giovedì 28 giugno 2012

Liturgia dei Santi Pietro e Paolo, apostoli - 3

APPROFONDIMENTI

1. Una croce come trono, Una decapitazione come corona

http://www.santiebeati.it/immagini/Original/20400/20400AA.JPG


L'inno di Ambrogio per la memoria dei santi Pietro e Paolo 

UNA CROCE COME TRONO
UNA DECAPITAZIONE COME CORONA

di Inos Biffi
Quando Ambrogio compone per i suoi fedeli di Milano l'inno per la memoria dei santi Pietro e Paolo, che essi celebravano, si avverte che il suo affettuoso pensiero è rivolto alla Chiesa di Roma, il luogo fisico del loro martirio e dei loro sepolcri, di cui non cesserà mai di subire il fascino.
Sembrano tornare alla mente del vescovo l'emozionante ricordo e la gioiosa visione della festa, che in loro onore era solennemente celebrata nell'Urbe, la patria della sua gens e della sua fede, che non ha mai cessato di portare nel cuore e che, non senza compiacenza, al termine dell'inno definirà come l'"eletta, capo ai popoli, / e sede del maestro delle genti!".
Il cardinale Schuster - lui pure romano diventato arcivescovo di Milano - esaminando l'L'idea di Roma nella Liturgia di sant'Ambrogio, scriveva: "Il mio stato d'animo mi fa pensare che Ambrogio, anche a Milano, pensasse romanamente, e vivesse in un mondo che era assai più vasto del quadrilatero della Mediolanum Gallica", aggiungendo: "Fuori della cerchia delle mura (di Milano) si snoda la via romana, bella inizialmente con un magnifico porticato e un arco trionfale. Spingendo più giù lo sguardo, Ambrogio cerca tuttavia di scoprire la città dei sette colli con lo sfondo della basilica di San Pietro. Quasi a rifarsene, al principio stesso della via romana erige il suo Apostoleion in onore dei santi apostoli, e lo consacra con le reliquie che gli apporta da Roma il prete Simpliciano".
Ma veniamo all'inno: la passione dei due apostoli - incomincia - ha reso santo un giorno comune e secolare (dies saeculi). Gli "eventi divini (facta divina)", secondo Ambrogio, trasfigurano i giorni degli uomini, e così è avvenuto per il martirio di Pietro, una sconfitta diventata gloriosa vittoria (è ambrosiana l'espressione: sanguis triumphalis), e per quello di Paolo, che gli ha meritato la corona del "buon atleta". "Con il trionfo nobile (triumphus nobilis) di Pietro / - inizia dunque in tono lieto e vibrante il canto, con un verso che verrà citato da Agostino - e la corona di Paolo (Pauli corona) / la passione degli apostoli / questo, esaltando, consacrò tra i giorni".
Ambrogio si compiace di mettere in luce la parità dei due apostoli, assimilati e uniti dall'effusione del sangue, e incoronati dalla fede in Cristo, che ugualmente li aveva fatti discepoli del Signore: "Una morte cruenta e gloriosa (cruor triumphalis necis) / li assimilò e congiunse; / la fede in Cristo incoronò gli eroi / che alla divina sequela si posero". Più volte il vescovo di Milano sottolinea la natura gloriosa del martirio ed è abituale in lui connotare col tratto della trionfalità la morte dei martiri, che, imitando la preziosa effusione del sangue di Cristo - il pretiosus cruor Domini - ha dentro di sé lo splendido pegno della vittoria. Così, egli parla di cruor triumphalis e di victimae triumphales riguardo a Protaso e Gervaso, di proelium triumphale, di triumphales gemitus, di triumphalia vulnera a proposito dei fratelli Maccabei. E, infatti, la croce di Pietro si trasforma nel trono di un re vittorioso e la decapitazione di Paolo diventa una corona.
Sullo stesso tema della parità dei due apostoli prosegue la strofa successiva, con i richiami biblici su Pietro, nominato nei vangeli come primo - "Primo Simone, chiamato Pietro" (Matteo 10, 12) - al quale appartiene il primato passato alla Chiesa di Roma, e su Paolo, definito negli Atti "vaso di elezione" (9, 15), equiparato a Pietro nella grazia e nella fede: "Il primo apostolo è Pietro, / ma non minore è Paolo per grazia, / che fu santo strumento di elezione / e Pietro eguagliò nella fede".
Ambrogio afferma più volte nei suoi scritti questa loro uguaglianza: "Un'identica grazia rifulgeva in coloro che l'unico Spirito aveva eletto. Né Paolo fu inferiore a Pietro, benché quello fosse il fondamento della Chiesa e questi il sapiente architetto".
Sul tipo di morte a cui andò incontro Paolo l'inno non dice nulla, mentre, intessendo le notizie degli Atti di Pietro e i passi del Vangelo di Giovanni, si sofferma su quella di Simone, che subì lo stesso martirio di Gesù, la crocifissione, ma "su capovolta croce", o sulla croce dal piede capovolto (verso crucis vestigio).
