lunedì 25 giugno 2012

Memoria di San Josemaría Escrivá de Balaguer


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Di seguito il testo della meditazione del Prelato dell'Opus Dei, monsignor Javier Echevarría, nella festa di san Josemaría Escrivá (domani 26 giugno).

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1. Abbiamo già commentato, in occasione di altri anniversari del transito al cielo di san Josemaría Escrivá (26 giugno 1975), le letture della Messa in onore di questo santo sacerdote. Ora desidero soffermare la mia attenzione sul messaggio che il fondatore dell'Opus Dei ci ha trasmesso: la santificazione della vita ordinaria, così come predicata da Gesù e presentata nei testi della Genesi, della lettera di san Paolo ai Romani e del brano del Vangelo della Messa di oggi.
Consideriamo la parte finale del brano della Genesi proposto nella Messa: il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Gn 2, 15). L'invito a lavorare, in quanto completamento dell'opera creatrice, è la vocazione originaria di ogni donna e di ogni uomo. A ragione dunque san Josemaría poteva affermare che qualsiasi lavoro onesto è «un mezzo necessario che Dio ci affida sulla terra, dando ampiezza ai nostri giorni e facendoci partecipi del suo potere creatore, affinché potessimo guadagnare il nostro sostentamento e, nello stesso tempo, raccogliere frutti per la vita eterna (Gv 4, 36)»1. Ci invitava così a riscoprire Dio, sia nei lavori importanti, sia nelle occupazioni quotidiane, che possono diventare un solido fondamento per la santità personale.
Questa dimensione originaria del lavoro è la ragione più reale del diritto di tutti ad avere un'occupazione professionale che consente di guadagnarsi da vivere e di sovvenire alle necessità della propria famiglia. Purtroppo, nelle circostanze attuali, molti Paesi soffrono la piaga della disoccupazione, che tante preoccupazioni e disagi arreca a innumerevoli famiglie. Preghiamo per le autorità civili e per i responsabili della vita pubblica, a tutti i livelli, affinché, illuminati dalla divina Sapienza, sappiano trovare e mettere in pratica misure idonee a risollevare le loro Nazioni dall'attuale crisi, nel pieno rispetto della dignità della persone e del bene comune. Affidiamo quest'intenzione a Dio per intercessione di san Josemaría, apostolo della santificazione del lavoro.
2. La seconda lettura ci rammenta, con parole di san Paolo, che noi cristiani siamo figli di Dio, guidati dallo Spirito Santo. Da questa affermazione, l'Apostolo trae una conseguenza immediata: voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!" (Rm 8, 15).
Paolo ha presente le paure e le angosce della società del suo tempo, sottomessa a molteplici poteri, in gran parte maligni, caratteristici dell'antico paganesimo. Per questa ragione, come spiega Benedetto XVI in una delle sue encicliche, quei popoli vivevano immersi nel timore, pur avendo molti dèi; «ma i loro dèi —commenta il Papa— si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano "senza Dio" e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro»2. I cristiani, al contrario, in quanto figli di Dio, sanno di avere un futuro luminoso. «Non è che sappiano nei particolari ciò che li attende — prosegue il Santo Padre —, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente»3.
Meditiamo spesso questa realtà: sono figlio di Dio, sono figlia di Dio; e di fronte a questo dono è logico che cerchiamo di dar rilievo soprannaturale a tutto quello che facciamo. San Josemaría soleva ripetere che il soprannaturale, quando riguarda gli uomini, risulta pienamente umano. Pertanto, se corrispondiamo alla grazia, siamo in condizione di intrattenerci in dialogo con Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in qualunque circostanza e attività.
Questa grande meraviglia della nostra fede deve incoraggiarci ad affrontare con fiducia in Dio e con serenità tutte le difficoltà di ogni genere che man mano possano presentarsi nella nostra esistenza; anche quelle derivanti dall'attuale crisi economica e dalla mancanza di lavoro. Sorretti da questa certezza, possiamo far nostre le parole del salmo responsoriale: laudate Dominum, omnes gentes, in risposta alle promesse che Dio stesso ci dirige: Chiedi a me, e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra (Sal 2, 8). Dobbiamo però chiedere con fede e perseveranza che si possano risolvere positivamente tante sofferenze per la scarsezza di lavoro. Fermamente uniti alla Volontà di Dio, che conduce tutti gli avvenimenti al bene di coloro che credono in Lui, possiamo ripetere: servite Dio con timore e con tremore esultate (...). Beato chi in lui si rifugia (Sal 2, 11-12).
3. Nel Vangelo abbiamo contemplato ancora una volta il grande prodigio della prima pesca miracolosa. Dal punto di vista umano, l'ordine di Gesù — gettare le reti in pieno giorno, dopo una notte infruttuosa — sembrava inutile e assurdo. Per di più, Pietro e gli altri erano pescatori di professione: conoscevano bene il proprio mestiere e i recessi più nascosti del lago di Tiberiade non avevano segreti per loro. Ciò nonostante, obbediscono: in verbo autem tuo laxabo retia (Lc 5, 5), sulla tua parola getterò le reti. Non vi meraviglia la fede di Simone Pietro? Anche noi ne abbiamo bisogno per affrontare tutte le vicissitudini della nostra esistenza, specialmente quelle che esigono da noi una risposta generosa ai disegni di Dio.
Tra pochi mesi, a ottobre, avrà inizio l'Anno della fede indetto dal Papa. Come ci stiamo preparando? Facciamo atti espliciti di questa virtù prima di ricevere il sacramento della Confessione o la Comunione? Ci rivolgiamo a Dio con fede nella preghiera, di fronte alle innumerevoli incombenze di una vita ricca di compiti professionali e di preoccupazioni familiari? Come cerchiamo di avvicinare al Signore le persone care, gli amici, i compagni di studio o di lavoro? Non dimentichiamo — è così — che Iddio vuole servirsi di ognuna e di ognuno di noi perché lo conoscano, lo trattino, lo amino.
Guardate che con la fede si spalancano le porte sbarrate, si aprono orizzonti che sembravano chiusi. È questo l'insegnamento del brano evangelico. In obbedienza al comando del Signore, Pietro e i suoi compagni calarono le reti; e avendolo fatto —racconta san Luca—, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano (Lc 5, 6-7).
Grande lezione di fede e obbedienza a Dio! Gesù invita anche noi a santificarci in tutte le circostanze ordinarie della vita e a gettare le reti dell'apostolato nel mare del mondo.
Chiediamo alla Vergine Maria, mediante l'intercessione di san Josemaría, che ognuno di noi sappia ascoltare la voce di Cristo e a far sì — insisto — che essa risuoni agli orecchi di molte altre persone. In questo modo diventeremo, come gli Apostoli, seguaci di Gesù e pescatori di uomini in mezzo alle nostre occupazioni abituali.
E naturalmente, preghiamo il Signore — come buoni figli e figlie del Successore di Pietro — che aiuti il Santo Padre, i Vescovi, i sacerdoti ad essere Pastori che sanno dare la vita per servire tutte le anime.
+ Javier Echevarría
Prelato dell'Opus Dei
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NOTE
1 San Josemaría, Amici di Dio, n. 57.
2 Benedetto XVI, Litt. enc. Spe salvi, 30-XI-2007, n. 2.
3 Ibid.

