regali”, un Salmo che Gesù stesso ha
citato e che gli autori del Nuovo Testamento hanno ampiamente ripreso e
letto in riferimento al Messia, a Cristo. Si tratta del Salmo 110
secondo la tradizione ebraica, 109 secondo quella greco-latina; un Salmo
molto amato dalla Chiesa antica e dai credenti di ogni tempo. Questa
preghiera era forse inizialmente collegata all’intronizzazione di un re
davidico; tuttavia il suo senso va oltre la specifica contingenza del
fatto storico aprendosi a dimensioni più ampie e diventando così
celebrazione del Messia vittorioso, glorificato alla destra di Dio.
Il Salmo inizia con una dichiarazione solenne:
Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi» (v. 1).
Dio stesso intronizza il re nella gloria, facendolo sedere alla sua
destra, un segno di grandissimo onore e di assoluto privilegio. Il re è
ammesso in tal modo a partecipare alla signoria divina, di cui è
mediatore presso il popolo. Tale signoria del re si concretizza anche
nella vittoria sugli avversari, che vengono posti ai suoi piedi da Dio
stesso; la vittoria sui nemici è del Signore, ma il re ne è fatto
partecipe e il suo trionfo diventa testimonianza e segno del potere
divino.
La glorificazione regale espressa in questo inizio del Salmo è stata
assunta dal Nuovo Testamento come profezia messianica; perciò il
versetto è tra i più usati dagli autori neotestamentari, o come
citazione esplicita o come allusione. Gesù stesso ha menzionato questo
versetto a proposito del Messia per mostrare che il Messia è più che
Davide, è il Signore di Davide (cfr Mt 22,41-45; Mc 12,35-37; Lc
20,41-44). E Pietro lo riprende nel suo discorso a Pentecoste,
annunciando che nella risurrezione di Cristo si realizza questa
intronizzazione del re e che da adesso Cristo sta alla destra del Padre,
partecipa alla Signoria di Dio sul mondo (cfr Atti 2,29-35). È il
Cristo, infatti, il Signore intronizzato, il Figlio dell’uomo seduto
alla destra di Dio che viene sulle nubi del cielo, come Gesù stesso si
definisce durante il processo davanti al Sinedrio (cfr Mt 26,63-64; Mc
14,61-62; cfr anche Lc 22,66-69). È Lui il vero re che con la
risurrezione è entrato nella gloria alla destra del Padre (cfr Rom 8,34;
Ef 2,5; Col 3,1; Ebr 8,1; 12,2), fatto superiore agli angeli, seduto
nei cieli al di sopra di ogni potenza e con ogni avversario ai suoi
piedi, fino a che l’ultima nemica, la morte, sia da Lui definitivamente
sconfitta (cfr 1 Cor 15,24-26; Ef 1,20-23; Ebr 1,3-4.13; 2,5-8;
10,12-13; 1 Pt 3,22). E si capisce subito che questo re che è alla
destra di Dio e partecipa della sua Signoria, non è uno di questi uomini
successori di Davide, ma solo il nuovo Davide, il Figlio di Dio che ha
vinto la morte e partecipa realmente alla gloria di Dio. E' il nostre
re, che ci dà anche la vita eterna.
Tra il re celebrato dal nostro Salmo e Dio esiste quindi una relazione
inscindibile; i due governano insieme un unico governo, al punto che il
Salmista può affermare che è Dio stesso a stendere lo scettro del
sovrano dandogli il compito di dominare sui suoi avversari, come recita
il versetto 2:
Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!
L’esercizio del potere è un incarico che il re riceve direttamente dal
Signore, una responsabilità che deve vivere nella dipendenza e
nell’obbedienza, diventando così segno, all’interno del popolo, della
presenza potente e provvidente di Dio. Il dominio sui nemici, la gloria e
la vittoria sono doni ricevuti, che fanno del sovrano un mediatore del
trionfo divino sul male. Egli domina sui nemici trasformandoli, li vince
con il suo amore.
Perciò, nel versetto seguente, si celebra la grandezza del re. Il
versetto 3, in realtà, presenta alcune difficoltà di interpretazione.
Nel testo originale ebraico si fa riferimento alla convocazione
dell’esercito a cui il popolo risponde generosamente stringendosi
attorno al suo sovrano nel giorno della sua incoronazione. La traduzione
greca dei LXX, che risale al III-II secolo prima di Cristo, fa
riferimento invece alla filiazione divina del re, alla sua nascita o
generazione da parte del Signore, ed è questa la scelta interpretativa
di tutta la tradizione della Chiesa, per cui il versetto suona nel modo
seguente:
A te il principato nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato.