Egli, glorificando Dio, senza resistenza e spontaneamente (volens), vi salì, a somiglianza di Gesù che, allo stesso modo, "ascese sulla croce" - come canta l'inno ambrosiano all'ora di terza - e avverò così le parole profetiche del Signore: "In verità, in verità ti dico: "Quand'eri giovane, ti annodavi da te la cintura e andavi dove volevi. Ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti annoderà la cintura e ti condurrà dove tu non vuoi". Questo disse per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio" (Giovanni21, 18-19).
Ambrogio trasforma in chiari versi didascalici questa profezia: "Su capovolta croce / ascende Simone, e sospeso / glorifica Dio, non dimentico / del vaticinio antico. / Secondo il detto, vecchio ormai fu cinto / ed elevato da un altro; / condotto dove non vorrebbe, docile / vinse una morte crudele". Anche nel caso di Pietro, come di tutti i martiri, e anzitutto di Gesù Cristo, la morte non ottiene il sopravvento, ma subisce la sconfitta.
L'interesse del poeta si intrattiene ora sulle felici conseguenze di quella "morte crudele" per la città di Roma: edificata sul sangue di Pietro e resa illustre da così eccellente vescovo - o, se ci si riferisce a Paolo, dalla figura di tanto dottore - l'Urbe e pervenuta all'apice della fede cristiana: "Su tale sangue fondata, / nobilitata da tanto vescovo, / Roma ha toccato l'eccelso vertice / della pietà religiosa (celsum verticem devotionis)".
Essa ha, così, rinnovato le ragioni del suo prestigio e della sua celebrità: in questi versi "il poeta cristiano fonde parecchi ricordi virgiliani, tra cui una famosa esaltazione della Roma di Augusto. E, tuttavia, non si tratta più della Roma pagana e della sua grandezza materiale, ma della Roma cristiana e della sua grandezza religiosa (Duval)".
A questo punto, quasi migrando da questa sua Chiesa, Ambrogio si sente trasportato alle festose e animate celebrazioni romane dei due apostoli. Egli le ha conservate fisse nella memoria e si direbbe le voglia descrivere ai milanesi, che una volta rimprovererà per averne disertato la veglia e trascurato il digiuno in loro onore.
Egli rivede l'intera città animata e rigurgitante di fedeli, che si riversano lungo le tre vie che portano ai loro luoghi di culto: la via Trionfale o Aurelia, dove è sepolto Pietro, la via Ostiense, dove si trova Paolo, e la via Appia, alle catacombe di san Sebastiano, presso le quali, secondo la testimonianza di Papa Damaso (vescovo di Roma dal 366 al 384), in circostanze o modalità che non ci sono note, avevano abitato i due apostoli (habitasse [...] cognoscere debes). "Folle di popolo fitte si muovono / per l'ampia distesa dell'Urbe: / su tre diverse strade si celebra / la festa dei martiri santi".
Nello spettacolo di tanta gente che si accalca nell'Urbe per venerare i due apostoli, al poeta sembra di vedere sia lo stiparsi dei fedeli di tutta la terra sia l'affluire con loro anche degli angeli: "Pare qui si riversi il mondo intero / e accorra insieme la schiera celeste". Da qui la triplice e appassionata acclamazione rivolta alla città di Roma, che, per i meriti di Pietro e di Paolo, è stata elevata a una dignità e a una grandezza nuova: "Eletta, capo ai popoli, e sede del maestro delle genti!".
Roma è l'"Eletta": e il titolo richiama la Prima lettera di Pietroche, secondo alcune versioni, lo assegna alla Chiesa romana, "l'eletta che è in Babilonia" (5, 13). Essa è "capo ai popoli": come altrove la definisce lo stesso Ambrogio, che parla della "Chiesa di Roma capo di tutto il mondo romano" e della "sacrosanta fede degli apostoli", da cui "si diffondono in tutte le Chiese i princìpi che stabiliscono la venerabile comunione che le unisce".
Roma è, infine, la "sede del maestro delle genti", ossia di Pietro, ed è ancora Ambrogio a riconoscere la "Chiesa romana (Ecclesia romana)" come la "custode intemerata del simbolo degli apostoli", dove "fu vescovo" e "dove siede il primo degli apostoli, Pietro", e ad affermare che "non possiede l'eredità di Pietro chi non possiede la sede di Pietro".
Un inno come l'Apostolorum passio, col suo calore e la sua passione, poteva sgorgare solo dalla penna e dalla vena poetica di un poeta che aveva l'animo colmo di ammirazione per la fede di quella Chiesa, che conservava la memoria viva della sua pietà e si sentiva fiero di provenire da essa, anche se, prima dell'elezione all'episcopato di Milano, non vi aveva ancora fatto intimamente parte, non essendo ancora battezzato. Anche in quest'inno, che tutto "rivela mentalità, linguaggio e arte di sant'Ambrogio" (Schuster), sono fusi, in felice composizione, un'ortodossia limpida e precisa - come il riconoscimento alla Chiesa Romana del primato della fede a motivo di Pietro - i riferimenti della storia, con, forse, alcuni elementi di leggenda, e, sullo sfondo, a conferire slancio e vivacità, alcuni accenti o allusioni di autobiografia e di ricordi.