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In occasione della festa di San José María Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, domani 26 giugno,in tutto il mondo vengono celebrate Sante Messe in onore del Santo. A Milano la celebrazione si è tenuta venerdì 22 giugno in Duomo ed stata presieduta dal cardinale Angelo Scola.



Arcidiocesi di Milano

Memoria di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Lev 19,1-2.17-18; Sal 111; 1Cor 9,16-19.22-23; Lc 5,1-11

Duomo di Milano, 22 giugno 2012

Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano




1. «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lettura, Lev 19,1-2). Le parole che il Signore rivolge a Mosè descrivono la verità profonda del nostro essere cristiani. Essa è contenuta in un termine, santità, di cui a volte la mentalità dominante non riesce nemmeno a intuire il significato. Anzi, in questi ultimi tempi le fragilità di non pochi cristiani, ministri del Signore compresi, sembrano letteralmente negare la possibilità che queste parole del Levitico si avverino. Siamo di fronte alla espressione di un pio desiderio o, nella migliore delle ipotesi, della nostalgia che abita il nostro cuore?
Con forza dobbiamo rispondere: no! Proprio perché il Signore, nostro Dio, è santo, possiamo riconoscere che la santità è la verità più profonda della nostra vita. Infatti, la Chiesa, nostra Madre e maestra, non cessa di ribadire questa profonda verità: si può contemplare il vero volto dell’uomo nel santo, il santo è veramente l’uomo riuscito.
Ma come possiamo riconoscere che la parola “santità” descrive chi siamo, e non solo chi dovremmo essere, se ogni giorno dobbiamo chiedere perdono per i nostri debiti con la preghiera del Padre Nostro, e se la recita del Santo Rosario ci fa ripetere con l’Ave Maria “prega per noi peccatori”?
Per rispondere a questo interrogativo, è necessario soffermarsi su uno dei cardini della vita cristiana. Si tratta di qualcosa che non sempre consideriamo o che troppo raramente portiamo a coscienza. Potremmo esprimerlo nel seguente modo: ciò che definisce il mio volto, chi sono io, è la vocazione; la vita stessa è vocazione.
Vivere significa essere stato chiamato dal Dio tre volte Santo a partecipare della Sua stessa Vita divina, cioè, ad essere santo come Lui è Santo. Si rende qui evidente che lo Spirito Santo accompagna e guida la Chiesa di Dio. Infatti, con la presenza e la vita di san Josemaría, lo Spirito ha indicato a tutti i fedeli l’universale vocazione alla santità (Lumen gentium V).