Questo oracolo divino sul re affermerebbe dunque una generazione divina
soffusa di splendore e di mistero, un’origine segreta e imperscrutabile,
legata alla bellezza arcana dell’aurora e alla meraviglia della rugiada
che nella luce del primo mattino brilla sui campi e li rende fecondi.
Si delinea così, indissolubilmente legata alla realtà celeste, la figura
del re che viene realmente da Dio, del Messia che porta al popolo la
vita divina ed è mediatore di santità e di salvezza. Anche qui vediamo
che tutto questo non è realizzato dalla figura di un re davidico, ma dal
Signore Gesù Cristo, che realmente viene da Dio; Egli è la luce che
porta la vita divina al mondo.
Con questa immagine suggestiva ed enigmatica termina la prima strofa del
Salmo, a cui fa seguito un altro oracolo, che apre una nuova
prospettiva, nella linea di una dimensione sacerdotale connessa alla
regalità. Recita il versetto 4:
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek».
Melchìsedek era il sacerdote re di Salem che aveva benedetto Abramo e
offerto pane e vino dopo la vittoriosa campagna militare condotta dal
patriarca per salvare il nipote Lot dalle mani dei nemici che lo avevano
catturato (cfr Gen 14). Nella figura di Melchìsedek, potere regale e
sacerdotale convergono e ora vengono proclamati dal Signore in una
dichiarazione che promette eternità: il re celebrato dal Salmo sarà
sacerdote per sempre, mediatore della presenza divina in mezzo al suo
popolo, tramite della benedizione che viene da Dio e che nell’azione
liturgica si incontra con la risposta benedicente dell’uomo.
La Lettera agli Ebrei fa esplicito riferimento a questo versetto (cfr.
5,5-6.10; 6,19-20) e su di esso incentra tutto il capitolo 7, elaborando
la sua riflessione sul sacerdozio di Cristo. Gesù, così ci dice la
Lettera agli Ebrei nella luce del salmo 110 (109), Gesù è il vero e
definitivo sacerdote, che porta a compimento i tratti del sacerdozio di
Melchìsedek rendendoli perfetti.
Melchìsedek, come dice la Lettera agli Ebrei, era «senza padre, senza
madre, senza genealogia» (7,3a), sacerdote dunque non secondo le regole
dinastiche del sacerdozio levitico. Egli perciò «rimane sacerdote per
sempre» (7,3c), prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote perfetto che
«non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per
la potenza di una vita indistruttibile» (7,16). Nel Signore Gesù risorto
e asceso al cielo, dove siede alla destra del Padre, si attua la
profezia del nostro Salmo e il sacerdozio di Melchìsedek è portato a
compimento, perché reso assoluto ed eterno, divenuto una realtà che non
conosce tramonto (cfr 7,24). E l’offerta del pane e del vino, compiuta
da Melchìsedek ai tempi di Abramo, trova il suo adempimento nel gesto
eucaristico di Gesù, che nel pane e nel vino offre se stesso e, vinta la
morte, porta alla vita tutti i credenti. Sacerdote perenne, «santo,
innocente, senza macchia» (7,26), egli, come ancora dice la Lettera agli
Ebrei, «può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si
avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro
favore» (7,25).
Dopo questo oracolo divino del versetto 4, col suo solenne giuramento,
la scena del Salmo cambia e il poeta, rivolgendosi direttamente al re,
proclama: «Il Signore è alla tua destra!» (v. 5a). Se nel versetto 1 era
il re a sedersi alla destra di Dio in segno di sommo prestigio e di
onore, ora è il Signore a collocarsi alla destra del sovrano per
proteggerlo con lo scudo nella battaglia e salvarlo da ogni pericolo. Il
re è al sicuro, Dio è il suo difensore e insieme combattono e vincono
ogni male.
Si aprono così i versetti finali del Salmo con la visione del sovrano
trionfante che, appoggiato dal Signore, avendo ricevuto da Lui potere e
gloria (cfr v. 2), si oppone ai nemici sbaragliando gli avversari e
giudicando le nazioni. La scena è dipinta con tinte forti, a significare
la drammaticità del combattimento e la pienezza della vittoria regale.