(©L'Osservatore Romano - 29 giugno 2008)

* * *

2. Sant’Ambrogio. Omelie su San Pietro e San Paolo

http://www.santiebeati.it/immagini/Original/20400/20400AA.JPG


Expositio Evangelii sec. Luc. VI, 93-95.97-99, in15, 1693-1694.

Non è senza significato la supposizione della folla, per cui alcuni credevano che fosse risuscitato Elia, che essi ritenevano dovesse ritornare; altri pensavano a Giovanni, che sapevano decapitato, oppure a uno dei profeti precedenti.
Ma investigare queste cose è sopra le nostre forze: richiede l’opinione di ben altri, la sapienza di ben altri. Se a Paolo apostolo basta sapere nient’altro che Cristo Gesù, e lui crocifisso, che cosa dovrei io desiderare di sapere, oltre Cristo? In questo solo nome sono espresse l’incarnazione e la divinità, ed è attestata la verità della passione. Per questo motivo, sebbene gli altri Apostoli sappiano, è Pietro tuttavia che risponde davanti agli altri: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro sapeva che nel Figlio di Dio sono poste tutte le cose: Il Padre ha dato al Figlio tutte le cose (cf. Gv 3,35). Se gli ha dato ogni cosa in mano, ha riversato in lui l’eternità e la maestà che possiede.
Ma perché mai mi sto dilungando tanto? Il compimento della mia fede è Cristo, il compimento della mia fede è il Figlio di Dio. Non mi è consentito conoscere il processo della sua generazione, ma non mi è consentito disconoscere la realtà indubitabile della sua generazione.

Credi, così come Pietro ha creduto, affinché anche tu sia felice, e anche tu sia meritevole di udire: Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. La carne e il sangue possono rivelare soltanto ciò che è terreno, mentre invece colui che parla in spirito dei misteri, non si basa sull’insegnamento della carne e del sangue, ma sull’ispirazione divina.
Non fidarti, dunque, della carne e del sangue, per non ricevere gli insegnamenti dalla carne e dal sangue e per non diventare anche tu carne e sangue. Infatti, chi rimane attaccato alla carne, è carne, ma chi si unisce a Signore forma con lui un solo spirito (1 Cor 6,17). Chi vince la carne è un fondamento della Chiesa, e, se pure non può uguagliare Pietro, lo può imitare; grandi, infatti, sono i doni di Dio, il quale non soltanto ha restaurato per noi quanto era nostro, ma ci ha anche donato quanto apparteneva esclusivamente a lui.