2. Il santo è l’uomo riuscito. Con altre parole lo abbiamo cantato nel Salmo: «Beato (felice) chi cammina alla presenza del Signore». È questa un’altra bella definizione di che cosa sia la vita cristiana: “camminare alla presenza del Signore”. Il cammino indica la vita, quella che vivono tutti gli uomini, la vita quotidiana, fatta di affetti, lavoro e riposo, come abbiamo avuto modo di ricordare durante le memorabili giornate del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Ma ciò che fa autentico il cammino della vita è proprio camminare alla presenza del Signore, cioè camminare col Signore presente, seguendoLo, lasciandosi guidare da Lui, consentendoGli di rialzarci ogni volta che cadiamo, permettendoGli di sorreggerci e addirittura di portarci sulle Sue spalle quando non riusciamo a proseguire.
Ecco perché la vita cristiana è grazia, cioè nasce e vive sempre come vocazione, e nello stesso tempo cresce e matura come gratitudine. Diceva in proposito san Josemaría: «Sii grato al Signore per l’enorme bene che ti ha concesso, nel farti comprendere che “una sola cosa è necessaria”» (Solco 454). Non c’è cristianesimo senza gratitudine! Questa elementare verità della fede è facile da comprendere per chi, come voi, ha ricevuto il dono della figliolanza spirituale da un santo!

3. Nello stesso aforisma di Solco, san Josemaría prosegue con queste parole che illuminano ulteriormente il significato della vita come vocazione: «Sii grato al Signore per l’enorme bene che ti ha concesso, nel farti comprendere che “una sola cosa è necessaria”. E, insieme con la gratitudine, non manchi ogni giorno la tua supplica, per coloro che ancora non lo sanno, o non l’hanno capito» (Solco 454).
In questo invito alla supplica troviamo la chiamata più elementare all’apostolato, alla missione: nessuno infatti può dire di non essere capace di supplicare! Nello stesso tempo ci viene svelata la ragione profonda del dono della fede: siamo stati chiamati, per pura misericordia di Dio, ad essere membri del Suo popolo santo e diventare così strumenti di elezione per la salvezza del mondo. E allora dal nostro cuore sgorgano le stesse parole che l’Apostolo Paolo rivolge ai Corinzi: «annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (Epistola, 1Cor 9,16).
Vocazione e missione. Questo è il volto compiuto del cristiano, del santo.

4. Carissimi, tutti noi siamo stati testimoni commossi del dono immenso che la Visita Pastorale del Santo Padre ha fatto alla nostra Arcidiocesi. Un dono che richiama ciascuno di noi ad una risposta piena di gratitudine e di ardore missionario.
Nel saluto alla cittadinanza in Piazza Duomo, Benedetto XVI ci ha detto: «Cari amici, la vostra storia è ricchissima di cultura e di fede. Tale ricchezza ha innervato l’arte, la musica, la letteratura, la cultura, l’industria, la politica, lo sport, le iniziative di solidarietà di Milano e dell’intera Arcidiocesi. Spetta ora a voi, eredi di un glorioso passato e di un patrimonio spirituale di inestimabile valore, impegnarvi per trasmettere alle future generazioni la fiaccola di una così luminosa tradizione. Voi ben sapete quanto sia urgente immettere nell’attuale contesto culturale il lievito evangelico. La fede in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, vivente in mezzo a noi, deve animare tutto il tessuto della vita, personale e comunitaria, pubblica e privata».
Sono parole che il Successore di Pietro ha rivolto a ciascuno di noi, come eco dalla missione da lui ricevuta, poiché egli ascoltò dalle labbra del Redentore l’invito «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Vangelo, Lc 5, 4).
Vi sono molto grato per il vostro apostolato nella Chiesa ambrosiana: penso soprattutto al ministero del Sacramento della Riconciliazione e all’ambito decisivo e delicato degli Atenei milanesi in cui siete presenti attraverso i Collegi, le Residenze universitarie e le altre opere educative. Con lo sguardo rivolto alla grazia straordinaria che il prossimo Anno della Fede porterà a tutti, Vi prego e Vi invito a rispondere al Signore, insieme all’Arcivescovo e a tutti i fedeli della Diocesi, con le stesse parole di Pietro: «Maestro… sulla tua parola getterò le reti» (Vangelo, Lc 5,5). Amen.