Il sovrano, protetto dal Signore, abbatte ogni ostacolo e procede sicuro
verso la vittoria. Ci dice: sì, nel mondo c'è tanto male, c'è una
battaglia permanente tra il bene e il male, e sembra che il male sia più
forte. No, più forte è il Signore, il nostro vero re e sacerdote
Cristo, perché combatte con tutta la forza di Dio e, nonostante tutte le
cose che ci fanno dubitare sull'esito positivo della storia, vince
Cristo e vince il bene, vince l'amore e non l'odio. È qui che si
inserisce la suggestiva immagine con cui si conclude il nostro Salmo,
che è anche una parola enigmatica.
lungo il cammino si disseta al torrente,
perciò solleva alta la testa (v. 7).
Nel mezzo della descrizione della battaglia, si staglia la figura del re
che, in un momento di tregua e di riposo, si disseta ad un torrente
d’acqua, trovando in esso ristoro e nuovo vigore, così da poter
riprendere il suo cammino trionfante, a testa alta, in segno di
definitiva vittoria. E' ovvio che questa parola molto enigmatica era una
sfida per i Padri della Chiesa per le diverse interpretazioni che si
potevano dare. Così, per esempio, sant'Agostino dice: questo torrente è
l'essere umano, l'umanità, e Cristo ha bevuto da questo torrente
facendosi uomo, e così, entrando nell'umanità dell'essere umano, ha
sollevato il suo capo e adesso è il capo del Corpo mistico, è il nostro
capo, è il vincitore definitivo (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 20: PL
36, 1462).
Cari amici, seguendo la linea interpretativa del Nuovo Testamento, la
tradizione della Chiesa ha tenuto in grande considerazione questo Salmo
come uno dei più significativi testi messianici. E, in modo eminente, i
Padri vi hanno fatto continuo riferimento in chiave cristologica: il re
cantato dal Salmista è, in definitiva, Cristo, il Messia che instaura il
Regno di Dio e vince le potenze del mondo, è il Verbo generato dal
Padre prima di ogni creatura, prima dell'aurora, il Figlio incarnato
morto e risorto e assiso nei cieli, il sacerdote eterno che, nel mistero
del pane e del vino, dona la remissione dei peccati e la
riconciliazione con Dio, il re che solleva la testa trionfando sulla
morte con la sua risurrezione. Basterebbe ricordare un passo ancora una
volta del commento di sant’Agostino a questo Salmo dove scrive: «Era
necessario conoscere l’unico Figlio di Dio, che stava per venire tra gli
uomini, per assumere l’uomo e per divenire uomo attraverso la natura
assunta: egli è morto, risorto, asceso al cielo, si è assiso alla destra
del Padre ed ha adempiuto tra le genti quanto aveva promesso … Tutto
questo, dunque, doveva essere profetizzato, doveva essere preannunciato,
doveva essere segnalato come destinato a venire, perché, sopravvenendo
improvviso, non facesse spavento, ma fosse preannunciato, piuttosto
accettato con fede, gioia ed atteso. Nell’ambito di queste promesse
rientra codesto Salmo, il quale profetizza, in termini tanto sicuri ed
espliciti, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, che noi non
possiamo minimamente dubitare che in esso sia realmente annunciato il
Cristo» (cfr Enarratio in Psalmum CIX, 3: PL 36, 1447)
L’evento pasquale di Cristo diventa così la realtà a cui ci invita a
guardare il Salmo, guardare a Cristo per comprendere il senso della vera
regalità, da vivere nel servizio e nel dono di sé, in un cammino di
obbedienza e di amore portato “fino alla fine” (cfr. Gv 13,1 e 19,30).
Pregando con questo Salmo, chiediamo dunque al Signore di poter
procedere anche noi sulle sue vie, nella sequela di Cristo, il re
Messia, disposti a salire con Lui sul monte della croce per giungere con
Lui nella gloria, e contemplarlo assiso alla destra del Padre, re
vittorioso e sacerdote misericordioso che dona perdono e salvezza a
tutti gli uomini. E anche noi, resi, per grazia di Dio, «stirpe eletta,
sacerdozio regale, nazione santa» (cfr 1 Pt 2,9), potremo attingere con
gioia alle sorgenti della salvezza (cfr Is 12,3) e proclamare a tutto il
mondo le meraviglie di Colui che ci ha «chiamato dalle tenebre alla sua
luce meravigliosa» (cfr 1 Pt 2,9).