È grande la condiscendenza del Signore, il quale ha fatto dono ai suoi discepoli di quasi tutti i suoi nomi. Io sono la luce del mondo (Gv 8,12), dice; ma questo nome, di cui egli stesso si gloria, lo ha accordato ai discepoli, affermando: Voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Io sono il pane vivo (Gv 6,51); ma anche: Tutti partecipiamo dell’unico pane (1 Cor 10,17). Io sono la vera vite (Gv 15,1); ma anche a te dice: Io ti avevo piantato come vigna scelta, tutta di vitigni genuini (Ger 2,21).
Cristo è la pietra – tutti bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo (1 Cor 10,4) -; ma anche al suo discepolo egli non ricusò questo bel nome, in modo che anch’egli sia Pietro affinché attinga dalla pietra la saldezza della perseveranza, l’incrollabilità della fede.

Sfòrzati di essere anche tu una pietra. Ma per questo non cercare fuori di te, ma dentro di te la pietra. La tua pietra sono le tue azioni, la tua pietra è il tuo pensiero. Su questa pietra viene edificata la tua casa, perché non venga flagellata da nessuna tempesta degli spiriti del male.
La tua pietra è la fede, perché la fede è il fondamento della Chiesa. Se sarai una pietra, starai dentro la Chiesa, perché la Chiesa sta sopra la pietra.
Se starai dentro la Chiesa, le porte degli inferi non prevarranno contro di te. Le porte degli inferi sono le porte della morte, ma le porte della morte non possono essere le porte della Chiesa.

* * *

3. San Leone Magno. San Pietro e San Paolo

http://www.santiebeati.it/immagini/Original/20400/20400AA.JPG


Sermo LXXXII, 2-5. PL 54, 423-425. 

Il Signore, buono e giusto e onnipotente, mai aveva negato la sua misericordia al genere umano, sempre anzi con la generosità stessa dei suoi doni aveva parlato a tutti gli uomini, senza eccezione, perché lo conoscessero. Egli ebbe compassione della loro colpevole cecità, della loro malizia sicuramente peggiorativa, dei loro errori.
A tal fine, secondo un disegno misterioso e profondo, con un atto di sublime pietà, inviò loro il suo Verbo, a lui uguale e coeterno. Ed il Verbo incarnandosi congiunse la natura divina alla natura umana in modo tale che il suo abbassamento estremo si risolse nella nostra elevazione suprema. Perché poi gli effetti di questa grazia ineffabile potessero diffondersi in tutto il mondo, la divina Provvidenza predispose l’impero romano e ne favorì lo sviluppo, dilatando i suoi confini fino a raggiungere tutte quante le genti.

Rispondeva perfettamente al piano dell’azione divina l’associazione dei diversi regni in un unico impero, in quanto più rapida e facile sarebbe riuscita l’opera universale di evangelizzazione tra i popoli, grazie all’unità del regime politico di Roma.
Sennonché questa città, ignorando il vero autore della sua grandezza, quantunque avesse esteso il suo dominio su quasi tutte le genti, si era in realtà resa schiava dei loro stessi errori; pensava di possedere addirittura una grande religione, perché non aveva mai rifiutato nessuna falsa dottrina. Perciò quanto più tenaci erano i vincoli con cui l’aveva legata il demonio, tanto più magnifica fu la liberazione che le ottenne il Cristo Signore.
Quando, infatti, i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle lingue (cf At 2,4), cominciarono la loro missione per educare il mondo al vangelo e a questo scopo si divisero la terra in settori particolari, ecco che san Pietro come capo del collegio apostolico viene destinato alla prima sede dell’impero romano.
In questo modo la luce della verità, la cui manifestazione era in funzione della salvezza universale delle genti, si sarebbe più efficacemente diffusa come dal capo in tutto l’organismo mondiale.

Non c’erano forse allora in questa città uomini di ogni nazione? C’erano forse in qualche luogo popoli che ignoravano quel che Roma conosceva? Era qui che bisognava schiacciare certe teorie filosofiche e spazzar via le frivolezze della sapienza terrena e abbattere il culto dei demoni e distruggere l’irriverenza sacrilega di tutti i sacrifici; proprio qui, infatti, si ritrovava raccolto ad opera della superstizione più diligente tutto quanto altrove avevano elaborato gli errori più disparati.
Tu dunque, o santissimo apostolo Pietro, non hai paura di metter piede in questa nostra città; mentre l’apostolo Paolo, colui che avrai compagno nella gloria, è ancora occupato nell’opera di organizzazione delle altre chiese, fai il tuo ingresso in questa giungla di animali ruggenti, in quest’oceano agitato e profondo, certo con più coraggio di quando camminasti sopra le acque (Cf Mt 14, 28-31). E non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nel palazzo di Caifa provasti spavento dinanzi alla serva del sacerdote (cf Mt 26,69-70).
Che forse il potere di un Claudio e la crudeltà di un Nerone erano minori in confronto del giudizio celebrato da Pilato o dal furore dimostrato dai Giudei? Era dunque la forza del tuo amore a vincere tutto quel che poteva alimentare la paura, e non pensavi certo di dover temere coloro che già avevi accolto nella corrente del tuo affetto.

Non c’è dubbio che tale sentimento di carità a tutta prova si destò nel tuo cuore, o Pietro, fin da quando ti fu rivolta la triplice e arcanamente significativa interrogazione; che ti confermò nel dichiarare il tuo amore al Signore. E se questo fu allora l’atteggiamento del tuo spirito, ti fu chiesto solo che nel pascere il gregge di colui che amavi procurassi loro quel cibo, di cui eri ricchissimo.
A darti maggiore fiducia c’erano anche i tanti prodigi e miracoli, i tanti doni e carismi, i tanti poteri di cui avevi dato prova. In precedenza avevi catechizzato i fedeli provenienti dall’ambiente giudaico; avevi fondato la Chiesa di Antiochia, dove per la prima volta fu usato il nome glorioso di cristiano; avevi poi iniziato alle leggi proprie del messaggio evangelico le regioni del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia.
Proprio così, sicuro del buon esito della tua fatica, ma cosciente anche dei limiti della tua età, tu portavi l’emblema trionfale della croce di Cristo nella roccaforte della potenza romana. Ti precedevano per disposizione provvidenziale di Dio, l’onore dell’alto potere e la gloria del santo martirio.

* * *

4. Luigi di Granada. San Pietro e San Paolo

http://www.santiebeati.it/immagini/Original/20400/20400AA.JPG



Serm. I-II par. 29/6. Sermones para las principales fiestas de los Santos, Madrid, a cura di P.B. Lopez, 1792‑93, t. XII, 260‑297. 

La fede in Gesù Cristo è il fondamento della nostra religione. Volendo stabilire saldamente questa virtù della fede nell'animo dei discepoli, nostro Signore procede con discrezione e prudenza, poiché conosce il fondo dei cuori e sa perfettamente ciò che vi è in quello degli apostoli.

Gesù vuole dunque che Pietro gli renda testimonianza; dopo aver confermato tale testimonianza, il Signore ricompensa Pietro, mettendolo a capo della sua Chiesa, perché gli altri imparino dal capo degli apostoli quello che devono credere a proposito del Messia.

Il metodo che Gesù ha per insegnare è molto più modesto che se avesse proclamato senza ambagi: "Io sono il Figlio del Dio vivente". Leggiamo qualcosa di analogo in san Giovanni; dopo la lavanda dei piedi, Gesù non dice agli apostoli: "Io sono Maestro e Signore ma usa parole più umili: Voi mi chiamate Maestro e Signore (Gv 13,13).

Gesù domanda inizialmente ai discepoli che cosa la gente pensi di lui. "Alcuni Giovanni il Battista ‑ essi rispondono ‑ altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti Disse loro: "Voi chi dite che io sia?".

Pietro, illuminato con una rivelazione del Padre ed elevandosi sopra il corpo e la materia, oltre la carne e il sangue, risponde a nome di tutti: Tu sei il Cristo , il Figlio del Dio vivente. Gesù gli risponde proclamandolo beato, perché non grazie a una sapienza puramente umana egli ha reso quella testimonianza, ma per ispirazione dell'alto. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.

In questo passo Gesù da un nome nuovo al suo Apostolo, che inizialmente si chiamava Simone. Un tempo era successa la medesima cosa con il Patriarca degli Ebrei, quando era stato scelto come padre di una moltitudine di nazioni. Allora Dio aveva cambiato il suo nome in quello di Abramo, per indicare la sua numerosa posterità.

Qui Gesù, volendo fare del figlio di Giovanni il fondamento saldo e incrollabile della sua Chiesa, lo chiama "Pietro". Il nome vuole sottolineare la perenne stabilità e resistenza che balza chiara dal seguito del testo evangelico: Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Sono parole che offrono un sostegno stupendo alla fede cristiana.

Non passiamo sotto silenzio l'altra magnifica promessa che Gesù fa a Pietro, quella cioè di dargli le chiavi del regno dei cieli. Un simile potere non è conferito a Pietro solo per la sua gloria, ma in vista della nostra salvezza. Non per se Pietro riceve le chiavi, ma per noi.

La grazia delle chiavi non fa riferimento alla legge antica, ma all'evangelo. C'è una gran differenza tra la legge e il vangelo: la legge chiede, il vangelo da; la legge spaventa, il vangelo consola; quella comanda, questo conferisce la grazia per obbedire. La prima addita la via del cielo, mentre il vangelo da la forza adeguata a percorrere quell'itinerario.

La legge racchiude la lettera che uccide, il vangelo contiene lo Spirito che da la vita. L'Apostolo definisce la legge ministero di morte e il vangelo ministero di Spirito e vita (2 Cor 3,7.8).

L'annunzio a Pietro delle chiavi del Regno appartiene al vangelo, non,alla legge. E poi non soltanto al capo degli apostoli, ma a tutti quelli che tengono il suo posto nella Chiesa è concesso il potere meraviglioso di rimettere i peccati, di conferire la grazia dello Spirito Santo, di riconciliare gli uomini con Dio, d'aprire loro le porte del cielo e renderli compagni degli angeli.

Questo potere delle chiavi muta la contrizione da imperfetta in perfetta, lo stato di peccato in stato di grazia, facendo passare le anime dalla condanna eterna all'eterna salvezza.

La bontà e la misericordia di Dio sono ineguagliabili! Ci pensate che condiscendenza sia aver affidato le chiavi del cielo a un uomo della terra? E' concesso a un mortale quanto appartiene soltanto a Dio: il potere di rimettere i peccati.

Fratello, se le tue colpe ti hanno chiuso il cielo, non sarà necessario che tu travalichi i mari, che tu vada all'estremità della terra e che tu sparga sangue di animali secondo la legge antica. Basta che confessi i tuoi peccati a un ministro della Chiesa, unendo alla confessione il pentimento per il passato e il proposito di vivere bene in futuro. Col perdono delle tue colpe riceverai la grazia e l'amicizia di Dio.

Ecco il vangelo! Ecco la buona, la notizia bella per eccellenza! Ecco la grazia sopra tutte le grazie, conferita al mondo per i meriti del sangue di Gesù Cristo, lui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, come si esprime l'Apocalisse (Ap 1,5).

* * *

5. Gregorio Palamas. San Pietro e San Paolo

http://www.santiebeati.it/immagini/Original/20400/20400AA.JPG


Homilia 28. PG 151, 355‑362. 

Gli apostoli fanno brillare una luce che non conosce mutamento o declino sopra coloro che abitano nella regione delle tenebre, poi li rendono partecipi di questa luce, anzi suoi figli. Cosi ognuno di essi potrà splendere come un sole quando nella sua gloria si manifesterà il Verbo, uomo e Dio, luce sovressenziale.

Tutti questi astri, che oggi sorgono, rallegrano la Chiesa, perché le loro congiunzioni non producono nessuna eclissi, ma accendono una sovrabbondanza di luce. Cristo splende nella sua sfera eccelsa, senza gettare ombra su quelli che ruotano in regioni meno elevate. E tutti questi astri si muovono in piena luce, senza che vi sia alternanza fra il giorno e la notte, o i loro raggi differiscano per luminosità, dal momento che il loro splendore proviene da un'unica f onte.

Tutti coloro che fanno parte di Cristo, fonte perenne di luce eterna, hanno il medesimo fulgore e la sua gloriosa luminosità. La congiunzione di questi astri si manifesta cosi agli occhi dei fedeli attraverso un duplice sfavillio.

Satana, il primo ribelle, riuscì a far apostatare Adamo, il primo uomo, il progenitore dell'umanità. Quando dunque Satana vide Dio creare Pietro, il capostipite dei fedeli, e dirgli: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16,18), nella sua malvagità suicida, cercò di tentare Pietro come aveva tentato Adamo.

Colui che è il maligno per eccellenza sapeva che Pietro era dotato d'intelletto e incendiato d'amore per Cristo. Perciò non s'azzardò ad assalirlo di petto, ma con fare sornione lo aggredì di fianco, per spingerlo a violare il suo dovere.

Nell'ora della passione il Signore disse ai suoi discepoli: Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte (Mt 26,31). Pietro, incredulo non solo lo contraddice, ma si esalta sopra gli altri, affermando: Anche se tutti si scandalizzassero di te. io non mi scandalizzerò mai (Mt 26,33).

Dopo l'arresto di Gesù, Pietro, come punito per la sua presunzione, abbandona il Signore più degli altri. Ma più degli altri umiliato, egli avrebbe a suo tempo ritrovato un onore più grande.

Infatti il suo comportamento è ben differente da quello di Adamo. Questi, una volta tentato, era caduto vinto precipitando cosi nella morte, mentre Pietro, dopo essere stato atterrato, riesce a rialzarsi e trionfa sul tentatore.

In che modo Pietro fu vincitore? Rendendosi conto del suo stato, provandone un dolore cocente, effondendosi in lacrime di penitenza, assai preziose per espiare. Il salmo dice infatti: Un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi (Sal 50,19), perché il rincrescimento di avere offeso Dio opera una guarigione irreversibile. E chi semina una preghiera intrisa di pianto, meriterà il perdono intessuto di allegrezza.

Possiamo notare che Pietro espiò in modo adeguato il suo rinnegamento, non solo pentendosi e facendo penitenza, ma anche perché l'orgoglio che lo spingeva al protagonismo fu espulso radicalmente dalla sua anima.

Il Signore lo volle dimostrare a tutti quando il terzo giorno risuscitò dai morti, dopo la passione sofferta per noi nella sua carne. Nel vangelo infatti egli dice a Pietro, accennando agli apostoli: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? (Gv 21,15).

La risposta ci rivela un Pietro umile, davvero convertito. Al Getsemani, senza essere interpellato, si era spontaneamente messo sopra gli altri, dicendo: Anche se tutti si scandalizzassero di te. io non mi scandalizzerò mai (Mt 26,33).

Ma dopo la risurrezione, quando Gesù gli domanda se lo ama più degli altri, Pietro risponde di si, sul fatto di amare, ma tralascia di far menzione del grado, limitandosi a dire: Certo, Signore, tu lo sai che ti amo!

Gesù disse a Simon Pietro: ''Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?". Gli rispose: "Certo, Signore, tu lo sai che ti amo" (Gv 21,15).

Quando Gesù vede che Pietro gli ha conservato l'amore e ha acquistato l'umiltà, da compimento alla sua promessa e gli dice: Pasci i miei agnelli (Gv 21,15).

In precedenza, quando il Signore aveva paragonato l'assemblea dei fedeli a una costruzione, aveva promesso a Pietro di costituirlo a fondamento, dicendo: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16,18). Nel racconto evangelico della pesca miracolosa, Gesù aveva pure detto a Pietro: D'ora in poi sarai pescatore di uomini (Lc 5,10).

Infine, dopo la risurrezione, Gesù paragona i suoi discepoli ad un gregge e chiede a Pietro di esserne il pastore, affermando: Pasci i miei agnelli (Gv 21,15).

Vedete, fratelli, come il Signore arde dal desiderio della nostra salvezza! Non cerca che il nostro amore, in modo da poterci guidare ai pascoli e all'ovile della salvezza. Desideriamo perciò anche noi la salvezza, obbediamo in parole e nei fatti a coloro che devono essere le nostre guide in questo cammino. Basterà che bussiamo alla porta della salvezza e subito si presenterà la guida designata dal nostro Salvatore. Nel suo amore eterno per gli uomini, il Signore stesso sembra non aspettare che la nostra richiesta, anzi la previene e si affretta a presentarci il capo che ci guiderà alla salvezza definitiva.

Davanti alla triplice interrogazione del Signore, Pietro è addolorato, perché pensa che Gesù non si fidi di lui.. E' convinto di amare Gesù e che il Maestro lo sa meglio di lui. Con le spalle al muro e senza via d'uscita, Pietro dichiara il suo affetto e proclama l'onnipotenza del suo interlocutore, dicendo: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo (Gv 21,17).

Dopo una simile confessione, Gesù costituisce Pietro pastore, anzi supremo pastore della sua Chiesa e gli promette la forza necessaria per resistere fino alla morte di croce, mentre per l'innanzi Pietro era crollato davanti alle parole di una servetta.

Gesù gli afferma: In verità. in verità ti dico: quando eri più giovane ‑ non solo di corpo, ma spiritualmente ‑ ti cingevi la veste da solo. e andavi dove volevi. ossia seguivi i tuoi impulsi e vivevi secondo i tuoi desideri naturali. Ma quando sarai vecchio ‑ quando cioè sarai pervenuto anche alla maturità dello spirito ‑ tenderai le tue mani. E queste ultime parole alludono alla morte di croce; il verbo tendere è alla forma attiva, per specificare che Pietro si lascerà crocifiggere di sua libera volontà.

Tenderai le tue mani,, e un altro ti cingerà la veste cioè ti fortificherà ‑ e ti porterà dove tu non vuoi (Gv 21,18).

Il testo da un lato segnala che la nostra natura non vuole dissolversi nella morte per l'istinto congenito verso la vita, e d'altro canto il martirio di Pietro oltrepassa ampiamente le sue forze naturali. Il succo delle parole del Signore è questo: "A causa mia e rafforzato da me, tu sopporterai supplizi che normalmente la natura umana è incapace di assumere''.

Questo è Pietro e assai pochi lo conoscono sotto tale angolatura.
E Paolo, chi è? Chi potrà far conoscere la sua pazienza nel sopportare ogni cosa per Cristo, fino alla morte? La morte, Paolo l'affrontava ogni giorno, pur continuando a vivere. Rammentiamoci di quando ha scritto: Non sono più io che vivo. ma Cristo vive in me (Gal 2,20).

Per amore di Cristo, egli considerava tutto come spazzatura, al punto da stimare il futuro come qualcosa di secondario nei confronti di quell'amore. Egli dice infatti: Io sono persuaso che ne morte ne vita, ne angeli ne principati, ne presente ne avvenire, ne potenze, ne altezza ne profondità, ne alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 8,39).

Pieno di zelo per Dio, Paolo non mirò che a infonderlo anche in noi.
Tra gli apostoli, Paolo non è inferiore per gloria al solo Pietro. Considera la sua umiltà quando esclama: lo sono l'infimo degli apostoli. e non sono degno neppure di,essere chiamato apostolo (1 Cor 15,9).

Se Paolo eguaglia Pietro per la fede, lo zelo, l'umiltà .e la carità, perché non ricevette in parte il medesimo premio da parte di Dio che giudica con giustizia e tutto pesa su un'esatta bilancia?

All'uno il Signore dice: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. In ordine all'altro, dichiara ad Anania: Egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli (At 9.15). Di che nome si tratta? Certamente di quello della Chiesa di Cristo di cui Pietro garantì la costruzione.

Vedete come Pietro e Paolo sono eguali in gloria, come la Chiesa di Cristo riposa sul fondamento di loro due? Ecco perché in questo giorno la Chiesa gli attribuisce una solennità comune, per cui oggi celebriamo una festa in loro onore.